Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Alice (due piccoli stupidi)
Alice (due piccoli stupidi)
Alice (due piccoli stupidi)
E-book168 pagine2 ore

Alice (due piccoli stupidi)

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

"Tutto passa, amica mia

passano i giorni, i mesi, gli anni

passano i chilometri e le nostalgie

passano sorrisi, abbracci e sputi

perlopiù senza lasciare tracce.

Tutto passa, vecchia mia

sbiadiscono i ricordi, si sbagliano le date

si cade sull’asfalto e poi ci si rialza

si svuotano i bicchieri e si stringono altre mani

a loro volta scordate dopo l’alba.

Qualcosa resta, amore mio

un cassetto di parole, qualche foto, le tue lettere

un biglietto del treno, i nostri riti e quelle stelle

Restano pagine già scritte e una promessa

Poco altro. E forse è nulla. Ma per me è tutto."

Sono i fili di una complicità antica, quelli che Alice e Francesco si sorprendono a riannodare in una notte di neve. Ma quella notte sarà anche l’inizio di un pugno di settimane destinate a rimettere in discussione molte cose.

Alice e Francesco: due esistenze irrequiete che si sono incrociate di sfuggita in un passato ormai lontanissimo e che, a distanza di dodici anni, si ritrovano a guardarsi nuovamente negli occhi facendo i conti con il tempo che è passato, con le cose che sono cambiate, con ciò che è rimasto immutato e con le decisioni importanti verso cui la vita li sta inevitabilmente spingendo.

Un romanzo fragile e sincero che diventa quasi un doppio autoritratto in cui le schegge di malinconia al sapore di whisky di Francesco si innestano fra le riflessioni attente, i dubbi e i ricordi di Alice che, in una sorta di lunga lettera, mette a nudo la propria storia e il lato più intimo della propria anima.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mar 2015
ISBN9788865378861
Alice (due piccoli stupidi)

Leggi altro di Roberto Bonfanti

Correlato a Alice (due piccoli stupidi)

Ebook correlati

Narrativa romantica contemporanea per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Alice (due piccoli stupidi)

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Alice (due piccoli stupidi) - Roberto Bonfanti

    Marquez)

    ogni sorso è un ricordo

    (4626)

    Ogni sorso di whisky è un ricordo. E la bottiglia è ancora piena.

    Chi dice di bere per dimenticare, semplicemente non sa bere. O non ha ricordi che valgano una goccia di whisky.

    Ogni sorso di whisky è un ricordo. Ogni sorso è un ricordo. Ogni sorso è un ricordo.

    ***

    Mi sarebbe piaciuto raccontartela, questa storia. Magari in una domenica di inizio anno, seduti a gambe incrociate su un tappeto ai piedi di un albero di Natale ancora da disfare. Oppure in una serata d’inverno, con la neve che cade leggera oltre i vetri appannati della finestra. O in una notte insonne qualunque, un po’ come questa, solo con un poco di latte a tenere compagnia al mio whisky. A ogni sorso un ricordo. A ogni sorso un ricordo. Ogni sorso è un ricordo.

    Mi sarebbe piaciuto raccontartela, questa storia. Magari trasformandola in una fiaba, come avevo promesso ad Alice tanti anni fa. Oppure intrecciandone i ricordi fra le note delicate di una ninnananna da cantare solo a te per farti addormentare. O soltanto parlandotene così, senza una direzione né una logica, per il semplice gusto di rivivere ancora una volta tutti questi anni e lasciar germogliare da lì altri ricordi e i tuoi primi sogni.

    Mi sarebbe piaciuto raccontartela, questa storia. Magari cominciando proprio dall’inizio di tutto. Oppure dalla fine. O forse da un punto qualunque, come aprendo a caso le pagine di un libro. Magari iniziando proprio da quella notte assurda in cui i tappeti volavano come nelle favole e un vecchio professore dava lezioni di magia. Anche se probabilmente, pensandoci bene, lo so che sarei partito ancora una volta da quel famoso pomeriggio d’inverno in cui tutto sembrava essere giunto alla fine e invece doveva ancora cominciare.

