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Edgar Allan Poe - L'Ambiguità della Morte
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E-book201 pagine2 ore

Edgar Allan Poe - L'Ambiguità della Morte

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Un itinerario ambiguo e intrigante nella vita e in alcune opere di Edgar Allan Poe. Penetrare in un mondo appartenuto a un uomo ferito da intimi disagi, dall’alcool, dalla droga e da iraconde aggressività che lo portarono all’autodistruzione e, quindi, alla morte. Necessità dunque di percorrere i suoi scritti. Narrare le vicende di una vita così particolare, così segnata da urticanti e furiosi malesseri. Una puntuale indagine perciò sui suoi racconti come esegesi di un animo. Andare alla radice della scrittura, guardare anche questa scrittura come inquieta partecipazione alla vita, alle delusioni, alla volontà di affermare sentimenti e alla ricerca di una tranquillità pacificante, forse anche attraverso la morte. I personaggi dei suoi racconti che diventano protagonisti di questo nuovo racconto perché ciò che poteva sembrare apparenza diventa, il solo modo per rendere omaggio a uno scrittore che ha segnato, in modo indelebile, il XIX secolo.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mag 2015
ISBN9786050375237
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    Anteprima del libro

    Edgar Allan Poe - L'Ambiguità della Morte - Giuseppe Cafiero

    1849.

    PROEMIO

    Ghastly grim and ancient Raven wandering from the Nightly shore1, si recitò di lontano. Ogni silenzio venne così infranto dalla diligenza ossessiva di morbosi versi. Nessun altro fiato, dunque, per comprendere animi disposti a farsi relegare in ombrosi presagi. Si era quel che si era, e s’era ben disposti a cercar ragioni che fossero almeno assennate allorché, per incaute cagioni e per ragionevoli motivi, ci si trascinava in una bettola a ingurgitare vinelli infami, pur con buon servizio e scaltro mestiere, e rimuginare così su un uomo ch’ebbe infamanti lodi e stimati biasimi e che proprio qualche tempo avanti s’era accompagnato al cimitero della chiesa presbiteriana di Baltimore perché il reverendo William T.D. Clemm, pastore metodista, potesse officiare un rito appropriato. Era allora l’8 ottobre del 1849. Un lunedì. Ghastly grim and ancient Rave, si recitò anche allora di lontanoo a qualcuno parve che si recitassero quei versi.

    Di questa tal combriccola aggruppata nella bettola, taluno aveva da rifarsi una coscienza; tal altro, invece, aveva da rimuginare sul bene e sul male e quanto sì fatto bene e sì fatto male potevano mai condizionare ogni suo giudizio; il terzo aveva, di contro, da appropriarsi di originali o spurie conoscenze ascoltando ciò che gli si riferiva accettando consigli e indicazioni. Anche asti però: trascorsi e mai invecchiati, come benevolenze affettive per amori dovuti verso un uomo e l’arte di questo tal uomo che era stato anche poeta.

    Meglio dunque ritrovarsi in una taverna e lì tirar di conto, fra bevute saluberrime o malsane che fossero, fra chi aveva desiderio inconscio e ufficio appropriato per questionare su quel taluno che era deceduto offrendo agli altri una serie di misteri oscuri sicché, d’auspicio e da parte di un tale, poteva apparire lecito e salutare non infangare quella memoria mentre da parte di un tal altro, affamato di conoscenze e conoscenze proprie e improprie, si bramava far di conto sulle indebite ambiguità di quel certo uomo poeta che si era concesso, nello scrivere e nella esistenza, affanni iniqui e predilezioni inopportune. Certamente quel tal poeta aveva anche praticato uffici superiori alle proprie capacità nel voler comprendere, e ragionevolmente, quel proprio volersi inimicare anche se medesimo se ad altro non poteva aspirare o pensava di non potere aspirare.

    Perché mai morire e senza una degna morte nella Cooth and Sergeant’s Tavern, lì in Lombard Street, accanto a High Street, lasciando così irrisolti, censurabili e incensurabili processi su ambigue condotte di vita e altre storie? Allora erano stati offerti, da mentecatti d’ogni genere e di malaffare comprovato, bicchieri di vino a ufo senza giustificare o accennare perché si tirava a bere forse per compiacere infami disegni e progetti delittuosi. Sicché qualcuno desiderava probabilmente che si dovesse tirare a tracannare alcool sino all’incoscienza per favorire dimenticanze del fare e dell’agire sicché i giorni trascorsero, e furono ben cinque, senza venire a capo di alcun senso quando, d’urgenza e promessa, ci si era impegnati per prendere un treno conducesse lontano, in un luogo sospirato per dimenticare crucci e piegarsi a un lavoro d’intensa scrittura.

