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Poker d'assi
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E-book131 pagine1 ora

Poker d'assi

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Info su questo ebook

Quattro racconti, due lunghi e due brevi, alla ricerca delle emozioni e dei sentimenti umani. Tra paura, amore, desiderio e passioni che possono portare alla salvezza o alla perdizione.

Asso di cuori:
Anno 1335. Tre sorelle, profondamente divise, eppure unite nel terribile destino che consentirà loro di mettere in gioco tutto: sentimenti, desideri e destino.

Asso di quadri:
Un uomo al tramonto della vita raccoglie i propri pensieri su un diario che nessuno leggerà mai. E' l'occasione per rievocare la straordinaria avventura che ha vissuto da giovane.

Asso di fiori:
Un racconto di fantascienza di impronta classica. Un omaggio all'opera dii Asimov che tenta di ribaltare i punti di vista sulla vita e sulla tecnologia.

Asso di picche:
Gli ultimi momenti di vita di un prigioniero. Intrappolato senza motivo in una prigione senza sbarre e condannato ad una lenta morte per inedia.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2011
ISBN9788863692136
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    Anteprima del libro

    Poker d'assi - Maurizio Corò

    MAURIZIO CORO'

    POKER D'ASSI

    racconti

    A mia moglie e mia figlia,

    parte di me

    ASSO DI QUADRI

    passione e vanità

    Non capita spesso, nella nostra società, di avere il tempo per fermarsi a riflettere. Forse è solo frutto della mia immaginazione, ma a me sembra che questo secolo sia stato particolarmente perfido nei confronti dei suoi abitanti. Di certo lo hanno pensato tutti, nella loro vita... e per tutti intendo anche le persone che iniziavano a zappare la terra alle cinque del mattino, per finire alle dieci di sera... e che quando finalmente potevano raccogliere il frutto del loro lavoro, vedevano sempre arrivare qualcuno a reclamarne una percentuale tanto alta da lasciarli a bocca asciutta.

    Io non so come si vivesse nel medioevo, né come vivessero gli antichi romani, o i greci... ma qualcosa mi fa supporre che qualunque tempo sia stato migliore del mio.

    A questo punto dovrebbe intervenire una professoressa di storia, piccola, tarchiata, con i classici fondi di bottiglia davanti agli occhi. Dovrebbe arrivare nel mezzo del mio discorso e interrompere ricordandomi quali fossero le conoscenze mediche nei secoli passati, il livello di igiene e tutto il resto...

    In altre parole non c'è compito migliore, per una vecchia professoressa di storia, se non quello di intervenire del tutto a sproposito... senza capire che forse, una volta tanto, non mi interessa un accidente di rimanere saldato alla logica, o alla realtà... e che questi pensieri sono solo il frutto di un sogno irrealizzabile.

    Ma per fortuna le lezioni sono lontane nel tempo, remote e perdute nelle pieghe che gli anni naturalmente formano quando si accumulano, l'uno sull'altro. La scuola, le lezioni, i professori... sono tutte cose così antiche, per me, da essere paragonabili alle vicende di Nerone... al famoso incendio di Roma che ancora oggi tutti credono appiccato dall'imperatore.

    Invecchiare, comunque, ha i suoi vantaggi... non ho molta gente con cui parlare, è vero, ma in compenso non c'è nessuno che venga a disturbarmi mentre mi perdo tra i miei pensieri.

    Ho tempo per ascoltare musica... Ci sono volte in cui riesco ad accendere quel maledetto arnese che mi ha regalato mio nipote: non ho mai preteso che le cose belle della mia gioventù rimanessero eterne come nei ricordi... ma se per ascoltare la radio sono costretto ogni volta a leggere un manuale di istruzioni più spesso della guida TV... allora preferisco rinunciare alla musica in FM, e dedicarmi a quella che mi porto nel cuore... Mozart, Bach, Wagner... ma anche Puccini, Verdi...

    Il bello dei grandi autori, quelli che componevano grande musica, era che ti restavano dentro, quando li ascoltavi, e non se ne andavano più: qualunque cosa io faccia, in qualunque posto io sia, mi basta concedermi un attimo per sentir riaffiorare le arie che hanno accompagnato la mia giovinezza.

    La musica di adesso invece, quella moderna, è fatta solo per i giovani.

    Lo so, ragiono come un vecchio retrogrado... ma in fondo è proprio quello che sono: un nostalgico che ha superato gli ottant'anni da tanto di quel tempo che ormai sono i parenti a ricordarmi quando sono nato.

    Il cielo è limpido, oggi; c'è una dolce brezza primaverile che soffia attraverso la finestra della mia camera da letto. Alla mia età gli anni sono tutti uguali e le stagioni si susseguono pigramente, senza troppa voglia di lasciare il passo a quella successiva... e capita spesso che molti dei miei colleghi, qui, si lascino prendere da malinconia e tristezza... e anche in un giorno bello come questo, dove è ormai chiaro che l'inverno se n'è andato, davanti i loro occhi vedono sempre il solito cielo plumbeo, e quella bianca cortina di nebbia che a Genova, quando capita, è oggetto di discussione per una settimana.

    Ormai il tramonto ha colorato la volta del cielo. La notte cala ancora presto, ma non importa... il crepuscolo è una di quelle cose che ti fanno capire che Dio esiste davvero, anche quando tutto il resto è contro; anche quando la vita è tanto dura che vorresti smettere di credere...

    Ma quando alzi gli occhi in alto e vedi quelle strisce di tempera arancione che si fondono con l'indaco e il viola... allora capisci che nulla del genere potrà mai essere fatto dall'uomo... e che nemmeno con tutta la sua furia distruttiva, l'uomo, potrà mai cancellarle.

