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Li dei coccodrilli
Li dei coccodrilli
Li dei coccodrilli
E-book248 pagine3 ore

Li dei coccodrilli

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Info su questo ebook

Li è una ragazza che conduce una vita molto tranquilla fino alla malattia e alla morte del padre a seguito di un tumore.
Da quel momento la sua esistenza diventa complicata, mentre la sua famiglia è in crisi cominciano ad accadere fatti strani che lei imputa alla sofferenza per il recente lutto.
Finito il liceo decide di trasferirsi a casa degli zii, coppia omosessuale che vive in una città piuttosto lontana, la notte prima della partenza alla ragazza appare un alligatore che le pronostica un cambiamento.
Ci vorrà un po’ di tempo però prima che questa profezia si attui.
Un giorno d’autunno Li decide di uscire per fare una passeggiata, mentre è ferma al parco le sembra di udire una voce nel vento qualche minuto dopo si ridesta allo squillo del cellulare e scopre che il suo appartamento è andato distrutto in uno strano incendio, ogni traccia del suo passato è sparita si è salvato solo Re il suo fedele gatto rosso.
Da questo momento l’esistenza di Li si affaccia su un mistero che ha radici lontane, il passato di Jim il più anziano dei suoi zii, infatti nasconde una strana vicenda di cui nessuno è a conoscenza.
Li scoprirà che, come suo padre, ha il dono di vedere oltre lo specchio della realtà e mentre la sua esistenza si scontra, con difficoltà lavorative ed esistenziali, si troverà a dipanare un mistero che coinvolge le persone a lei più care
Li dei coccodrilli è un romanzo breve in cui la componente surreale fa da sfondo alla storia di una crescita interiore tutta al femminile.
LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2019
ISBN9788867829651
Li dei coccodrilli

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    Li dei coccodrilli - Valentina Tonelli

    Valentina Tonelli

    LI DEI COCCODRILLI

    Valentina Tonelli

    Li dei coccodrilli

    Editrice GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio d’Adda- MI

    Ogni riferimento descritto in questo romanzo a cose, luoghi, persone o altro è da considerarsi del tutto casuale.

    Copertina di Valentina Tonelli

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    1

    Si era trasferita in quella città diversi anni prima, non era ancora pronta a considerarla sua, non erano suoi l'odore di smog e la nebbia al mattino, non suoi il suono delle auto in corsa , il clacson dei pullman e la polvere secca e scura tra i panni, talvolta, quando il vento soffiava forte.

    Non che rimpiangesse la propria scelta, la città placava l'urlare della sua mente, con quei suoni perpetui e petulanti la distraeva dai pensieri malinconici che talvolta le offuscavano il cuore, e poi, in una città così grande una persona non è che un puntino, una goccia nel mare, un nulla quasi inutile, sicuramente trascurabile.

    Talvolta si sedeva sul piccolo balcone occupato interamente da una sedia blu mare in legno e dalla cassetta del gatto.

    Accavallando le gambe ascoltava le macchine passare, le vedeva rincorrersi e sfiorarsi quasi, nella grande rotonda, come in una coreografia perfetta. Si sentiva simile a un ingranaggio in un enorme sistema cosmico davanti a cui poteva smettere di pensare che per quanto avesse sbagliato e potesse ancora sbagliare nulla sarebbe cambiato.

    Si chiamava Li, non era orientale, il suo nome era dovuto a uno strano fatto, un errore di ortografia da parte del funzionario comunale o forse solo alla distrazione di suo padre che sbagliò a dettarlo dopo mezz'ora di bicicletta sotto al sole. La seconda versione veniva narrata in famiglia quando serviva un aneddoto divertente. Si trattava di un'interpretazione strana in effetti, per quanto sole uno possa prendere, pare ben difficile che riesca a scordarsi un nome semplice come Lia, era bello pensare che suo padre avesse soltanto perso la A lungo quella discesa tutta curve che portava al municipio in valle.

