Malatempora: Roma ai tempi di Virginia Raggi
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Le disavventure di chi abita all’ombra del Campidoglio pentastellato di Virginia Raggi tra autobus quasi sempre fuori uso, frigoriferi nei cassonetti dell’immondizia strategicamente piazzati dall’opposizione, gaffe storiche e tweet che naufragano nella giungla dei congiuntivi. Daniela Amenta con un diario ironico ma anche maledettamente disperato ha raccontato la vita “dei cittadini e delle cittadine” sotto il governo di Raggi Laser.
Ne viene fuori un affresco surreale della Caput (Im)mundi che annega sotto il primo acquazzone “perché gli alberi hanno perso le foglie prima del previsto”, che chiude le fontanelle dopo aver prosciugato il lago di Bracciano, che annuncia in pompa magna la tessera Atac gratuita per i vecchiarelli, ovvero un provvedimento già in voga ai tempi della Gens Iulia.
Un viaggio nelle periferie dell’Urbe a caccia di onestà, a bordo dei convogli infernali della Metro B dove tutto accade e il Far West va di moda, o in attesa dell’autobus 160 che come Godot non arriva mai. Flash e cartoline di una città affaticata, spenta eppure cinica dove gli anziani sopravvivano all’afa estiva barricandosi nei supermercati e i condomini sono l’ultima frontiera dei centri di salute mentale. Aspettando che Raggi Laser ci consegni almeno il circo, visto che il pane è finito da un bel po’.
DANIELA AMENTA è giornalista, ex capo delle culture e degli spettacoli de l’Unità. Ha scritto di musica sulle principali testate specializzate – dal Mucchio Selvaggio a Frigidaire – e ne ha parlato a lungo dai microfoni della Rai, conducendo Stereonotte e Notturno Italiano. È stata caporedattore di Epolis e dell’Unità, direttore di Radio Città Futura. Nel tempo ha collaborato con Urban, D di Repubblica, Rai Tre, l’Enciclopedia Treccani. Per Baldini&Castoldi ha pubblicato nel 2015 il romanzo La ladra di piante, e nel 2017 per Cni Freak Out – Psicofisiologia di un genio, saggio dedicato alla vicenda umana e artistica di Freak Antoni. Nel 2018 ha raccontato per Giunti un pezzo di Fabrizio De André in Princesa e altre Regine, e ha partecipato alla nuova edizione di Kunzertu, testo culto del compositore Luigi Cinque ristampato da Derive&Approdi. È autore di FuoriRoma, il programma di Concita De Gregorio per Rai3.
Ha la tessera Atac.
Con prefazione di Concita De Gregorio
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Recensioni su Malatempora
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Anteprima del libro
Malatempora - Daniela Amenta
Immundi.
- GENNAIO -
CI MERITIAMO IL CARBONE
1 GENNAIO
Guardo Roma. Interdetta.
2 GENNAIO
Automatismi. Ho risposto tanti auguri a te e famiglia
al messaggino della banca che mi avvertiva del prelievo Bancomat.
3 GENNAIO
Lunedì, piove e io sto andando a prendere il 160. Solo dai suoni dei clacson che arrivano quissù, quinto piano, mi sembra di poter dire che mi aspetta una città tesa e pazza, pronta a fare a sportellate, bene intenzionata a celebrare il Dio Marte, o della guerra, alla quale è storicamente votata. Qualunque cosa mi accada vi prego di ricordarmi con una canzone fulminante di Jimi Hendrix.
4 GENNAIO
Gentile commissario Tronca, la prossima volta che chiederete ai romani di spegnere i termosifoni e soprattutto usare i mezzi pubblici, a causa delle polveri sottili, io verrò sotto le sue finestre e farò uno strillo fortissimo.
Non tanto per me quanto per la signora incinta che attendeva con la sottoscritta alla fermata del Tritone. Entrambe a caccia di un autobus inarrivabile. Sono le 20,15 di un giorno feriale. E finalmente da via Veneto, dopo 54 minuti di attesa, si intravede il famigerato 160. Subito prima c’è un 63. Che si ferma, carica il popolo bue, fa scendere lo scalpitante people. E il 160 che fa? Supera il 63 e la fermata, e bye bye. Via, addio, ciao ’ni. Il che significa altra attesa, 45 minuti buoni se il Dio dell’Atac sarà generoso con noi. Così la ragazza con il pancione, affranta, si siede sul marciapiede. Mentre io avrei volentieri preso un taxi per raggiungerlo quel 160, arrivare al capolinea della Montagnola, dire due cose all’autista. Due non più di due. Ma chiare e definitive.
Questa città, signori miei, se proprio volete prendervela, è un po’ come il resto. Le cose basiche, terraterra, una donna incinta che può prendere il suo bus, un servizio che rispetta il mio un euro e 50, una fermata al centro di Roma che non viene soppressa perché l’autista magari stava chiacchierando al cellulare del carbone nella calza e si è distratto.
