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Un amore perduto
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E-book367 pagine2 ore

Un amore perduto

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Info su questo ebook

Uno dei romanzi più intensi e straordinari dell'anno

Nell’estate del 1919, Ruby sta ancora piangendo la scomparsa di suo marito Bertie, uno dei tanti soldati inglesi morti nella Grande Guerra. I suoceri, affranti, le chiedono un ultimo favore: recarsi sui campi di battaglia in Belgio per scoprire dove riposa l’adorato figlio. Alice, una ragazza americana, è convinta che suo fratello Sam sia vivo. Lo sente. Ma poiché si è arruolato sotto falso nome, non ha più alcuna notizia di lui da quando è partito. Per questo abbandona la sua vita e il suo promesso sposo a Washington e salpa per l’Europa, decisa a trovare Sam. Martha ha rischiato tutto per arrivare in Belgio. È tedesca e sa che in quel Paese non troverà né comprensione né aiuto. Ma suo figlio si trova da qualche parte sul suolo belga e lei deve ritrovarlo per mantenere fede a una promessa fatta al marito. L’incontro di queste tre donne segnerà per sempre i loro destini, perché ciò che le unisce potrebbe essere molto più importante di qualsiasi differenza.

Il coraggio di tre donne alla ricerca della verità sugli uomini che amano

«Le conseguenze della guerra possono essere feroci. Questa storia delicata e profonda ne sottolinea gli aspetti positivi, senza ignorare la distruzione e il dolore di un conflitto mondiale.»
Daily Mail

«L’autrice ha saputo commuovermi, ma anche darmi una grande speranza.» 

«Bellissimo. Una meravigliosa storia sull’amore, la perdita e l’amicizia durante la guerra.»
Liz Trenow
Ha lavorato come giornalista per la radio e la TV, tra cui la BBC. È autrice finora di quattro romanzi, tradotti in diversi Paesi. Canta in due cori musicali, prediligendo il repertorio classico. Prima di Un amore perduto, la Newton Compton ha pubblicato Il mercante di seta.
LinguaItaliano
Data di uscita23 nov 2018
ISBN9788822728548
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    Anteprima del libro

    Un amore perduto - Liz Trenow

    1

    Ruby

    Luglio 1919

    Era come un sogno stranissimo, starsene lì sul ponte del piroscafo con il cielo azzurro sopra di lei e il sole che si rifletteva sul mare mandando riflessi scintillanti, come un milione di diamanti. Alla sua destra c’erano i tetti grigi della piccola città che sembrava quasi raggomitolata e dimessa sotto le scogliere maestose, così tanto più alte e di un bianco più accecante di quanto avesse mai immaginato.

    Non riusciva proprio a credere di star per lasciare le coste dell’Inghilterra per la prima volta in vita sua. Non era in cerca d’avventura e di certo non la desiderava. Perché mai avrebbe dovuto voler attraversare quella pericolosa distesa d’acqua, il Canale della Manica, per recarsi in un Paese che era appena stato straziato da quattro anni di eventi tragici e spaventosi? Aveva soltanto ventun anni e riteneva che la sua breve vita fosse già stata abbastanza dolorosa, senza il bisogno di esporsi a ulteriori pericoli e sofferenze.

    Il suo desiderio più grande, adesso che c’era la pace, era poter vivere un’esistenza tranquilla, normale, onorando il ricordo di lui con il duro lavoro e sforzandosi di essere comprensiva con tutti coloro che soffrivano quanto lei. Erano moltissimi, a pensarci bene. Nessuna famiglia era rimasta indenne alla tragedia. E lei aveva deciso di chiudersi in se stessa, di non permettere a nessun altro di spezzarle il cuore. È meglio così, aveva scritto nel suo diario. È l’unica cosa che possa fare, ora che lui ha sacrificato il suo futuro per salvare il nostro dai tedeschi. Altrimenti come potremo dare un senso a tutto questo?