    Il dottore mi ha visitato. Un'altra volta.

    I familiari sanno che con l'arrivo della bella stagione non riesco proprio a stare chiuso dentro la mia stanza... e allora esco a godermi il sole, il vento, il profumo del prato dove sbocciano già le margherite. Temono che sia troppo faticoso, per un uomo della mia età, concedersi quei pochi momenti di serenità che la vita può ancora regalare. Non importa: li capisco... così come capisco la decisione di mettermi qui...

    Beh, forse sono troppo severo: in realtà in questa casa di riposo ci sto piuttosto bene. Molti dei miei colleghi odiano con tutte le loro (residue) forze i figli o i nipoti che li hanno buttati fuori di casa... ma per me non è così. Stare qui o lì, per me, è indifferente... sì, perché quella dove abitano loro, non è casa mia... la mia casa non esiste più... la mia casa aveva un pavimento di pietra sul quale camminare, e la stufa da accendere quando faceva freddo... ma la mia casa, oramai, esiste solo nei miei pensieri e nei miei ricordi che la solita professoressa di storia si ostina a voler inquinare.

    La casa di riposo è in un bel quartiere. Per essere precisi è nel quartiere delle famiglie bene, qui a Genova. Io non sono mai stato membro di quella classe... né mai ho desiderato esserlo... Anzi, ho sempre disprezzato quelli che ci guardavano dall'alto verso il basso perché avevano il portafogli pieno di lire, mentre noi avevamo solo gli spiccioli per il gelato.

    Il valore della vita semplice, dell'onestà, del lavoro... queste sono le cose nelle quali ho sempre creduto, e sono le cose che ho insegnato ai miei figli... e penso di essere stato un buon padre; ma ora questi valori hanno lasciato il posto alla vita agiata, comoda, piena di vuota superficialità.

    Un tempo questa classe sociale non esisteva... c'erano i borghesi, certo, ma è una storia diversa.

    Un tempo, quando ero giovane, c'era chi era pieno di soldi e chi non aveva nulla. Se avessimo avuto una mappa della città, avremmo potuto disegnare in maniera netta ed inconfondibile il confine tra i quartieri delle due classi sociali... ma ora non è più così. I miei figli sono quello che io sono sempre stato... ma ora è il lavoro ad essere diverso, la vita è diversa: e anche chi non è nobile può permettersi, magari con qualche sacrificio, di pagare la pigione di una casa di riposo ad Albaro.

    Non siamo nella via principale... no, questo è certo: il comune ha profondo rispetto per la gioventù, e non è proprio il caso di ricordare ai genovesi rampanti, futuri ingegneri o economisti, di quanto la vita sia breve e che i soldi guadagnati non renderanno immuni dalle piccole ingiustizie quali artrosi, sordità, e soprattutto solitudine... Ecco che quindi le case di riposo non sono nelle vie delle università, o in quelle residenziali, dove l'unico esercizio commerciale è un bar dove persino un caffè costa cinque mila lire (due Euro e cinquanta, dannazione... Euro!).

    I vecchi vanno rispettati... lo dicono tutti... rispettati, sì, però... magari un pochino più in là, per favore, che mi intralciano la strada mentre corro a duecento all'ora con la mia moto... destinazione: mondo!

    Emma se n'è andata. Era vecchia, stanca, delusa dalla vita e dalla figlia con la quale aveva come unico rapporto la firma sull'assegno mensile. Credo fosse una settimana fa. I giorni sono tutti uguali da queste parti, per cui faccio spesso confusione... ma sono certo che fosse ancora inverno... Non perché ci fosse la neve, qualunque ligure potrebbe dirvi che non è quello il simbolo della stagione fredda, ma perché dal giardino potevo ancora vedere le luci di natale appese in mezzo alla strada. Ignoro la politica degli altri comuni italiani, ma a Genova potete star certi di vedere luminarie dai primi di novembre fino ad inizio primavera.

    Emma, dicevo.

    Quando qualcuno muore, in una casa di riposo, nessuno ne parla... è come se tutti non aspettassero altro che il proprio turno, proprio come al mercato. E ognuno teme che, parlandone a voce alta, il commerciate lo senta e decida di fargli saltare qualche posto: così, solo per gentilezza... solo che al posto di salumiere o del formaggiaio, c'è una vecchia con la falce. Una vecchietta: più anziana di tutti noi messi assieme; sola da sempre come un cane idrofobo; incarognita come una persona che odia il suo lavoro, e che cerca di cambiarlo da qualche millennio, anche se gli annunci economici non le sorridono mai.

    Emma aveva un brutto male, che la tormentava giorno e notte. Mi chiedo se ci credono davvero o se lo fanno solo per tenerci tranquilli e buoni: il cancro è una malattia cattiva, ti scava dentro con un cucchiaio come fa un bimbo goloso con le vaschette di gelato, e quando finalmente ha finito di divorarti dall'interno, di te non resta altro che una confezione vuota, triste e scheletrita.

    E poi che diavolo possono saperne i giovani infermieri della morte? Loro, che hanno ancora più di metà della vita davanti? Dovrebbero chiederlo a noi, cosa vuol dire morire... noi che abbiamo gli abiti che puzzano già di incenso, giusto per risparmiare un po' di tempo, dopo. Ma il loro compito è indorarci la pillola, lo sappiamo... e in fondo, prendiamo già dalle dieci alle trenta pastiglie a settimana... una in più non fa molta differenza, vero?

    E' un po' più grossa, questa,

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