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L'ombra del cielo
L'ombra del cielo
L'ombra del cielo
E-book465 pagine6 ore

L'ombra del cielo

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Info su questo ebook

Dalle calde acque del Mediterraneo, solcate da una maestosa nave da crociera, alle fredde correnti che lambiscono i grattacieli di New York,  a dodici anni anni di distanza l'una dall'altra, si svolgono le vicende di due donne, separate dall'oceano oltre che dal tempo.
Hans, un abile uomo dìaffari, che la prima incontra negli anni della giovinezza e la seconda trova già maturo e affermato, sembra essere l'unico filo che le unisce.
Pagina dopo pagina le loro storie si fondono con quelle di altri interessanti personaggi, tra o quali spicca un'esuberante amica del cuore, un simpatico sceneggiatore, un talentuoso pianista, uno psicologo criminale e un enigmatico fratello maggiore.
Sotto l'ombra del cielo l'amore,la passione,l'amicizia e la solidarietà, s'intrecciano conl'odio, il risentimento, l'incomprensione e la gelosia, in un alone di intrigante mistero, in cui non mancano i colpi di scena.


 
LinguaItaliano
Data di uscita14 nov 2018
ISBN9788832144024
L'ombra del cielo

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    Anteprima del libro

    L'ombra del cielo - Terry Salvini

    amore.

    1

    Mar Mediterraneo.

    La maestosa nave da crociera scorreva veloce lungo la distesa azzurra e cristallina del mare calmo, lasciando dietro di sé una scia vivace e spumosa, mentre il cielo terso dell’estate virava verso i colori caldi del tramonto.

    Al settimo ponte, sdraiata sul blu elettrico di uno dei lettini, una donna dai lunghi capelli bruni si godeva gli ultimi raggi di sole, immersa nei propri pensieri.

    «Ehi! Mi stai ascoltando o no?» La voce squillante di Elisa le giunse all’orecchio facendola sussultare. «Non dirmi che stai pensando di nuovo ad Alain!»

    Tessa sbatté le palpebre più volte. La sua migliore amica l’aveva trascinata in quel viaggio nel Mediterraneo e oltre, per farle dimenticare in fretta il fallimento del suo matrimonio da poco conclusosi con una burrascosa separazione. L’idea all’inizio le era parsa buona, ma ora cominciava a rendersi conto che quel genere di svago da solo non sarebbe bastato ad allontanarla dai suoi problemi.

    Si voltò verso di lei abbassando gli occhiali da sole sul naso e la guardò con aria colpevole.

    «Scusami, ma è normale che mi soffermi sui miei punti dolenti, ogni tanto, e lui è uno di quelli.»

    «Beh, direi che per oggi ti ci sei già soffermata abbastanza.»

    Tessa le sorrise. «Hai ragione. Dovrei non pensarci più e voltare pagina, lo so. E lo farei se fosse facile, come lo sarebbe per te: tu sei forte, scaltra e indipendente. Non hai mai lasciato che l’amore ti condizionasse la vita, mentre a me è successo esattamente il contrario.»

    «Avresti potuto evitare tutto questo. Ti avevo avvisata di non essere troppo arrendevole e di stare in guardia con un tipo del genere.»

    «D’accordo, hai ragione» ammise alzando gli occhi al cielo. «Sono stata un’ingenua sognatrice. Quando ho conosciuto Alain, l’ho visto come un uomo passionale, premuroso, per certi versi anche romantico: un uomo degno di essere amato, insomma. Chi poteva immaginare di aver sposato Mister Hyde?» Le sue labbra assunsero una piega amara. «In quell’uomo arroganza e falsità camminano a braccetto, scortate dall’egoismo e dall’inclinazione all’infedeltà.»

    «Perché non dici semplicemente che è un uomo arrogante, bugiardo, egoista e traditore?» Elisa le rimproverava spesso quel suo modo un po’ affettato di esprimersi. «Comunque il mio istinto mi ha sempre suggerito che non fosse adatto a te.»

    «Credo che lui non sarebbe adatto all’ottanta per cento della popolazione femminile del pianeta. E soltanto perché l’altro venti per cento è omosessuale.»

    L’amica ridacchiò. «Forse esageri, ma non posso darti torto.»

    «Davvero sto esagerando?» Tessa si mise seduta, coprendosi il capo con un cappello di paglia adornato di un nastro blu, e continuò: «Avvicinarsi ad Alain è come sostare sulle rive di un fiume poco prima della piena. All’inizio tutto sembra sotto controllo, pensi di essere al sicuro, quando all’improvviso ti senti travolgere da una massa d’acqua fredda che ti trascina via. E sei costretta a lottare a lungo prima di riemergere e tornare a riva, soprattutto se sai a malapena reggerti a galla.»

    «Ci risiamo! Un’altra delle tue mirabolanti metafore» la schernì Elisa. «Per fortuna che io, a differenza di te, so nuotare perfettamente.»