    Così, quando dopo aver servito il tè in quel pomeriggio d’inizio giugno i genitori di lui l’avevano fatta accomodare in una delle loro poltrone un po’ troppo imbottite e con aria solenne le avevano mostrato la brochure di Thomas Cook, all’inizio aveva pensato che fosse uno scherzo.

    «Visite turistiche sui campi di battaglia di Belgio e Francia». Lesse a voce alta. «E perché mai qualcuno vorrebbe andare a vedere quei luoghi…?».

    Vide Ivy trasalire e le parole le morirono in bocca. Sua suocera era fragile come cristallo, non riusciva ad accettare la morte del suo unico figlio. Non era mai stata una persona estroversa, e la sua salute era malferma da quando Ruby conosceva la famiglia, cioè – o almeno così le sembrava – da sempre.

    Quando avevano cominciato a frequentarsi, aveva trovato strano che lui la invitasse molto di rado a casa sua. «La mamma non si sente bene», spiegava, oppure: «Dice che sono troppo disordinato».

    Adesso Ivy era diventata l’ombra inconsistente di una donna, una creatura quasi ultraterrena, pallida come un fantasma per la mancanza d’aria fresca. Passava quasi tutto il tempo a letto, o comunque nella sua camera.

    Ruby e Bertie si erano conosciuti a scuola ed erano rimasti amici finché un giorno, mentre tornavano a casa insieme, lui aveva trovato il coraggio di prenderla per mano. Non si erano fermati, non avevano detto una parola; avevano continuato a camminare in silenzio. Ma il calore del suo tocco le era risalito lungo il braccio come una scarica di corrente elettrica, facendole capire che sarebbe stata con quel ragazzo per sempre. Amo Bertie Barton!!, aveva scritto sul suo diario quella sera, circondando le parole con un incerto cerchio di cuoricini disegnati col pennarello rosso. Lo aveva scritto di nuovo, e poi ancora, sull’astuccio, sul diario di scuola, sulla lista della spesa, nell’incavo del polso. Nessuno aveva mai dubitato che Ruby amasse Bertie e viceversa.

    E poi, pochissimo tempo dopo, la tragedia. Il padre di lei, caposquadra in una società che costruiva navi nella loro piccola città di Suffolk, era rimasto schiacciato dal motore di una nave caduto da una gru. Era morto sul colpo. Ruby non ricordava granché dei giorni seguenti, solo che sua madre sembrava quasi non essere presente, tanto svuotata e chiusa nel suo dolore da non avere più la forza di consolare lei.

    In quel momento ricordava solo che Bertie era rimasto sempre al suo fianco, abbracciandola quando piangeva, preparandole infinite tazze di tè con tantissimo zucchero e portandola a fare delle passeggiate per distrarla parlandole della natura: quale uccello cantava una certa melodia, quali fiori preferivano crescere in alcuni punti e come la fioritura fosse organizzata in base all’arrivo di certi insetti; quali segni nel terreno rivelassero la presenza di tassi, volpi o conigli. Nei suoi ricordi, quasi nel giro di una notte lui si era trasformato da ragazzino a uomo.

    Gli abbracci e il tenersi per mano si trasformarono presto in timidi baci, ulteriori esplorazioni dietro il capanno del giardino, e ben presto in una dichiarazione d’amore vera e propria. Un pomeriggio, mentre erano da soli in casa, lui si mise in ginocchio e le regalò un anello di diamanti per comprare il quale, ammise pieno di vergogna, suo padre gli aveva prestato i soldi.

    Bertie divenne il suo mondo. Ruby non guardò più nessun altro ragazzo e capì che non l’avrebbe mai fatto. Lui dichiarò che era l’unica al mondo per lui, per sempre. Bertie e Ruby, per sempre!, scrisse lei a lettere cubitali su una pagina bianca del diario, cerchiando le parole con ancora più cuori.

