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L'altra metà di Lei - L'intrusa
L'altra metà di Lei - L'intrusa
L'altra metà di Lei - L'intrusa
E-book323 pagine4 ore

L'altra metà di Lei - L'intrusa

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Info su questo ebook

La malattia di Giulia prosegue inarrestabile e la misteriosa figura che sembra perseguitarla non esita ad uccidere pur di raggiungere il suo scopo. L’ombra del sospetto non risparmia nessuno, nemmeno i suoi nuovi ed affascinanti amici, mentre la strana vocina, soprannominata “Lei”, si prepara a fare il suo ingresso nel mondo reale, suggerendole l’idea che esistano altre realtà parallele alla nostra. Chi o che cosa è dunque quest’entità che sembra voler prendere il suo posto? In una Irlanda sempre più magica e piovosa, dentro il set di un film che sembra non terminare mai, fantasia e realtà si mischieranno a tal punto da non sapere dove finisca una e inizi l’altra.
LinguaItaliano
Data di uscita29 ott 2018
ISBN9788827852927
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    Anteprima del libro

    L'altra metà di Lei - L'intrusa - Anna Maria Pusceddu

    Indice

    1 - Sospetti

    2 - La perdita

    3 - Un’assurda ricostruzione dei fatti

    4 - Un misterioso indizio

    5 - Un abile giocatore

    6 - Scacco matto!

    7 - Casa de copii

    8 - Una succosa mela

    9 - Fuga

    10 - Il demone

    11 - Finalmente Lei

    12 - Le porte del passato

    13 - Famiglia

    14 - André Clément

    15 - L’uomo dietro la maschera

    16 - My first Angel

    17 - La versione del duca

    18 - Azrael

    19 - L’anomalia

    20 - Libertà condizionata

    21 - La collina degli dei

    22 - Sprazzi di eternità

    23 - Angeli

    24 - L’inizio della fine

    Epilogo

    Ringraziamenti

    Anna Maria Pusceddu

    L’altra metà

    di Lei

    L’intrusa

    Youcanprint Self-Publishing

    Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

    © 2018 Anna Maria Pusceddu

    email: http://www.catnipdesign.it

    Elaborazione immagini © bigstockphoto.com | conrado, MicroOne

    Editore: Youcanprint Self-Publishing

    Titolo | L’altra metà di Lei – L’intrusa

    Autore | Anna Maria Pusceddu

    ISBN | 9788827852927

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Facebook: facebook.com/youcanprint.it

    Twitter: twitter.com/youcanprintit

    Romanzo

    A Paolo D.

    per avermi afferrato

    la mano sull’orlo di un precipizio,

    con tutto l’Amore che posso,

    in questa complicata vita.

    Ci è più di conforto ritenere che siamo una

    piccola evoluzione della scimmia,

    che un tale decadimento

    degli angeli

    (O. Hophan)

    1 - Sospetti

    Un urlo lacerante si levò alto nel cielo. Ci voltammo all’unisono verso il castello. Seguì uno schianto e André mi spinse sino alla riva senza parlare.

    Ero andata sulla spiaggia dopo che avevo trovato un suo biglietto sul letto, diceva solo: Raggiungimi, usa il passaggio segreto.

    Erano passate due settimane dalla sera della festa data in onore dei suoi genitori. Due settimane che mi erano sembrate due anni. Mi aveva ignorato del tutto, spingendomi a credere che avesse davvero fatto una scelta definitiva e che non volesse più vedermi nonostante tutto quello che avevamo condiviso.

    Ripercorremmo il passaggio segreto al contrario e arrivammo nel salone. Eravamo fradici e per la fretta avevo dimenticato la coperta e la bottiglia vuota sulla spiaggia.

    Trovammo lo scompiglio. Molti erano usciti per vedere che cosa fosse successo. Li raggiungemmo. Un uomo aveva visto una donna cadere oltre il ponte.