    «Dovevi per forza precisarlo?» sbuffò Tessa, incrociando le braccia e gettando un’occhiata preoccupata alla superficie del mare oltre il parapetto: chissà quant’era profondo in quel punto.

    Guardò per un istante un ragazzino grassoccio e dalla pelle diafana tuffarsi in malo modo nella piscina, a pochi metri da lei, sollevando schizzi di acqua che suscitarono non poche proteste da parte di chi si trovava vicino al bordo. Sorrise divertita e tornò a rivolgersi all’amica sdraiata a pancia in giù sul lettino alla sua destra.

    «Tu, comunque, non fai testo. Sei la libertà fatta persona. E mi sono sempre chiesta come cavolo fai ad avere quasi tutto quello che vuoi!»

    La vide girarsi su un fianco, in modo da poterla guardare dritto negli occhi.

    «Ho imparato a patteggiare con la vita... con le persone. Per ottenere quello che voglio, chiedo sempre molto di più: è un metodo vecchio come il mondo, ma funziona sempre. Fidati.»

    «Se chiedi troppo però, potresti apparire pretenziosa e piena di te, correndo il rischio di restare a mani vuote. Anche questa è una cosa risaputa, giusto?»

    Elisa la guardò scuotendo il capo, come se si trovasse davanti a un caso senza speranza. «Basta essere coscienti dei propri limiti e sapere fin dove arrivare. Il fatto per esempio che tu abbia preteso poco e alla fine ti sia ritrovata con niente, avvalora la mia tesi».

    «A volte sembra che ci provi gusto a mettere il sale sulla ferita. Sei davvero sadica, lo sai?»

    «Per questo andiamo d’accordo, visto che un po’ masochista tu lo sei.»

    Scoppiarono entrambe in una grossa risata.

    Fu Elisa a riprendere la parola.

    «Prima che tu possa cambiare di nuovo umore, ti ricordo intanto che la cena di gala con il comandante è per questa sera, e dobbiamo avere il tempo di metterci in ghingheri: sono le regole della nave.»

    «Accidenti! Me n’ero proprio dimenticata!»

    «La cosa non mi sorprende.»

    Tessa guardò l’orologio e balzò in piedi.

    «Oh, cavoli... è già ora! Sbrighiamoci!»

    Afferrò il copricostume riposto nella borsa, lo indossò e si diresse spedita verso la cabina, seguita dall ’ amica che, ridendo divertita, la pregava di rallentare.

    ***

    Entrata nel ristorante, sviluppato su due livelli e illuminato da una miriade di lampadari di cristallo, Tessa s’incamminò verso il tavolo rettangolare che le era stato assegnato e che si trovava in un angolo appartato del salone. Elisa, che si era già accomodata sul lungo sedile imbottito a ridosso della parete insieme ad altri tre commensali, la stava aspettando impaziente: ci aveva messo più del dovuto per raccogliere i capelli dietro la nuca, ma era valsa la pena ritardare qualche minuto, perché alla fine l’esame finale davanti allo specchio l’aveva soddisfatta. Notò che l’amica, a differenza di lei, aveva preferito lasciarli sciolti sulle spalle, in morbide onde dalle varie tonalità dell’oro, che contrastavano con i suoi, scuri come l’ebano.

    Contò otto coperti in tutto: la sera precedente erano solo sei. Si guardò attorno e si accorse che il ristorante era più affollato del solito. «Sembra che oggi avremo più compagnia di ieri...» osservò sedendosi di fronte a Elisa.

    «Sì, hanno imbarcato molti altri passeggeri. Cose che capitano, sai, quando le navi attraccano nei porti» le rispose, prendendosi amichevolmente gioco di lei, che era alla sua prima crociera.

    «Ah!» Le indirizzò una smorfia con le parvenze di un sorriso. «Speriamo di essere al completo adesso, perché mi sembra già abbastanza stracolma così. Non vorrei corressimo il rischio di colare a picco e...», si interruppe di colpo, notando che il viso dell’amica aveva assunto un’espressione estasiata nel guardare un punto oltre le sue spalle.

    «Tessa, non voltarti subito» bisbigliò. « È appena entrato un gran bel pezzo di ragazzone!»

    «E con ciò?» le rispose in tono provocatorio, consapevole del fatto che Elisa non si faceva problemi a esprimere apprezzamenti sugli uomini, né disdegnava mai la loro compagnia, in qualsiasi luogo si trovasse.

    «Non rovinarmi il momento! Sta venendo da questa parte!»

    Tessa vide lo sconosciuto in questione accomodarsi proprio al

    fianco di Elisa e salutare i presenti bofonchiando un cordiale ma distaccato: « Good evening». Sollevò lo sguardo su di lui soltanto il tempo necessario per rispondere con educazione al saluto. Un coro di altre voci accolse il nuovo arrivato con molta più vivacità di quanto lei avesse appena fatto. Dal poco che era riuscita a scorgere in quel breve istante, dovette ammettere che in effetti non poteva dar torto alla sua amica: quel giovane aveva un fisico imponente, con un fascio di muscoli che fremevano per essere liberati dalla costrizione dell’impeccabile giacca. Lo immaginò con un paio di jeans e una camicia comoda, magari con i primi due bottoni slacciati. Sorrise, burlandosi di se stessa per quei pensieri di solito estranei alla sua indole.