    Erano la coppia perfetta, in tutto e per tutto: molto simili nel fisico, con capelli biondo scuro e lentiggini – non troppo belli né troppo anonimi, ma normali, come diceva sempre lei. Una coppia ben assortita di persone normali. Lui diceva che gli occhi castani di Ruby erano come il vino allo zenzero; lei diceva che i suoi le ricordavano le nocciole. Entrambi amavano ballare, passeggiare, raccontarsi storie e giocare a carte nelle serate passate al pub con il loro gruppo di amici stretti. E naturalmente erano destinati a vivere per sempre felici e contenti. Ruby non avrebbe mai immaginato che le cose potessero andare in modo diverso.

    Quando vennero pubblicati i bandi per l’arruolamento sulla bacheca cittadina, lo implorò di non andare. Ma poi la pressione divenne insostenibile e lei gli fece promettere di tornare sano e salvo. Fedele alla parola data, Bertie tornò per due volte in licenza dall’addestramento. Era cambiato; sembrava qualche centimetro più alto e di sicuro era più forte, fisicamente, con muscoli che lei non aveva mai notato prima. Lo scherzoso Bertie era scomparso, facendosi più serio e pensieroso, e faticava a fare conversazione in gruppi troppo ampi. Al chiuso, si sentiva nervoso e a disagio.

    Solo quando andava a passeggio con Ruby tra i boschi e i campi sembrava rilassarsi. Eppure, per quanto lei cercasse di chiedere con la massima delicatezza, Bertie si rifiutava di raccontarle tutto quel che stava affrontando. Soltanto all’ultimo si lasciò sfuggire che per un po’ di tempo non avrebbe avuto altre licenze: stavano per assegnarlo. Ma non le disse dove sarebbe andato.

    Si sposarono il lunedì prima della sua partenza, una cerimonia civile organizzata in fretta e furia. Sua madre aveva risparmiato per anni per quel momento e quando vide Ruby in abito da sposa scoppiò a piangere. «Guerra o non guerra, sarà un giorno che ricorderete per il resto della vita», dichiarò.

    E che giornata fu: un sole splendente, nuvole bianche e soffici nel cielo, i sorrisi di tanti buoni amici e una tale gioia che le parve di poter esplodere. Le due notti passate al Mill Hotel – la loro luna di miele – furono le più felici della sua vita. Dopo i primi imbarazzi, scoprì dentro di sé un nuovo mondo fatto di passione, di estasi assoluta, che sembrava aver sempre aspettato dietro le quinte dell’adolescenza. Si sentiva completa.

    Passavano le giornate a passeggiare tra i campi irrigati, fermandosi a osservare misteriosi pesci marroni che nuotavano languidi contro la corrente del fiume, ascoltando il canto delle allodole e, una volta, cogliendo il blu brillante di un martin pescatore.

    «Vorrei che non finisse mai», aveva sospirato lei, ebbra di felicità. «Ti prego, Bertie, non partire. Non sopporto l’idea di stare senza di te».

    «Tornerò presto, te lo giuro», le aveva risposto, e lei gli aveva creduto.

    Quando era partito, Ruby si era rifiutata di angosciarsi: voleva che la vedesse forte e allegra. Dopotutto glielo aveva chiesto lui. Bertie lo faceva per il re e per il Paese, e aveva promesso, con la mano sul cuore, di tenersi alla larga dal pericolo. Ovviamente avrebbe sentito la sua mancanza, ovviamente la sera piangeva fino ad addormentarsi. Ma presto lui sarebbe tornato, ne era sicura. Bertie teneva sempre fede alle sue promesse.

    Così, quando cinque mesi dopo le arrivò un telegramma seguito da un modulo B104-83 dell’esercito datato settembre 1917 – Siamo spiacenti di informarla che suo marito Albert Barton risulta disperso in azione a Passchendaele – si rifiutò di credere che fosse qualcosa di più di una semplice perdita di contatti temporanea. Si affrettò a erigere un muro tutto intorno al suo cuore, senza permettersi di prendere in considerazione altri eventi. Ha promesso di tornare a casa sano e salvo, e lui mantiene sempre le promesse, scrisse. Presto si farà vivo. Quasi le sembrava di sentirlo: «Sono solo andato a fumare una sigaretta, agente. Avete sentito la mia mancanza?». A scuola la sua sfacciataggine lo faceva sempre finire nei guai.

