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L'altra parte del cuore
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L'altra parte del cuore
E-book358 pagine4 ore

L'altra parte del cuore

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Sinossi da inserire.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mar 2016
ISBN9788867932313
L'altra parte del cuore

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    Anteprima del libro

    L'altra parte del cuore - Giovannella Massari

    http://creoebook.blogspot.com

    Giovannella Massari

    L’ALTRA PARTE

    DEL CUORE

    PRIMA PARTE

    I ricordi e il ritorno

    È arrivata.

    Le basterà svoltare a sinistra e avrà il suo passato davanti agli occhi, o almeno la parte di esso che più teme di affrontare, anche se non sa con quale immagine le si presenterà.

    Ha rallentato fin quasi ad arrestare l’auto, ma imbocca la strada, ora, rallentando ancora nell’approssimarsi al cancello della casa che vuole rivedere e lì davanti spegne il motore.

    Ha bisogno di respirare a fondo, nella speranza di calmare il cuore, che batte forte e sembra incontrollabile. E intanto continua a guardare avanti, fin dove la strada che conosce così bene, curva e si perde, sottraendosi alla vista.

    A dire il vero, il respiro le è quasi mancato, poco fa, quando dalla strada che sale da Ibla e, sovrastandola, lentamente se ne allontana, ha rivisto i tre ponti.

    Ha accostato ed è scesa dall’auto, non senza sentirsi perduta.

    Motori sconosciuti rombavano lì intorno e numerose auto sfrecciavano dietro di lei, mentre con lo sguardo camminava, il più lentamente possibile, sopra a ognuna di quelle tre linee sospese tra il tempo, il cielo e la valle, ripercorrendo con malcelata avidità, eppure con disagio, le sue catene e i suoi legami con la sua Ragusa.

    Ha avuto in quel momento la certezza che, per quanto ne sia rimasta lontana, quei ponti sono sempre stati dentro di lei.

    Ma rivede questa città dopo un tempo lunghissimo e, nel rivederla, si sente lacerare così come quando la lasciò.

    Lo sguardo improvviso e impaurito che ha lasciato cadere su Ibla le ha restituito in qualche modo il senso delle cose: la sua lontananza da questi luoghi non ha cambiato nulla, se non dentro di lei. Ibla è ancora lì, dove lei l’ha cercata, arrampicata su monti che mille volte ha contemplato solo aprendo una finestra; ed è ancora lì la sua apparenza bugiarda di case sempre uguali, di chiese imponenti e di strade sottili che, come grigi serpenti, strisciano ancora verso la parte di mondo dove ha vissuto felice e che ora teme di non riconoscere.

    Ibla era lì, poco fa, a trafiggerle il cuore.

    E, bugiarda come questa città così antica, che nasconde a se stessa il passare del tempo, anche lei mente a se stessa, camuffando il suo vero timore e cioè che sia questo piccolo mondo a non ricordarsi di lei, a non riconoscerla affatto.

    Forse questa terra, che trema da secoli come trema il suo cuore, non ha più porte disposte ad aprirsi, nemmeno a socchiudersi, per lasciarla rientrare, seppure per un attimo.

    Su quel ciglio di strada si è tenuta in disparte, assaporando in pieno l’amarezza del suo stare a guardare e tutta la solitudine che il solo fatto di trovarsi in questi posti ha sprigionato.

    Anche ora, qui, davanti a questa casa che voleva rivedere e temeva di rivedere allo stesso tempo, continua a stare in disparte.

    E non riesce a girarsi e a guardarla, non saprebbe dire se per la paura di trovarla diversa o per quella di ritrovarla uguale a com’era.

    Dopotutto, da quando se n’è andata, sono passati quasi ventitré anni e Nina non può che subire la prigionia di questa sua paura.

    1° capitolo

    Questa strada e il piccolissimo viale alberato, con due pini su un lato e una palma sull'altro, che parte dal cancello e conduce al portone della casa di Lisa, hanno visto correre gli anni della sua infanzia e quelli che seguirono fino alla sua prima giovinezza, alla stessa velocità con cui entrava quotidianamente nel piccolo giardino antistante l’abitazione. Rivedere l’immagine di Lisa, carissima amica del suo tempo bambino e della piccola mano che spostava veloce le tende della finestra, per accertarsi del suo arrivo, dopo aver sentito cigolare il cancello, è obbligatorio, qui.

    E quegli alberi furono testimoni di molte innocenti complicità.

