Bello come un dio greco
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Anteprima del libro
Bello come un dio greco - Samanta Sitta
Samanta Sitta
BELLO COME UN DIO GRECO
Prima Edizione Ebook 2021 © R come Romance
ISBN: 9788893471862
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
www.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Piave 60
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
La trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
Samanta Sitta
BELLO
COME UN DIO GRECO
Romanzo
INDICE
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo -360
Capitolo 0
Ringraziamenti
L’autrice
Catalogo
A te, che cerchi comunque l'amore
Capitolo 1
Sono fortunata a poter vedere ogni giorno una meraviglia del genere. Quando i miei occhi si posano su di lui, il sangue inizia a ribollirmi nelle vene... mi manca il respiro, perché una bellezza così intensa esiste solo per schiacciare noi comuni mortali. Devo stare attenta, i capogiri a volte sono violenti e potrei cadere a terra. Sarebbe molto imbarazzante, ma la bellezza così perfetta richiede al cuore di prostrarsi davanti a lei. E il sudore freddo che inizia a gocciolarmi lungo la schiena? Distillato di vergogna e inadeguatezza. Se lui dovesse voltarsi e vedermi, non soltanto far scivolare gli occhi su di me, vedermi per davvero, guardarmi con intenzione e consapevolezza, so cosa vedrebbe. Un'assistente alla vigilanza bruttina, nella media, pura carta da parati in confronto a lui e alla sua magnificenza.
Sono innamorata? I sintomi ci sono tutti. Non riesco a smettere di pensarlo. Lo paragono ai miei ex e agli uomini che incontro. Fantastico su di lui. Vederlo mi causa sensazioni fisiche indescrivibili. Un'altra donna parlerebbe di farfalle nello stomaco, ma qui non basta, neppure lontanamente. Una bellezza così travolgente è più come un tir lanciato ai 180 km/h.
Sospiro. La sala è gremita di visitatori e turisti, che io in teoria dovrei controllare e riprendere nel caso si avvicinino troppo ai capolavori esposti, ma io riesco a guardare soltanto lui.
Quando posso tornare a casa e liberarmi dalla malia di quegli occhi sfuggenti, non so mai se provare sollievo o disperazione. Nel dubbio provo entrambe le emozioni. Perché no? Se è amore, può contenere anche sollievo e disperazione.
Mi scrollo l'incantesimo di dosso, insieme al tesserino e alla divisa. Saluto i colleghi, posso tornare a casa: stasera saranno Marta e Giovanni a occuparsi della chiusura del museo. Non ho altre responsabilità oltre ad arrivare a casa sana e salva e almeno questo è facile. Mi lascio portare dai mezzi pubblici, un primo tratto in metropolitana, un secondo in autobus, e raggiungo il mio appartamento.
È un bilocale in una palazzina un po' squallida, in un quartiere in cui fino a pochi anni fa le strade non erano nemmeno asfaltate tanto è periferico, ma poco importa. È casa. Roma è un tale spettacolo che ci si adegua anche a loculi più claustrofobici del mio, pur di poter vivere un pizzico del suo sogno. Tante cose sono cambiate nel mondo, ma Roma è sempre l'unica, la città eterna, la quintessenza della caput mundi, quella che sa entrare sotto pelle e languire per tutta la vita con una nostalgia inspiegabile.
Passare troppe ore tra capolavori e opere d'arte dell'antichità mi fa sproloquiare. È un buffo effetto collaterale. Forse non così buffo, in effetti, se penso che l'ultimo uomo con cui ho avuto un appuntamento è scappato dopo un paio d'ore accusandomi di sembrare la vecchia segretaria zitella della Crusca. Non capisco perché il mio divagare sia un problema, ma l'immagine era talmente ridicola che ancora oggi mi strappa una risatina.
Mi preparo una cena frugale, semplice, nel salottino con angolo cottura dalle pretese di modernità minimalista che oggi va tanto di moda. Un bel modo per rendere ogni casa praticamente identica a qualunque altra e altrettanto priva di anima e storia, a mio parere, ma i mobili sono del proprietario cui pago l'affitto e non oso cambiare nulla. Mi posso accontentare per ancora un po' di tempo, non sarà una soluzione definitiva questa.
La televisione accesa trasmette un senso di umanità vicina e aliena allo stesso tempo. Mi riconosco davvero nelle donne perfette che sbavano e commentano in modo salace i ballerini delle trasmissioni? Mi riconosco nell'aria di superiorità dei presentatori? Negli ammiccamenti rivolti dal pubblico maschile alle soubrette di turno o nelle risate sguaiate, o negli insulti dei talk show?
Sento una certa affinità giusto con le piastrelle del pavimento. Loro ci sono, sono lì, sotto gli occhi di tutti, eppure nessuno le vede davvero. Com'è il pavimento di Striscia la notizia? Quello di Amici di Maria de Filippi? E quello del telegiornale?
Esatto. Non lo so, quella è l'unica risposta possibile. C'è, ma nessuno lo vede. A nessuno interessa. Un po' come me e la mia cena solitaria: siamo a un passo dall'attenzione di qualcuno, da una parvenza di socialità, eppure non riusciamo a compiere il passo definitivo e rimaniamo qui, nel nostro limbo, visibili eppure invisibili.
Invisibile soprattutto per lui.
Sbuffo, mentre poso la forchetta sul tovagliolo. Non dovrei pensare a lui anche quando sono a casa. Questa ossessione sta diventando malsana, giuro. Lui non mi noterà mai, è impossibile, su questo concordiamo tutti. Non è un film romantico in cui il lieto fine è dovuto, è la mia vita. Nessuno chiederà al regista di cambiare il finale e non coronerò mai il mio sogno proibito.