    Mi sarebbe piaciuto raccontartela, questa storia. Non lo puoi nemmeno immaginare, quanto mi sarebbe piaciuto. Anche se so che non sarei mai stato in grado di ricostruirne il filo preciso e mi sarei limitato a regalartene qualche frammento sparso, in modo apparentemente casuale e in momenti assolutamente inaspettati, lasciando poi a te la libertà di rimettere insieme i pezzi come i tasselli di un puzzle confuso. O forse lasciandolo proprio ad Alice, il compito di ricostruirla per te, l’immagine esatta di quel mosaico.

    Mi sarebbe piaciuto raccontartela, questa storia. Mi sarebbe piaciuto davvero. Mi sarebbe piaciuto tantissimo.

    ***

    Ogni sorso di whisky è un ricordo. A ogni sorso un ricordo. Ogni sorso un ricordo. E il mio fegato è forte.

    -2

    giovedì

    Mi sono sempre piaciuti i primi giorni di scuola dopo le vacanze estive. Lo sai, vero, Francesco? In classe si respira un’aria meravigliosamente elettrica in questi giorni, ed è bello vedere, negli occhi dei ragazzi, gli ultimi sfocati residui di nostalgia del mare affogare nell’entusiasmo per tutto ciò che c’è di nuovo: le cartelle nuove, i quaderni nuovi, i compagni nuovi, i vestiti nuovi, i diari nuovi, gli insegnanti nuovi, le formazioni nuove delle squadre di calcio e gli aneddoti nuovi sulle vacanze appena finite da raccontare per mesi e mesi agli amici. La cosa che, da sempre, mi piace davvero dell’estate è che, a un certo punto, finisce e lascia spazio a questo splendido momento di passaggio che scivola poi, nel giro di qualche settimana, verso l’attesa del Natale: il periodo dell’anno che più adoro in assoluto.

    Quest’anno però, a dire il vero, credo di essere stata più agitata io dei miei alunni, all’arrivo a scuola per il primo giorno di lezione. Sarà che, fra i tanti cambiamenti che la mia vita ha attraversato in quest’ultimo periodo, c’è stato anche il trasferimento in una nuova scuola, il che significa colleghi nuovi, alunni nuovi, preside nuovo, orari nuovi e strada nuova da percorrere ogni mattina, oltre ovviamente a nomi nuovi da memorizzare il più in fretta possibile e volti nuovi da imparare a leggere: tutte cose che, in alcuni momenti, mi hanno fatto sentire davvero come una bambina al primo giorno delle elementari, anziché una professoressa di italiano delle medie.

    Tutto sembra nuovo, attorno a me, in questi giorni. Tutto è caotico, fra una montagna di impegni di ogni tipo, qualche decisione ancora da prendere, mille cose da fare e mille altre, in qualche modo, da imparare. Eppure, nel cuore di questo uragano di fatti, appuntamenti, scadenze e attese, mi sembra di respirare un senso di pace assoluta.

    ***

    Mio padre mi ha telefonato proprio mentre stavo uscendo dal lavoro. Mi sono seduta sui gradini dell’istituto e mi sono concessa un attimo di pausa, accendendomi una sigaretta e rimanendo qualche minuto a chiacchierare con lui mentre, fra una frase e l’altra, il mio sguardo si perdeva nel cortile che, subito dopo l’uscita degli alunni, mentre qualche studente ritardatario si avviava con passo ciondolante verso il cancello, sembrava avvolto nella stessa tranquillità di un campo di battaglia subito dopo la firma dell’armistizio.

    Ho fumato, a boccate lente, la sigaretta fino al filtro, poi mi sono incamminata verso la mia macchina senza smettere di lasciarmi avvolgere dalla sua voce calda e attenta e, per un attimo, mi è venuto da ridere, ripensando alle lotte assurde che ho combattuto con lui durante la mia adolescenza e a quanto invece, negli ultimissimi mesi, abbia saputo starmi vicino in modo assoluto, mostrando un entusiasmo e una dolcezza di cui, anni fa, non lo avrei nemmeno immaginato capace. È stato davvero bello, in questi ultimi mesi, vederlo entusiasmarsi per ogni mia piccola o grande novità, confrontarsi serenamente con me su ogni decisione che ho preso e, alla fine, appoggiare sempre ogni mia scelta con una forza assoluta.

