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Monte Castello
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E-book461 pagine7 ore

Monte Castello

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Info su questo ebook

Nell’anno 2*75, sulla Terra devastata da una guerra totale, che ha distrutto tutto ciò che gli uomini avevano costruito in migliaia di anni, i pochi sopravvissuti allo sterminio delle armi chimiche e nucleari stanno cercando di rimettere insieme una società dove poter finalmente vivere in pace e serenità.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2018
ISBN9788827854204
Monte Castello

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    Anteprima del libro

    Monte Castello - Marco Gianasso

    Indice

    I - I Visitatori

    II - La Festa

    III - La pace è finita

    IV - Al Monastero di Valle Sapia

    V - Le avventure di Trilli

    VI - La Confraternita. Breve storia delle Terre Alte

    VII - Padre Ignazio, la guerra e i progetti per Valle Sapia

    VIII - Dialogo tra Padre Ignazio e Rovina

    IX - La partenza

    X - Storia di un’amicizia…..volante

    XI - Un patto scellerato

    XII - La prima battaglia

    XIII - Il prigioniero

    XIV - I nuovi piani

    XV - Imbarco sul Bargantin Terz

    XVI - Il Principe Manfredo

    XVII - Tempesta sulle Terre Alte

    XVIII - Il coraggio di resistere

    XIX - Morte e resurrezione

    XX - L’ Ambasciatore

    XXI - Forza, fragilità e malvagità umana

    XXII - Le Famiglie

    XXIII - Il Destino vince ancora

    XXIV - Cipriano e Fiammetta

    Monte Castello

    Un romanzo di

    Marco Gianasso

    Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale

    Titolo | Monte Castello

    Autore | Marco Gianasso

    ISBN | 9788827854204

    Prima edizione digitale: 2018

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    A mia moglie Angela,

    che vive e vivrà sempre

    nel mio cuore.

    I

    I Visitatori

    Tre figure incappucciate salivano lentamente verso la cima del Monte Castello. Ognuna di loro teneva per le briglie un cavallo con ai lati della sella delle bisacce di cuoio.

    Dal loro aspetto, polveroso e stanco, si capiva che avevano affrontato un lungo viaggio.

    Era Novembre inoltrato; un fresco vento di tramontana soffiava tra i rami dei castagni e dei noccioli, ormai spogli, e creava mulinelli di foglie che salivano, scendevano e si perdevano nel bosco.

    Il più alto dei tre, che precedeva il gruppo, si fermò in uno spiazzo erboso, lasciando libero il cavallo che subito si mise a brucare l’erba che cresceva, ancora verde, nel piccolo prato.

    Imitato dai suoi compagni di viaggio, si sedette su un grande tronco che, pulito dalla corteccia e levigato, era stato posto a lato dello slargo con l’evidente funzione di sedile. Togliendosi il cappuccio, mostrò un volto deciso, dai lineamenti regolari. Una corta barba, ben curata, incorniciava la mascella quadrata mentre gli occhi grigi, con piccole rughe agli angoli, si socchiusero incontrando i raggi del sole che, ormai basso, stava sparendo dietro le cime dei monti.

    «Se ben ricordo,» disse, «abbiamo ancora un’ora di cammino per raggiungere il Castello. L’ultima volta che salii quassù, saranno ormai quattro anni, questa strada era ripida e polverosa. E’ stata allargata e sono stati creati dei tornanti per renderla più agevole. Ma la cosa più interessante è il materiale usato per il fondo». Così dicendo si alzò, andò a prelevare un pizzico di terriccio e, tornando a sedersi, l’osservò con attenzione.

    «Sicuramente, » continuò quasi parlando tra se, «ci sono residui vegetali; probabilmente avanzi della lavorazione delle castagne e di altri prodotti, tenuti insieme da qualche resina. Comunque il risultato è ottimo!»

    «Anche in questo caso il Priore non smentisce la sua fama di persona attenta a ché nulla vada sprecato!» disse il secondo viaggiatore con una punta di ironia. Dalle striature argentate della barba appariva il più anziano della compagnia.

    «Caro Gian Leone,» gli rispose il terzo cavaliere, un giovane sui trent’anni con capelli biondi tagliati a caschetto e un accento che tradiva le sue origini transalpine, «hai sicuramente ragione, io non ho mai conosciuto il Priore, ma in tutto l’Ovest lui e le Terre Alte sono famosi per gli studi e le scoperte legate ai prodotti della natura ma, principalmente, all’energia del sole. Da quello che mi è stato spiegato, questa energia viene sfruttata in un’infinità di campi. Sarebbe un grande risultato se riuscissi ad accordarmi con il Priore per acquistare e sfruttare, almeno in parte, queste scoperte!»