    Guardò Elisa che, sebbene fosse sempre la prima a cominciare una conversazione, quella volta si era di colpo ammutolita.

    Riprenditi, per favore! le comunicò con lo sguardo. Il passare degli anni sembrava non aver influito per niente sulla spensieratezza di Elisa, che si ostinava a mantenere con gli uomini gli stessi atteggiamenti di quando era una ragazza. Tessa si chiese come mai, nonostante ciò, non corresse mai il rischio di apparire patetica.

    A un tratto l’ Inno alla gioia di Beethoven, usato come suoneria di un cellulare, sovrastò l’anonimo brano jazz di sottofondo che si udiva nella sala. Lo sconosciuto si alzò in piedi, elargendo un sorriso di circostanza ai commensali, e si allontanò di un paio di passi.

    « Hallo! Ich bin beschäftigt, ich habe keine zeit! »

    Tessa lo sentì rispondere con tono seccato, la voce baritonale e profonda. Chissà cosa stava dicendo, si domandò, mentre osservava il suo profilo regolare ma dalla mandibola ben definita. Lo vide passarsi una mano tra i folti capelli biondi e poi voltarsi verso di lei. In quel preciso momento si ritrovò a fissare due occhi color del mare in tempesta. Imbarazzata, distolse l’attenzione dall’uomo per riportarla sull’amica, sperando di non essere arrossita.

    «Hai le guance di un bel colore bordò» osservò invece Elisa, senza curarsi di abbassare la voce.

    Ecco: proprio come immaginavo! Drizzò la schiena, afferrò il calice e bevve un sorso di aperitivo.

    «Se la smettessi di parlare facendoti sentire da tutti» la rimproverò in un bisbiglio, «te ne sarei grata!» Per fortuna le orecchie dello sconosciuto erano a distanza di sicurezza. E se anche lui avesse sentito qualcosa, con molta probabilità non l’avrebbe compresa, perché lei e la sua amica stavano conversando in francese. Del resto nessuno a quel tavolo sembrava parlare la loro lingua. Nel dubbio, Tessa ritenne comunque più prudente mantenere un tono di voce basso.

    Elisa ridacchiò. «Dai, rilassati!»

    « Io sono rilassata, sei tu invece a essere elettrica» sottolineò. «E smettila di guardarlo come se fosse una bestia rara!»

    «Beh, non capita tutti i giorni di vedere un tipo così. E che va in giro da solo, per giunta!»

    «Questo te lo concedo, ma ti ricordo che è meglio non desiderare un uomo che non puoi avere, se vuoi restare in pace con te stessa e con i tuoi ormoni.»

    «Siamo qui per divertirci e lui starà seduto accanto a me per l’intera serata!» le disse ammiccando.

    «E sarebbe tutto qui, il tuo divertimento

    «Bisogna saper guardare oltre, tesoro.»

    Tessa fece una smorfia di dissenso, che suscitò la risatina divertita dell’altra.

    «A te non interessa rimetterti in gioco, vero?» aggiunse seria Elisa.

    «Non adesso e non in questo modo, dal momento che a me piace essere corteggiata e non il contrario. Per un tipo del genere io e te siamo trasparenti come questo calice di vetro, sappilo» le disse afferrando con delicatezza l’oggetto in questione e alzandolo al livello degli occhi. «Inoltre devi rassegnarti, perché non è solo. Come vedi manca un’altra persona a tavola, proprio davanti a lui, alla mia sinistra. E a meno che non sia venuto in crociera con un amico, cosa della quale dubito molto, sta aspettando una...»

    Non fece in tempo a proseguire, che apparve sulla scena una moretta fasciata in un lungo abito di luccicante seta nera: camminava con una postura eretta, tenendo il mento sollevato con alterigia.

    Quando la donna si fermò a pochi passi dal tavolo, Tessa notò che gli occhi blu di lei, dai tratti orientali, stavano scrutando il gruppetto già seduto, rivelando un certo disappunto: non sembrava per niente contenta di doversi unire a loro. Se proprio non gradiva la compagnia di gente sconosciuta, la principessa avrebbe dovuto prenotare un tavolo privato per due, pensò, provando nei confronti della nuova arrivata un’immediata e istintiva antipatia.

    Elisa sbuffò poggiando il gomito sul tavolo e il mento sul palmo della mano. «Devo arrendermi: davanti alla concorrenza schiacciante di Occhi a mandorla non ho alcuna possibilità, purtroppo!» scherzò.

    «Elisa, cosa dici?» la rimproverò Tessa, dando un’occhiata allarmata alla ragazza che alla fine si era degnata di sedersi accanto a lei: per fortuna non sembrava curarsi affatto di chi le stava attorno. Sperò che non comprendesse un accidenti di francese. «Per favore, cerca di evitare di dire cose riguardanti una qualsiasi persona seduta al nostro tavolo.»