Non ne faccio una tragedia, sono rassegnata. Sono consapevole del fatto che lui è veramente troppo per me. Posso averlo di fronte ogni giorno, ma lui percepisce un altro mondo, dove solo i degni possono essere visti. A volte strizza l'occhio nella mia direzione o mi rivolge un cenno, ma il dubbio che sia rivolto a qualcun altro non se ne va mai. Lui è su un altro livello, non solo rispetto a me, ma anche in confronto ai miei colleghi e a tanti turisti e visitatori del museo. I Musei Capitolini sono visitati da persone diversissime, eppure pochi possono vantare una qualche affinità con lui.
Lui è... no, basta. È un'ossessione malsana, devo smetterla di lasciarle spazio. Devo pensare a me, al mio benessere. Devo cambiare vita.
Sì, uscire con le amiche o le colleghe, avere un appuntamento con qualcuno di un livello approcciabile... iniziare una sana vita sociale fatta di uscite senza senso tanto per dimostrare che sono capace di fare discorsi vuoti, magari.
Sospiro ancora, con più fastidio, e inizio a lavare i piatti. Non mi piace essere così critica nei confronti del prossimo per partito preso, ma a volte l'amarezza non trova modo migliore di sfogarsi. L'afa dell'agosto romano probabilmente contribuisce ai miei livelli di acidità. Trovarmi un passatempo sarebbe un buon compromesso. Mi toglierebbe l'ossessione di lui e magari mi avvicinerebbe a persone simpatiche, più vicine a me. Potrebbe aiutarmi davvero.
Il mattino successivo sono impegnata nelle pulizie di casa, quando suona il telefono. Segue una breve chiacchierata con i miei genitori, preoccupati per me come sempre. Non si rassegnano al fatto che vivo sola, lontana da loro, impegnata in un lavoro che secondo loro non mi valorizza, senza passioni e amicizie strette, senza un fidanzato... capisco la loro preoccupazione, il timore di sapermi sola e in difficoltà, senza la speranza di ricevere aiuto da nessuno, ma non posso proprio fare nulla. I miei pensieri sono perennemente occupati dal maschio per eccellenza, non riesco nemmeno a vedere gli altri.
Mi trovo a promettere, per l'ennesima volta, che cercherò di essere più socievole e affabile e disponibile, ma sappiamo tutti che sono solo parole vuote. Io cerco di accontentarli e rassicurarli, ma non intendo cambiare la mia vita. Perché dovrei? Sto bene.
Oggi ho una rara giornata libera dal lavoro, quindi mi dedicherò a me. La casa ormai è pulita e in ordine, piccola com'è richiede poco impegno. Nel pomeriggio vedrò un'amica dei tempi dell'Accademia, sarà un pomeriggio gradevole. Da quando Vanessa è diventata mamma, il tempo per vedersi scarseggia, ma troviamo il modo di tenerci sempre in contatto.
Non mi stupisco troppo quando la vedo arrivare al bar in cui ci siamo date appuntamento con il passeggino e un sorriso imbarazzato sul viso dai lineamenti delicati.
«Scusami, cocca» mi scocca due baci sulle guance e si siede accanto a me, «Carlo ha avuto un imprevisto al lavoro e non riesce a tenere la piccola per il pomeriggio.»
Sorrido con allegria, ma avverto un lieve senso di gelo umido alle estremità di mani e piedi. Non ho idea di come ci si debba comportare con i bambini. Non ne ho, non ho fratelli o sorelle più piccoli o cuginetti. Sono una completa profana dell'argomento puericultura. Con un respiro profondo, mi tranquillizzo. Vanessa lo sa. Non mi chiederà di fare da balia alla piccola per il resto della settimana. La terrà con noi per quattro chiacchiere al bar, nulla di grave.
Caterina è una bimba piuttosto tranquilla per la sua età, al punto che potrei quasi dimenticare la sua presenza. Sta crescendo bene, sorride spesso e gioca: a volte si incanta per lunghi momenti a osservare dettagli del mondo che la circonda con due grandi occhioni blu, limpidi e luminosi, uguali a quelli del padre.
Beviamo un caffè e decidiamo di raggiungere un negozio vicino, dal momento che Vanessa necessita di alcune cose per il lavoro. È un po' come quando giravamo per negozi insieme, dopo la sessione d'esame all'Accademia: per consolarci di un brutto voto o per premiarci di un bel risultato, avevamo sempre un'ottima scusa per comprarci un regalo. Che tempi spensierati...
Non siamo cambiate tanto, in verità. Sembriamo un po' più mature, forse, ma non sono sicura che lo siamo davvero. La mia testardaggine non è cambiata di una virgola e Vanessa si ostina a continuare a vivere restando sull'altra parte della barricata dell'arte, da artista. I suoi genitori sono ancora convinti che sia una fase di ribellione adolescenziale e che, prima o poi, rinsavirà e metterà la testa a posto.
Il negozio di belle arti è sempre un ambiente piacevole, ma è un piccolo shock non trovare Marilena, la proprietaria anziana che conosciamo ormai da anni.
«Buon pomeriggio... oh, sei tu, Vanessa! Ciao bella.»
«Ciao, Tommaso. Oggi c'è anche la mia amica Camilla.»
«Oh, bene. Ciao Camilla.»
Ricambio il saluto dell'uomo. Avrà circa trent'anni, è quello che un'altra donna definirebbe un uomo attraente. Io provo anche ad apprezzarlo, ma è inutile: il pensiero di lui si sovrappone e lo riduce al ragazzino imberbe e insignificante che è. Contro lui non esiste competitore.
Mi aggiro tra gli scaffali, inspirando l'odore di trementina e solventi chimici. Mi mancano un