    Queste erano le storielle che si raccontavano in famiglia, Li la verità la seppe in una circostanza triste. Suo padre era in ospedale morente divorato dalla malattia e sua sorella non faceva altro che sussurrargli all'orecchio parole di speranza a cui ormai solo lei credeva poi cadeva sfinita sulla sedia o fuggiva dalla stanza in lacrime. In uno di quei rari momenti di tranquillità Li era riuscita a domandare:

    -Papà Lia non ti piaceva proprio come nome vero?

    Lui aveva fatto un flebile sorriso e le aveva risposto:

    - Era il nome della madre di tua madre, non l'hai conosciuta.

    Poi aveva sospirato e le labbra gli si erano increspate.

    - Era cattiva davvero, Li era un nome unico, così persi la A e ti salvai. Se ti fossi chiamata Lia saresti stata un'altra.

    Li aveva sorriso e anche sua padre ci aveva provato, poi Greta era piombata nella stanza e aveva iniziato nuovamente con la sua inutile litania.

    Di solito nessuno si fermava dopo le nove, era un grande ospedale, non era necessario l'aiuto dei parenti, anzi spesso non era per nulla gradito, ma quella notte qualcuno doveva restare per via dello sciopero del personale di corsia e suo padre volle lei.

    - Li stanotte morirò, non potevo chiedere di fermarsi a tua sorella è più grande ma più debole, ne sarebbe morta, non posso chiederlo a tua madre sono anni che non mi ama più, forse da quando ho perso la tua A, tu saprai che cosa fare.

    Tutto ciò lo sussurrò con un filo di voce, poi richiuse gli occhi e pareva che dormisse.

    Alle quattro del mattino entrò nella stanza una donna in nero, svegliò Li con una stretta alla spalla destra, una stretta gentile e le disse all'orecchio:

    - Non ti preoccupare cara, baderò io a lui, berremo vino rosso con gli altri, giocheremo a briscola e lo porterò a ballare il valzer di tanto in tanto.

    Li faticava ad aprire gli occhi come fossero incollati ma quando ci riuscì vide due ombre, di spalle, sulla soglia, una era una donna con un bel mantello di raso cangiante, l'altro suo padre.

    Suonò subito il campanello, voleva dire all'infermiera che era successa una cosa incredibile, ma ci vollero solo una manciata di secondi per capire che invece era accaduta solo la più banale, tutto ciò che riuscì a fare fu rammaricarsi di non essersi svegliata un secondo prima.

    Suo padre nel letto aveva gli occhi aperti rivolti verso il soffitto e un sorriso appena accennato e a Li scivolarono due lacrime silenziose lungo le guance.

    Così era iniziato tutto.

    Anche se erano passati quasi dieci anni quello era il primo dei motivi per cui guardava le macchine e si riempiva cuore e polmoni di denso smog. Osservando il gatto dormire nella cesta, spesso pensava che in mezzo a tanta gente non ci si poteva che sentir soli.

    La morte del padre aveva innescato una serie di fatti sgradevoli che l'avevano portata lassù nel suo nido sopra la città.

    Di tanto in tanto si chiedeva che sarebbe accaduto se la sua A non fosse andata persa lungo la discesa e se lei invece di diventare una persona così speciale fosse stata banalmente cattiva.

    Non si era spaventata quella sera, nemmeno quando aveva capito che la signora con il mantello nero era solo la morte che sorridente portava suo padre nel bar più vicino a bere e mangiare qualcosa di buono, dopo che la malattia gliel'aveva a lungo impedito.

    Quello che aveva sentito era una specie di sollievo dolce come se avesse affidato suo papà a una persona cara, non se lo perdonò mai, non se lo sarebbe potuta perdonare nemmeno se al funerale sua madre e sua sorella non l'avessero osservata tutto il tempo con sguardo d'accusa perché non piangeva. Ma suo padre aveva scelto lei e lei non poteva farci nulla.

    Era all'ultimo anno di liceo ed era determinata a concluderlo nel migliore dei modi, tenere duro ancora qualche mese sarebbe stato difficile in quella casa piena di astio e dolore, ma ce l'avrebbe fatta poi si sarebbe trasferita da Gioele il fratello di suo padre, nella capitale, si sarebbe iscritta all'università, avrebbe cercato un lavoro e sarebbe andata a vivere più in alto possibile nel posto più anonimo disponibile per fondersi con le nuvole. Questo aveva deciso mentre aspettava che suo padre morisse, prima che si addormentasse per essere risvegliata dalla morte in persona.