    «Ma in fondo le ho solo fatto un complimento, no? E poi l’hai visto anche tu che tanto non ci capisce. Tranquilla: pensiamo a divertirci.»

    Tessa osservò con affetto il viso pieno dell’amica e i suoi oc-

    chi verdi dallo sguardo vivace, che riuscivano a coinvolgerla in ogni situazione e non accettavano mai un no come risposta.

    «Credevo lo stessimo già facendo…» le disse.

    Non ebbe il tempo di aggiungere altro, perché lei e tutti i commensali furono abbagliati da una raffica di flash, sparati da uno strano individuo dalla testa rasata, che all’improvviso si era materializzato a capo tavola, a due passi dal ragazzotto biondo e dalla sua bella accompagnatrice.

    La coppia di giovani sembrava proprio essere l’obiettivo di quella inattesa irruzione.

    Tutto accadde in pochi secondi.

    Il giovane si alzò di scatto e urtò il tavolo con le ginocchia, facendo sobbalzare tutte le stoviglie e rovesciando alcuni bicchieri. Sembrava voler strappare a tutti i costi la macchina fotografica dalle mani di quello che poteva essere un paparazzo, ma che, nel suo elegantissimo abito firmato, di certo non ne aveva l’aspetto.

    La scena più che drammatica assunse subito una piega comica, con il biondone che afferrava di volta in volta il polso destro o quello sinistro del malcapitato, il quale, pur di non mollare la presa, continuava a passarsi la fotocamera da una mano all’altra, sopra la testa; fino a quando uno strattone più forte degli altri non la fece volare.

    Tessa osservò l’oggetto salire in alto, disegnare un’ampia parabola e poi andare a schiantarsi proprio sul calice che lei, dopo lo scossone precedente, stringeva in mano per evitare che si rovesciasse.

    Una scheggia di vetro le si conficcò nel palmo destro. Stupita più che spaventata, strinse i denti ed emise un gemito soffocato.

    Elisa, con un grugnito di rabbia, afferrò con prontezza la macchina fotografica, la aprì per estrarne la scheda di memoria e poi la scagliò a terra con violenza.

    Quasi in trance, Tessa si tolse il pezzo di vetro dalla mano, che poi nascose in grembo cercando di fasciarla stretta con il tovagliolo.

    L’anziano signore seduto all’altro capo del tavolo si avvicinò al ragazzotto biondo, per aiutarlo a mandare fuori dai piedi il fotografo che, invece di ritirarsi in buon ordine, continuava a sbraitare e a lamentarsi per la macchina distrutta.

    «Basta… falla finita!» s'intromise Occhi a mandorla saltando dalla sedia e guardando furibonda l’intruso. «Non puoi permetterti di provocare scompiglio durante una cena soltanto perché ci sono io.» Girò attorno al tavolo e gli si pose di fronte. «Noi due dobbiamo parlare» proseguì con un tono autoritario. Poi guardò velocemente il proprio compagno, che aveva un’espressione sorpresa e infuriata. «Scusami, Hans, ci vediamo più tardi», infine si rivolse al resto dei commensali. «Chiedo scusa anche a voi…»

    Mentre l’intruso le passava davanti per lasciare la sala, seguito da Occhi a mandorla, Tessa si accorse della profonda cicatrice che gli deturpava il sopracciglio sinistro.

    Un attimo dopo vide Elisa consegnare la scheda al ragazzo biondo, che la ringraziò con un sorriso. Poi la donna si girò verso di lei sgranando gli occhi.

    Un attimo dopo l’oscurità la trascinò con sé.

    2

    A poco a poco Tessa riacquistò la lucidità. Con le palpebre ancora chiuse, percepì di essere sdraiata su qualcosa di consistente ma morbido. L’odore pungente del disinfettante e il bruciore alla mano destra le fecero capire di essere nella sala medica, ancora prima di vedere un uomo in camice bianco che le stava ripulendo la ferita. Elisa le teneva stretta l’altra mano.

    «Non fare quella faccia. Sto bene» disse. La voce le uscì a malapena, sentiva la gola asciutta. Aveva sete.

    «Mi hai fatto spaventare, sai? Quando sei svenuta e ti ho visto imbrattata di sangue, per poco non mi è preso un infarto!»

    «Non è niente…» s’interruppe per soffocare un gemito di dolore: il medico aveva iniziato a cucirle i lembi della lesione.

    «Scusi, signora. Il taglio è poco esteso ma profondo e il sangue non si coagula come dovrebbe.»

    Nell’udire il tono asciutto, quasi infastidito, con il quale l’uomo aveva parlato, intuì che il suo piccolo incidente doveva aver rovinato la serata anche a lui.