    Persino la severità della madre di Lisa vacillava di fronte al candore, ormai collaudato, delle espressioni spaurite cui ricorrevano per giustificarsi entrambe, se le avevano cercate, senza trovarle, nel posto dove avevano detto di essere e se dimenticavano che la puntualità era una regola ferrea.

    Non che la signora Adele credesse a tutto quello che concordavano di dire.

    Ma a lei, a Nina, voleva bene quasi come a sua figlia. E non lo nascondeva affatto.

    Tanto che Nina pensava sinceramente che Lisa fosse molto fortunata ad avere una madre così, severa quando era necessario, ma soprattutto dolce, comprensiva, disponibile, capace, rassicurante…

    Lei, invece, aveva solo le sue zie: Gina e Rita.

    Le sue due incredibili, dolcissime madri.

    Sua madre, quella vera, se n’era andata da secoli e Nina non ricordava nulla di lei, visto che l’aveva lasciata alle sue sorelle quando era ancora in fasce. Però, pensava spesso che non poteva essere come la signora Adele, perché, per quel poco che riusciva a comprendere, percepiva che quella donna non avrebbe lasciato Lisa a nessuno, nemmeno a una sorella. L’amore che legava Lisa a sua madre, e viceversa, era tangibile e praticamente vivevano in simbiosi.

    La madre di Nina, invece, continuava a starsene tranquillamente lontana, anche se telefonava spesso, sopravvalutando la possibilità di comunicare che può avere una linea telefonica, che fu l’unico mezzo di comunicazione che cercò per anni, servendosi del quale, forse, si illuse pure di amare sua figlia.

    In fondo, comunque, nemmeno Nina avrebbe saputo come fare ad amare sua madre: che cosa poteva amare di lei, se di lei non aveva nemmeno un’idea?

    Non poteva ricordare nulla del suo aspetto e anche le zie le raccontavano poco. Col tempo scoprì che, oltre a essersi vergognate moltissimo a causa del suo comportamento e cioè per il fatto di essersi separata da suo padre ed essersene andata lasciando Nina di pochi mesi lì con loro, erano anche incredibilmente piene di rancore nei suoi confronti, per tutte le chiacchiere e le maldicenze che le aveva costrette ad affrontare. Ma, soprattutto, ne temevano il ritorno.

    C'erano voluti anni prima di sentirsi sicure di non essere più il bersaglio delle chiacchiere del nido bigotto che era allora questa città. E da quelle chiacchiere volevano proteggere soprattutto lei, che era la figlia di una... Beh, una che se ne va di casa, che lascia il marito e una figlia, da queste parti si chiamava na cosa fina (una cosa fine, in senso molto ironico), na spustata (una spostata).

    In poche parole, una poco di buono.

    "Miegghiu ntà na ucca i furnu ma no ntà ucca ro munnu" (Meglio stare sulla bocca di un forno che sulla bocca del mondo) era una delle espressioni dialettali più usate anche a casa sua, quando le zie si scambiavano opinioni sulla malcapitata di turno, finita, appunto, sulla bocca di tutti.

    Gina e Rita sapevano bene cosa voleva dire: sua madre aveva regalato loro un bel periodo di vergogna e le aveva costrette a camminare a testa bassa per un po’, facendole sentire segnate a dito.

    Le sorelle Baglieri, nella piccola comunità cittadina, erano molto conosciute e portavano il peso della dignità e della notorietà di una famiglia benestante. Suo nonno Alfredo, infatti, un avvocato, era stato anche una delle poche persone istruite a quei tempi, in una società fondamentalmente agricola, poco industrializzata e solo da poco, quindi popolata per lo più da gente semplice e, nella maggior parte dei casi, impossibilitata a frequentare la scuola.

    Facevano eccezione le poche famiglie nobili, naturalmente.

    Era abbastanza comprensibile che per le sue zie fosse difficile mostrarsi indifferenti di fronte a una simile disgrazia familiare: in fondo erano nate e vissute in quel mondo e ai suoi ritmi e alle sue regole si erano dovute adeguare.

    Diversamente da sua madre, che non lo fece mai.

    Nina intuiva la loro rabbia e il loro fastidio ogni volta che la madre telefonava cercando di lei, ma non riuscirono mai a impedirglielo.

