Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Storie dal pianeta Veronetta
Storie dal pianeta Veronetta
Storie dal pianeta Veronetta
E-book166 pagine2 ore

Storie dal pianeta Veronetta

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

In questa raccolta di storie edite e inedite, scritte nell’arco degli ultimi dieci anni, si raccontano soprattutto i destini degli abitanti di un quartiere molto speciale, antico e moderno, bello e trascurato, pieno di presenze nuove e di preesistenze importanti, con alcune storie ambientate fuori da Verona.

L’intento è narrare dall’interno le esistenze incrociate degli abitanti del quartiere chiamato Veronetta dove pulsa il cuore vivo e creativo della città. Nella raccolta si testimonia dalla ravvicinata distanza di osservazione la vita degli abitanti di Veronetta, i loro amori e abbandoni, lotte e lutti, scoperte e delusioni, in un incessante dialogo con il contesto urbano circostante.
Gli eventi sono legati a un luogo e momento precisi, ma hanno in loro una valenza universale, che si potrebbe replicare in altri quartieri delle città italiane ad alta presenza d’immigrati.

La particolarità della raccolta sta nel fatto di essere scritta da un’autrice di origine straniera, che però non si limita a parlare solo delle persone della stessa provenienza o dal punto di vista puramente femminile. Uscendo dai margini, imposti dalla letteratura migrante, descrive la vita della provincia veneta nei suoi intrecci e tormenti, illustrando l’incontro/scontro fra diverse origini, orientamenti, esigenze.
In questi racconti c’è amore, e tanto: amore coniugale e amore contrastato, amore sognato e amore consumato in fretta.
Ci sono problemi, ci sono soluzioni, c’è il quotidiano superamento di pregiudizi e barriere, raccontato di prima mano da chi ha l’onore di abitare questo luogo meraviglioso: il pianeta Veronetta.
LinguaItaliano
Data di uscita22 feb 2019
ISBN9788899735760
Storie dal pianeta Veronetta

Correlato a Storie dal pianeta Veronetta

Ebook correlati

Arti dello spettacolo per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Storie dal pianeta Veronetta

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Storie dal pianeta Veronetta - Marina Sorina

    edizioni

    copyright

    © Argot edizioni

    © Andrea Giannasi editore

    Lucca febbraio 2019

    ISBN 97888997 3583

    Un risveglio

    I.

    Il trillo della sveglia del vicino segna l’inizio della giornata per tutti gli abitanti del vicolo dell’Acqua Viva. Come nelle Cronache dei poveri amanti di Vasco Pratolini, anche per me la mattina scatta quando nell’appartamento accanto, o di fronte, o di sotto, qualcuno non ce la fa ad allungare la mano e spegnere subito la propria sveglia. Altre volte è un camion dell’immondizia, un bus col motore acceso, una gatta che esige la sua colazione, una valigetta di qualche spaesato viaggiatore che sbatte sul selciato.

    Oggi no: qualcuno urlava a squarciagola, giù per strada. Di solito si urla così durante le manifestazioni. Ne ho viste tante passare sotto le mie finestre, ma si gridava attraverso un megafono, oppure tutti insieme. Dal balcone non si vedeva nulla. Incuriosita, mi sono vestita di corsa e in due minuti ero fuori.

    Un uomo era in piedi, isolato, di fronte al negozio di distributori automatici, giusto sotto le videocamere di sorveglianza che segnano l’ingresso del quartiere. Urlava frasi spezzate: ho pagato le tasse fino a ieri… mio figlio… lavoro… Marocco… Venite vicino, parlatemi! Ho perso il lavoro, ora che devo fare? Ditemi voi, venite qui a dirmelo, e ditelo al mio figlio!

    La signora pachistana della casa di fronte era al davanzale a fissarlo. La gente passava oltre, senza cambiare marciapiede. Per non rimanere lì impalata, sono entrata nella sartoria cinese all’angolo. La bottega era piena di vestiti ammucchiati, da rammendare. Il sarto ha parecchio lavoro, di questi tempi. Una signora che stava ritirando le camicie stirate mi ha subito apostrofata: – Chiudi bene la porta. Chi è quello che urla? Ho paura che entri qui! Proprio in quel momento l’urlatore si è zittito e se n’è andato, diventando solo un uomo come altri che cammina lungo la via XX Settembre. Uno di tanti, uno di noi. Uno di Veronetta.