    Si guardò il palmo: il taglio partiva dalla linea della vita e arrivava fino a un centimetro sotto la base dell’indice. Tutt’intorno c’era già un accenno di gonfiore che presto, ne era sicura, sarebbe peggiorato. Le sue difese immunitarie erano in calo e sapeva già di non avere una buona coagulazione del sangue, senza bisogno che qualcuno glielo ricordasse.

    «Posso avere un po’ di acqua?» chiese rivolta al medico.

    «Sì certo, vado a prendergliela. Ho quasi finito qui.»

    Il dottore le coprì i punti con un grosso cerotto e uscì dalla stanza. Lei tentò di alzarsi dal lettino, ma ci ripensò subito: le pareti avevano preso a vorticarle intorno.

    «Stai buona! Sei debole e devi riposare» la esortò Elisa sorreggendola.

    «Non voglio restare qui. Sto bene... o almeno...» La frase le morì in gola nel veder entrare nella stanza l’imponente straniero, involontario responsabile del suo piccolo incidente. Si voltò verso Elisa che lo stava fissando, questa volta senza il suo solito sorriso malizioso. «Che ci fa qui il Vichingo?» le chiese in un sussurro.

    «Il Vichingo? Ah, intendi lui. È così che lo chiami ora?» Le avvicinò la bocca all’orecchio. «Beh! È venuto per accertarsi che tu stia bene: mi è sembrato molto in apprensione, sai?»

    «Oh!» Tessa si tirò su a sedere, consapevole di non avere un bell’aspetto con il vestito sgualcito e sporco di sangue, le ciocche dei capelli che, sfuggite al fermaglio, le ricadevano sul viso in modo disordinato. Per non parlare del suo colorito, che immaginò simile al camice bianco indossato dal medico.

    «Come si sente?» le domandò il giovane in un discreto francese.

    Per un istante lei guardò stupita Elisa, che la ricambiò con lo stesso sguardo. Dunque quel tizio capiva la loro lingua e forse aveva anche avuto modo di cogliere un po’ dei loro pettegolezzi al ristorante!

    «Sto bene, come può vedere» si affrettò a rispondergli per togliersi dall’imbarazzo.

    «Mi rincresce per quello che è successo.»

    «Lo sappiamo che lei non voleva certo far del male a nessuno» s’intromise subito la sua amica, «tranne magari a quel tipo insopportabile.»

    Prima di parlare questa volta Tessa si sedette sulla sponda del letto e cercò di controllare l’intonazione.

    «La mia amica e io avevamo pensato che quell’individuo fosse un fotoreporter piantagrane, ansioso di fare uno scoop su una coppia clandestina...»

    «In ogni caso ci avete aiutato, prendendo quella memory card» tagliò corto lui. «Posso fare qualcosa per ricambiare il vostro favore?»

    «Non si disturbi, non abbiamo bisogno di niente» gli rispose al volo, beccandosi un’occhiataccia dell’amica.

    «Bene! Ho comunque parlato con chi di dovere, lasciando disposizioni, nel caso vi servisse qualcosa» ribatté lui senza scomporsi.

    «La ringrazio per la sua premura» fece Elisa.

    Tessa non condivideva l’atteggiamento dell’amica. In fondo, per cosa avrebbe dovuto ringraziarlo? Era a causa sua se la serata si era risolta in un disastro e lei ora si ritrovava con una mano fuori uso. Quel Vichingo non aveva fatto niente di speciale per loro: si era preoccupato solo di lasciare disposizioni , come aveva appena detto. Quando si hanno abbastanza soldi , e si vede chiaramente che lui ne ha , è facile demandare agli altri le seccature!

    «Arrivederci. Le auguro un buon proseguimento di serata» si limitò a dirgli in modo sbrigativo.

    Gli occhi dell’uomo la fissarono per un lungo istante con un’espressione insondabile, fino a quando non sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso, che ne ammorbidì lo sguardo. «Ci rivedremo molto presto» le disse prima di uscire dalla medicheria.

    «Cosa significa?» domandò Tessa.

    «Semplicemente quello che ha detto. E non mi dispiacerebbe rivederlo, anche se sono un po’ arrabbiata per come sono andate le cose.»

    «Arrabbiata? Non si direbbe!»

    Elisa si portò le mani sui fianchi. «Che cosa avrei dovuto fare secondo te? Comportarmi in modo scontroso, come hai fatto tu?!»

    «Non volevo esserlo... ma quell’uomo è un tipo irascibile: lo hai visto anche tu in che modo si è comportato con quel tipo.»

    «E allora? Non puoi giudicarlo solo per quello, soprattutto se non sai cosa c’è dietro. Non commettere l’errore di paragonarlo ad Alain, che tira fuori le palle solo quando deve fare la voce grossa con i più deboli, specie se sono donne!»

    «Dai, Elisa! Che bisogno hai di difenderlo... o di interessarti a uno così?» La vide stringersi nelle spalle, allora decise di essere schietta. «Quel tizio avrà sì e no ventisei o ventisette anni: poco più di un ragazzo, in pratica. Hai già visto di che razza di donne si circonda. Anche se tu avessi dieci anni di meno, non credo che prenderebbe mai in considerazione l’idea di infilarsi nel tuo letto, e tanto meno nel mio, ovvio…» Fece una pausa. «Sebbene io sia più giovane di te» aggiunse infine per provocarla.