    Ecco: in quel momento della sua vita, tra i sei e i sette anni e per molto tempo ancora, di sua madre conobbe solo la voce. Era una voce quieta, sottile e aveva una sua dolcezza. Somigliava a una carezza, ma lei non disse mai alle zie che la voce di sua madre le piaceva. D’altra parte, quelle telefonate, che in fondo avevano fatto parte della sua vita da che riusciva a ricordarsene, erano stranissime: lei non sapeva mai cosa dire. La voce faceva domande a cui Nina rispondeva inevitabilmente a monosillabi e le telefonate diventavano praticamente un soliloquio, di cui sua madre evidentemente non si stancava.

    Nemmeno adesso, comunque, pensa alla sua infanzia come a un periodo infelice a causa di sua madre: da bambina non soffrì troppo per la sua assenza. Come poteva sentire, anche allora, la mancanza di chi non aveva mai conosciuto?

    Lei si limitava a registrare il fatto che ogni volta che sua madre cercava di lei al telefono, le sue zie, quando non esordivano con frasi tipo "chi bbà circannu, chissa!" (Che va cercando, quella!), come minimo si incupivano e aspettavano impazientemente che la telefonata finisse.

    Sua madre era l'unica persona al mondo che riusciva a far diventare il dialetto della zia Gina forbito come il suo italiano. Non tanto per l'inflessione dialettale che, parlando in ragusano, si evidenziava inevitabilmente; ma per le frasi e le espressioni più o meno colorite e più o meno antiche, tramandate dalla più stretta tradizione linguistica popolare del luogo, con cui la zia Gina inaspettatamente esordiva. Questo perché quella donna, la sorella scapestrata che aveva osato andarsene e farsi una vita altrove, senza nessuno scrupolo per il fatto di aver lasciato il proprio marito e la propria figlia, ogni volta che si faceva viva, faceva uscire dai gangheri la professoressa Giorgia Baglieri, chiamata Gina da familiari e conoscenti. Gina Baglieri, appunto, che era stata insegnante di lettere in una delle scuole medie della città, parlava e aveva insegnato anche a lei, a Nina, un italiano eccellente, ricco di espressioni da letterato, con cui spesso le capitò di sbalordire, senza volere, le sue semplici compagne di classe, figlie di gente meno istruita, che la ritenevano un'esibizionista e non sapevano che invece quello era l’unico linguaggio verbale che conosceva. Oltretutto quando si cimentava a parlare in ragusano, cosa che pure la attirava e la divertiva, Nina faceva veramente ridere.

    Sua zia Rita non era da meno della sorella: lei era maestra, ma non aveva mai insegnato. Non aveva mai fatto nessun lavoro, a dire la verità. Si era sempre occupata della casa in modo magnifico e, non avendo il problema di mantenersi, aveva rinunciato a laurearsi e a cercare un’occupazione. Del resto qui le donne hanno vissuto per secoli con l'idea che il loro destino fosse quello di aspettare la comparsa di un buon partito da sposare e da cui farsi mantenere, problema che le sue due zie non ebbero mai.

    E forse proprio questo indusse l’una ad assecondare il proprio spirito indipendente e l’altra ad aspettare il grande amore, che non arrivò.

    Gina Baglieri, in un certo senso, era stata una rivoluzionaria. Decidere di insegnare equivalse anche a decidere di guadagnare, quindi a dimostrare di essere una donna in grado di pensare con la propria testa e scegliere di mantenersi da sola, anche se nella famiglia Baglieri quello di sbarcare il lunario era l’ultimo dei problemi. Il suo carattere forte e la sua chiarezza di idee, oltre a mettere in fuga più di un pretendente, la resero più moderna rispetto alla sorella, che comunque conservò sempre un evidente spirito romantico, testimoniato, tra l’altro, dalla passione per la lettura di libri dove le storie d’amore non mancavano mai.

    Fondamentalmente diverse nel carattere e nel fisico, eppure incredibilmente affiatate, le sue zie avevano una cosa in comune: detestavano sua madre, che era la loro sorella minore. E la detestavano profondamente.

    La madre, Costanza, l'unica a non portare il nome di una delle nonne, era nata quando sua zia Gina aveva già ventidue anni e sua zia Rita sedici.

    Era diventata subito la bambina più vezzeggiata della città, la più viziata, la più coccolata, la più idolatrata... fino a diventare insopportabile anche per loro che le avevano fatto da madri sin da quando era nata, sostituendosi alla madre naturale, che dopo quella gravidanza conservò una salute cagionevole.