    «Non credere» riprese Domenico, il primo interlocutore, «che io non abbia pensato di fare questa richiesta! Ho incontrato diverse volte il rappresentante delle Terre Alte, un giovane funzionario di nome Christian, se ricordo bene, ma sono riuscito solo ad ottenere la vendita di apparecchi per il riscaldamento e per l’impiego in medicina. Ogni volta che ho chiesto di poter utilizzare direttamente questa invenzione nelle nostre fabbriche, ha scosso la testa, senza lasciarmi speranze. Il nostro Governatore ha provato anche a promettergli qualche tangibile segno di riconoscenza; gli ha fatto brillare gli occhi, ma evidentemente gli ordini sono severi. Penso comunque di capire le ragioni per cui il Priore non voglia far parte altri Stati di questa tecnologia, che potrebbe essere utilizzata come arma.

    Sono sicuro, tuttavia, che se dimostreremo che può fidarsi di noi e dei nostri governi, non ci negherà, almeno in parte, la possibilità di sfruttare questa risorsa».

    «Purtroppo in questo momento,» continuò Gian Leone, «considerando la minaccia che incombe sulle nostre terre, lo scopo principale della nostra visita è quello di rinsaldare l’alleanza tra i nostri territori, e temo che questo sarà l’unico argomento di questo incontro!»

    In quel mentre furono interrotti da un latrare di cani. I cavalli, intenti a brucare, sollevarono contemporaneamente le teste e drizzarono le orecchie in direzione del suono, inquieti, costringendo Domenico ad alzarsi di scatto per recuperare le briglie. Dopo pochi secondi apparvero, da una curva della strada che scendeva dal Castello, una coppia di cavalieri preceduti da due cani. Procedevano al passo e il loro portamento incuteva un istintivo timore e rispetto. Indossavano pesanti mantelli di lana ricoperti da un sottile tessuto che, a prima vista, aveva la consistenza della seta, ma nascondeva all’interno uno spesso reticolo formato da vari metalli, in diversi strati, con la funzione di smorzare o deviare tutto ciò che poteva colpire chi la indossava. Anche i cavalli, considerati essenziali per la sicurezza di chi li montava, erano equipaggiati con testiera e gualdrappa del medesimo materiale. Gli uomini a cavallo portavano al fianco delle corte spade che, oltre al loro uso consueto, avevano un formidabile potere di energia. Una grande croce bianca, disegnata sui mantelli azzurri e sui giubbotti dello stesso tessuto, che si intravedevano sotto i mantelli dei cavalieri, indicava chiaramente che si trattava dei Guardiani del territorio, il piccolo ma temutissimo esercito delle Terre Alte.

    I due cani, due splendidi esemplari di lupo italiano, avevano smesso di abbaiare e guardavano i cavalieri come in attesa di ordini, fiutando l’aria con estrema attenzione..

    «Buona giornata!» disse uno dei due militari : «Scusateci se vi interrompiamo, ma per ordine del nostro Comandante dobbiamo controllare tutti gli stranieri che salgono al Castello. I nostri aiutanti hanno già verificato che non avete armi con voi,» disse uno dei due guardiani, accennando ai due cani, «perciò dobbiamo solo vedere i vostri documenti, chiedervi dove siete diretti e lo scopo del vostro viaggio.»

    «Salute a voi, » rispose Domenico che, nel frattempo, aveva legato i cavalli ad alcuni rami, «Non dovete scusarvi, fate il vostro dovere e incontrarvi, di questi tempi, è motivo di tranquillità!» Dicendo questo estrasse da una bisaccia i documenti richiesti dai guardiani, imitato dai suoi compagni: «Per quanto concerne il motivo della visita», continuò «è proprio un incontro con il vostro Priore Celio!»

    «Eravamo stati avvertiti del vostro arrivo.» esclamò uno dei due guardiani, con un tono più deferente, dopo aver esaminato i documenti dei tre viaggiatori, «Ci era stato segnalato il vostro passaggio al confine delle nostre Terre ma, a causa del vento, i nostri avvistatori in deltaplano non hanno potuto alzarsi in volo negli ultimi due giorni e perciò non avevamo ulteriori informazioni. Il Priore vi attende e potete tranquillamente salire da lui. Mi dispiace non potervi scortare fino al Castello, ma dobbiamo terminare il giro di ispezione prima che scenda il buio. Vi assicuro comunque che non c’è alcun pericolo e vi auguro un buon lavoro!»