    Decine di curiosi si assieparono proprio lì, con il corpo inclinato a guardare di sotto, il duca in testa. Cercava di calmare i suoi ospiti come meglio poteva. Era già l’una di notte ed erano tutti piuttosto alticci.

    Ci sporgemmo anche noi: il corpo di una donna giaceva scomposto sulle scale al di sotto. Tutti si chiedevano chi fosse. Ci guardammo attorno frastornati, cercando i volti a noi più familiari.

    La polizia arrivò quasi subito e si sincerò che nessuno avesse lasciato la festa in maschera, facendo una sorta di appello e prendendo nota di chi si era allontanato e quando. Sarebbe stata una lunga notte!

    Tremavo per il freddo. Non mi ero potuta cambiare e nemmeno André. Stranamente quasi nessuno fece caso al nostro aspetto. Come la prima volta lui aveva avuto l’insana idea di fare un bel bagno di notte, come se questo avrebbe potuto riportare indietro le lancette dell’orologio e far ricominciare tutto da capo.

    Mi sedetti sul divano di pelle. La signora accanto si scansò riluttante e attesi il mio turno.

    «Lei è Giulia Ricci, suppongo! La scrittrice...» sottolineò l’ispettore Green, come se non fosse abbastanza chiaro che sapesse benissimo chi fossi. Fin dal suo arrivo si era aggirato ovunque come un grosso segugio!

    Era un omone di mezza età, paffuto, pieno di lentiggini, con i capelli ricci color rame e una barba così rada e incolta da far invidia ad un adolescente. I suoi occhi intelligenti mi scrutarono da capo a piedi per qualche secondo, prima di proseguire: «Dov’era al momento del decesso della povera vittima?».

    Si esprimeva in modo originale e dovetti reprimere un sorriso. Mi ricomposi all’istante e risposi un po’ indecisa: «Ero, beh, ero...».

    Osservai Marie che era ricomparsa alle spalle del padre. Il suo sguardo non prometteva niente di buono.

    «Era con me!» disse André facendosi avanti.

    L’ispettore lo scrutò con curiosità evidente e trascrisse qualcosa sul taccuino che aveva tra le mani. Lo sguardo di Marie era lucido e freddo come quello di un assassino.

    Deglutii nervosa, in quelle due settimane mi ero convinta che avesse veramente avvelenato il mio cibo. Questa certezza però non mi aveva fermato dal rivedere il suo futuro sposo in gran segreto.

    «Lei è?» chiese professionale.

    «André Clément.»

    «E fa?»

    «L’attore.»

    «Certo! Allora, signor Clément, che cosa stavate facendo, lei e la signorina Ricci, mentre la povera signora cadeva oltre il ponte?»

    Tralasciò di dire il nome della povera signora, anche perché non sapevano ancora chi fosse. Sembrava essere uscita dal nulla. Forse un’imbucata.

    «Stavamo facendo un bagno», ammise sincero.

    «Un bagno...» ripeté dubbioso, annotandolo prontamente sul taccuino. «Visto il periodo, siete decisamente coraggiosi!» e guardò i nostri vestiti fradici.

    Tutti gli sguardi erano puntati su di noi. Potei leggere nei loro occhi i commenti sarcastici e abbassai il volto visibilmente imbarazzata. Non osavo nemmeno incrociare lo sguardo di Marie, ero certa che stavolta mi avrebbe ucciso davanti a tutti con le sue stesse mani.

    «Com’era l’acqua?» si informò ironico.

    «Gelida nonostante avessi azionato le pompe di calore» ammise André, «ma avevamo bevuto abbastanza da sopportarla!».

    «Immagino che lei e la signorina siate...»

    «Amici!» finii andando in suo soccorso. «Solo amici! Ho scordato una coperta e una bottiglia sulla spiaggia. Se voleste andare a controllare...»

    «Lo so, i miei uomini le hanno già trovate» e aggiunse lesto: «Immagino che da laggiù abbiate avuto una buona visuale del ponte».