    Il nonno di Nina, poi, era morto all’improvviso, quando Costanza aveva appena tre anni e la nonna, Teresa, dopo una lunga malattia, sette anni dopo.

    A differenza delle sue sorelle, che non si facevano notare per il loro aspetto fisico, Costanza era bellissima.

    Gina, che somigliava moltissimo al padre, era sempre stata magra come un chiodo, scura di carnagione e di capelli, che tra l’altro erano ricci e crespi, quindi tenuti inevitabilmente corti. Si sarebbe potuta definire un tipo piuttosto comune e insignificante, se la sua personalità ferrea e decisa, sempre presente nel suo pungente sguardo scuro, non fosse stata anche dirompente e impossibile da ignorare. Rita, seppure bruna anche lei, aveva un incarnato chiaro e delicato, nel quale spiccavano due dolci occhi castani. Portava i capelli più lunghi e aveva l’abitudine di tenerli raccolti in una specie di chignon, anche se erano molto docili e morbidi. Al contrario della sorella, era formosa e piuttosto alta, con qualche chilo di troppo e una delicatezza innegabile nei lineamenti del viso e nei modi, che metteva subito in primo piano la sua grande timidezza.

    Nessuna delle due aveva alcuna affinità con la madre di Nina, che oltre a non poter passare inosservata per la sua avvenenza, era anche vivace, intelligente e imprevedibile.

    Fare da madre e da padre a Costanza non fu facile per nessuna delle due.

    E anche fare le sorelle fu piuttosto impegnativo, perché quella ragazzina pestifera non obbediva a nessuno e non accettava controlli di nessun genere. Davanti a bambini con queste caratteristiche, gli adulti spesso si inorgogliscono e si compiacciono di leggere in certi atteggiamenti caratteri forti e personalità assolutamente brillanti. Ma da adolescenti, tanta vivacità può diventare inquietudine e l'inquietudine può diventare pericolo. Costanza ne era stato un chiarissimo esempio.

    Con il suo fascino innato, la ragazza conquistava coetanei e adulti. I suoi grandi occhi neri dalle ciglia lunghissime, incastonati in un viso particolarmente bello, tra i quali non mancava nemmeno un naso vagamente all’insù, avevano fatto battere più di un cuore sin da quando era adolescente. Ma lei si era innamorata, ricambiata in modo inequivocabile, del padre di Nina, Alberto Migliorisi, figlio unico di Carmelo Migliorisi, operaio presso il cementificio cittadino e di una casalinga, Antonina detta Ninuzza, che si erano letteralmente tolti il pane di bocca per mantenere agli studi quel ragazzo decisamente promettente.

    Quando Costanza e Alberto si erano conosciuti, lei frequentava con parecchie difficoltà, segnalate dalla necessità di ricorrere a parecchie lezioni private in più di una materia, il secondo anno di liceo classico e lui era uno studente universitario di architettura vicino alla laurea.

    Li unì una reciproca passione piuttosto dirompente.

    Ma il problema di sua madre, a dispetto del nome che porta, è sempre stato l’incoerenza: si stanca delle persone come delle cose. E i fatti dimostrano che si stancò anche di suo padre.

    E di lei, di Nina.

    Quando frequentava l’ultimo anno di liceo, un giorno era tornata a casa dalle sorelle, dicendo che era incinta e che si doveva sposare. Nel sentirla pronunciare quelle parole con tanta superficialità, la zia Rita aveva avuto un mancamento e la zia Giorgina aveva cominciato a parlare in dialetto.

    "Chi dicisti? Cà t’à spusari? Disgraziata! Cu cù t'antricasti? Chi sì, pazza?" (Che cosa hai detto? Che ti devi sposare? Con chi ti sei immischiata? Sei pazza?)

    Si chiama Alberto Migliorisi. E sta per diventare architetto. aveva detto sua madre senza scomporsi, del tutto consapevole che, di fronte a una cosa del genere, non c’era dialetto che teneva.

    "E ri cù è figghiu, chistu? A cu apparteni?" (E di chi è figlio, questo? A quale famiglia appartiene?)

