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Un weekend lungo una vita
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E-book132 pagine1 ora

Un weekend lungo una vita

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Info su questo ebook

Aurelia, insegnante sessantenne in una scuola del quartiere ZEN di Palermo, abita in una cittadina balneare a 40 km. dalla città. Vive in una piccola casa fuori paese insieme a tre cani e un gatto, che ama e cura, come fa con il giardino che ha impiantato da sé.
Separata dal marito da anni, ha deciso di non convivere più con nessuno. Solo durante il week-end, riceve il suo attuale compagno Mimmo, con il quale vive una relazione punteggiata da separazioni e riconciliazioni.
Il week-end a cui si riferisce il titolo si svolge in maniera banale, come tanti altri trascorsi fra stanchi pranzi e colazioni comuni e molte ore di occupazioni solitarie ma, man mano che le ore passano, Aurelia si infastidisce sempre di più della noia abitudinaria che pesa sulle giornate e dei silenzi di Mimmo appiccicato alla TV o al suo PC per giocare on-line.
I comportamenti privi di desideri, di vitalità e di empatia di Mimmo la spingono a fare il punto: “che ci faccio io con questo tipo? Come ci sono arrivata dopo tutto quello che ho passato nella mia vita?”
Nel bilancio, c’è un’infanzia ribelle tra una madre “cattiva”, un padre severo e spesso assente, un nonno adorato morto troppo presto, due fratelli e una sorella, in un appartamento sovrappopolato dove egoismi, perbenismo e ipocrisie portano a distruggersi a vicenda.
Ci sono poi le fughe di Aurelia adolescente. Ma, tra questi ricordi, il più tragico, che ancora brucia, è il suicidio del fratello di 17 anni, capro espiatorio della famiglia ed unico in casa a cui lei si sentiva vicina.
Neanche il capitolo riguardante gli uomini che Aurelia ha amato o avrebbe potuto amare è un capitolo felice, costellato com’è di disillusioni e impossibilità.
I ricordi dolorosi sono controbilanciati da quelli più gradevoli, come la scoperta del mondo attraverso la letteratura, i libri di Verne, Stevenson e Virginia Woolf, Sartre, Moravia e Pirandello; la colonna sonora dell’adolescenza e di tutta la vita, con le canzoni dei Platters, di Lucio Battisti o Aznavour; la relazione con la figlia Francesca; la scoperta tardiva ma appassionata dei cavalli, le sue cavalle Nadir e Bambi e la partecipazione ai concorsi di salto a ostacoli; l’amore innato e ben ripagato di Aurelia per tutti gli animali.
Questi flashback e le conversazioni con le amiche, permettono di comprendere meglio le reazioni di Aurelia nei confronti di Mimmo, a una prima impressione attribuibili a un cattivo carattere che non perdona mai debolezze e mancanze.
Progressivamente si svelano crepe, difficoltà e forza di una donna che cerca di essere sé stessa e di guadagnare la sua libertà: libertà dai pregiudizi della sua famiglia e della società, libertà di amare o di non amare più, libertà di essere in un mondo che tende a confinare le donne in ruoli che la protagonista non accetta.
Alla fine del week-end, un evento luttuoso e il comportamento di Mimmo in questa circostanza porteranno Aurelia a liberarsi dalla prigione del rapporto nel quale si era progressivamente rinchiusa. Volontariamente o suo malgrado?
La voce narrante, che è quella della protagonista, prende in giro l’inetto Mimmo, altri uomini incontrati e, qualche volta, anche sé stessa. Ma alterna anche tenerezza e intimo dolore al registro principale, che è quello ironico e sarcastico.

 
LinguaItaliano
Editoremyfairlady
Data di uscita22 ott 2018
ISBN9788829534579
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    Anteprima del libro

    Un weekend lungo una vita - AURELIA NOTO

    UN WEEK-END

    LUNGO UNA VITA

    di (e con)

    Aurelia Noto

    Se non avessi il senso dell’umorismo, mi sarei suicidato da un pezzo

    Mahatma Gandhi

    PROLOGO

    La lettura del presente testo è vivamente consigliata a chi ha voglia di ridere, anche se con un retrogusto amaro, e di piangere, ma senza perdere una certa leggerezza.

    A chi ama e non è amato, a chi è amato ma sarebbe meglio che non lo fosse.