    «No, eravamo sulla piccola spiaggia che c’è dopo la grotta, da lì il ponte non si vede», disse André accigliato.

    L’ispettore doveva saperlo benissimo, visto che i suoi uomini avevano trovato ciò che io avevo dimenticato. Ebbi il sospetto che quell’ultima domanda fosse stato un inutile tentativo per farci cadere in contraddizione.

    «Avete sentito le urla?»

    «Sì, un solo urlo!» dicemmo in coro.

    «Un urlo spaventoso e prolungato!» aggiunsi trasalendo. «E poi subito dopo ho sentito come un guaito, o qualcosa di simile, ma non ne sono sicura.»

    Guardai André per averne conferma. Annuì.

    «Sì, è vero, adesso che ci penso... l’ho sentito anch’io».

    L’uomo prese ancora nota, molleggiandosi sulle gambe: «Avete sentito anche lo schianto?».

    «Sì!» dicemmo sempre in coro.

    «Dopo quanto tempo?»

    Ci riflettei su prima di dare la risposta ma André fu più veloce: «Cinque... cinque secondi!» ripeté con convinzione.

    «Bene, bene, bene... penso che per ora possa bastare. A proposito, è bello il suo vestito, signorina Ricci.»

    «Grazie...» bofonchiai titubante, trovando l’osservazione poco pertinente.

    «L’ha comprato qui da noi?»

    «Sì», ammisi con un sorriso incerto, mentre non smetteva di scrutarlo pensieroso, la mente persa chissà dove.

    «Può essersi trattato di un incidente?» si intromise il duca «Oggi abbiamo bevuto tutti un po’ più del lecito, quella donna potrebbe essere uscita per prendere una boccata d’aria, essersi sporta troppo per guardare il mare ed essere scivolata giù».

    «Ne dubito...» rispose l’ispettore ridestandosi, «il suo corpo era rivolto con le spalle al muro, ed è caduta all’interno del cortile. Se fosse come lei dice, l’avremmo trovata sulle rocce della spiaggia, e non sulle scale. Inoltre è caduta cinque secondi dopo aver urlato. Sono un po’ troppi! Qualcosa o qualcuno deve averla spaventata...»

    «Non penserà a un omicidio?!»

    «Sì e... no! Avete dei cani in giro? Fuori ho notato una grossa cuccia vuota...» chiese scrutando intorno con attenzione.

    «Sì!» ammise il duca «È del mio cane. Perché?».

    «Perché sul corpo della vittima ci sono evidenti segni di morsi, la signorina Ricci e il signor Clément hanno sentito un guaito e qualcuno dei suoi ospiti giura di aver visto un grosso cane lupo aggirarsi lungo il ponte.»

    Trasalirono tutti pensando all’orribile cane del duca. Poteva esserne capace?

    Pensai di sì, del resto era molto aggressivo con tutti, e con me in particolare, aveva già tentato di mordermi!

    L’attenzione dell’ispettore si focalizzò adesso sul duca.

    «Ora dov’è?» chiese sospettoso.

    «Dov’è chi?»

    «Il suo cane! Dov’è?»

    «L’ho portato via prima che iniziasse la festa.»

    «Portato dove?» insistette, pronto a prendere nota dell’informazione.

    «È nelle stalle, ben legato alla catena.»

    «Controlleremo subito.»

    Fece un cenno a uno dei suoi uomini, che si avvicinò rapidamente. Lo spedì subito nelle stalle intimandogli di stare attento.

    «Lei invece dov’era?» chiese grattandosi la testa.

    «Nel salone, intrattenevo i miei ospiti».

    Era vero, l’avevano visto tutti poco prima che il fatto accadesse. Ero proprio curiosa di sapere quale fosse invece l’alibi di Marie. Entrati nel salone, né io, né André, l’avevamo notata. E non c’era neanche tra la folla che si era accalcata curiosa sul ponte, un attimo dopo.