    «Lo sai? Certe volte mi chiedo come cavolo faccio a rimanerti amica...»

    «È ovvio: perché mi vuoi bene e sai che pure io te ne voglio. Abbiamo bisogno l’una dell’altra.» Le sorrise. «Ma ora è il caso di tornare nella nostra cabina.» Si staccò dalla sponda del letto, provando a reggersi in piedi da sola. D’istinto allargò le braccia, per recuperare l’equilibrio.

    «Se fossi in te, io me ne starei ancora un po’ sdraiata.»

    Tessa invece tentò qualche passo e con sollievo si rese conto che poteva farcela.

    «Va un po’ meglio. Il pavimento sembra più stabile» scherzò, mentre l’amica allungava le braccia verso di lei, pronta a sostenerla al minimo cenno di cedimento. «Ho solo un forte mal di testa, quindi possiamo anche andarcene da qui.»

    Fece un paio di metri verso la porta, quando questa si spalancò e l’uomo in camice bianco entrò, guardandole con rimprovero. In quel momento a Tessa sembrò che la sua espressione accigliata, i lineamenti spigolosi e il naso aquilino fossero quelli di un rapace in attesa di avventarsi sulla preda.

    «Le avevo raccomandato di tenere d’occhio la sua amica e di non farla alzare dal letto!» sbraitò il medico rivolto a Elisa.

    «Mi sento meglio e posso benissimo tornare in cabina» intervenne Tessa in sua difesa.

    «La vostra cabina è molto distante da qui e lei è ancora debole, anche se non ne capisco del tutto il motivo: ha perso molto sangue, è vero, ma non tanto da giustificare uno svenimento e questo suo stato di prostrazione. Soffre per caso di una forte anemia?» Il Rapace si avvicinò e le consegnò la bottiglietta d’acqua che lei gli aveva chiesto.

    «Ehm... sì. Da un po’ di tempo» rispose. Avvertì su di sé lo sguardo sorpreso dell’amica, ma evitò di incrociarlo.

    «Lo supponevo.»

    In quell’istante Tessa notò di nuovo la presenza dello straniero biondo, che dalla soglia la guardava con la fronte aggrottata e le braccia conserte. Nel voltarsi in modo brusco verso Elisa, sentì una fitta al capo che non riuscì a nascondere.

    «Mi fa male la testa» spiegò, anticipando la domanda del medico.

    «Ne soffre spesso?» le chiese allora l’uomo, lisciandosi la barba del mento con la punta delle dita.

    «Ho già un medicinale che di solito assumo in questi casi» fu la risposta che aggirò la successiva domanda. Ci mancava solo che quel tizio continuasse a indagare sul suo stato di salute. Avvertì forte il desiderio di andarsene subito.

    «Posso parlarle in privato?» le domandò ancora lui, guardandola con quegli occhi scuri che parevano suggerirle di non provare a ingannarlo.

    Lei voleva solo essere lasciata in pace.

    «Non vedo cosa può dirmi che io già non sappia.»

    «D’accordo. Allora diciamo che potrebbe essere lei a dire qualcosa a me…» affermò.

    Sospirò infastidita. «La ringrazio per avermi rimessa in piedi, ma se non le dispiace, adesso vorrei tornare in cabina e prendere la mia compressa, prima che il dolore aumenti.»

    «Come vuole!» scosse la testa. «Ma si faccia almeno accompagnare da questo robusto giovanotto.» Indicò il ragazzo dietro di lui.

    Lei lo vide farsi avanti con passo lento; lo sguardo serio e risoluto sembrava non voler lasciare spazio a eventuali obiezioni. Capì di non avere molta scelta. Lui sapeva già che l’avrebbe dovuta scortare fino alla cabina, per questo le aveva detto che si sarebbero rivisti presto.

    «E va bene!» disse, allungando una mano per aggrapparsi al braccio del ragazzo.

    Il Vichingo invece di sorreggerla la sollevò come se non pesasse niente.

    Lei emise un gridolino di sorpresa. «Mi metta giù! So camminare da sola, basta che lei mi sostenga, se proprio vuole essere sicuro che arrivi incolume a destinazione» protestò.

    «Stia ferma! O correrà il rischio di cadere e farsi altro male.»

    Aveva ragione. Era inutile opporre resistenza. Con un sospiro si rilassò contro il torace dell’uomo, la guancia appoggiata nella curva tra la base del collo e l’inizio della spalla. Riusciva a percepire il cuore di lui che pulsava con forza nell’arteria della gola: batteva con cadenza lenta e regolare, nonostante stesse camminando con cinquantasei chili in più fra le braccia. Un cuore di atleta, constatò. Avvertì che il giovane allentava la stretta, come si fosse convinto di non dover subire più alcuna resistenza da parte di lei.