    Decise di mantenere la calma e andare avanti, come esortavano a fare i manifesti, costringendosi a vestirsi ogni giorno, a mangiare i pasti che sua madre cucinava per lei con tanta premura, ma che, per i suoi sensi intorpiditi, avevano il sapore del cartone. Quando andava al lavoro salutava gli altri pendolari con un cenno del capo e scambiava i soliti commenti sul tempo. Una volta arrivata, cercava di essere efficiente come sempre, incollandosi un sorriso in volto a beneficio di colleghi e clienti, sperando che nessuno le chiedesse di lui.

    La voce si sparse, però, com’era ovvio. Era il figlio del capo, dopotutto, alla Hopegoods, il negozio di abbigliamento da uomo e donna su High Street dove lavorava nel reparto merceria. Dopo aver provato a mostrarle compassione, i colleghi avevano imparato a non nominarlo. Quel genere di notizia era diventato quasi la norma.

    Ma col passare di mesi senza ulteriori notizie, il muro protettivo di Ruby cominciò a sfaldarsi. Sprofondò in un baratro di sofferenza e senso di colpa che avvertiva come un dolore fisico, da cui non vedeva via d’uscita. Le sembrava di essere in fondo a un pozzo, circondata dal buio più assoluto, con solo una minuscola luce che però era in alto, troppo in alto per poterla raggiungere, perché non aveva le forze per arrampicarsi fin lassù.

    C’erano giorni in cui sentiva di non farcela più ad andare avanti, e a volte, passeggiando lungo il fiume, immaginava di entrare nell’acqua profonda e fangosa e abbandonarsi a quella corrente fredda e senza cuore. Ma non trovò mai il coraggio.

    Sua madre, che ancora lottava contro il lutto che l’aveva colpita solo qualche anno prima, fece tutto ciò che poté per consolarla, ma non c’era nulla che alleviasse il suo dolore.

    Di fronte al continuo rifiuto che Ruby opponeva all’idea di uscire con loro, gli amici un tempo stretti si allontanarono uno dopo l’altro e smisero di invitarla, o perfino di passare a trovarla. Smise di scrivere sul diario perché non le veniva più in mente niente da dire. Si sentiva svuotata, come una di quelle conchiglie che si trovano sulla spiaggia, seccate e schiarite dalla salsedine e dal sole, tanto che è impossibile immaginare che un tempo ospitassero una creatura vivente. Non ricordava più quando fosse stata l’ultima volta in cui aveva riso.

    Ma che altro poteva fare? Senza Bertie si sentiva una persona a metà, non del tutto viva. Non traeva alcuna gioia da tutte le cose che un tempo si divertivano a fare insieme: andare al pub, al cinema, a ballare, a passeggiare nei boschi. Si vestiva solo di nero, o al massimo di grigio scuro. Bertie aveva fatto l’estremo sacrificio, in che altro modo poteva rendergli onore? Le sembrava che avrebbe insultato la sua memoria, indossando qualcosa di più vivace. Questa sarà la mia vita fino al giorno in cui morirò. È giusto così.