    «Grazie», disse Benjamin, « buon lavoro anche a voi».

    I due cani, che si erano seduti durante il breve colloquio, ad un cenno di uno dei guardiani ripresero prontamente il cammino, precedendo con ampie falcate il trotto dei cavalli.

    Trascorsero una decina di minuti, durante i quali, mentre i cavalli continuavano a brucare tranquillamente, i tre viaggiatori discussero sulle questioni da affrontare con il Priore, dopo di che salirono in sella e ripresero la salita.

    Erano le cinque del pomeriggio e, benché la giornata fosse serena ed il cielo terso, presto sarebbe scesa la sera. Gli unici rumori erano quelli causati dal vento che correva tra i rami, sollevando le foglie e giocando tra l’erba e tra i cespugli di erica che crescevano, rigogliosi, ai bordi della strada. Arrivati vicino alla cima del monte ecco, improvviso, si udì lo squillo argentino di una campana che interruppe il silenzio della campagna.

    Poco dopo il bosco si aprì ed apparvero le prime fattorie circondate da campi e pascoli, con le mandrie che brucavano avidamente l’erba, sapendo per istinto che, di lì a poco, le prime nevicate le avrebbero private, per molti mesi, di quel piacere.

    Alla curva successiva, le scure mura del castello si stagliarono contro il cielo turchino.

    Era una costruzione piuttosto grande e occupava praticamente tutta la cima del monte. Era nata sulle rovine di un’antica fortezza, distrutta più di mille anni prima durante le guerre feudatarie. Da quella fortificazione veniva il nome di Monte Castello. La costruzione era di forma circolare e, sui bastioni, come su ogni castello che si rispetti, sporgevano delle torrette con delle ampie feritoie, di modo che tutta la circonferenza delle mura potesse essere controllata a vista. Nella parte anteriore del fabbricato non c’erano finestre e le pareti, leggermente inclinate, erano ricoperte da uno strato di materiale in resina, di un colore rosso mattone, che costituiva una corazza impenetrabile, dura come l’acciaio, ma che consentiva, nel medesimo tempo, una salutare traspirazione delle pareti.

    Si avvicinarono all’ingresso principale, una grande porta in ferro battuto, di bella fattura e ricoperta anch’essa dello stesso materiale che ricopriva le mura, ma di colore grigio scuro e passarono su un ponte in legno che attraversava un fossato e che, in caso di necessità, poteva essere sollevato da robuste catene.

    «E’ davvero una bella costruzione», disse Domenico che, esperto di opere murarie, vedeva per la seconda volta il castello, «sono curioso di sapere che tipo di materiale è stato usato. Spero che questa volta qualcuno mi sveli il segreto».

    Un guardiano controllò ancora una volta i documenti dei tre viaggiatori prima dell’ingresso nel castello e, verificato di chi si trattava, chiamò subito il responsabile del posto di guardia. Cipriano, così si chiamava il militare, accolse i nuovi venuti con modi cortesi :

    «Ben arrivati,» disse stringendo le loro mani con calore, «Vi accompagnerò nelle stanze dei visitatori e farò sistemare nella scuderia i cavalli. Potrete rinfrescarvi e riposarvi. Il Priore sta svolgendo la funzione dei Vespri e vi potrà ricevere più tardi. Per qualunque cosa vi occorra potrete rivolgervi alla governante, Maria Rosa, che vi mostrerà le vostre camere».

    I tre viaggiatori ringraziarono e seguirono il giovane.

    Cipriano aveva venticinque anni, era alto e snello, con un fisico atletico. I tratti del volto regolari, i capelli neri e gli occhi di un profondo azzurro, accompagnati da un sorriso che conquistava, ne facevano uno dei ragazzi più corteggiati e desiderati di tutte le Terre Alte.

    Nonostante la giovane età, era conosciuto per il suo carattere serio e determinato, a volte un po' malinconico.

