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Mário de Sá-Carneiro. L’ambiguità di un suicidio
Mário de Sá-Carneiro. L’ambiguità di un suicidio
Mário de Sá-Carneiro. L’ambiguità di un suicidio
E-book188 pagine2 ore

Mário de Sá-Carneiro. L’ambiguità di un suicidio

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Info su questo ebook

Il romanzo si apre con una lettera di incarico per il libraio-detective David Mondine, al quale il signor Craston di Londra, su richiesta di Fernando Pessoa, chiede di indagare sulla morte del giovane poeta portoghese Mário de Sá-Carneiro suicidatosi, a ventisei anni a Parigi, all’hotel De Nice, indossando il frac e ingerendo un flacone di stricnina; morte in un certo senso più letteraria dopo aver meditato di gettarsi sotto il metrò. Il signor Craston puntualizza che sebbene Pessoa, intimo amico e corrispondente di Sá-Carneiro, abbia ricevuto una lettera in cui gli era preannunciato tale suicidio, desidera una accurata indagine su quanto scritto da Mário e la certezza che null’altro a parte ciò che indicato nella missiva sia stata la reale causa della sua prematura scomparsa.
David Mondine lascia dunque l’Italia e si imbarca per Lisbona da dove raggiungerà in un secondo momento Parigi. Attraverso il colloquio con alcuni conoscenti e amici di Mário, Mondine riuscirà a farsene il ritratto di un giovane grasso, goffo, timido e solitario, profondamente a disagio nel mondo in cui viveva. Parigi diviene l’esilio dorato scelto dal poeta, l’affascinante sirena di cui subisce il fascino e in cui si perde; scrive i suoi versi ai tavolini dei caffè del Boulebard Des Italiens e di Place de l’Opéra, immerso nella folla della capitale, nel centro esatto di tutte le nuove correnti artistiche e letterarie del primo Novecento; captando con la sua sensibilità ogni tipo di stimolo e intanto allevando dentro di sé la sua depressione. E scrive, lettere e versi, le lettere al suo amico Fernando Pessoa e quei versi che manderà sempre a lui prima di suicidarsi, quasi come lascito e, sicuramente, come segno di riconoscimento spirituale.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2018
ISBN9788832922332
Mário de Sá-Carneiro. L’ambiguità di un suicidio

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    Anteprima del libro

    Mário de Sá-Carneiro. L’ambiguità di un suicidio - Giuseppe Cafiero

    10.

    Prolegomeno

    Henderson & Craston

    Detective Agency

    21, Osnaburg Str., Regent’s Park

    London, England

    Mr. David Mondine

    Antiquarian Bookshop Schimpff

    Via Cappellari, 20

    Rome, Italy

    30 giugno 1916

    Dear Mr. David Mondine,

    la credevamo perso in un mare senza confini. Mi riferirono che, forse, si era imbarcato impunemente su un bastimento dal pessimo aspetto e alquanto infido. Difficile dunque che potesse tenere un mare ostico e becero. Parve a tutti coloro che ebbero la ventura di frequentarla che, al momento, ella vagava con la mente persa in orizzonti che sembravano aprirsi ad altre avventure investigative.

    Sognava intraprendenti viaggi senza precludersi orizzonti? Forse la determinazione di una fuga era il segno di una fantasia che preconizzava appaganti paradigmi. Indubbiamente ghirigori mentali cui bisogna affidarsi nell’ambiguità di un’umana volontà.

    Non ho ritenuto plausibile, ad esempio, che lei potesse essersi lasciato trascinare da racconti in taverne del porto fra ubriacature croniche. Un bicchiere tira l’altro. Slivovitz o cosa? Pastoso sapore e bianca trasparenza. Anche profumo. Prugne selvatiche e alcol sino al settanta percento. Vecchio e sconsiderato vizio dei popoli balcanici. A noi tocca il malto: il sacro malto, anche whisky talora in onore di re Giorgio V con brindisi a volontà. Nei club esclusivi, certamente non in bettole portuali. Al Caledonian, o al Colonial Club, o anche al Thatched House, o persino al Wellington. Proprio nel cuore di Londra mentre lei se ne sarebbe potuto andare ramengo da ubriaco incosciente rammentando trascorse schiavitù e fantasticando su un suo prossimo incarico.

    Rovistare fra panni lerci? Muta aspirazione di avvinazzati miscredenti. E l’immaginazione avrà avuto qualche incresciosa responsabilità o lei si sarebbe dovuto consegnare impunemente alle inverosimili fantasticherie del proprio bisogno. In vero erano soltanto fregole di melanconiche necessità pecuniarie.