    Qualcuno disse allora:- Dipsomania. Cosa? E il dottore e letterato Joseph Evans Snodgrass, che era presente a quel consesso d’intriganti congreganti, rispose:- Impulso irrefrenabile a bere qualsiasi tipo di bevanda ma in particolare quelle alcoliche, tipico di certe malattie mentali. Ne parlò per primo Benjamin Rush nel 1793. Poi Thomas Trotter l’inglese. Quindi Samuel B. Woodward, sovrintendente del manicomio di Worcester, qui nel Massachusetts. Era il 1838.

    Perché, perché mai? Antico e bastardo gioco del vivere e morire, del morire e vivere senza compiacimenti o gioie, quasi per necessità oblique.

    Al Washington Hospital ci si adoperò, come era lecito che fosse anche per raccomandazioni suggerite proprio dal dottor Snodgrass accorso lì per amicizia e doveri, per ciò ch’era possibile in una sconcia e inverosimile incapacità, per cavar fuori dalla morte qualcuno che vi stava alloggiando al meglio e con favore.

    E già prima: è vero, era accaduto l’irreparabile. A Philadelphia in quella tragica estate allorché, fra ebbrezze e vaneggiamenti, si tentò il suicidio e si venne poi aHe was then detained for public drunkenness and incarcerated for one night in Moyamensing Prison at Tenth and Reed Streets.rrestati anche per allucinanti e folli molestie sicché si dovette trascorrere una notte nella prigione di Moyamensing, lì fra Passyunk Avenue e Reed Streets.

    Brutta storia quantunque quella prigione era modello di umanità se Thomas Ustick Walter l’architetto volle che così fosse nelle sue diverse ali pur se tenebrosa d’acchito per quel suo stile gotico, incastonato fra torri e merli.

    Smarrire così la coscienza di un’esistenza reale. Invocare fantasmi, evocare i vivi come fossero già morti, darsi alle frenesie di un oppiaceo mortale, cercare forse di colloquiare con un altro se stesso. Sdoppiarsi. Vedersi. Uccidere chi pretende d’essere colui che non è, ovvero un altro infamante se stesso. La follia di una follia senza tempo né spazio quando ci si perde, nella svogliatezza della prostrazione, nell’essenza confortante del terapeutico laudano con la sua liturgica e venerata miscela d’oppio, zucchero, cannella e chiodi di garofano macerata, al meglio e con eccitante dovizia, nella fragranza del vino di Malaga.

    Philadelphia fu anche altro e più: smarrimenti e ritrovamenti inconsci. Perdonare perciò quando era necessario. Il dottor Snodgrass era assai magnanimo nel discorrere con la combriccola, affatto però l’ex reverendo Rufus Wilmot Griswold che era lì, anche lui, nella Old Swan Tavern a Richmond, a biascicare amare memorie e ricordare, senza imbarazzo alcuno, che, in un necrologio sul New York Tribunea onore qual tale morto di cui si stava spettegolando e che rispondeva al nome Edgar Allan Poe, aveva scritto parole inique firmandolo con lo pseudonimo Ludwig: "egli ha alimentato in misura morboso quello che volgarmente si chiama ambizione, ma senza alcun desiderio di stima o di amare il suo prossimo".

    Qualcuno poi avvalorò, con acre malanimo e spocchiosi cenni, la storia delle ambigue allucinazioni e dei deliri persecutori perché il Redattore del Courier and Daily Compiler, che era il terzo della brigata intorno al quel tavolaccio della taverna Old Swan, potesse acquisire conoscenze appropriate su qualcosa di molto insolito e inquietante, e ben oltre a ciò che desiderava se proprio lui aveva chiesto di adunarsi in combriccola per poter ascoltare consigli e detti sul quel poeta, su Poe cioè, ch’era deceduto giusto all’ora H dell’aurora, nell’ora in cui ciascuno può congiungere la propria essenza con quella di Jéhovah, in quella unità primaria in cui ciascuno è chiamato a dissolversi.

    Quel Redattore aveva necessità e volontà di stilare, alla fine di alcuni coscienziosi colloqui e saggi riscontri, un qualche compendioso scritto a omaggiare, forse, la vita di quel poeta che anch’egli, in un certo quel modo, aveva dileggiato, pur senza malanimo: è vero, quando, in un articolo del 1836 allorché quel Poe era redattore unico del " Southern Literary Messenger" di Richmond, qualcuno del Courier aveva scritto riferendosi appunto al Messenger: "i redattori dovrebbe ben ricordarsi che procurarsi una certa reputazione con pugnalate assillanti e pungenti è infamante al pari dalla ottenerla con lodi indistinte".