    La famiglia a cui apparteneva suo padre era stata identificata solo due giorni dopo la comunicazione della notizia della gravidanza, notizia che tolse il sonno alle sue zie per parecchie notti. Dalle informazioni ottenute sguinzagliando questo e quel parente fidato, le zie avevano concluso con sufficiente amarezza che non si trattava di una famiglia alla loro altezza, ma che valeva la pena conoscere quel ragazzo. Per due motivi essenziali: il primo, che il fatto che Costanza avesse deciso di sposarsi, dimostrando di volere in qualche modo rimediare alla sua irresponsabilità, non era da sottovalutare. Le zie non se lo dissero apertamente, ma c’era una discreta possibilità che la loro scatenata sorella minore cambiasse idea e rinunciasse al matrimonio, infischiandosene delle convenienze. Entrambe sapevano che ne sarebbe stata capace… E se davvero questo fosse avvenuto, avrebbero dovuto chiudersi tra le mura di casa a vita, come in un convento di suore di clausura.

    Il secondo motivo riguardava la necessità di sbrigarsi e organizzare il matrimonio, prima che la gravidanza fosse evidente.

    E per la zia Gina, in quei giorni frenetici, era stato praticamente impossibile parlare in italiano, soprattutto in presenza di sua madre, che avrebbe volentieri preso a schiaffi per la superficialità con cui stava vivendo la situazione.

    Erano già passate due settimane dal drammatico annuncio e Costanza non aveva ancora portato a casa il fidanzato.

    Aveva anche cominciato ad avere le nausee e vomitava sistematicamente tutte le mattine. Un paio di volte vennero anche chiamate dalla scuola, perché era svenuta in classe ed era stato necessario correre a prenderla. Ma lei entrava e usciva da casa come se non fosse successo nulla, come se non dovesse affrontare un cambiamento radicale della sua stessa vita. Passava davanti alle sue sorelle con un’espressione così tranquilla da far venire i crampi allo stomaco a tutte e due. E ogni volta che se la ritrovava davanti con tutta quella calma ingiustificata, Gina perdeva le staffe, al punto di non accorgersi di parlare da sola.

    "Disgraziata! Talia, talia com’è queta! M’à mittissi sutta e pieri, a st'ura! (Disgraziata! Guarda, guarda com’è tranquilla! la calpesterei, in questo momento)

    Poi si metteva decisamente a urlare e a inveire contro l’impassibile Costanza.

    "A ttia, tu! Viri se nà purtari ssu picciuottu! E nà m'allestiri, sennò è capaci ca tu trasi nnà chiesia cu tanta ri panza."

    (Ehi, tu! Vedi di farci conoscere quel ragazzo. Ci dobbiamo sbrigare; o rischi di arrivare in chiesa con il pancione).

    Queste e altre espressioni avevano fatto rabbrividire indicibilmente sua zia Rita e non avevano scosso sua madre più di tanto.

    "O sà a ccù ni porta, chista! (Chissà chi ci porta, questa!) borbottava senza ritegno a voce altissima la zia Gina. O sà cu ccù s’antricau!" (Chissà con chi si è compromessa!)

    Ma nel frattempo, nonostante l’incredibile tranquillità di Costanza, la macchina organizzativa del matrimonio si era messa in moto.

    La paura dei pettegolezzi aveva fatto acquisire senso pratico persino alla trasognata zia Rita, che si era data da fare per collaborare in tutto e per tutto con la sorella e organizzare una cerimonia che fosse comunque nelle aspettative della gente, visto che si trattava di un matrimonio nella conosciutissima e stimatissima famiglia dell’avvocato Baglieri.

    Per fortuna conoscere suo padre, Alberto, che era un gran bel ragazzo e aveva un fascino e una serietà che ancora oggi lo contraddistinguono, aveva fatto riprendere alle zie il controllo e alla zia Gina, in particolare, l'uso di un linguaggio normale.

    Il matrimonio fu uno di quelli che si ricordano per un pezzo.

    Celebrato in cattedrale, davanti a molti amici e parenti, era stato un vero avvenimento. La sposa era stata fra le più belle che la città avesse mai visto, una splendida bruna dal viso illuminato da due magnifici occhi neri e magnetici, con un naso ben disegnato e delle labbra quasi a cuore, morbide e rosee, circondata da una nuvola di tulle e merletti.

    Diciamo pure che Costanza non poteva non essere meravigliosa.