    Voleva essere soltanto una goccia nel mare.

    Talvolta quando guardava le nubi e il gatto le si accoccolava sui piedi, lei si domandava che effetto potesse fare all'animale vivere più in alto degli uccelli, più in alto di tutta la città e non poter correre nell'erba. Non lo sapeva. Di tanto in tanto nelle sere d'estate il felino cacciava le locuste che si addormentavano tra i panni stesi ad asciugare nella lavanderia, molto più in basso del loro appartamento e si risvegliavano nella stanza, a Li sembrava che quei momenti, per lui, fossero attimi di pura gioia.

    Quando era piccola aveva due gatti uno nero e una bianco, si chiamavano Sì e No, e la cosa generava non poca confusione, il nome ovviamente gliel'aveva dato suo padre e sua madre si era arrabbiata per questo, ma ai gatti era molto affezionata anche se dormivano sul divano e talvolta si facevano le unghie sulla tappezzeria, era difficile rimproverarli. Ogni volta qualcuno urlava no al gatto bianco, il più dispettoso, quello nero arrivava sculettando pensando di essere desiderato.

    Dare i nomi non era proprio affare per mio padre e chissà perché toccava sempre a lui farlo.

    Sorrise a quel pensiero, i ricordi l'avevano portata lontano e non si era accorta del freddo che le bruciava la pelle.

    Si era alzato un vento insistente e Re, il gatto rosso, arrabbiato era fuggito dentro arruffato e infastidito lasciandola sola sul piccolo balcone.

    Li nell'alzarsi si ritrovò in grembo una foglia color amaranto, era strano, così in alto, pensò che fosse di buon auspicio, il segno che qualcosa di bello sarebbe successo, poi scacciò quell'idea scrollando il capo.

    Entrò in casa e mise la foglia in un vasetto come fosse un fiore, aveva sfidato la gravità e il vento, finché aveva respiro meritava di vivere.

    Si stese poi sul letto e i ricordi tornarono a rapirla, le venne alla mente il momento esatto in cui se n'era andata dal suo paesino in cima alla montagna.

    Erano passati sei mesi dalla morte di suo padre ed erano stati i più duri della sua vita.

    Sua sorella diceva che se non fosse rimasta lei in ospedale non sarebbe morto, hai lasciato che ce lo portassero via urlava e Li non ci poteva fare nulla. Sua madre tre settimane dopo il funerale di suo padre, dove aveva pianto come un torrente in piena, portò a casa l'uomo con cui da anni aveva una relazione. Era un signore brutto ma adorabile con l'aria mite, orecchie a sventola piccoli occhiali sulla punta del naso un tono di voce basso e armonioso.

    A Li non dispiacque e non si arrabbiò. Il dolore non si può imporre pensò e può prende molte facce.

    Quella notte sua sorella ingoiò un flacone di psicofarmaci e la salvarono per un pelo, la salvò Li e sua madre parve impazzire.

    Un mese dopo la situazione era più tranquilla Greta era in cura e sembrava più serena, Li aveva convinto sua mamma a non chiudere la relazione con Armando, non voleva altri atti di sconsiderata disperazione da reprimere.

    Fu proprio a fine aprile che telefonò a suo zio, gli spiegò come stavano le cose, gli disse che i voti erano buoni e data la situazione famigliare a scuola si erano resi disponibili a farle sostenere direttamente l'esame di maturità senza penalizzarla se si fosse assentata un mese.

    Gli chiese di potersi trasferire da subito, non a settembre, lui esitò, poi, dopo una descrizione più dettagliata della situazione, accettò.

    L'ultima sera in cui Li dormì a casa apparve l'alligatore.

    Non che poi fosse successo spesso fortunatamente.

    Strisciò fuori dal tappeto con i denti e tutto, ma aveva occhi umani e scaglie verdi iridescenti, era bellissimo quasi irreale, sebbene le zampe fossero banalmente sporche di limo.