    Philadelphia or dunque e nuovamente. Philadelphia in cui accadde qualcosa che provocò forse il principio di una fine annunciata, e si era nel luglio 1849, allorché fantasmi balzani presero a perseguitare il poeta con orridi cipigli perché la notte fosse segnata ineluttabilmente da pensieri che invitavano a praticare possibili violenze suicide. Avvilupparsi in panni e mutare sembianze. Sfuggire gli infidi persecutori, gli scaltri e feroci aguzzini della propria fantasia. Anche radersi i baffi. Nascondersi ai vessatori di sogni impropri. Cercare rifugio lungo un fiume, nel silenzio di acque segnate del buio della notte.

    Scintillii di riflessi selenici allora. Lo Schuylkill River, ecco. Una impalpabile figura femminile prese d’improvviso a volteggiare nell’aria. Una donna. Quale donna? Una madre forse o, anche, una sposa bambina. Aerea sembianza. O solo un fantasma dell’immaginazione? Volare sulla città. Andare, trascinato per mano dal fruscio di sussurri appena accennati. Un’ineffabile figura. Chi? Dolce visione: impalpabile e soave. Andare senza alcun timore se la fanciulla era splendidamente radiosa. Ecco il cielo di Philadelphia. Anche un fiume e cento luminarie di una città. D’acchito allora oscure ombre della mente e volontà estranee stravolsero ogni cauta immaginazione e un nero uccello s’impossessò della fanciulla perché un grido incauto potesse segnare la disperazione.

    Il principio della fine ebbe inizio a Philadelphia, disse allora Mr Rufus Wilmot Griswold e principiò a recitare a bisbiglio: Ghastly grim and ancient Raven wande-ring from the Nightly shore.

    Il dottor Joseph Evans Snodgrass prese allora la parola con pacata e mitigata compiacenza e osservò che era opportuno offrire un resoconto cronologico se si voleva dar conto di una vita. Si principiò così a dire che era opportuno abbozzare anche cenni sulla ascendenza di quel poeta perché si potesse comprendere al meglio la storia di quella vita spesa in pochi anni. Anche oscuri avvenimenti e tragiche vicende che avevano segnato la sua esistenza, esistenza di un poeta morto da appena qualche tempo e che aveva lasciato cumuli di carte graffiate da segni di scritture assai suggestive e ambigue.

    - Solo accenni, aggiunse il dottor Snodgrass, ma opportuni e logici giacché nessuno, per esperienza e per volontà improprie, aveva desiderio di ricordare, con umore filantropico e senza trarre benefici lucrativi, una infanzia e una giovinezza di quel certo Poe perse ormai nel ricordo d’anni trascorsi e, certamente, anche in meschine volontà perché era opportuno, così si credeva, occultare ciò che era saggio celare in volute e appropriate dimenticanze.

    La Old Swan Tavern intanto s’era colmata di avventori maldestri. Schiamazzi ovunque e anche risa senza alcuna remora e moderazione. I più ingollavano alcol, fra chiacchiere perse nel racconto di colorite fandonie, per dimenticare innanzitutto le fatiche di un lavoro di braccia e la polvere di selciati che scorticava le suole degli stivali e bruciava i ferri dei cerchioni dei carri. Fuori, intanto, in un gelido vento che screpolava biecamente visi e mani, taluni sostavano nel loggiato, tenuto su da colonne di legno capitellato, tirando rabbiosamente il fumo da cicche puzzolenti attendendo forse conoscenti ritardatari.

    Cabs, diligenze e carri di fieno segnavano, spargendo polvere ai loro passaggi, una strada alberata in proda e ricolma di filari di bronchi spinosi. Di brusco alti i nitriti di cavalli imbizzarriti, frementi. Neri, morelli e pezzati presero a schiumare dalle bocche frenate dai morsi. Briglie indomabili abbandonate nel vento. Poi lo schioccare di fruste per ristabilire un ordine smarrito in un bailamme di zoccoli recalcitranti e nitriti dolenti. Quindi urla incivili e bestemmie blasfeme. Una folla s’adunò rapida. Anche l’ex reverendo Griswold, il dottor Snodgrass, il Redattore si sporsero oltre una porta spalancata della taverna. E fu allora, in un baleno, che si vide sgattaiolare, con il piglio lesto di ratto, un gatto nero, lustro, luciferino.

    Una strega? Forse solo orrore giacché si tentava ora, con equilibrato timore e sconclusionata audacia, di scansare una follia raccontata da altri oppure si tentava, semplicemente, di scantonare una follia che rapiva e impartiva lezioni di inusuale costumanza.