    Sembrava strano, ma ora non sentiva più il bruciore alla mano e aveva l’impressione che il suo cervello stesse per disconnettersi di nuovo dalla realtà. E in un certo senso fu proprio quello che le capitò.

    Dopo aver lasciato la donna ferita nella sua cabina insieme con l’amica, Hans era andato alla ricerca di Leen, la sua ragazza: durante il trambusto lei era sgusciata via e non l’aveva più veduta. La sensazione che gli nascondesse qualcosa lo stava rendendo ancora più cupo di quanto già non fosse a causa dell’incidente accaduto quella sera.

    La trovò al casinò, come al solito.

    Senza tante cerimonie la trascinò via, per sospingerla in discoteca, sicuro che il rumore della musica avrebbe coperto in parte i loro discorsi. La mise letteralmente con le spalle al muro, senza darle la possibilità di accomodarsi in poltrona, poi la guardò torvo.

    «Adesso mi racconti tutta la verità, o al prossimo scalo uno dei due lascerà la nave» l’apostrofò in inglese, che per Leen era la lingua madre e per lui una seconda lingua, di cui però aveva una padronanza assoluta.

    La ragazza si ritrasse, ma Hans le afferrò un polso. «Io posso affrontare tuo padre e chiunque altro si frapponga tra me e te, ma tu devi darmi una ragione valida per farlo.»

    Qualche attimo di smarrimento e lei sembrò riprendersi piuttosto in fretta. Incollò il corpo al suo e gli circondò il collo con il braccio libero.

    «Dimmi Hans, il tempo che passiamo insieme non è un motivo abbastanza valido per te?»

    Il suo sguardo allusivo invece di eccitarlo, come sarebbe successo in altri casi, lo irritò ancora di più. Indurì i lineamenti del viso e aumentò la stretta al polso, finché non la sentì gemere di dolore. Soltanto allora allentò la presa.

    «Non giocare con me!» La guardò minaccioso, scostando il braccio di lei dalla propria spalla.

    «Che cosa vuoi che ti dica?» gli chiese con gli occhi disorientati e il tono divenuto all’improvviso timoroso.

    Era il momento giusto per farla confessare.

    «Voglio tutta la verità, avanti. Perché sei andata a parlare con quel fotografo... o chiunque diavolo sia? Ha a che vedere con tuo padre, vero? Non provare a mentirmi, perché me ne accorgerei.» Sapeva che non sarebbe riuscito a intimidirla a lungo e doveva sfruttare quel temporaneo vantaggio.

    «Sì, è vero!» sbottò Leen. «Quell’uomo è un tirapiedi di mio padre, come hai potuto capire, e ho dovuto parlargli per chiarire la situazione e rimetterlo al suo posto. Gli ho detto che sono in vacanza con un gruppo di amici, quindi ora sta a noi dimostrare ciò che ho sostenuto frequentando le due donne che erano sedute al tavolo con noi. L’idea non mi piace per niente, ma abbiamo bisogno del loro aiuto.»

    «Prima dimmi per quale motivo quel figlio di puttana avrebbe dovuto documentare con delle foto che tu eri qui con qualcuno?»

    Lei sospirò. «L’ultima volta che ho avuto a che fare con lui, l’ho umiliato davanti a mio padre, facendolo passare per un visionario.» Esitò, pareva voler trovare le parole giuste. «Gli aveva riferito di avermi vista uscire da un albergo insieme a un uomo, mentre il mio vecchio credeva fossi al liceo.»

    «E naturalmente aveva ragione» dedusse Hans con sarcasmo.

    «Non farmi la morale, non sei migliore di me in quanto a…»

    «Adesso non mettermi in mezzo, per tergiversare» la bloccò con durezza. Scosse la testa. «Perché tuo padre è arrivato a farti seguire? Non andremo via di qua finché non me lo dirai.» La vide abbassare gli occhi con aria colpevole, e serrò la mascella. «Lo dici tu, oppure lo devo fare io al posto tuo? Non ti conviene scegliere la seconda possibilità, se tieni un poco a me.»

    Lei tornò a guardarlo, gli occhi spalancati e lucidi riflettevano la consapevolezza di non avere più alcuna speranza di sottrarsi alla verità.

    «Mio padre, durante una festa a New York» iniziò a dire titubante, «mi ha presentato al figlio di un suo amico di vecchia data, col quale si era appena messo in affari, sperando che fra noi nascesse qualcosa: a lui piace quel ragazzo ed è convinto che possa rendermi felice.»

    Hans fece un profondo respiro.

    «E tu cosa ne pensi? Ma... aspetta un attimo…» si arrestò folgorato da un ricordo. «C'ero anch'io a quella festa! Mio padre mi ha quasi obbligato a parteciparvi in sua vece. Il festeggiato credo fosse un rampollo dell’alta società, come lo sono io d’altronde, con la differenza che lui non era la pecora nera della famiglia. Mi pare che si chiamasse… Marshall.»