5 GENNAIO
A me dispiace si spengano le luci, questi piccoli balconi illuminati di periferia. In certe strade sono le uniche cose accese. Mi mettono allegria mentre torno queste comete sbilenche, questi lampadari che intravedo, le luminarie a intermittenza. M’ero abituata, m’accompagnavano. Immaginavo cose, case, gente. Penso che la luce regali piccoli doni e sorrisi.
6 GENNAIO
Grandissimo impazzimento del parroco che ha organizzato:
a) presepe vivente con una decina di disperati e una signorina vestita da angelo che di fatto indossa un lenzuolo bianco e pare un fantasma;
b) giocolieri recuperati ai semafori della Colombo;
c) coro gospel che i Sounds of Blackness potrebbero denunciarli e/o pestarli a sangue.
Epperò sono tutti contenti, tutti. Non solo i pupetti. Ed è un vivace susseguirsi di buongiorno, auguri
anche con sconosciuti. Cose strane.
7 GENNAIO
Di passeggeri sul bus con un libro in mano se ne vedono pochi, pochissimi. Anzi una sola, a parte me. Questa signora sale al capolinea, si cerca un posticino e legge, legge, legge. Sta leggendo Cime tempestose e ogni tanto sobbalza (non sono gli ammortizzatori del 160, sobbalza proprio).
A che punto sarà arrivata? Heathcliff starà già muorendo di dolore per l’abbandono di Cathy? La vendetta è già stata consumata? What do they know of heaven or hell, Cathy, who know nothing of life?
. Spero di incontrarla anche oggi, mi rassicura vedere persone che leggono.
8 GENNAIO
Come abbiamo fatto ad abitare in questi appartamenti vuoti, tristi, senza manco un addobbo? Cosa ci spingerà la sera a tornare a casa? In che modo potremo significare al vicino che è un poraccio che ha due lucine e noialtri un milione? Domande terribili mentre nelle scale è un malinconico su e giù di anziani residenti diretti verso le cantine con cartoni in mano, per ognuno una scritta: Natale, Presepe, bestemmie.
9 GENNAIO
Sintesi dalla Caput postnatalizia: lungotevere chiuso per cacca di uccelli, metro B chiusa dalle 13 fino a fine servizio per incoraggiare i cittadini a usare i mezzi pubblici. Sul colle capitolino, intanto, il prefetto Tronca riflette sul blocco totale della circolazione, poi no, poi forse le inutili targhe alterne, poi boh, poi vediamo.
L’aria è irrespirabile e non è solo colpa delle polveri sottili. Marino, come l’ombra di Banco, agita notti inquiete di politici, ispettori, commissari dei commissari, controllori che controllano i controllori. Ci vorrebbe Shakespeare a narrare questo racconto d’inverno scritto con testarda miopia dal Pd. Ma ci meritiamo giusto Lando Fiorini (che fa rima con Orfini).
12 GENNAIO
Nel ritornare a casa, a sera, a volte faccio il centro. Passo per un pezzo di Colle Oppio che s’affaccia su una vista spettacolare del Colosseo, con milioni di turisti a selfarsi. E stasera tardi c’era una coppia di sposi, sfuggita agli stessi fotografi che penso avessero cooptato per l’album di nozze, e nella interminabile fila di pullman che mi è toccata, c’erano questi due su un muretto con l’Anfiteatro Flavio sullo sfondo a baciarsi tipo record del bacio per sempre.
E i fotografi urlavano: abbasta,venite a fa’ le foto, il semaforo da verde a rosso, e loro a baciarsi, e i clacson come i pazzi.
Loro un bacio eterno, avvinghiatissimi. Vi mando un bacio pure io, abbelli.
Buona fortuna.
20 GENNAIO
Quando il maltempo viene da sud, noi dei quartieri del quadrante meridionale di Roma stiamo come se fossimo a Ostia. Senza cinta di protezione, raffiche di scirocco a palla, fortissime. Una salsedine che sa di gomma bruciata, liquerizia, catrame che s’alza, umido di grotte e scogli, ma anche un’aria tempestosa, pericolosa e stupefacente che ci arriva in casa all’improvviso. C’è tutto attorno una furia bassa e calda, e ci sono lampi, e gatti in fuga, c’è il vento forte che strapazza e agita anche me. Un senso d’attesa. Forse non è solo la burrasca in arrivo.
27 GENNAIO
Citofono: «Buongiorno cara carissima signora, siamo i Missionari del Signore e vorremmo consegnarle una pagina della Bibbia. E discuterne con lei. Il tema: è possono i morti tornare a parlare?».
Io: «Direi che lei è la prova concreta che i morti parlano e a volte suonano anche al citofono».
Fine conversazione.
29 GENNAIO
Nel secolo scorso, quando in codesta città - una volta l’anno - si svolgeva la Fiera di Roma, la Rai trasmetteva anche la mattina. Trasmetteva film naturalmente in bianco e nero, commedie, Totò, western. Accendere la tv la mattina, con lo stabilizzatore, era un brivido. Io e altri milioni di bambini delle elementari ci ammalavamo per finta tutti assieme.
