Il ritorno. Confort woman
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Un misterioso Custode vigila sulla soglia della dimensione insondabile in cui il passato storico si va a perdere, divenendo oblio: segreti paurosi sono celati appena al di là di un drappo. Su di lui, abbandonato in un compito inestinguibile e intollerabilmente impossibile da razionalizzare, aleggiano i tremendi fantasmi di verità troppo grandi per essere vedute. Egli trova la nota fondante dell’uomo lì dove crudeltà e libidine si fondono: suo vate è il Marchese de Sade.
Il Custode si trova ad affrontare una Donna, che ha prestato la propria fibra di persona umana alla ricerca della verità sulla violenza che ha deturpato la storia del suo genere. La Donna esibisce su di sé e in sé la storicità di esso, le tracce dello strazio subito da tutte le donne di ogni epoca e luogo. Ciò che cerca non è vendicarsi, ma prestare soccorso a ciò che di più grave la violenza ha inferto, che non sono ferite psichiche o corporali, ma la perdita del primo segno fondamentale dell’umano: l’identità. La dimenticanza di essa è il perfetto suggello che il passato pone sul male.
È un contatto di alienazioni, un dialogo di assoluti megalitici e drammatici quello che l’autore dispiega nelle pagine di Il ritorno. Confort woman, opera complessa e spietata, che utilizza con proprietà una pregiata impostazione teatrale che proietta il lettore lì, appena un passo fuori dal palco, ad appena un passo dalle proprie responsabilità.
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Anteprima del libro
Il ritorno. Confort woman - Giuseppe Cafiero
tempo
Prefazione
Ho appena finito di leggere Il ritorno. Confort woman di Giuseppe Cafiero. Molti e stratificati sono i pensieri stimolati da questa lettura. Le pagine iniziali, ad esempio, mi hanno richiamato alla mente il film Salò o le 120 giornate di Sodoma, ultimo film di Pier Paolo Pasolini; già nel 1975 il poeta friulano – attraverso il richiamo al marchese de Sade – analizzava con grande crudezza il sadismo del potere che arriva a utilizzare, corrompere, torturare il corpo dei giovani italiani nel corso dei terribili giorni della Repubblica di Salò, ovvero a distruggere il futuro. Il Custode – protagonista di questa pièce – legge un frammento in cui de Sade accenna al fatto che si possa vivere praticando violenze, rovesciare il senso comune
e allude alla violenza come prova di forza
, al razzismo di genere che comporta un recondito piacere
. Anche nel testo di Cafiero, quindi, de Sade sembra assurgere a precursore teorico di una sorta di antropologia del potere fondato sulla violenza.
Presto poi appare la figura della Donna che affronta il Custode annunciandogli la sua intenzione di visitare il ricovero della tua memoria. So che nascondi dei fantasmi che hanno scritto una storia dell’infamia. Vorrei incontrare qualcuno di questi fantasmi
. Non è un caso che sia la figura femminile a voler fare i conti con la storia: le donne – cui spetta il privilegio di creare la vita – sono spesso state nei secoli oggetto di soprusi e violenze. Il Custode prova, sulla scia di de Sade, a equiparare la soddisfazione del proprio piacere come termine di libertà assoluta che va al di là della morale corrente: Tutti hanno smarrito la via, insieme si sono corrotti; non c’è chi compia il bene, non ce n’è neppure uno
.
A quel punto la Donna contesta con forza l’idea che la violenza sia un fenomeno naturale. E da una scatola che tiene in grembo mostra una serie di fotografie sulle violenze subite dalle donne. Emergono lentamente i fantasmi degli eccidi di donne perpetrati nel Novecento dagli eserciti tedeschi e italiani in Africa, dai giapponesi in Cina, degli americani in Vietnam, dai serbi nei Balcani.
Se distruggi e violenti le giovani donne – capaci di creare nuova vita – diffondi morte per l’avvenire di generazioni e generazioni: mi sembra il tema principale di questo intenso testo. Il tema della memoria e le ombre del passato ne sono il motivo ritornante.
La Donna attacca l’uomo e i fantasmi dietro i quali nasconde la sua violenza: Sono loro che ti sostentano, altrimenti non saresti un custode costretto a leggere il Marchese de Sade e acculturarti con una pornografia capace di parteggiare per i carnefici e non per le vittime
. In questo schierarsi dalla parte delle donne troviamo la componente maggiormente politica del testo di Cafiero, che sul rapporto uomo/donna concentra anche il secondo atto quando fa entrare in scena – mossi dal vento in una sorta di danza macabra – cinque scheletri caratterizzati da berretti dell’esercito italiano, americano, giapponese, tedesco, serbo.
Nel secondo atto il corpo della donna diventa esplicitamente un violento campo di battaglia
, percorso simbolicamente dal Custode, ora vestito da sacerdote moderno, che via via dà voce ai vari scheletri. Dopo vari scontri verbali con la Donna nel finale Custode/Sacerdote tira fuori una rivoltella con la quale sembra sparare alla sua antagonista. Ma poi quello che si era definito solo un Custode di fantasmi
, che svolgeva la funzione che gli era stata affidata, la rivolge contro se stesso e si uccide. Sembra quasi un’assunzione disperata di responsabilità, tale che la contesa tra l’uomo e la donna si chiuda a favore delle ragioni della seconda; ma subito capiamo – con un colpo di scena finale – che si tratta di un finto suicidio, un finto rimorso da parte degli uomini verso la violenza sulle donne. Evidentemente