    Le visite rispettose e regolari ai genitori di lui riuscivano solo a rendere ancor più evidente la loro perdita. Sentiva torcere il coltello che aveva piantato nel cuore quando vedeva sua madre così distrutta, suo padre che sopportava il dolore stoicamente. Ne usciva sempre sfinita, come se si fosse caricata anche della loro sofferenza insieme alla sua. Quando lasciava l’aria troppo calda della loro casa, guardava verso il cielo e inspirava a fondo, cercando di prendere forza dall’aria fresca. Un passo alla volta, diceva a se stessa, un giorno alla volta. Presto il dolore diminuirà. Ma non succedeva mai. Il dolore era ancora così intenso che a volte la lasciava senza fiato, e al lavoro era costretta a nascondersi nel bagno delle signore finché non tornava padrona di sé. Scoprì, provando e sbagliando, il modo di mostrarsi coraggiosa al mondo. All’inizio era una maschera inaffidabile, così sottile da rischiare di sbriciolarsi alla minima parola incauta o per un improvviso ricordo, ma col passare dei giorni, poi delle settimane e dei mesi, la finzione divenne più resistente, finché adesso, due anni più tardi, era diventata quasi un’estensione naturale del suo vero io. Tanto che lei stessa faticava a capire chi fosse la vera Ruby.

    Una cosa la sapeva per certo, però: non avrebbe mai tradito il suo ricordo. Non più. Era stato solo un momento di follia con un uomo che non aveva mai visto prima e non aveva rivisto dopo, ma il senso di colpa le lacerava il cuore come un fuoco che non si sarebbe mai spento.

    Per Ruby le visite ai suoceri, due volte a settimana, erano un obbligo nei confronti di Bertie, qualcosa che avrebbe continuato a fare per tutta la vita. Dopotutto era ancora sua moglie, lo sarebbe stata per sempre. I signori Barton parlavano spesso di lei definendola nostra figlia. Chi altro avevano al mondo, ora che lui non c’era più?

    Ma le conversazioni tra loro si trascinavano. Ivy sembrava inconsistente come la tela di un ragno, pronta a spezzarsi alla prima parola sbagliata. Albert senior era sempre uguale, burbero e poco comunicativo, ma almeno in genere si mostrava solido e prevedibile. Ruby, però, non si sarebbe mai aspettata che arrivasse quel momento, quella brochure di Thomas Cook, i loro visi così solenni e pieni di aspettative.

    «Alcuni nostri amici sono andati a fare uno di questi viaggi», le disse, e lei cominciò a rilassarsi. Forse le aveva mostrato il fascicoletto solo come argomento di conversazione. «Ce l’hanno raccomandato. Hanno trovato la tomba del loro figlio, sai. È stato difficile, ma hanno detto di averne tratto grande sollievo».

    «State pensando di partire anche voi?», chiese lei.

    «Ci abbiamo pensato, ma…». Fece un cenno rapidissimo col capo verso sua moglie, che si tamponava gli occhi in silenzio con un fazzoletto di pizzo. «Ci chiedevamo se…». Una breve pausa. «… Ti andrebbe di andare per conto nostro?».

    Stanno dando i numeri, pensò Ruby. Io, andare sui campi di battaglia, da sola? Aggirarmi per le trincee in cerca di tracce di lui, in compagnia di un gruppo di turisti curiosi? Non era solo una follia, ma anche un’idea piuttosto sgradevole.

    Albert stava ancora parlando: «Per portare i nostri rispetti come famiglia. Perché sai, non abbiamo una tomba».

    Ah, questo lo sapeva anche troppo bene. Il corpo di Bertie non era mai stato ritrovato. Quella era una delle parti più difficili da sopportare: non sapere com’era morto, non avere modo di sapere dove fosse sepolto. Aveva ancora incubi, alimentati dalle fotografie dell’«Illustrated London News» che riusciva a guardare solo con gli occhi mezzi chiusi, in cui vedeva il suo corpo intrecciato a quelli di altri, sepolto e decomposto in una buca fangosa da qualche parte vicino Ypres. Tornò a guardare la brochure, ma non riusciva a mettere a fuoco le frasi. Amava Bertie, certo, e sempre l’avrebbe amato. Ma questo le sembrava davvero eccessivo. Come avrebbe fatto a sopportare la vista diretta di quei luoghi pieni di orrore?

    «Cara?», la incalzò Albert. «Lo faresti?»

    «Non penso proprio di…», cominciò, ma le parole le morirono in bocca. Non era possibile che le stessero chiedendo di andare da sola in quel posto terrificante.