    Notò Leen sussultare a quel nome e s’interruppe di nuovo. Si scostò leggermente da lei per osservarla meglio. «È lui, non è così?» chiese.

    Lei annuì. «Perché fai quella faccia? Non ero ancora fidanzata con quel dandy quando io e te…» serrò di colpo le labbra.

    «Adesso invece lo sei!» la incalzò. «Alla faccia della monogamia!» Puntò il dito sulla ragazza. «Tuo padre ti sta proteggendo da qualsiasi altro uomo che possa indurti a ripensarci e rovinare i suoi piani per il tuo e il suo futuro. Dico bene?»

    «È probabile. I Marshall sono molto ricchi e rispettati, e lui ha sempre mirato più in alto possibile» ammise con riluttanza. «Quel ragazzo ha già ereditato la fortuna della madre, mentre tu...»

    «Basta così, ho già capito tutto. Spiegami solo una cosa: perché me, se hai già lui?»

    Leen rimase in silenzio per alcuni secondi, poi assunse un’aria indignata. «Perché te? Perché a letto volevo avere qualcosa di diverso da ciò che mi dava un ragazzetto rispettoso e ingenuo come lui.»

    «Oh! Per te lui è un ragazzetto ingenuo, tu invece a ventuno anni appena compiuti ti ritieni una donna vissuta.»

    «Non è solo questione di età, Hans! Si tratta del desiderio di provare forti sensazioni, perché i brividi che mi provocano le tue mani quando mi toccano, con lui non li ho mai avuti. Quando faccio l’amore con te, non mi sento costretta a frenare le mie fantasie, i miei desideri…» abbassò gli occhi, «e non farmi andare oltre.»

    Hans sapeva bene cosa lei stava cercando di dirgli, perché aveva sperimentato su se stesso la passione che quella donna provava per lui, ma in quel momento era troppo arrabbiato e deluso per assecondarla. «Devo compiacermene?» disse soltanto.

    «Mi stupisci! In questi ultimi mesi non sembri più lo stesso uomo che ho conosciuto tempo fa. So bene che per te, io sono solo una relazione passeggera, magari un po’ più duratura delle altre che hai avuto, certo, ma pur sempre transitoria. Dov’è il problema, allora?»

    A quelle parole gli venne quasi voglia di ridere, ma senza allegria. «Sai che ti dico? Hai ragione: non c’è alcun problema nemmeno per me. Continuiamo pure a usarci a vicenda. Basta sapere le regole del gioco, in fondo» terminò afferrandola per la vita e baciandola con rabbia.

    ***

    «Wow! Tessa… guarda quanto è bello!» Elisa sollevò dall’enorme scatola bianca un lungo abito da sera con la scollatura all’americana, in un doppio strato di cangiante seta azzurra. «Quel tizio ha proprio buon gusto e deve anche aver speso un bel po’: molto, ma molto di più che per lo splendido cesto di fiori che ha donato a me.»

    Tessa diede un’occhiata veloce al vestito: ne notò la stoffa costosa e la lavorazione impeccabile. Era davvero stupendo, di sicuro caro, ma proprio per questo non poteva accettarlo.

    «Rimettilo subito dentro l’involucro, lo farò riconsegnare al mittente.»

    «Ma dico, sei pazza? Per causa sua hai dovuto buttare l’abito

    migliore che avevi» le ricordò l’amica mettendosi le mani sui fianchi. «Capisco la tua momentanea intolleranza verso qualsiasi persona con l’attributo maschile» la schernì emulando il suo modo di esprimersi, «ma ti stai comportando da stupida.»

    Tessa la fulminò con lo sguardo. «Piantala! Non mi prendere in giro!»

    Elisa rise. «Lascia che lui ti ringrazi come vuole: è evidente che può permettersi di buttare via i soldi, no?» Siccome lei rimaneva in silenzio, proseguì. «Dai! Non c’è alcuna necessità di ricambiare le sue premure e la sua gratitudine offendendolo con un rifiuto.»

    «Non-lo-vo-glio!» scandì le sillabe con tono secco: spendere tutto quel denaro per un vestito che lei avrebbe potuto indossare solo per una serata, forse due, era uno spreco inutile.

    «Aspetta almeno di leggere il biglietto, prima di rifiutare quella meraviglia» le consigliò l’altra spazientita.

    «Non saranno le quattro righe scritte da quel figlio di papà a farmi cambiare parere, Elisa! Non è necessario che mi ricompensi in questo modo.»

    «Da Vichingo a Figlio di papà, adesso. Ma sei proprio noio-

    sa!» Posò l’abito sul letto, invece di rimetterlo nella scatola. «Se a te non interessa quello che c’è scritto, a me sì.» Prese la piccola busta bianca dal tavolino, l'aprì senza nemmeno aspettare di ottenere il permesso e lesse ad alta voce.

    Credo di intuire quale sia la sua intenzione: non lo faccia! Accetti l’abito, perché vorrei che lo indossasse domani sera alla cena che si terrà al Restaurant Club, in

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