    II.

    L’indole del nostro quartiere è essere un luogo di passaggio e contatto, di incontri fugaci e incroci fortuiti. È così da quando i cavalieri crociati tornavano dalle loro scorribande in Terra Santa, spossati e soddisfatti, e si fermavano nello xenodochio in quest’angolo della città. Le mura scrostate, gli affreschi graffiati e i graffiti freschi parlano di vita vissuta, delle feste di buon vicinato e di attraversamenti di mari lontani, di abbandono e di amore. Un perfetto estraneo, capitato nel quartiere a caso, vedrebbe, oltre le muraglie antiche e i giardini segreti, oltre le chiese con i quadri di Veronese e le tarsie di Fra Giovanni, un quartiere vivo e colorato, contaminato e resistente. Basterebbe avere uno sguardo limpido per innamorarsi di Veronetta.

    Se volete conoscerla, non date fiducia a certi reportage andati in onda che non parlano d’altro che di degrado e pericolo. Il loro punto di vista è artificiosamente ristretto. Fanno ripresa notturna con la camera a mano, la luce giallastra crea un’atmosfera angosciante, i residenti indignati passano e ripassano lo stesso stretto marciapiede fra i cassonetti d’immondizia e un negozio con dei ragazzi africani sulla soglia. I giornalisti scomodano la periferia di Nairobi e la bidonville del Sudafrica. Se ci fosse altro che l’intento manipolatorio, avrebbero allargato il loro campo visivo per inquadrare le presenze ordinarie: il soldato che fuma fuori dalla lavanderia, la gente in attesa alla fermata, le allegre studentesse americane in transito da un pub all’altro, il kebabbaro annoiato che esce a prendere un boccone d’aria.

    Screditare e distorcere la realtà: sembrerebbe nulla di nuovo, una cattiva abitudine di chi deve creare scalpore, o forse spiana la strada alla gentrificazione. C’è dell’altro in questi reportage, che va a colpire nel profondo: con le parole prevenute e il caos visivo, rafforza l’idea della paura legata alla presenza degli stranieri. Mi fa senso sentire un veronese, alto e panciuto, che racconta ai giornalisti di sentirsi spaventato quando passa davanti a quei ragazzi. A me sembra un vigliacco. Non è mica un plotone di esecuzione! Se non li tocchi, non ti toccheranno. Gironzolano con la birra in mano esattamente come farebbero i ragazzi che ridono, si spintonano e fischiano alle donne di fronte a un bar qualunque. Se fossero italiani, lo stesso uomo li avrebbe guardati con benevolenza, magari ricordandosi i bei tempi passati della propria gioventù.

    Se avessero chiesto a me, donna adulta caucasica semitica residente cittadina straniera ecc., avrei risposto: paura zero! Fa più danni la menzogna, l’ipocrisia, la manipolazione, che uno schiamazzo notturno o un complimento lanciato alle tue spalle. Disturba il rumore delle festicciole all’aperto? Giusto, anch’io soffro perché ho un centro autogestito sotto casa, e quando il pubblico si riversa in strada a fumare e chiacchierare, non si dorme. In questi casi tiro tardi o scendo per stare con loro. La signora anziana di fronte non potrebbe fare altrettanto, e mi dispiace. Ma è all’una, quando chiudono i bar del centro, che comincia il vero trambusto. Alticci e agitati, gli studenti tornano alle residenze universitarie, strillando, litigando, cantando. Sono solo ragazzi, – obietterebbero i ‘razzisti per autodifesa’, cosa vuoi che sia! Due pesi e due misure, ecco cos’è. Una cosa che il cristianesimo vieta, se non mi sbaglio.

    III.