    «Col trasloco è tutto a posto?» mi ha chiesto proprio quando stavamo per salutarci.

    «Sì, sì. Domani dovrò tornare in città a prendere gli ultimi scatoloni e a restituire le chiavi al padrone di casa, ma ormai ci siamo».

    «Vuoi che venga a darti una mano a caricare gli scatoloni in macchina?»

    «Ma no, non ti preoccupare: ce la faccio benissimo da sola, tanto non è molta roba».

    «Sei sicura? Stai facendo già tantissime cose per cui è inutile che ti sforzi troppo. Una mano sai che te la do volentieri».

    «Ma no, davvero, preferisco fare da sola» ho insistito. «Facciamo che passo a prendere un caffè da voi quando ho finito, così chiacchieriamo un po’ con più calma».

    Un aiuto mi avrebbe fatto comodo, in realtà, ma preferivo essere da sola, nel dare l’ultimo sguardo all’appartamento in cui ho vissuto per otto anni e nel lasciarmi cullare dai ricordi che il pensiero di stare davvero abbandonando quella casa non avrebbe potuto non suscitarmi.

    Forse, in un passato nemmeno troppo distante, la sola idea di affrontare tutti quei ricordi mi avrebbe scombussolata. Forse, in quel passato, avrei chiesto a chiunque di andare al mio posto a recuperare quegli ultimi scatoloni, pur di sottrarmi a quel tuffo nel passato, oppure avrei domandato direttamente al padrone di casa di farmi trovare già tutto fuori dalla porta. Ma ormai sono forte. Ormai sono benissimo in grado di sopravvivere a qualche ricordo. Anzi, probabilmente ne sentivo il bisogno, di riguardare in faccia il mio passato e di perdermi ancora una volta a rivivere il percorso che mi ha portata qui dove sono ora: gli ultimi otto anni, ma soprattutto l’inverno scorso.

    L’inverno scorso, Francesco: quante cose ci sarebbero da dire sull’inverno scorso.

    spiati dal pesce siluro

    (4425)

    Un pesce siluro enorme nascosto in un piccolo laghetto artificiale in un parchetto di periferia in una cittadina di provincia. Un pesce siluro che mangia in un solo boccone le papere che si posano sulla superficie dell’acqua. Un pesce siluro di cui da decenni le nonne raccontano ai bambini che portano a passeggio nel parco, ma che nessuno è mai riuscito a vedere. Un pesce siluro di cui, da sempre, anche i ragazzini che si ritrovano a fumare su quelle panchine parlottano fra loro, accrescendone il mito di anno in anno pur senza averne mai scorto nemmeno l’ombra sul pelo dell’acqua.

    Quando Alice mi ha raccontato questa storia non ho dubitato nemmeno per un istante dell’esistenza di quel pesce. L’idea che potesse trattarsi semplicemente di una leggenda non mi ha nemmeno sfiorato. Quel pesce esiste: è chiaro. Quel pesce è ancora lì, dove è sempre stato da chissà quanto tempo, e ancora oggi mangia le papere che provano a posarsi sul lago. Non c’è bisogno di vederlo per saperlo. Anzi, proprio il fatto che nessuno lo abbia mai visto è la dimostrazione inconfutabile della sua esistenza: se fosse stato così stupido da farsi vedere da chiunque, come avrebbe potuto continuare a esistere e sopravvivere per tutti questi anni? È ovvio, no?