    «La signorina è?» stava giusto chiedendo l’ispettore.

    «Marie, Marie Prevert.»

    «Prevert?» ripeté lui dubbioso.

    «Sì, sono la figlia del duca» precisò.

    L’uomo si grattò di nuovo la testa e aggiunse: «Il suo cognome...»

    «Ho preferito mantenere quello di mia madre. Lei capisce, il cognome di mio padre è un po’ ingombrante e una giovane ereditiera fa gola a molti...» e si voltò verso André.

    «Sì, certo, capisco. Ad ogni modo dov’era quando il fatto è accaduto?»

    «Temo di non poterlo dire in pubblico. Mi spiace.»

    «Temo che sarà costretta a farlo!» ribadì secco, senza farsi incantare dal suo sorriso radioso.

    La guardò con le sopracciglia alzate, mentre tutti gli ospiti trattenevano il respiro e il padre sorseggiava inquieto del liquore d’annata.

    Marie non lo degnò di uno sguardo, osservava con attenzione un punto preciso della sala, in direzione del caminetto davanti a cui ero ferma.

    Per un attimo pensai che l’oggetto del suo interesse fossi io, fino a quando, voltandomi, non intercettai lo sguardo lucido di Brian. Se ne stava appoggiato alla mensola del camino, con un’espressione quasi divertita.

    Appoggiò il suo bicchiere e si fece avanti spavaldo: «La signorina Prevert era con me, vostro onore, lo giuro!» disse spudorato, mettendo la mano destra sul cuore.

    «Dove, precisamente?» gli chiese l’ispettore, mentre Marie lo fulminava con lo stesso sguardo, cercando di mantenere un contegno nonostante l’evidente disagio. Sembrava preoccupata per ciò che Brian avrebbe potuto dire.

    «Nella mia stanza. Dove se no?!» disse, rivolgendo un sorriso irritante ad André.

    Osservai la sua espressione, non sembrava che la cosa lo disturbasse granché, anzi, pareva sollevato.

    Anche l’ispettore scrutò la sua reazione.

    André mi guardò sollevando il bicchiere. Aveva ripreso a bere.

    «Signorina Prevert, è così? Era in compagnia del signor...» schioccò le dita e osservò il taccuino, non ne ricordava il cognome.

    «Collins! C-o-l-l-i-n-s», scandì piano Brian, sbeffeggiandolo.

    «Trova questa situazione divertente, signor Collins?»

    Il viso paonazzo dell’ispettore divenne molto serio.

    «No, mi scusi.»

    «Allora signorina Prevert, era o no, con il signor Collins?» chiese con un tono di voce decisamente più autorevole.

    «Sì, ma non ero da sola» disse lei tra i denti, «lo chieda a Ebe Taylor».

    Agli occhi degli ospiti, la situazione si faceva sempre più misera ed evidente: addirittura un gioco a tre! Capirai che novità.

    Ebe lasciò il suo posto e la raggiunse con la sigaretta in mano. «È vero...» ammise candida, «c’ero anch’io!».

    L’ispettore Green prese nota, poi chiese: «Qualcuno vi ha visto entrare nella stanza del signor Collins?».

    «Sì, io!» disse lesto Nat.

    «Bene, bene, bene...»

    Lo ripeteva sempre tre volte e si capiva che voleva dire tutt’altro. Era molto irritante e, più che incoraggiare a rispondere, induceva a stare zitti.

    «Che cosa stavate facendo tutti e tre...»

    «Quattro!» ammise con pudore Nat.

    «Allora...» riprese ostinato, «che cosa stavate facendo, tutti e quattro» rimarcò, «nella stanza del signor Collins?».

    Nat si avvicinò al suo orecchio e sussurrò qualcosa.

    Un’aria di disappunto attraversò il viso pasciuto dell’ispettore, per poi svanire nel giro di qualche secondo.