    Il merito o la causa di tutto questo, che tuttavia non gli impediva di godere di momenti di allegria e di svago con gli amici, che gli volevano un gran bene, era da attribuire a diversi motivi, ma il primo era sicuramente la morte prematura della madre, avvenuta per un tragico incidente quando ancora lui era un bimbo di dieci anni. Bianca, sua madre, donna di grande bellezza, adorata dal suo sposo e dal figlio, avuto a venticinque anni, aveva la passione del volo ed era diventata, a trent’anni, uno dei migliori istruttori di deltaplano di tutte le Terre Alte. Durante una ricognizione sui sentieri del Monte Reo un’improvvisa e terribile tempesta di vento, accadimento non raro in quelle località e spesso imprevedibile, causò la rottura di un’ala del velivolo e la conseguente caduta verticale sulle rocce sottostanti che non lasciò scampo alla sfortunata Bianca.

    Per Cipriano, grande a sufficienza per capire quale immane disgrazia gli fosse capitata, fu un colpo terribile. Diventò da quel giorno solitario e taciturno. Faceva lunghe passeggiate sui sentieri dei monti o nei boschi, con la sola compagnia del fedele cane Oscar.

    A nulla valsero gli sforzi del padre che, cercando di celare in fondo al cuore la sua sofferenza, tentò in tutti i modi di farlo ritornare il ragazzo sempre sorridente che era prima della disgrazia.

    Quando la situazione pareva ormai senza speranza, intervenne il Priore Celio che, amico del padre di vecchia data, prese a cuore le sorti del ragazzo, lo accolse alla scuola del Castello, dove lui stesso teneva dei corsi di filosofia e religione, discorrendo e discutendo con lui per ore ed ore nella scuola e, soprattutto, nelle lunghe passeggiate lungo i tranquilli viottoli del Monte.

    Il Priore era un grande maestro, aiutava a ritrovare o a costruire una vita spirituale, partendo dai principi fondamentali, indispensabili, secondo i suoi insegnamenti, per affrontare le difficoltà che ogni persona, durante il suo viaggio sulla Terra, avrebbe prima o poi dovuto affrontare.

    Fu così che, per merito degli studi con il Priore, della compagnia degli amici e, più avanti, del lavoro nella fattoria del padre, Cipriano maturò, ritrovò la gioia di vivere e la fiducia in se stesso.

    Quel periodo della sua vita, così travagliato, plasmò il suo carattere. Divenne più riflessivo e, a volte, taciturno, ma la sua fermezza e la sua apparente severità venivano poi addolciti dal sorriso e dallo sguardo che lasciavano trasparire la sua grande sensibilità.

    A quindici anni, nonostante la forte opposizione del padre, aveva iniziato a volare ed era diventato, in pochi anni, uno dei migliori istruttori di volo in deltaplano. Buon sangue non mente ! sussurravano quelli che avevano conosciuto la madre e la sua arte del volo. A diciotto era entrato nei Guardiani del Territorio, guadagnandosi in poco tempo la stima e la fiducia degli anziani e, dopo pochi anni, la promozione a comandante della Compagnia del Castello.

    All’ interno la fortezza era strutturata con le spesse mura che fungevano da abitazione per i residenti, quasi tutti Guardiani con le loro famiglie. Finestre e balconi, tutti abbelliti da fiori, sporgevano sul grande cortile, mentre al centro sorgeva una costruzione esagonale con la Cappella e la residenza del Priore, che aveva ricevuto una dispensa particolare dal Maestro dell’Ordine per dimorare fuori dal Monastero. C’erano inoltre alcune stanze per i visitatori. Tutto era ordinato e pulito, ma senza alcuna concessione al lusso.

    Cipriano accompagnò gli ospiti in questo edificio al centro della corte, dove furono accolti dalla governante, una donna di una cinquantina d’anni, dall’ aspetto ancora piacente, che li accolse con un sorriso :

    «Benvenuti al Castello», disse «io sono Maria Rosa e per qualunque necessità potrete rivolgervi a me o a mia figlia Fiammetta».

    I nuovi venuti si presentarono e, aiutati da Cipriano, scaricarono i cavalli.

    «Vi accompagno alle vostre stanze», continuò Maria Rosa, «avrete certamente voglia di rinfrescarvi e riposarvi. Alle sette e mezza verrà servita la cena a casa del Priore. Sarà felice di vedervi; è giorni che mi parla del vostro arrivo!»

    Terminato di scaricare i bagagli dei visitatori, Cipriano condusse le cavalcature nelle stalle, che si trovavano sul lato nord del Castello e le consegnò a due ragazzi, perché anche gli animali, stanchi, potessero ricevere una buona dose di foraggio ed avere un meritato riposo.

    Gli animali, in tutte le Terre Alte, venivano considerati, oltre che creature di Dio, una importante risorsa. Venivano utilizzati per tutto ciò che la loro natura consentiva, sfruttando i loro sensi e le naturali attitudini che ognuno di loro possedeva.