    Madre natura era stata generosa con il suo aspetto, ma, grazie al suo stato sociale ed economico non indifferente, aveva anche potuto permettersi una mise che altre giovani spose avrebbero potuto solo sognare. Quel vestito che la fasciava così bene e così elegantemente, evidenziando un fisico formoso tipico delle donne mediterranee, era stato acquistato senza badare a spese nel negozio più chic della città e così anche le scarpe; la sua acconciatura era stata studiata e realizzata dal parrucchiere più caro e alla moda, il ricevimento di nozze si era svolto nella sala ricevimenti più prestigiosa del luogo, in modo assolutamente lussuoso. I compagni di classe di sua madre, in buona parte ragazzi di provenienza modesta, che erano stati invitati al matrimonio, in quell’ambiente così fine si erano guardati intorno per un bel po’, stupiti e imbarazzati dal tono di quella festa, all’interno della quale loro non si distinguevano certo per l’eleganza, quanto piuttosto per il loro autentico appetito, abbondantemente stimolato dalle raffinate pietanze, servite da altrettanto raffinati camerieri. Il fatto che l’intera classe gradisse tutto quello che era proposto dal menu, naturalmente aveva fatto storcere il naso a più di una signora presente. Ma un occhio e un orecchio attenti avrebbero notato subito che la cosa più evidente di quella festa era la domanda, muta o quasi muta, che serpeggiava tra gli invitati:

    Perché una studentessa dell'ultimo anno di liceo decide di sposarsi prima che finisca l'anno scolastico? Ecco, questa era stata allo stesso tempo la domanda, con risposta annessa, che si erano fatti e si erano dati in molti, conoscenti e cugini vari, anche nei giorni precedenti le nozze, quando, andando a far visita alla sposa, come si usava fare da queste parti, (e forse si usa ancora) non avevano guardato solo i regali che gli sposi avevano ricevuto, ma anche la linea della giovane, che, purtroppo per loro, non era ancora stata turbata da nessun rigonfiamento all'altezza del ventre. Pare che sua madre si fosse mantenuta magra per tutta la gravidanza. Ma Nina era nata sette mesi dopo il matrimonio. Tutti quelli che erano andati a trovarla in ospedale e a casa per il lieto evento, stavolta avevano controllato la mole della bambina. E tutti avevano concluso che era robusta e non sembrava affatto prematura come le sorelle Baglieri avevano riferito alla più impicciona delle cugine, piombata in ospedale il giorno stesso della sua nascita.

    La cugina Caterina aveva scambiato i soliti convenevoli con una nervosissima Gina, che insieme alla sorella Rita assisteva sua madre, costretta a letto da un parto naturale piuttosto difficile. Con un gran sorriso soddisfatto, Caterina aveva guardato nella culla, dove Nina dormiva rosea e beata.

    "Maria, Maria cchè bedda! Pari arrinisciuta!" aveva esclamato.

    (Madonna quanto è bella grossa. Sembra già allevata!)

    Che bella bambina! Non si direbbe proprio che è prematura! aveva sottolineato, poi, in perfetto italiano. Tanto che non ha avuto bisogno nemmeno della termoculla! Che fortuna!

    Ed era stata una precisazione del tutto superflua, naturalmente.

    La zia Gina, che avrebbe potuto fulminarla se solo quella si fosse fatta sfiorare, aveva cambiato in un sorriso tutta la sua rabbia e l’aveva zittita con una delle sue solite risposte pronte.

    Il dottore ha detto che è stato un bene che sia nata adesso, perché a nove mesi avrebbe avuto un peso eccessivo. E come minimo sarebbe stato necessario un cesareo. Come vedi, Costanza è molto provata dal parto.

    "Sì, sì, lo vedo. E se nascìa gghiusta, cchi si facìa, quantu nà vitidduzza?" (E se nasceva nel periodo giusto, diventava grossa come una vitellina?) aveva detto quella, rivolgendosi poi a sua madre con l’aspettativa di un sorriso, che ricambiasse in qualche modo quella specie di complimento al cianuro.

    Ma Costanza si era voltata verso la parete e le aveva girato le spalle senza preoccuparsi troppo della smorfia di disappunto che le aveva strappato. E questa volta con l'approvazione di Gina, che, quando quella se n’era andata, non aveva potuto fare a meno di rimuginare.

    Per tutto questo tempo, Rita, che non si allontanava dalla culla se non quando veniva obbligata a uscire dalla stanza dal personale medico o paramedico, non aveva detto una parola.

    Aveva continuato a contemplare incantata la bambina, sfiorandole le manine con un dito e ringraziando Dio per tanta perfezione.

    "Ora, chissa si metti a sunari a trumma. E u rici a tutti." (Ora, quella si mette a suonare la tromba e lo dice a tutti) aveva mormorato Gina, accennando nervosa alla cugina appena uscita dalla stanza e che

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