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I due titani
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E-book118 pagine1 ora

I due titani

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Info su questo ebook

Due campioni si sfidano per provare chi è il migliore. Un re e un arconte cercano di unire le loro città per far fronte a un nemico comune. Un dio e una dea affidano le loro dispute all'esito di una scommessa. In un'epoca di dei ed eroi, sullo sfondo della seconda guerra persiana, si dipanano le storie degli eterni e dei mortali, dei singoli e dei popoli, dei potenti e dei veri uomini. Un tuffo nella Storia e nella Mitologia, tra prosa e poesia, tra il serio e il faceto, tra le nobili gesta degli umani e lo scanzonato portamento dei divini.
LinguaItaliano
Data di uscita22 giu 2018
ISBN9788827837818
I due titani

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    Anteprima del libro

    I due titani - Cesare Bartoccioni

    twitter.com/youcanprintit

    LA SCOMMESSA

    Capitolo primo

    Bene, ateniese, di questo ormai basta!

    Giovin vulcano con pelle perlata,

    Sudor d’agone e di fibra robusta,

    Sul cerchio esterno di lato sì andava,

    Fiero nell’occhio il bagliore ridente,

    Lo sguardo fisso sul calmo opponente.

    "Vien, lacedemone, a battere il dente,

    Qui con gran ansia t’attendo imminente."

    Sicuro ghigna con labbra beffarde,

    Al centro fermo grand’uom d’esperienza,

    Ché de’ sue prove n’ha fatte sì tante

    Da por spavalda aria di sufficienza.

    Al piè di Zeus deferenti e maestosi

    Sui loro troni in pacifica Olimpia,

    Quei lor campioni capaci ed estrosi

    Guatavan non senza certa delizia,

    D’eraclea stirpe quel Leonida fiero

    E di Frëarri Temistocle altero.

    Più in alto ancora, distanti e distinti,

    Altri più sommi dei due grandi insigni

    La stessa scena dall’alto miravan

    Da quel gran monte nel qual dimoravan.

    Di spalle sei irresistibile, te l’ho mai detto?

    Il giovane si era avvicinato all’incantevole donna intenta con lo sguardo giù oltre il candido balcone. La ragazza volse il capo a mezzo, l’occhio di verde giada a palpebra socchiusa ammiccava su un sorriso beffardo e ammaliatore tra belle e tumide labbra.

    Non c’è che dire, Ermes, coi complimenti ci sai proprio fare.

    Il giovane fu da lei in un lampo, e la mano allungò verso le nude spalle.

    Non provarci neanche! Se ti vede Efesto te le dà lui, le alette ai piedi.

    Il ragazzo si bloccò. Si ritrasse a testa bassa, come offeso.

    Ma, insomma, non ho proprio speranza? Eppure Ares mi diceva…

    Il giada dell’occhiata con cui la bella rossa fulminò il giovane aveva la durezza del diamante, e del diamante emanava trasparente freddezza.

    Lascia perdere, protettore di ladri e viandanti. La voce, in contrasto con lo sguardo, era dolce e calda. Piuttosto, da’ un’occhiata. Con un cenno del capo indicò l’incontro di lotta che, ormai da ore, continuava sotto il sole, senza vinti né vincenti.

    Ermes si sporse dal balcone. Aveva già recuperato la sua puerile giovialità.

    Ah, sì, quei due… Eh, non si fa altro che parlar di loro, giù dai mortali. Una noia… Ogni volta che devo portare un messaggio mi devo sorbire le gesta raccontate di villaggio in villaggio... E l’ateniese qui, e lo spartiate lì…

    Però sono bravi, non trovi? E il loro spietato agonismo contiene una misura di rispetto e di stima come qui non s’è mai vista finora.

    Mah… per me quello che fa il duro, lì al centro del cerchio, ha fatto il suo tempo. Lo spartiate lo spezza in due.

    Mmmhhh… la ragazza si portò il pollice alla bocca, e lo morse leggiadra tra i denti, non sono sicura, l’ateniese sa il fatto suo, la partita è tutta da giocare…

    Bah… voi donne, di sport non ne capite un’acca.

    Più di te sicuro, lo dice anche Era...

    Ermes fece spallucce, sbuffando.

    Dai, Era è arrabbiata con me per i tanti amori che io… beh, lo sai, no? Date le dimensioni del…

    Falla finita, beccamorto.