    Fino dalla più tenera infanzia, in tutti i bambini veniva inculcato il rispetto e l’amore per ogni creatura, e veniva insegnato loro come andavano trattati gli animali da fattoria, da lavoro o solamente da compagnia.

    Una scuola di addestramento, che si trovava nel paese di Alpestre, ad una decina di chilometri dal Monte Castello, era la più rinomata di tutti i territori del Centro Nord e, per entrarvi, occorreva superare una durissima selezione. In quella scuola si imparava, prima di ogni altra cosa, a conoscere profondamente le caratteristiche e le esigenze di ogni animale, dopo di ché si faceva entrare il futuro istruttore in sintonia con la creatura che gli era stata affidata e che poteva essere della scuola o di sua proprietà. Ogni allievo doveva imparare a gestire almeno quattro specie di animali e per ognuno di loro doveva acquisire cognizioni approfondite di veterinaria. Era una scuola particolarmente dura e faticosa, ma i ragazzi e le ragazze che uscivano da lì erano richiesti da tutti i territori e non erano mai abbastanza.

    Alle sette e mezza, puntuali, i tre viaggiatori si presentarono a casa del Priore. La governante li fece entrare in un’anticamera con alcune poltroncine in velluto azzurro, un po' scolorite per l’uso ma perfettamente pulite :

    «Il Priore arriverà subito», disse, «accomodatevi.»

    Infatti, dopo pochi minuti, una porta si aprì e il rappresentante delle Terre Alte comparve, allargando le braccia e sorridendo :

    «Siate i benvenuti e Dio vi benedica !» esclamò abbracciandoli.

    Il Priore Celio non era alto, né robusto, tuttavia la sua figura, con la barba ed i capelli grigi lunghi, ma ordinati, la lunga tonaca bianca con cappa e mantello nero, metteva in soggezione chi gli stava dinanzi, soprattutto quando fissava il suo interlocutore con i suoi occhi chiari e dolci, ma fermi e penetranti.

    Si diceva che riuscisse, concentrando il suo pensiero su una persona, a capire, e difficilmente si sbagliava, chi gli stesse davanti e la sua storia, anche se, nelle sue lezioni e nelle sue prediche spesso diceva:

    Non giudicate mai il prossimo per il suo passato, perché le vie del Signore sono infinite ed è molto più importante ciò che faremo di quello che abbiamo fatto !

    Terminati i saluti, Il Priore li condusse in una saletta con un tavolo rotondo apparecchiato. Due ceppi di quercia scoppiettavano allegramente nel caminetto di pietra.

    «Prima di iniziare a mangiare» disse Gian Leone, in qualità di più anziano, «vorremmo consegnarti questi piccoli doni anche da parte dei nostri Territori, dove sei stimato e rispettato». Così dicendo gli porse un sacchetto in velluto rosso con all’ interno una croce in oro massiccio finemente lavorata;

    Benjamin gli donò un bassorilievo in argento raffigurante la Sacra Famiglia e Domenico, in ultimo, gli consegnò un antico volume, rilegato in pelle, con la storia delle principali chiese delle Terre Centrali, impreziosito con bellissimi disegni.

    «I vostri doni sono stupendi;» disse il Priore dopo aver osservato con attenzione tutti i regali, «non posso ricambiare con la stessa generosità ma, se pur modesto, spero vorrete egualmente apprezzare un ricordo della vostra visita». Così dicendo si avvicinò ad un tavolino dove prese tre libri, rifasciati con fibra di legno e tela, con iscrizioni dorate. «Questa è la storia delle nostre terre, insegnata anche nelle scuole, nella speranza che i ragazzi imparino ad evitare almeno qualcuno degli errori commessi dai nostri antenati. Prima che partiate, poi, vi daremo alcuni dei prodotti delle nostre campagne. Ma vi prego, accomodatevi a tavola !»

    Il pranzo fu servito da Fiammetta, la figlia della governante, una bella ragazza di vent’anni, con un sorriso dolcissimo, fidanzata da quando era ragazza con Cipriano, che amava perdutamente, ed altrettanto appassionatamente era ricambiata.

    Prima di iniziare, il Priore disse la preghiera di ringraziamento, imitato da Gian Leone e Benjamin, mentre Domenico rimase in rispettoso silenzio. Solo alla fine della preghiera disse:

    «Perdonami, Priore, ma tu sai che non ho la fortuna di avere la tua fede».