    - Devi avere molta pazienza.

    Le disse.

    - Aspettare la farfalla del tramonto e poi tutto cambierà...

    Lei non riuscì a rispondere, nella gola le pareva di avere colla densa, le parole non potevano uscire.

    - Abbi pazienza ti dico, poi la notte finirà e inizierà il giorno, ora dormi.

    E il rettile le si coricò a fianco nel letto.

    Il mattino dopo a parte strane tracce di fango nella camera non c'era nulla ma Li in cuor suo sapeva che non era stato un sogno, perciò decise di rinchiudere l'accaduto nell'angolo più remoto della sua mente.

    2.

    Non era passato poi tanto tempo, si susseguivano giorni identici nella capitale.

    I piccoli problemi quotidiani e le scocciature, i soldi che non bastavano mai e un amore che tardava ad arrivare.

    Li adorava guardare il mondo da lontano.

    Appena arrivata aveva lavorato per due settimane in un bar, ogni sera quando iniziava stringeva forte i pugni e contava quanti soldi le sarebbero arrivati da quelle poche ore che le parevano infinite, ogni notte si rigirava nel letto in attesa che il sonno arrivasse ancora in preda alla tensione nervosa.

    Fu l'anziano convivente di suo zio a porre fine a quella tortura:

    - Voglio che smetti.

    Era sdraiato sul divano e mordicchiava meticolosamente l'estremità della matita che teneva nella mano sinistra.

    - Mi scusi?

    - Voglio che non torni più in quel posto.

    Jim era un anziano dal piglio burbero e dai tratti orientali, i capelli, ormai candidi, erano lunghi oltre le spalle stesso taglio di quando da giovane era scappato dall'Alabama, abban-donando tutto di punto in bianco. Al lato della bocca tra le labbra labbra, però, non aveva più lo spinello dei mitici anni '70 ma una una matita 2H con cui nonostante l'età avanzata tracciava avveniristici progetti architettonici.

    Lavorava spesso da sdraiato tenendo il blocco appoggiato sulle ginocchia piegate, quasi fossero un leggio.

    Così si trovava in quel momento e da quella posizione, dopo essersi tolto la matita di bocca, aveva dato il suo giudizio, peraltro non richiesto.

    - E dammi del tu che abbiamo praticamente la stessa età.

    Concluse senza l'aria di voler scherzare.

    - Mi perdoni ma quel lavoro mi serve.

    Le era impossibile non dare del lei a quell'uomo dal modo di fare così autorevole che le incuteva un misto di rispetto e timore nonostante ormai lo conoscesse da tanto.

    - Cazzate.

    Ora la fissava con sguardo tagliente.

    - Non ti serve, hai una casa, un letto, dei vestiti e del cibo quindi quel lavoro non ti serve. Ragazzina tre cose non si possono comprare: la salute, il tempo e l'intelligenza di non sprecare entrambi.

    Prima di andare a San Francisco ero molto benestante e pensavo ogni due ore che spararmi un colpo in testa sarebbe potuta essere una buona idea. Ora sono vivo e non è cosa da niente, sono più ricco di prima, praticamente sposato e molto felice. Certo per un certo periodo sono stato molto povero ma quello che mi serviva non mi è mai mancato. Quindi vattene da quel posto, nella vita ci vuole il coraggio di cambiare e, abbi pazienza, un lavoro precario di quattro ore a sera in un bar non è un cambiamento così radicale.

    Non attendeva risposta, ancora stava parlando che già la mente era passata al disegno e la mano volava sui fogli.

    - Ci penserò.

    - Non ci penserai, lo farai e basta.

    La voce ferma e gentile come sempre.

    Quella era stata la fine del periodo peggiore della sua vita.

    Andarsene dal bar senza sensi di colpa era stato meraviglioso, le sembrava di volare e che tutte le possibilità le fossero state restituite.

    La notte dormì come non dormiva da anni.

    Le sembrava di essere fuggita dall'inferno, l'idea di non dovere vedere più il suo capo che la maltrattava e le colleghe che la consideravano una stupida non le pareva vero.