    «Capisco!» disse asciutto, lasciando il pubblico curioso, senza alcuna risposta.

    Il suo cercapersone squillò e si allontanò di pochi passi per rispondere. Lo vedemmo annuire preoccupato.

    «Cercatelo ovunque e state attenti, potrebbe essere pericoloso!» disse prima di chiudere quella breve conversazione.

    Si avvicinò al duca. «Pare che il suo cane sia scappato. I miei uomini hanno trovato la catena spezzata.»

    Un’ombra cupa calò sul viso del duca ma non disse niente. Sorseggiò piano dal bicchiere e scrollò le spalle con apparente disinteresse.

    Poi l’ispettore tornò a Nat: «Un’altra cosa signor Fisher... voi quattro siete rimasti dentro quella stanza per tutta la sera?».

    Nat ci pensò su un attimo. «No, dopo poco la signorina Prevert è andata via.»

    «Prima o dopo, il tragico fatto?»

    «Prima» ammise, storcendo la bocca e guardandola con uno sguardo carico di scuse.

    «Non ero molto interessata al vostro passatempo!» disse lei con un sorriso sardonico.

    «Dov’è andata?»

    «Ho fatto una passeggiata nei dintorni. Sono tornata da poco.»

    «L’ha vista qualcuno?»

    «No, non penso.»

    Chiese dell’allontanamento di Marie anche a Ebe e Brian. Non poterono che confermare e prese nota dell’orario.

    «Sono accusata di qualcosa?» brontolò per niente nervosa.

    «No, signorina, nessuno è ancora accusato di niente. Verificheremo tutto e tutti in separata sede...»

    Annuì pensieroso inseguendo certi suoi pensieri e lasciò cadere l’argomento, ma come promesso, non andò via finché non ebbe annotato il numero di telefono e l’indirizzo di ognuno di noi.

    Promise che avremmo saputo di più dopo che il medico legale avesse eseguito l’autopsia. Per il momento la zona dell’incidente fu delimitata con nastri che ne proibivano l’accesso. L’ispettore si allontanò lasciando che i suoi uomini perquisissero tutto il castello.

    Ogni stanza sarebbe stata messa a soqquadro e il mio pensiero volò subito alla piccola scorta residua di farmaci che avevo nascosto un po’ ovunque e alla mia lista, celata in un cassetto della stanza del duca, che poteva apparire decisamente molto strana.

    La maggior parte di noi passò il resto del tempo nell’ampio salone, sorvegliato a vista da uomini in divisa. Del resto era morta una donna e nessuno sapeva ancora come fosse accaduto. L’assassino, se ce n’era uno, poteva essere ancora tra noi.

    Il mio pensiero andò inevitabilmente all’uomo ombra che avevo inseguito dentro il labirinto più di due settimane prima.

    Vero o fasullo che fosse stato, avrei dovuto parlarne all’ispettore?

    Qualcosa mi suggeriva che sarei passata per una pazza e questo non avrebbe aiutato nessuno, anzi, avrebbe solo peggiorato la situazione.

    Decisi che avrei tenuto per me quella e tutte le altre visioni poco chiare, almeno fino a quando il mio silenzio non avesse sortito più disagi che benefici.

    2 - La perdita

    La mattina seguente non iniziò per niente bene, le indagini erano proseguite per tutta la notte, non avevamo chiuso occhio e i pochi che dormivano, sparsi qua e là per il salone, furono svegliati all’alba da uno sparo assordante. Il duca era in piedi, fermo nel cortile, il braccio lungo davanti a sé con una pistola in mano, e aveva sparato un colpo dritto in testa al suo cane.

    Avevo visto tutto dalla finestra della mia stanza, una delle prime a essere state perquisite. La scena era stata agghiacciante. Il cane era ricomparso all’improvviso dal nulla e nessuno sapeva dove fosse stato per tutte quelle ore.