    Forse ho avuto fortuna? A Veronetta ci saranno stati omicidi, accoltellamenti, furti… Beh, la casistica dei pericoli, incontrati nei miei dieci anni di vita qui, è breve: a marzo un ragazzo si era sistemato sulle scale a fumare qualcosa di strano. Fuori pioveva. È rimasto seduto lì per un po’, poi se n’è andato. Una notte d’inverno, anni fa, avevo visto due uomini menarsi per strada. La polizia era arrivata subito, visto che la centrale è a due passi. Invece quella volta che un ragazzo (veronese) aveva negato una sigaretta a un gruppetto di aggressori (veronesi), era sì, a due passi da casa mia, ma dall’altro lato del ponte, in direzione del balcone di Giulietta. Il malcapitato aveva i capelli lunghi e l’aspetto vagamente di sinistra. La polizia era arrivata quando stava morendo.

    Di recente, sotto il portico vicino ai cassonetti, sotto l’effige della madonna sempre adorna di fiori e candeline, aveva dormito per diverse notti una donna. Di giorno girava il quartiere, a volte si agitava e cominciava a spogliarsi, passando vicino alle macchine in transito. Aveva la pelle brunita e una grande chioma di capelli ricci. Sempre sotto il portico, dove aveva sistemato il suo cartone, c’è una videocamera di sorveglianza. Non so se i poliziotti la guardavano dormire. Di sicuro lei era un pericolo solo per sé stessa. Comunque, ora non ci potrà sistemarsi nessuno, né i vagabondi, né gli innamorati: i proprietari c’hanno messo un recinto, lasciando giusto lo spazio per i passanti. C’è dell’altro, nella lista dei misfatti? Eh già, dimenticavo: il disturbatore della quiete di stamattina. Colui che gridava la sua rabbia, cercando di dialogare con il quartiere intero. Il suo crimine? Voler essere ascoltato.

    Annuso l’aria, scanso un bus e vado dal tirolese a prendere due bretzel freschi. Tornando a casa, saluto Flora nel suo caffè, il calzolaio Mauro nella sua minuscola bottega. Oggi non ho tempo per fermarmi a chiacchierare: tornerò a casa e continuerò a scrivere. Il quartiere è vivo, parla con me, mi pone dei quesiti. Il suo linguaggio ha lo stesso complesso lessico di altre innumerevoli periferie, con l’aggiunta della miscela inebriante di un passato vivo e autentico e di un presente in costante fervido mutamento. Questa vita intorno a me, la complessità dei suoi intrecci, la semplicità delle sue tracce, deve essere narrata dall’interno. Devo finire di raccontare le mie cronache dal pianeta Veronetta. Prima che cambi colore.

    Mìlan dal buio

    Facevo di tutto per non pensarci. Cercavo di allontanare la certezza che i suoi occhi azzurri mi stessero cercando, scrutando da fuori le tende della camera da letto. Mìlan stava lì nell’oscurità, tra le camelie in fiore, invisibile come solo lui sapeva diventare. Raccoglieva i suoi capelli color frumento, tirava su il cappuccio di una felpa scura, tratteneva il respiro e aspettava di vedermi.

    O così volevo credere. In mezzo al calore e alla confusione di casa mia, trattenevo il fiato anch’io. Non respiravo e nessuno intorno a me se ne accorgeva. Paolo preso dalla politica, Carolina dai compiti e Tomaso dai cartoni animati. Assorti nelle loro attività preferite, i miei familiari non si accorgevano di nulla. Fino a che non fosse cessato il mio moto perpetuo di madre e moglie, lanciata e schiacciata dall’itinerario variegato fatto di lavoro, casa, cucina, spesa, bucato, con le variazioni sui letti da rifare e i calzini da stirare, non avrebbero notato la differenza. Grazie alla loro provvidenziale sordità la cosa poteva rimanere dentro di me a crescere, come una mentina che ti rinfresca dentro, o un germoglio portato dal vento che chiede protezione, spazio, nutrimento. Volevo tenerlo per me e per il mio amore appostato dietro la siepe.