    A chi è considerato un cane senza padrone, ma di quelli che più abbaiano, meno mordono.

    A chi in tanti hanno tentato di capire e mai nessuno ha provato a comprendere.

    A chi è stato scelto per quello che è, ma con l’idea di trasformarlo in qualcos’altro.

    A chi vuole un lieto fine. Anche se la fine non sarà per niente lieta.

    Qui, chi avrebbe voluto essere come un albero che bastasse innaffiare e concimare periodicamente perché crescesse rigoglioso e producesse frutti succosi, a disposizione di chi volesse coglierli, troverà di che disseccarsi.

    Chi è stato, invece, come un cespuglio spinoso, sopravvissuto solo grazie alla forza con cui si è tenuto aggrappato alla terra, emettendo qualche sporadico fiore nei rari momenti di tregua dalle intemperie, vi troverà più intemperie che tregue.

    Ma chi preferisce spezzarsi piuttosto che piegarsi ci troverà la colla per rimettere insieme i pezzi.

    A chi invece cerca la complicità che non ha mai sperimentato; a chi vede l’amore come corrispondenza di pensieri, parole e (tu chiamale se vuoi…) emozioni; e a chi, novella Esmeralda, vorrebbe: vivere per amare, amare quasi da morire, morire dalla voglia di vivere si consiglia la Cornovaglia di Rosamunde Pilcher, facile da reperire e senza costi aggiuntivi; Mediaset la offre in tutte le salse e a ogni stagione , in tutti i suoi canali e a ogni ora.

    SABATO

    La nostra storia va avanti a singhiozzi e singulti, più singulti che singhiozzi, da oltre tre anni.

    Mimmo arriva ogni sabato col pullman; la sua camicia, appena stirata, sembra sempre uscita da una centrifuga e i pantaloni, sempre gli stessi della settimana prima, di settimana prima in settimana prima sono gli stessi del mese precedente, salvo nei cambi di stagione.

    Questo sabato però sulla camicia porta una giacchetta blu, piccola, corta e aderente, all’ultima moda, e le scarpe non sono quelle di sempre, che - di sempre in sempre - hanno perso nei punti strategici il loro originario colore. A prima vista sembrano nuove: scamosciate, trapuntate e di un marrone rossiccio, che fa a pugni con tutto il resto, sono più grandi del suo piede di almeno due misure.

     Bisogna riconoscere, però, che l’insieme non è poi così male, anzi con quella giacchetta, che nasconde la camicia, lui fa la sua figura, tanto è vero che a me, che lo aspetto alla fermata, guardandolo mentre si avvicina alla mia auto, sta scappando un sorrisetto di compiacimento.

    Ma è solo un attimo. Giusto il tempo di passare in rassegna singolarmente i vari capi d’abbigliamento che indossa, per trasformare il mio sorrisetto nella solita smorfia di disapprovazione e per apostrofarlo, ancora prima che salga in macchina.

    «Scusa, ma l’hai guardata bene quella camicia prima di mettertela?» gli chiedo mettendo in moto.

    Ma lui, anche se ormai è abituato sia alle mie apostrofi che ai miei apostrofi e anche ai miei puntini di reticenza, a quelli sulle i e ai miei punti esclamativi - che superano di gran lunga quelli interrogativi - non sempre finge di ignorarli.

    «Buon giorno, eh!» mi ribatte.

    «Sì, ciao» (bacetto tra angolo di labbra e guancia).

    «Me ne sono accorto dopo che l’ho indossata e ormai era tardi, ma tanto è il mio ferro che non funziona bene.»

    «Hai fatto come ti ho detto io? L’hai inumidita e lasciata un po’ nel sacchetto di plastica prima di stirarla? E quelle scarpe da dove spuntano?»

    «Me le ha regalate Federico.»

    «Regalate…. Passate, vuoi dire; si vede lontano un miglio che sono di due misure più grandi del tuo piede.»

    «Veramente, di una misura soltanto.»

    «Che misura sono?» insisto infastidita.

    «42.»

    «Visto che avevo ragione, tu hai 40 di piede.»

    «No! 41.»

    «Vabbè! Lasciamo perdere.»

    «………………»

    «Certo che come ragioniere!»

    «………………»

    «I miei alunni già in prima elementare sapevano che da 40 a 42 ci sono due posti a salire.»