    «Hai sentito anche tu quelle notizie…», mormorò Ivy nel silenzio.

    Era un argomento ricorrente. Per qualche mese, dopo l’armistizio, quasi ogni volta in cui si recava in casa dei Barton le mostravano un ritaglio di giornale: fotografie di uomini tornati miracolosamente, scheletrici ma vivi, che erano fuggiti da campi di prigionia e avevano percorso a piedi centinaia di chilometri dalla Germania, oppure erano rimasti nascosti per mesi o perfino anni nei boschi delle Fiandre, col terrore di farsi vivi ed essere presi per disertori. Veniva invitata a riflettere su cosa poteva essere accaduto a Bertie – forse era stato fatto prigioniero, oppure era rimasto ferito ed era stato aiutato da una famiglia belga che ancora lo teneva al sicuro – e sull’eventualità che un giorno, all’improvviso, tornasse.

    Anche se sapeva che le possibilità erano scarsissime, dopo quelle conversazioni a volte lo sognava: un uomo che emergeva dal fumo della battaglia e andava verso di lei, il viso annerito dalla polvere, l’uniforme strappata, senza cappello. Poi su quel volto appariva il sorriso che lei amava tanto, e con un sussulto incredulo Ruby si metteva a correre verso di lui.

    Si svegliava in lacrime e osservava l’alba che si levava dietro le tende, ascoltava gli uccelli che accordavano il canto per i cori mattutini; all’inizio qualche cinguettio incerto, poi un merlo solitario e territoriale, infine tutti gli altri che si univano a piena voce al ritornello. Il mondo crudele era ancora là fuori, e anche lei era ancora lì, sola, mentre lui era morto. L’unico modo per sopravvivere era indurire il cuore.

    Col procedere del 1919, le notizie dei ritorni miracolosi erano diminuite sempre di più, finché, quasi con sollievo di Ruby, parvero fermarsi del tutto. Almeno ora, sperava, forse Ivy si sarebbe arresa all’idea che lui non sarebbe più tornato.

    Invece no. Flo, la zia di Bertie, qualche mese prima aveva partecipato a una seduta spiritica e aveva chiesto di lui. Il medium aveva risposto con alcune frasi fatte – secondo l’interpretazione di Ruby, ma non di Flo – dicendo che lui sarebbe sempre rimasto con loro, e tale dichiarazione era stata presa – distorta, secondo Ruby – come un’indicazione del fatto che lui fosse ancora su questa terra, in qualche modo. Era rimasto ferito, certo, ma si trovava in ospedale. Ruby non credeva a una sola parola. Se fosse stato in un ospedale, a quel punto l’avrebbero saputo.

    «Abbiamo pensato che forse tu potresti riuscire a trovarlo», stava sussurrando adesso Ivy, protendendosi in avanti e prendendole la mano. «Significherebbe tanto per me, carissima. Non credo di avere la forza di andare avanti senza sapere se lui sia ancora vivo da qualche parte. O almeno dov’è sepolto».

    Era un’idea assurda, e Ruby non aveva la minima intenzione di accettare di recarsi da sola nelle Fiandre. Doveva trovare un modo per rifiutarsi, ma con gentilezza, per non angosciarli ancora di più. Per il momento, però, tanto per mostrarsi bendisposta, continuò a sfogliare la brochure.

    «L’itinerario che pensiamo possa essere giusto è a pagina quattordici», disse Albert avvicinandosi per aiutarla a voltare le pagine. «Non è troppo costoso ma al tempo stesso dà il tempo necessario a conoscere il posto e visitare i luoghi che dovresti vedere».

    Lei lo lesse.

    Una settimana a Ostenda. Con escursioni a Ypres e sui campi di battaglia del Belgio. Partenze da Londra ogni martedì, giovedì e sabato. Il prezzo include i biglietti di viaggio (terza classe in treno, seconda classe in nave), sette giorni di alloggio con pensione completa in un hotel privato, con café complet, pranzo, cena e pernotto; tram elettrici per Zeebrugge e Nieuwpoort. Ogni escursione prevede l’accompagnamento di una guida esperta.