    Sono rimasto qualche istante a fissare il piccolo specchio d’acqua pensando a quel pesce e a quante cose aveva, quella bestia, in comune con noi due. Anche noi – noi, non io o lei – forse, in alcuni momenti, avevamo avuto l’impressione di essere qualcosa di troppo grande finito per errore nel posto sbagliato. Anche noi, a nostro modo, avevamo finito con l’ingoiare decine di papere capitate per puro caso sulla superficie del nostro mondo. Anche noi, agli occhi di molti, eravamo solo favoletta frutto della mia immaginazione da romantico rincoglionito e di qualche canzone. Anche noi, per tutta quella gente, non eravamo mai esistiti. Non potevamo esistere. Non aveva senso che esistessimo. E invece eravamo davvero lì, ancora una volta, come in una specie di cortocircuito dell’universo che sembrava essersi ripiegato su se stesso azzerando in un solo colpo il tempo, le distanze e un sacco di altre cose.

    ***

    Ho continuato a tenere lo sguardo fisso verso il lago ma in realtà, con la coda dell’occhio, non potevo fare altro che guardare lei che guardava me. Davvero non era cambiata quasi per niente. Certo, era cresciuta: la ragazzina graziosa e introversa di dodici anni prima era diventata uno splendore di giovane donna capace di incantare l’universo intero con un solo gesto. Eppure in fondo al verde sfuggente dei suoi occhi c’era la stessa delicata fragilità di sempre. I suoi gesti lenti, i suoi lineamenti aggraziati e il suo sorriso dolcemente enigmatico rivelavano la stessa eterea semplicità. Attorno a lei aleggiava la stessa aura di delicata timidezza che sembrava creare uno schermo invisibile che proteggeva il candore della sua anima dalla realtà e dalle brutture del mondo.

    Davvero sembrava non essere cambiato niente. Davvero quell’istante sembrava essere ripescato magicamente dalla valigia dei ricordi di un pomeriggio qualunque di una dozzina d’anni prima. Mancava solo il suo zaino con i libri da trascinarsi dietro per tutto il giorno. Mancava solo il suo astuccio con l’asinello di Winnie the Pooh. Mancava solo un treno da prendere a fine pomeriggio salutandoci come se ci stessimo separando per una chiamata al fronte per lo scoppio improvviso di una guerra. Mancava solo la sua malcelata insofferenza per i preannunciati rimproveri di suo padre e le scuse da doversi inventare per giustificare l’essere tornata a casa quando iniziava già a fare buio, anziché subito dopo la scuola. Mancava solo la sensazione eroica di avere tutto l’universo contro addolcita dall’ingenuità di credere di poterlo un giorno frantumare in una miriade di minuscoli e inoffensivi pezzetti, quel cazzo di inutile universo. Non mancava niente. C’era la stessa tenerezza che ci proiettava completamente fuori da ogni tempo e da ogni età. C’erano gli stessi silenzi densissimi di significati inframezzati da sguardi luccicosi e sorrisi increduli. C’era la stessa delicatezza che ci faceva sentire come due novantenni che nulla hanno da chiedere alla vita se non il piacere di passare un solo altro istante insieme. Ma c’era soprattutto la certezza di essere sempre noi – io e lei –: qualcosa che neanche noi stessi riuscivamo a capire fino in fondo e che probabilmente non aveva nemmeno senso provare a spiegare ma che, per una miriade di ragioni del tutto irrazionali eppure perfettamente logiche, ci sembrava davvero enorme e preziosissimo. E c’era quel pesce: quel pesce gigantesco che nessuno aveva mai visto e che forse per il mondo intero poteva essere solamente una leggenda, ma che era proprio lì, davanti ai nostri occhi, che ci osservava curioso protetto solo da pochi metri d’acqua nemmeno troppo limpida.

    ***

    È stato in quel momento, proprio mentre una parte di me iniziava a pregare silenziosamente che non irrompesse nessuna sveglia a rompere l’incanto e riportarmi alla vita di sempre, che ho preso la sua mano. O forse è stata lei a prendere la mia. Non ricordo. Non saprei dirlo. Non ha importanza.

    -215

    lunedì

    "Ti ricordi, Peter? Il mondo era nostro: potevamo fare tutto oppure niente, ma ogni cosa era importante perché eravamo noi a farla".

    Hai

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1