    Intanto Trieste è divenuta la sentinella del Mediterraneo. Porto asburgico, però. Per la SMS Erzherzog Ferdinand Max e la SMS Erzherzog Friedrich: vero? Motore verticale a tripla espansione, quattro cilindri, 14508 di t. di cilindrata, cannoni da 4x24 centimetri. Triplice Alleanza, ecco! Faccende di solerte e incauto intrigo. Il tempo aveva avuto ragione dell’incoerenza. Accadde ciò che doveva accadere. Mi sembrerebbe lecito e opportuno, a tal riguardo, ricordare il giovane serbo Gavrilo Princip che diede fuoco alle polveri uccidendo, con baldanza inusitata e volontà giovanile, quel tal arciduca Francesco Ferdinando Carlo Luigi Giuseppe d’Austria-Este e la moglie morganatica Sophie Maria Josephine Albina Chotek von Chotkowa und Wognin, Fürstin von Hohenberg e Herzogin von Hohenberg che si apprestavano a insediarsi sul trono Austro-Ungarico. La splendida Gräf & Stift scoperta procedeva lentamente all’angolo tra la riva Appel e il Latinska Cuprija, a Serajevo.

    Ben considerando non è stato poi un gesto così scriteriato se quel tal arciduca si compiaceva, con impassibile snobismo, di potere esibire nomi e patronimici così altisonanti da lasciar intendere che assommava in sé una nobiltà unica. Nelle sue vene, a sentirlo sentenziare, scorreva il sangue blu di centododici famiglie aristocratiche.

    Fu quanto mai atroce assistere, in seguito, all’occupazione della Serbia da parte dell’esercito del feldmaresciallo August von Mackensen per cancellare l’onta di quell’omicidio e rimuovere ogni ingerenza serba in Bosnia. Annettere, anche, territori a spregio di trattati e delle volontà di altre potenze. Dapprima ritenemmo, noi inglesi, di reiterare contro il nemico il sistema dei due blocchi: continentale e marittimo. Pensammo soprattutto di ingaggiare accurate battaglie navali perché credevamo di essere i re dei mari. Incontrovertibile potenza. Ma il Kaiser allestì ben presto quattro dreadnoughts. Corazzate monocalibro. Cannoni da dodici libbre, torri binate e motori a turbina a vapore.

    Da allora accadde l’irreparabile.

    Si disertò definitivamente la pace. Profughi atterriti cedevano suoli patri. Siluramenti da terra e da mare. Anche guerre di trincee. Un’enclave di gente immolata ad antichi e profondi rancori. Le terre balcaniche, soprattutto. Pandemia guerresca. Mitragliatrici a centinaia di colpi al minuto. Gas tossici: cloro e fosgene. Fu così che ci si concesse la follia dei sogni perché nulla parve più salutare del dimenticare se stesso e gli altri in tali burrascosi frangenti? Dimenticare anche una professione? Non credo che sia possibile. Abilità innata. Non potevo perciò dimenticare i servigi che lei mi aveva reso con salutare efficienza e lodevoli uffici.

    Il suo fu un lavoro ben speso se ebbe il pregio e la solerte abilità di compiere esecrabili e ingrati esercizi pur di soddisfare auspicati desideri e severe disposizioni.

    Pedinare, con assoluta maestria professionale sino a stringere un’ingannevole e solidale amicizia, con quel tal James Joyce, scrittore dublinese, che, abbandonata Trieste, se n’era andato a Roma per saldare conti con Santa Romana Chiesa. Era il 1906, ricorda? Ora, nell’anno di grazia 1916, si è riconciliato con se stesso?

    In questi dieci anni uffici talora scellerati e vicende spesso esecrabili mi hanno travolto e hanno segnato il mio Paese, ferito spesso le nostre genti, sconvolto inesorabilmente le nostre menti. Personalmente ho trascorso questi anni e trascorro tutt’oggi l’esistenza in una placida indifferenza tirando a investigare per offrire, in tacita esclusiva, diligenti servigi al Secret Service Bureau dal mio ufficio di Osnaburg Street.

    A quel che so anche dalle sue parti sono accadute vicende inopportune sicché è per tale motivo, io credo, che lei ha fatta sua la determinazione di ritirarsi dalle banchine di un mare che costeggiava la sua città per andare in volontario esilio.

    Ha scantonato, con giudizio, una guerra iniqua giacché viveva poco distante dallo Stabilimento Tecnico Triestino e il cantiere San Marco dove sono state varate la corazzata Viribus Unitis acciaio al nickel cromo di corazzatura con dodici cannoni Škoda da 305/45 millimetri e dodici da 150/45 millimetri, diciotto cannoni da settanta millimetri, due mitragliatrici da quarantasette millimetri e quattro tubi lanciasiluri da cinquecentotrentatré millimetri, la corazzata Radetzky due motrici alternative verticali a triplice espansione, dodici caldaie Yarrow, due eliche e una potenza di ventimila HP, trentotto cannoni Škoda di diversi millimetri e l’incrociatore leggero Sankt Georg da venti pezzi singoli di diversi millimetri e di canna da quaranta o quarantacinque calibri, due pezzi da sbarco da settanta millimetri, due mitragliere da otto millimetri, due tubi lanciasiluri Fiume Mk 2 da quattrocentocinquanta millimetri. Orribili macchine belligeranti.