    Seguiva il dettaglio degli itinerari giornalieri. Il prezzo per il Viaggio in seconda classe e hotel di seconda classe era tredici ghinee.

    «Ma è una fortuna», disse lei. «E poi, gli extra…». Fece un rapido calcolo a mente. Il risultato era quasi tre mesi di stipendio.

    «Non ti devi preoccupare, mia cara, ci abbiamo già pensato». Albert sembrava averle letto nel pensiero. «Pagheremo noi per te, ovviamente, e ti daremo anche qualche spicciolo per le spese sul posto».

    «Non potrei mai…».

    «Sono passato a parlare con tua madre, stamattina», riprese lui. «Mi sembrava giusto informarla della nostra richiesta, e volevo rassicurarla su tutti i dettagli».

    Per un attimo, Ruby si sentì tradita. Perché sua madre non le aveva detto nulla? Poi si ricordò che era andata lì direttamente dal lavoro, senza passare da casa. «Ma non sono mai stata all’estero in vita mia, meno che mai da sola», disse. «Non parlo francese, o la lingua che parlano nelle Fiandre».

    Albert senior raddrizzò la schiena sulla poltrona, assumendo un’espressione premurosa. «Sappiamo bene di starti chiedendo un grande sforzo, mia cara», disse. «Ma sei una giovane donna matura e responsabile, e sarai in ottime mani. Quella di Thomas Cook è una delle agenzie più affidabili, viaggerai in un piccolo gruppo con una guida che si prenderà cura di te per tutto il tempo».

    Lei sollevò di nuovo gli occhi dal fascicolo e incontrò lo sguardo del suocero, così grave, quasi disperato. Solo in quel momento capì fino a che pusso fosse serio. All’improvviso le girò la testa: non riusciva a credere che stesse succedendo davvero.

    «Ci ho parlato di persona, per essere sicuro», proseguì lui. «Ti accompagnerò fino a Londra per accertarmi che il loro rappresentante ti accolga alla stazione di Victoria. Ti verranno forniti tutti i pasti e provvederanno a te in tutto e per tutto. Mia cara», aggiunse, protendendosi in avanti così tanto che lei sentì l’odore del tabacco da pipa nel suo respiro, «se non fosse così, non avremmo nemmeno preso in considerazione l’idea di chiederti di andare. Sei troppo preziosa per noi».

    «Posso avere qualche giorno per rifletterci?», chiese loro, sforzandosi di sorridere. Ne avrebbe parlato con sua madre, l’avrebbe convinta a difenderla e le avrebbe chiesto di dissuaderli da quel progetto folle.

    «Ma certo, mia cara». Albert si alzò in piedi e le strinse la mano. Era il gesto più vicino a un contatto fisico che avesse avuto con lui da quel giorno terribile del telegramma, quando l’aveva abbracciata.

    Albert si rivolse a Ivy. «Vogliamo scaldare un po’ il tè, mia cara?».

    Quando sua moglie uscì dalla stanza, mormorò: «Ti accompagnerei, Ruby, ma sai anche tu che è troppo fragile per lasciarla da sola per una settimana intera. E ha un bisogno disperato di notizie, buone o cattive. Senza, temo proprio che si lascerà andare».

    «E se restassi io con Ivy, lasciando partire te?», chiese lei, speranzosa.

    «Ho provato a suggerirlo, ma dice che senza di me non ce la farebbe. Sono l’unico che riesca a capirla, a quanto pare». Si passò una mano tra i capelli radi, un gesto che, per un rapidissimo istante, tradì la sua esasperazione, la sua stanchezza, il peso del fardello che portava addosso. Poi si avvicinò per parlarle in tono confidenziale. «E poi abbiamo pensato che, andando, anche tu potresti trovare un po’ di sollievo, mia cara. I nostri amici ci hanno spiegato che è una compagnia molto rispettabile e che è un viaggio adatto anche a una giovane signora da sola. Anzi, nel loro gruppo c’erano diverse donne partite senza accompagnatori. Ci presenteranno di persona la guida turistica, un ex maggiore dell’esercito e un uomo straordinario, a loro dire».