    «Ma se io porto il 41!»

    «Mimmo!» grido quasi, con tono esasperato «insieme abbiamo comprato tre paia di scarpe e tutte 40.»

    «Sì, ma mi vanno strette.»

    Intanto siamo già arrivati alla statale e stiamo superando il supermercato quando lui mi tocca il braccio come per fermarmi, ma io proseguo:

    «Ci ho pensato ieri per evitare di fare tardi come le altre volte. Tu non sei abituato, come me, a pranzare dopo le due; facendo la spesa il venerdì e preparando il condimento per la pasta prima di venire a prenderti alla fermata, riusciamo a essere a tavola per l’una, al massimo l’una e mezzo.»

    «E per stasera?»

    «Pesce! Mi sono messa d’accordo con un mio vicino che il venerdì, se lo trova, porta pesce fresco. Così quando ce l’ha mi telefona e io lo vado a scegliere.»

    «Pesce? Ma a te non piace il pesce!»

    «A te sì, però.»

    Una volta a casa, anche le direzioni sono quelle di sempre, io a destra, verso i fornelli, lui a sinistra verso la tv e il pc.

    «Mimmo, per favore, apparecchi?»

    «Sì, ora.  Finisco questa partita…»

    «Hai iniziato una partita sapendo che era quasi tutto pronto?»

    «Sì, ma tanto è un sit&go, finisce subito.»

    «Almeno tre quarti d’ora, per te, sarebbe subito?»

    Lui mi guarda, dà un'occhiata al pc e, con atteggiamento di resa, clicca su sit out e si dirige verso la tavola allungando, ancora per un attimo, il collo verso il pc come per controllare cosa si stia perdendo ad avere interrotto il suo gioco.

    Sistema tovagliette, sottobottiglie e sottobicchieri sulla tavola e ci mette sopra piatti e posate, bottiglia di vino e…

    «Dove sono i bicchieri?»

    «Esattamente dove li hai trovati la volta scorsa e anche quelle precedenti.»

    «Ah! Sì!»

    Posa a tavola due bicchieri per l’acqua e uno per il vino, e si serve subito da quest’ultimo dopo averlo riempito a metà di Nero D’Avola. Io, come sempre, interrompo il suo gesto ricordandogli la colite spastica a causa della quale il medico, che gli ho fatto assegnare dopo ore e ore di attese presso l’ufficio della AUSL, non gli ha concesso più di un bicchiere a pasto e mai a stomaco vuoto.

    «Ma è solo un po’!»

    Gli basta un mio sguardo, come risposta alla sua osservazione, per dirigersi con aria sconsolata verso il cestino del pane, affettarne un’ostia e metterla in bocca seguita da un bel sorso di vino.

    Intanto che finisco di trafficare tra fornelli e frigo, lui è già tornato nella sua postazione tra tv e pc.

    «A tavola!»

    «È già ora?»

    Anche questa volta la mia risposta è solo uno sguardo eloquente e lui, con quell’aria da cinquenne, che assume tutte le volte che vuole ottenere una cosa proibita, mi chiede il permesso di portare il pc a tavola:

    «La partita sta quasi finendo… non ci vuole molto… dai! …Ti prometto che poi non lo tocco più per tutto il pomeriggio, il computer.»

    «Fa’ un po’ come vuoi… tanto!» Mi arrendo subito alzandomi: mancano i tovaglioli, la bottiglia dell’acqua, il pane e la frutta.»

    Il silenzio accompagna il pasto; no, non è esatto perché, ogni tanto, dal pc viene fuori un suono che avverte che sta per scadere il tempo a disposizione per fare il proprio gioco.

    Finalmente finisce la partita e anche il pranzo è alla frutta, almeno per me, perché lui ha appena terminato il primo e si accinge a iniziare il secondo, quando io mi alzo e comincio a mettere via i miei piatti sporchi:

    «Come, ti alzi già? Non mi fai compagnia? Lascia, tanto tocca a me sparecchiare.»

    Io non commento e, questa volta, non lo guardo neanche; smetto di sparecchiare ed esco ad accarezzare i miei cani che non si sono mai mossi dal loro posto e non mi hanno mai lasciata con lo sguardo, nonostante io li tenga fuori, al di là della zanzariera.

    Cani che non hanno nient’altro in

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