    Sono notizie certe offertemi dal Secret Service Bureau.

    Non si dovrà, dunque, stupire molto se io sia venuto, così, a conoscenza del suo allontanamento dalla città di San Giusto e dell’essersi stabilito nella città di Roma che lei aveva frequentata e conosciuta a menadito nel seguire, per mio conto, le tracce di quel James Joyce. Il suo fu, a quel tempo, un solerte impegno per soddisfare esigenze di quel tale editore che rispondeva al nome di Grant Richards. Accadde ciò, è vero, in un passato lontano ma ho avuto grande conforto nel ricordare proprio quel passato sfogliando un rendiconto, più o meno dettagliato e veritiero, che lei mi aveva inviato.

    Un rifugio tranquillo il suo, in una città ben regolata in spirito e ordinamento, vivendo fra l’altro fra amati libri e commerciare con essi avendo ripreso insomma l’antico mestiere di libraio che aveva già esercitato a Trieste presso la libreria F. H. Schimpff in piazza della Borsa. Se non ricordo male.

    Sono stato dunque molto rasserenato per averla rintracciata. Veniamo all’oggi e alla ragione per cui le scrivo.

    Avrei impellente necessità che lei torni per qualche tempo alla sua trascorsa attività d’investigatore.

    Ho necessità, al momento, del suo prezioso aiuto, che verrà, com’è mia prassi, ben rimunerato.

    Le racconto di seguito il perché e il come.

    Mi è giunta invocante richiesta perché offra soccorso e sostegno a tale Fernando António Nogueira Pessoa, scrittore poco noto e di cittadinanza portoghese, che ha avuto la sventura di perdere a Parigi, mesi addietro, in aprile per l’esattezza, in un infausto incidente e, mi si dice, in circostanze poco chiare, un suo carissimo amico, che rispondeva al nome Mário de Sá-Carneiro, poeta, drammaturgo e scrittore e figlio del comandante Carlos Augusto de Sá-Carneiro, attualmente direttore del porto e delle ferrovie di Lourenço Marques, nel Mazambico.

    Occorrerebbe indagare su questo infausto accadimento per placare l’animo sconsolato di questo Pessoa che è uomo afflitto da maniacali disturbi di obliqua spersonalizzazione. Ha evitato ed evita, infatti, di dare sfogo alla propria tristezza ma, nell’animo, a sentire i suoi amici e conoscenti più intimi che sembrano vivere in un mondo alquanto fittizio, brama conoscere la verità sulla morte di Mário de Sá-Carneiro. Non ottenere notizie certe sulle circostanze e condizioni in cui è accaduta quella infausta disgrazia, ma sapere se è stata eseguita un’indagine accurata e si è giunti a una verità incontrovertibile.

    Pessoa è un uomo di tale struggente e ingarbugliata sensibilità che, in una follia gestita in modo assai personale assistendo appagato, mi si dice (cosa cui, in vero, non credo affatto) alla proliferazione della propria personalità, si compiace di vivere in un’ambigua incoerenza e in un’indeterminatezza della realtà che lo vede partecipe di più personalità senza che egli, così mi si dice, abbia coscienza di singulti d’irragionevolezza. Le sembra ciò possibile? Si è inventato, secondo infauste maldicenze cui non è opportuno dare ascolto, addirittura amici partoriti dalla propria intimità, compagni di spirito con proprie e singolari personalità. Di ciò le fornirò acconci particolari più avanti certamente per smentire voci così calunniose e per offrirle un rendiconto più appropriato.

    Questo Pessoa va inoltre affermando che il tedio non è la malattia della noia di non aver nulla da fare, ma una malattia più grave: sentire che non vale la pena di fare niente. Sovente, poi, egli, così mi è stato riferito, è preso da una frenetica volontà di volere essere rinchiuso in una casa di cura perché avverte di essere preda di una furente psicastenia per cui la nevrastenia soggioga l’isteria sicché egli riesce a dominare assai bene ogni escandescenza con cui l’isteria potrebbe manifestarsi frenetica ed esaltata. Del resto avverte, sovente e senza che ne abbia dapprima sintomi evidenti, una certa e indecifrabile abulia come pure la sensazione di disturbo bipolare sicché tale sindrome s’impossessa del suo vivere ed egli è costretto a condividere specularmente (almeno è ciò che mi è stato notificato ma il cui significato mi è assai ostico) con persone o personaggi al di fuori dell’ io, degli alter insomma che hanno una propria esistenza e conducono una vita che si intreccia, subdolamente e in modo inquietante, con la sua. Forse lei comprenderà meglio di me tali oblique tendenze che non sono spiegate in modo chiaro e comprensibile in nessun testo di medicina da me consultato.