    L'alba portò con se la consapevolezza che avere tutte le possibilità non voleva affatto dire sapere cosa fare. E questo la sprofondò nella disperazione più nera.

    Li ricordava con chiarezza le mattine passate a strisciare per casa, i vestiti vecchi che indossava perché nessuno l'avrebbe vista, il te sorbito lentamente e lo sguardo preoccupato di suo zio.

    Era questo a ferirla più di tutto il resto.

    Sentirsi di peso e non sapere che fare. Era venuta nella capitale per l'università, poi si era convinta che non voleva pesare sulle finanze della famiglia quindi prima sarebbe stato necessario un lavoro, il bar doveva essere l'inizio ma era iniziata male e ora non aveva idea di come cambiare le cose, la morte di suo padre le pesava sul cuore come un macigno e rallentava ogni sua decisione.

    Gioele era un uomo mite, taciturno, minuto senza capelli e con una barba lunghissima, aveva vispi occhi verdi e un gran senso dell'umorismo, celato da una timidezza che lo faceva apprezzare a pochi. Vestiva colorato come sempre aveva fatto. Da giovane era andato a studiare biologia in America, ed era tornato a casa con una laurea in critica d'arte e con Jim, i suoi genitori avevano apprezzato poco entrambe le cose.

    Era stato il padre di Li, il più giovane e concreto dei tre ad aiutare quel fratello così stravagante, lui che a 16 anni lavorava già e non vedeva l'ora di avere una famiglia, aveva fatto tutto presto, forse perché sapeva che non gli era concesso molto tempo.

    Aveva aiutato economicamente il fratello e il suo fidanzato ed era stato loro vicino quando tutto sembrava precipitare, c'erano voluti quasi tre anni perché Gioele trovasse un lavoro fisso in una galleria d'arte come guardiano di notte e riuscisse a mantenere se stesso e il suo stravagante compagno. In meno di dieci Jim era diventato l'architetto più famoso del momento e Gio aveva iniziato a scrivere su diverse riviste d'arte.

    Insomma tutto era andato per il meglio.

    In realtà la coppia non aveva molte occasione per incontrare il padre di Li, la distanza dal paesino dove vivevano alla capitale era molta e non c'erano spesso occasioni particolari, si sentivano sovente al telefono o via lettera, come da giovani, per confrontare quella bizzarra storia che è la vita di ciascuno.

    Quando una sera di inverno il suono del campanello terrorizzò il gatto che dormiva sulla pancia di Jim nessuno di loro avrebbe pensato che alla porta ci fosse Libero, il padre di Li, con le peggiori notizie che qualcuno possa condurre.

    - Morirò a breve, un anno nel peggiore dei casi, cioè quello in cui vivrò e soffrirò più a lungo, se non fosse per la mia figlia maggiore me ne andrei subito, ma ne morirebbe e una morte alla volta è più che sufficiente. Sono venuto a raccomandarvi Li, tra le due sorelle non nascondo che è quella che mi è più affine nel carattere, quando non ci sarò più se ne vorrà andare di casa e io le lascerò detto di venire qui. Se per voi non è un peso vi chiedo di occuparvi di lei come fosse vostra. È una ragazza bizzarra e avrà difficoltà nel crescere e nell'adattarsi al mondo, ha delle doti simili alle tue Gioele ma più intense, ma per ora non ne ha grande consapevolezza, non parlargliene. Abbiate pazienza.

    Il capo chinato e lo sguardo rassegnato disse tutto questo in un fiato come a volersi togliere il peso di quella richiesta che avrebbe preferito non dover fare mai.

    Gioele lo abbracciò senza proferire parola.

    Jim, invece, disse: - Li sarà nostra figlia non ti preoccupare. Noi ti dobbiamo la vita e non l'abbiamo dimenticato e se anche così non fosse Li sarebbe stata nostra figlia lo stesso. Ora è il caso di berci sopra qualcosa... Dove ce l'hai il cancro? Spero non al fegato...

    E riuscì a strappargli un sorriso.

    Gioele già

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