    Scesi di sotto ancora in pigiama e lo affrontai proprio mentre si chiudeva la porta di entrata alle spalle, con la pistola fumante in mano. La squadra di poliziotti, che aveva lavorato durante la notte a stretto contatto con la scientifica, era andata via da pochi minuti e quella che doveva sostituirla non era ancora arrivata.

    «Perché l’ha fatto?» chiesi con rabbia.

    «Perché andava fatto!» rispose secco.

    «Che razza di risposta è? Non ci sono prove che sia stato lui ad aver ucciso quella donna!»

    «L’avrebbero portato via comunque. Ha visto il suo temperamento aggressivo. Gli ho risparmiato un’orribile fine.»

    «Se avesse davvero voluto salvarlo, avrebbe potuto educarlo come si conviene! Non le pare?»

    «Non si impicci signorina Ricci, non oggi. E poi non era il suo cane!»

    Mi superò e urtò volontariamente contro la mia spalla. Mi sentii esplodere.

    Eravamo tutti sotto pressione ed io più degli altri: quell’incidente aveva interrotto il mio momento con André, lasciando tutto in sospeso!

    Forse non avrei mai saputo il vero motivo di quell’appuntamento segreto in spiaggia.

    Già subito dopo l’interrogatorio dell’ispettore aveva ricominciato a ignorarmi proprio come nelle settimane successive alla festa dei suoi.

    In quei giorni avevo ricominciato a bere per lenire i dolori alla testa, sperando che servisse anche a non pensare.

    Non aveva funzionato.

    Anche se cercavo di non darlo a vedere, non stavo affatto bene. I farmaci funzionavano sempre meno. Il mio umore era sempre più nero e sbottai: «È così che si libera delle cose scomode?».

    Si girò furioso, avvicinò il suo viso al mio, ringhiò e mi mostrò i denti.

    Non potei crederci: erano del tutto simili a quelli del suo cane!

    Indietreggiai spaventata, ma subito dopo mi riavvicinai per osservare meglio la sua dentatura. Sicuramente era stata una delle mie allucinazioni.

    «Papà!» sentii alle sue spalle.

    Marie stava in piedi sulle scale, con André al suo fianco.

    Mi guardarono per un istante, fermi come statue di sale, gli occhi sgranati e lucidi, quasi febbricitanti, sembravano avessero visto il diavolo.

    «Che c’è?» chiesi stupita.

    «Niente...» si affrettò a dire Ebe, che sopraggiungeva buttandosi letteralmente giù dalle scale «Stai solo sanguinando dal naso!».

    Me lo tamponò con un fazzolettino comparso dal nulla e mi spinse svelta verso il divano.

    Quando mi voltai, erano spariti tutti e tre.

    ***

    La nuova squadra arrivò, videro il cane in cortile e, dopo aver avvisato l’ispettore con una breve telefonata, caricarono l’animale nel furgone e lo portarono via per analizzarlo.

    La pistola con cui era stato ucciso risultò regolarmente denunciata e il duca giustificò quel gesto, ammettendo di aver fatto solo il suo dovere di cittadino scrupoloso: la donna aveva dei morsi sul corpo, era chiaro che lì fosse presente anche quella bestiaccia pericolosa che era sparita subito dopo il fatto, quindi ucciderla immediatamente era stata per lui la giusta azione da compiere.

    Tutto ciò che un uomo non poteva educare, andava rimosso!

    ***

    Dieci giorni dopo, seppur con gli animi ancora scossi, Nat decise di ricominciare le riprese. Le indagini proseguivano a pieno ritmo e l’interno del castello era stato dichiarato di nuovo agibile, potevamo andare e venire liberamente.

    Eravamo stati invitati a fornire spontaneamente le nostre impronte digitali e dentali, insieme a un campione di saliva per il riscontro del DNA. Gli inquirenti propendevano quasi sicuramente per l’omicidio. Seppur riluttanti, nessuno si tirò indietro. Ci spiegarono che era la prassi in un caso del genere.