    Ermes sospirò, esasperato.

    Oh per Zeus! Perché sei sempre così dura con me, Afrodite? Insomma, che ti ho fatto di male?

    Afrodite si avvicinò lentamente al giovane, accostò il volto al suo, socchiuse il giada dei brillanti occhi ovali, le ricce rosse e lunghe ciocche sfiorarono il petto di lui, le labbra dei due quasi a toccarsi.

    Non è quello che mi hai fatto, postino. È quello che non mi hai fatto.

    La ragazza si allontanò repentina, lasciando il giovane all’asciutto, nella sua turgida disperazione.

    Ermes fissò lo sguardo sulla veste di seta ultramarina, aperta alle spalle fino ai fianchi, che gli sfuggiva, di nuovo, come sempre.

    Improvvisa, Afrodite si fermò. Si volse. Lanciò una penetrante occhiata di sfida.

    A noi donne piace esser corteggiate, con grazia e rispetto.

    Ermes corrugò la fronte. Afrodite scosse il capo.

    Ma dato che con te è inutile anche solo parlarne, caro mercante di parole, ti darò una sola possibilità.

    Gli occhi del giovane si rianimarono di rinnovata speranza.

    Quale? Dimmi! Quale?

    Afrodite strizzò gli occhi.

    Se il tuo campione vince, mi avrai. Se vince il mio, non dovrai più neanche pensarci.

    Ermes si erse, imbaldanzito.

    Ah! Accetto, accetto! È come se fossimo già sposati!

    Sono già sposata, e mio marito è uno che non scherza.

    Sì, sì, certo, va bene, va bene. Capirai… ora mi faccio scrupoli coi maniscalchi, figurati… Allora è deciso, eh?

    Certo. Ho una sola parola, io.

    Sì, ma… niente trucchetti, eh? Niente cinture magiche, stavolta…

    Fu Afrodite, ora, a sbuffare, tra l’infastidito e il divertito.

    Uff…, ancora quella storia… A parte il fatto che se tu fossi dello stampo di Adone non avresti bisogno di far scommesse, ma poi che c’entra… non li devo mica far innamorare…

    Ecco, brava, non lo fare, e non metterci il tuo zampino ingannatore, eh? Gioco pulito.

    Gioco pulito, certamente, mio caro.

    I due tornarono al balcone, affacciato su impenetrabile nube dal celestiale Monte Olimpo, fissando gli occhi sui lottatori che, sulla calda sabbia dell’Olimpia terrena, in sano e personale agonismo, senza saperlo e senza volerlo, mitigavano e appianavano, nella loro individualità, gli antichi rancori collettivi delle loro due città.

    Scaltro arconte accosta il labbro all’orecchio

    Del re avverso, cui da dir n’ha parecchio:

    "È ben ch’esistano, siffatte gesta,

    Eh, mio Leonida, non sei tu d’accordo?"

    Al generale di poca favella

    Quel bel discorso gli par già contorto;

    China il suo capo con ghigno sornione

    Su della polis quel furbo signore:

    "Quel che vuoi dirmi, Temistocle caro,

    Di’ con parole ch’io possa capire,

    Ché ti conosco per esser avaro

    Sol di parlare pel gusto di dire."

    Ride Temistocle ed apre sardonico

    Le labbra verso quel grande laconico,

    Quindi indicando i lor due lottatori

    Or avvinghiati in sportivi furori:

    "Dico che, Leonida, le due città

    Se son unite nessun batterà."

    "Ah, mio ateniese, mi par che paura

    Stia giù nel fondo di tale premura."

    "Siam primi in mare e voi primi per terra

    Ed ammassando sta come non mai

    Le truppe il pargolo, certo saprai."

    "Certo, il lavoro iniziato dal padre

    Ei vuol sicuro oramai terminare."

    "E come al padre finirlo dobbiamo.

    Che dici, quindi, ci diamo la mano?"

    Leonida torna a guardare i duellanti

    E con la manca si schernisce innanzi:

    "Dico, mio arconte, che questa tenzone

    Voglio or godermi senz’altra questione

    Che m’amareggi questo bel momento

    Di veder sano leal combattimento."

    I due campioni, con la presa salda,

    Le lor città tenean salde in bilancia,

    Sì che parevan entrambi vincenti

    E lottator e città

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