Era una meraviglia: mia madre mi bardava con calzini di ciniglia, mi sistemava una copertina sul divano e poi preparava le cotolette con le patatine. Ero felice. Rivorrei un lunedì così, oggi.
30 GENNAIO
Mi ricordo di un sacco di discorsi della mia generazione. Noi che volevamo abolire la famiglia in quanto tale e che oggi per far passare concetti semplici, diritti semplici usiamo parole assurde da contrapporre ad altre parole assurde: famiglie arcobaleno e famiglie tradizionali. In questo Medioevo bisesto ci tocca ricorrere a perifrasi inutili, paradossali e faticose. Mi piacerebbe parlare solo di sentimenti e desideri e sintonie, invece. Mi piacerebbe che i diritti fossero solo tali. Non famiglie. Solo diritti da genere umano.
- FEBBRAIO -
LA CORSA (LENTA) VERSO IL CAMPIDOGLIO
5 FEBBRAIO
A sera tarda i passeggeri diradano. E sull’autobus 160 c’è posto per me e perfino, sedile accanto, per un libro. Mi perdonino i ragazzi del Cabaret Voltaire e Hugo Ball in particolare se translo un appunto dada attribuendolo all’Atac, agenzia dei trasporti della Caput. Il dadaista, come l’autista del 160, ama lo straordinario, addirittura l’assurdo. Si saltino steccati, si annulli la corsa delle 22 dal capolinea. Il dadaista e l’autista sanno che la vita si afferma nella contraddizione e nell’annientamento del generoso (e disperato) passeggero in attesa da oltre 40 minuti. Al diavolo le barbarie della puntualità, morte al servizio pubblico e all’insopportabile mondo del buon senso. L’autista del 160 è dadaista. Ama lo scherzo. Ama sfrecciare senza fermarsi. Onore a Tristan Tzara
.
10 FEBBRAIO
C’è modo e modo di tornare indietro. Iolana è filippina, ha 10 anni, prima della classe, mai accettata qui dai suoi compagni di classe italiani. In fondo sarebbe stata perfino una bambina fortunata: suo padre e sua mamma fanno le pulizie nel palazzo di mia ma’. Hanno anche avuto una casetta al piano terra. Appena hanno avuto la casetta sono arrivati anche Iolana e suo fratellino, una pratica mica tanto comune, ché i piccolini restano quasi sempre dai nonni nella terra d’origine. Invece Iolana è arrivata, ha imparato l’italiano in tre mesi e a Natale ha ricevuto una bici usata. Hanno provato a integrarsi, sempre gentili sorridenti i capelli nerissimi, ma Iolana si è ammalata di tristezza, perché in classe nessuno giocava con lei.
C’è tanta strada da fare per diventare bravi bambini, e poi bravi cittadini e brave persone. Ora Iolana se ne va, se ne torna indietro.
Abbiamo fallito tutti, oggi. Ciao Iola.
12 FEBBRAIO
Baciata dallo spirito santo ho appena fatto in solitudine, senza il supporto di uno straccio di avvocato, il mio ricorso on line al giudice di pace contro una multa mai notificata dai poco cordiali pizzardoni. Il verbale, dopo 4 anni, è entrato in mio possesso solo ieri. Nel verbale ho scoperto che mi hanno tolto anche due punti patente.
Voglio mangiarvi il cuore a mozzichi, maledetti.
18 FEBBRAIO
Dopo la sveglia alle 5 per via della sirena dell’antifurto, alle 8 sento un discreto casino nel terrazzo accanto al mio. Si tratta di tre giovani operai che stanno posizionando delle travi per costruire, immagino, una tettoia. Parlano tra loro con marcato accento che giudico rumeno e anche dall’aspetto mi sembrano dell’Est. Con molta cortesia li approccio e dico: «Bun diminea» (buongiorno in rumeno).
Costoro mi guardano e accennano «buongiorno» (in italiano). Mi sembra una cosa di grande educazione e civiltà. Io che provo a parlare nella loro lingua, loro nella mia. Poi a un certo punto della mattinata a uno degli operai scappa un bestemmione, pure questo detto in perfetto italiano, e frasi del tipo «mona tien su la corda fio de dio» (altra bestemmia), e cose che suonano come: «Magname a renga».
A questo punto mi sembra di poter affermare che trattasi non di lavoratori dell’Est, quanto del Nord est italiano. E che sicuro stanno pensando che la rumena so’ io.
23 FEBBRAIO
Raggi, si chiama Virginia Raggi. Candidata Five stars per il Campidoglio grazie a 1764 clic. Consigliera comunale con lunghissima esperienza, ben due anni poffarbacco nel suo municipio. Segnamoci questo nome.
E sempre grazie al Pd per la lungimiranza politica fin qui dimostrata.
27 FEBBRAIO