    Con mia grande sorpresa, Nat mi chiese di essere più presente sul set, il ricordo dell’incidente accorso ad André era ormai sbiadito.

    Aiutavo gli attori a calarsi nella parte come meglio potevo. Del resto ero lì per questo, per assicurarmi che il mio romanzo non venisse stravolto. Non lo aveva fatto ancora nessuno, tranne quel tragico evento. Cercavamo di non parlarne troppo e ci imponemmo di non farci contagiare dalla paura. A cosa sarebbe servito?

    Lasciammo che le autorità competenti svolgessero al meglio il loro compito senza essere di intralcio in alcun modo. Tutti coloro che lavoravano alla produzione avevano bisogno di tranquillità, altrimenti il risultato di quel lungo lavoro sarebbe stato compromesso.

    Durante quei lunghi giorni, avevo cercato di mettermi in contatto con Lisa senza successo, poi ricevetti finalmente una sua telefonata. Risposi sollevata, ma la voce che sentii dall’altra parte fu una vera sorpresa. Non era di Lisa ma di Kameron Lee. Mi salutò con affetto dicendomi che erano in apprensione per ciò che era successo. Avevano appreso la notizia in ritardo, seguendo per caso un notiziario televisivo. Se avessero risposto al telefono, li avrei informati di persona, pensai con un certo fastidio.

    Quando mi chiese i particolari, risposi che non potevo parlarne. L’ispettore era stato chiaro su quel punto: le indagini erano ancora in corso e le fughe di notizie non erano ammesse. I giornalisti si accalcavano fuori dal castello come un branco di lupi famelici. Per quanto ne sapevo anche i nostri telefoni potevano essere sotto controllo.

    Lo lasciai parlare dando risposte vaghe anche sul mio stato di salute, sperando che non scendesse nei dettagli e cambiasse discorso. Avevo ascoltato la sua voce con riluttanza, quando invece avrei voluto sentire subito quella della mia amica. Lo interruppi chiedendogli di passarmela.

    Perché mai mi aveva chiamato dal telefono di Lisa? Pensava forse che vedendo il suo numero non avrei risposto?

    Fece passare alcuni secondi, poi si schiarì la voce e in imbarazzo mi rivelò che Lisa non voleva più né vedermi, né sentirmi. Non riusciva ad affrontare l’idea della mia morte imminente e per il momento preferiva staccarsi un po’, per riuscire a gestire il dolore che le procuravo.

    Faticai a crederci. Quel comportamento assurdo non era da lei.

    Insistetti perché me la passasse, anzi, in verità urlai come una pazza furiosa e finalmente venne al telefono.

    Disse solo: «È meglio per entrambe!» poi riattaccò senza darmi il tempo di controbattere.

    Più tardi, ripensando a tutto il suo comportamento, mi persuasi del fatto che non mi avesse mai perdonato di non essermi sottoposta a nessuna cura durante quei mesi e di non aver dato modo al suo caro ragazzo, di aprirmi la testa e guardarci dentro con particolare attenzione.

    Se l’avesse fatto, dentro ci avrebbe trovato solo il mio immenso amore per quella che fino a qualche tempo prima avevo considerato l’unica persona per cui avrei potuto prendere seriamente in considerazione quell’opportunità, se solo avessi nutrito una qualche speranza di non dipendere, una volta aperti gli occhi, e semmai li avessi aperti, da lei, da altri, o semplicemente da un cazzo di macchinario!

    ***

    Iniziammo a spostarci da un set all’altro e quando potevamo, se le distanze non erano eccessive, tornavamo al castello per la notte.

    La competizione tra Brian e André era sempre molto forte.

    Erano entrambi degli ottimi attori, ma ormai era chiaro a tutti, che André avesse una marcia in più. Gli riusciva tutto facile, rifiutando persino la controfigura nelle scene più pericolose.

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