    Era un ricatto emotivo, e Ruby lo sapeva bene, ma non aveva la forza di resistere. «Tu sembri così forte, e per lei sarebbe importantissimo», insisté ancora. «Lo capisci, vero?».

    Lei non si sentiva affatto forte. Riusciva ad andare avanti, giorno dopo giorno, se faceva sempre le stesse cose. Ma partire da sola per il Belgio, visitare i campi di battaglia?

    Gli occhi castani di Albert le ricordavano tanto quelli di Bertie, così gentili e imploranti. Non era mai riuscita a dire di no davanti a quello sguardo quando lui era vivo, e le parve che opporre un rifiuto a suo padre fosse un insulto alla sua memoria, forse addirittura una negazione della sua esistenza. I suoi genitori, ognuno a modo suo, riponevano le loro speranze in lei, e l’ultima cosa che Ruby voleva era causare loro ulteriore sofferenza.

    «Nessuno di noi si riprenderà mai, certo. Ma forse, se tu potessi riportarci qualcosa…». Albert scosse il capo, non sapendo come proseguire. «Un ricordo di qualche tipo, non so cosa, ma magari una cartolina, un fiore, qualsiasi cosa… forse allora il suo cuore troverebbe pace. Te ne saremmo eternamente grati».

    «Quando dovrebbe essere?», chiese Ruby. «Ho promesso alla mamma di partire per qualche giorno con lei in estate. Vuole andare al mare e la zia May ci ha offerto la sua casetta».

    «Sarebbe solo per una settimana, e ho pensato che i primi di luglio siano il periodo migliore per attraversare la Manica col mare calmo. Parlerò con la signora T».

    Provò il bisogno di dire qualcosa, subito, prima di andare via, o avrebbero dato per scontato che avesse acconsentito. Ma proprio in quel momento Ivy tornò dalla cucina con la teiera, le versò una tazza di tè e gliela porse con un sorriso così supplice che Ruby non ebbe il coraggio di aprire bocca.

    Quella sera parlò con sua madre. Qualche anno dopo essere rimasta vedova così all’improvviso, Mary era riuscita a costruirsi una nuova vita: aveva iniziato a cucire per aggiungere qualcosa ai modesti guadagni di Ruby, era entrata nel Women’s Institute e preparava torte meravigliose, lavorava nell’orto che era stato di suo marito e aveva imparato a coltivare patate, barbabietole, fagioli e insalata per risparmiare sulla spesa alimentare.

    Col passare dei mesi e degli anni era diventata la confidente più stretta di Ruby, la sua migliore amica, l’unica persona, o così le sembrava, che riuscisse a capire cosa dovesse affrontare: il dolore quotidiano del lutto.

    «Non voglio andare, mamma», disse. «Mi sembra un po’ fuori luogo».

    «Ci tengono davvero molto, sai». Mary le porse una tazza di cioccolata calda. «Il signor B è passato stamattina. Ero di fretta perché rischiavo di perdere l’autobus, ma ha voluto parlarmi a tutti i costi. Ivy è convinta che Bertie sia ancora vivo e che sia lì, da qualche parte».

    «È colpa di quella disgraziata di sua sorella, quella che è andata dallo spiritista». Ruby sospirò, spingendo da parte la schiuma del latte con il retro di un cucchiaino.

    «La decisione sta a te, tesoro. Ti ho detto che ti avrei lasciata libera di decidere».

    «Se fossi costretta ad andare, verresti con me?»

    «E come potremmo permettercelo?»

    «Potremmo chiedergli di pagare anche per te».

    «No, tesoro, non intendo essere in debito con loro. E poi

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