    Chi dunque poteva pretendere d’avere la liceità di infierire, con note ordinarie e relazioni confidenziali, sulla sconcia vita di un poeta che taluni reputavano turpemente inquietante e che era precipitato, con sconsiderata irragionevolezza, in un labirinto di proposizioni che nulla aveva di inconsueto se non l’ambiguità di ostentare immaginazioni e considerazioni assai singolari?

    - My tormentor came not. Once again I breathed as a freeman. The monster, in terror, had fled the premises forever! I should behold it no more2!, esclamò allora il dottor Snodgrass, e invitò gli altri tre suoi compagni a rientrare nella Old Swan per accomodarsi nuovamente al tavolo che già s’era occupato.

    Ripristinare nuovamente un ordine che fosse grumo di racconti accettabili o, almeno, legittimamente tollerabili pur fra dinieghi scontrosi, composte baruffe, opposte convinzioni.

    Un Redattore era lì sollecito a raccogliere confidenze parziali e parzialità confidenziali se aveva preteso di adunare, in quel tal giorno, intorno a un lurido tavolaccio di una taverna di Richmond, due persone, illustri certamente e di accreditate virtù intellettuali, perché manifestassero convincimenti e pensieri, certamente assai diversi, su quel poeta e novelliere di nome Edgar Allan Poe, fra salubri bicchierini di sherry, certamente Amontillado. Vino scelto per la sua pastosità e profumo ma anche per omaggiare dignitosamente Mr Poe e il suo racconto " The Cask of Amontillado". Perché non sorseggiare anche il vino rosso di Chio nominato in Shadow?

    Il dottor Joseph Evans Snodgrass e l’ex reverendo Rufus Wilmot Griswold era stati dunque adunati perché sapessero offrirsi, appunto, agli interrogativi ingordi di quel Redattore.

    Tirar così ad ascoltare, con solerte attenzione e sano scetticismo, il biascicare di sfilze e sequele di memorie assai diverse seppure riguardavano un medesimo accadimento e un medesimo uomo. Discordanze, ecco. Sul segno e sul valore.

    L’uno, quel tal dottor Snodgrass, percepiva come un oltraggio ineluttabile e illogico del destino, e contro cui nulla poteva essere fatto diversamente, gli sfortunati eventi avevano definito la crudele vita di Mr Poe. L’altro, l’ex reverendo Griswold, non riteneva affatto di dovere, in nessun modo o per nessuna ragione, assolvere Mr Poe se andava blaterando che le opportunità offerte al poeta erano state molteplici e apprezzabili, ma che una boria innata e presuntuosa aveva impedito a Mr Poe di condurre una vita regolare e di aver la modestia d’essere quel che sarebbe potuto essere quantunque, sicché, riconosceva Mr Griswold senza parafrasi o giustificazioni, Mr Poe si era imbattuto più volte nelle avversità, sebbene la mancanza dell’affetto dei genitori era stata la prova più dura3 e, forse, insuperabile.

    Il dottor Snodgrass principiò allora a discorrere, senza mezzi termini o titubanze sconvenienti, della genia di quel Poe. Aspirava a parlare con pacatezza pur nella frenesia di ingurgitare sherry e dir che ogni cosa aveva avuto inizio nel ritrovarsi i genitori di Mr Poe a pellegrinare, scandalosamente di losco, lungo le rive orientali che tiravano dal Massachusetts sino alla Virginia per giocare al meglio con un mestiere ch’era quello d’essere artisti e di saltimbanchi di scena solleciti, sovente, a girovagare fra mete insolenti e miseri ingaggi se nulla veniva loro risparmiato: soprattutto quella crudele maldicenza che accompagna le inusuali e maledette vite degli attori.

    David jr. Poe e Elizabeth Arnold Hopkins, il padre e la madre di Edgar, si ritrovarono così a mendicare, con la loro povera arte, su un palcoscenico che poteva almeno offrire una sopravvivenza. Era il 1803 e s’andò ramenghi a illustrare scene di scadente teatro da Newport a Providence, da Norfolk a Charleston, da Philadelphia a Washington, da Baltimore all’intera Virginia.

    Burbera la città Baltimore. Crudele anche? Governare l’ordine. Evitare soprattutto la fuga degli schiavi. Anche splendida cittadina di centocinquantamila abitanti. Maestose le chiese e splendidi i monumenti. Anche uno eretto per George Washington, per il I° presidente. Accudiva così una magnifica razza bianca da una colonna di alta 50 iarde. Intorno giardini e vaste praterie. Saluberrima tranquillità se non vi fossero state fughe scriteriate. Intanto incantevoli imbarcazioni a vele

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