    Amici forse, amici necessari si mormora ancora in giro con sprezzanti risolini, perché altrimenti questo tal Pessoa non avrebbe possibilità alcuna di contenere impietosi disturbi e occorrenti necessità che lo affliggono. Molto strano non le pare? Sembra inoltre che questo tal Pessoa ami esibire, attraverso questi avventurosi e indecifrabili amici, conoscenze diverse, filosofiche e sintattiche, che sono assai utili al proprio equilibrio. A dirle il vero ho compreso ben poco tutto ciò: amici e altro cioè, avvertendo concitati dubbi su ciò che mi è stato riferito e di cui le faccio parte così come l’ho appreso perché lei possa meglio intendere ciò di cui deve occuparsi.

    Dal canto mio non ho altro da aggiungere: né commenti né particolari apostrofi riguardo ciò che sino a ora le ho scritto.

    L’ambiguità dei fatti, che hanno avuto la bontà di narrarmi e che riguardano Mário de Sá-Carneiro, mi appare sovente connotata da squilibranti specificità in un guazzabuglio di verità e non verità, di sanità e follia, di volontà assai determinate e abulie disordinante, confusioni mentali e inquietanti razionalità.

    A questo punto si chiederà come mi sono arrivate tali ingombranti notizie e l’invito a indagare in merito all’incidente che ha colpito a morte quel tal Mário de Sá-Carneiro a Parigi.

    Un mio vecchio e amabile conoscente, tal dottor Abílio Fernandes Quaresma, che si diletta d’investigazioni e di quant’altro comporti la soluzione d’indecifrabili enigmi e di rompicapi assai complessi, anche matematici, mi ha scritto invitandomi ad assumere l’incarico in quanto egli è, al momento, impedito di farlo dedito com’è, se si è rinchiuso nel suo appartamento al terzo piano di Rua dos Fanqueiros tra i fumosi sigari Peraltas e le sbandate alcoliche, a risolvere, in una complessa e orgiastica sequela che cerca di sbrogliare con la sua feconda razionalità, una serie infinita di problemi scacchistici proposti da quel valente giocatore che risponde al nome di Akiba Rubinstein. La soluzione di tali problemi potrebbero consacrarlo a uomo dalla razionalità unica e quale abile risolutore degli enigmi più complessi.

    Inoltre il dottor Quaresma ha avuto soprattutto la riluttanza ad assumere in prima persona l’incarico poiché la vicinanza affettiva che lo lega, in modo anomalo e disinteressato, al poeta Pessoa non gli consentirebbe di essere sereno e disinteressato, come era il caso che fosse, nell’occuparsi di quel tal incidente.

    Credo, in vero, assai poco a tali banali giustificazioni. Sono piuttosto convinto di una sua congenita abulia nel dovere, scandagliando complessi legami e incontrando amici e conoscenti di quel tal Pessoa che appaiono talvolta irreali e, quindi, propensi a narrare verità incongrue, abbandonare riti e abitudini che gli rendono la vita accettabile non esistendo, per lui, altro impegno più esauriente che scoprire la realtà nella sua assolutezza e compensare questa sua ferrea volontà raziocinante con soddisfacenti bevute.

    Tuttavia si è detto ben disposto ad accompagnare l’investigatore, dunque lei se accetta l’incarico, qualora questi dovesse, per ragioni insite all’indagine, recarsi a Parigi. Non sarebbe però affatto interessato a visitare il luogo ove è morto Mário de Sá-Carneiro e incontrare coloro che gli sono stati vicino nei giorni precedenti l’infausto incidente, sostenendo ciò con inusitata caparbietà. Potrebbe accompagnarla di buona voglia purché abbia, intanto, a suo comodo la possibilità di trascorrere le giornate accomodato a un tavolino di un accorsato bistrot. Mi è parso fra l’altro assai ben disposto a incontrarla dopo ogni sopralluogo e dopo aver raccolto le dichiarazioni dei testimoni.

    Vi sarebbe in tal modo, mi è parso di capire, la possibilità di discutere delle indagini in corso, essere d’aiuto e suggerire il da farsi. Io credo insomma che il dottor Quaresma sia assai interessato a essere presente all’indagine sulla morte dell’amico Sá-Carneiro nel momento in cui tale indagine si svolge oltre i confini portoghesi e soprattutto in terra di Francia ove i

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