    Ci sono certe storie che a sentirle viene naturale riderci sopra. Quando le ascoltiamo raccontare dagli altri siamo sicuri che mai cadremo nel ridicolo: non diventeremo come quella signora rispettabile che scappa con il camionista di passaggio, o quella madre che si accanisce a stirare le mutande al figlio quarantenne. Innamorarsi di uno che ha metà dei tuoi anni? Una barzelletta brutta e banale. L’affetto che si riversa su un oggetto sbagliato o in proporzione eccessiva diventa grottesco agli occhi estranei. Nel momento in cui ti ritrovi dall’altra parte, dentro una storia così, divertirsi è l’ultimo dei tuoi pensieri. Ti ci immergi fino al collo, la prospettiva cambia e tutto diventa possibile e naturale. Allora non occorrono manuali di estetica per capire che il ridicolo è solo questione di proporzioni.

    Non è che perdi la testa del tutto: decidi di non resistere. Innamorarsi fuori luogo, senza ragione, senza futuro, senza idee chiare, con la piena consapevolezza di tutti questi senza è pur sempre meglio che non innamorarsi affatto. Di questo sono certa. Non capisco solo perché sia finita in questo modo. Mi arrovello per capire, mi tremano le mani e la voce, non riesco a toccare il pianoforte e nessuno nota come vivo, e quanto temo di soffocarmi prima che lui si decida di uscire dall’ombra.

    La primavera scorsa Mìlan aveva iniziato a passare da noi a trovare Carolina. Frequentava l’ultimo anno della scuola di mia figlia e abitava in una casa popolare di fronte alla nostra bifamiliare. L’avevo visto mille volte passare davanti al nostro giardinetto. Qualche volta accompagnava Carolina, un giorno si era fermato al cancello con lei. Si comportava in modo educato, aveva una certa aria un po’ distaccata e melanconica. Avevo fatto capire a Carolina che non avrei avuto da ridire se lo avesse invitato a entrare. Infatti, qualche settimana dopo era diventato normale vederli seduti in salotto a parlare. Non m’immischiavo nei loro discorsi, presa dalle faccende domestiche e dai compiti di Tomaso. Notavo che Mìlan era più alto e largo di spalle di tutti gli altri ragazzi che gravitavano intorno a Carolina; mi colpiva il contrasto fra il ruvido accento slavo e la precisione sintetica delle sue frasi. Era un tipo taciturno, non usava tanti giri di parole per ringraziare o salutare e non accettava nulla da bere. Spiegava, sorridendo, di sentirsi troppo grande per le aranciate e troppo straniero per l’espresso a ogni ora del giorno. Mi faceva tenerezza. Sua madre era rimasta in Serbia, il padre non c’era, e Mìlan viveva con la sorella maggiore. Sperava di finire le scuole velocemente per cercarsi un lavoro, ma era stato rimandato. Altre cose non me le aveva raccontate, ma avevo scoperto da sola, osservando giorno dopo giorno la sua presenza nel quartiere, che da quando sua sorella aveva avuto un bambino con il suo compagno italiano e non andava più a lavorare, Mìlan preferiva gironzolare per strada, andare di sopra a leggere al parco di alto San Nazaro o infilarsi in casa di qualche amico. Oppure amica, perché no?

    Credevo che tornasse spesso da noi perché era innamorato di Carolina. Era una ragazza bella, spigliata e socievole come non sono mai stata, nemmeno da giovane. Aveva tante frequentazioni e spesso stava fuori. Lui veniva lo stesso da noi ad aspettarla. All’inizio ero un po’ tesa: non sono abituata ad avere gente per casa. Temevo che potesse rubare una cornicetta o qualche suppellettile ma non volevo lasciarlo intendere: che brutto fare da guardia a un amico di mia figlia! Gli tenevo compagnia e pian pianino avevo scoperto che un tè caldo lo gradiva ben volentieri e che aveva sempre appresso un libro da leggere o un taccuino da scarabocchiare. Allora mi ero rilassata e mi dedicavo tranquillamente ai mestieri di casa o alle lezioni. Sarà perché gli manca l’atmosfera di famiglia, – mi dicevo le volte che lui rimaneva sul divano del salotto da solo, in attesa di mia figlia. Stavo nello studio a suonare il pianoforte e lo osservavo riflesso nello specchio appeso sopra il camino. Mentre suonavo, Mìlan chiudeva gli occhi e buttava la testa all’indietro, gli

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1