    «Non preoccuparti, Domenico, so che hai comunque tanti meriti e poi» concluse sorridendo, «il fatto che tu consideri una fortuna avere la fede significa che sei già sulla buona strada! La fortuna capita sempre quando meno te l’aspetti !»

    Le portate furono a base di verdure, cereali e prodotti degli allevamenti: una minestra d’orzo con passata di piselli, torte di verdure e frittatine con uova e formaggio, il tutto accompagnato da un buon vino e acqua di sorgente freschissima. Uno squisito dolce di ricotta fresca ed alcuni grappoli d’uva completarono la cena, che trascorse piacevolmente, ricordando le occasioni dei precedenti incontri e raccontando i commensali quanto accaduto negli ultimi tempi nei rispettivi Paesi.

    Terminata la cena, il Priore si fece serio: «Purtroppo, questa volta la vostra visita è per un motivo meno piacevole dei precedenti incontri ma, considerando che il viaggio è stato lungo e che avrete sicuramente bisogno di riposo, rimanderei questo argomento a domani mattina. Se per voi va bene possiamo vederci qui alle otto».

    «Come sempre una scelta saggia, Priore.» rispose Gian Leone.

    «Grazie per la cena squisita» aggiunse Benjamin

    «Vi auguro una buona notte».

    Fiammetta li accompagnò alle loro stanze, felici di poter riposare in un letto comodo e che profumava di bucato dopo giorni di viaggio.

    Il mattino seguente l’ aria era ancora più fresca ed il cielo, aperte le finestre, appariva sempre terso.

    Un buon profumo di caffè d’orzo e di pane appena sfornato accolse i tre ospiti all’ uscita dalle loro stanze. La colazione, che fu servita in una saletta a pianterreno, vicina alle cucine, era composta da latte fresco, caffè d’orzo tostato, pane e focaccine, accompagnati da miele, marmellate e burro.

    «Spero» disse Maria Rosa, portando su un vassoio le bevande bollenti, con il pane e le focacce ancora calde, «che la colazione sia di vostro gradimento. Se desiderate qualcosa d’altro non dovete che chiedere e, per quanto possibile, vedrò di accontentarvi».

    «Per quello che mi riguarda» rispose Domenico, che sicuramente era la più buona forchetta della compagnia, «basta ed avanza. Se poi il gusto è come il profumo non mi alzerò da tavola finché ci sarà rimasta una briciola!»

    Le ultime parole furono salutate da un abbaio che proveniva da sotto il tavolo. I tre si sporsero e si trovarono un musetto bianco e nero rivolto all’insù, due grandi occhioni neri e un codino che spazzava il pavimento ad una velocità incredibile.

    «Scusate,» disse Maria Rosa, cercando senza successo di acchiappare l’ animale, «ma questa signorina è stata viziata da mia figlia e non ha ancora imparato che non si disturbano gli ospiti mentre mangiano».

    La governante riuscì alla fine a prendere Trilli, così si chiamava la cagnolina, non prima però che la birba fosse riuscita a strappare ad ogni commensale un pezzo di pane e qualche coccola, lasciando in cambio un po' della sua gioia di vivere.

    La campana del Castello suonava gli otto colpi quando Gian Leone, Domenico e Benjamin furono introdotti nella sala del Consiglio. Oltre al Priore, attorno al lungo tavolo di noce, erano seduti il Comandante dei Guardiani, Manolo Massaro, un uomo di una cinquantina d’ anni, dall’ aspetto poderoso, detto anche Il Rosso per via del colore dei capelli, e il Direttore delle Risorse, Christian, responsabile degli scambi di tutto ciò che veniva prodotto sul territorio e, in generale, di tutte le questioni economiche con gli altri stati.

    Dopo aver salutato tutti i presenti, il Priore si avvicinò ad una carta appesa alla parete, dove erano disegnati tutti i territori della vecchia Europa.

    Incrociò le mani dietro la schiena ed osservò con attenzione

    la carta. Poi si voltò e disse:

    «Che notizie ci portate dai paesi dell’ Est?»

    «Non buone;» rispose Domenico, «non sappiamo esattamente cosa stiano preparando i Senza Terra,» così venivano chiamate le bande di predoni che avevano conquistato buona parte delle Terre dell’Est, «ma abbiamo saputo da alcuni pastori, riusciti a fuggire da quei paesi, che un grande numero di questi briganti si sta’ ammassando sulle coste ed ai confini. Tuttavia non sappiamo come siano armati, o meglio, si sa che hanno saccheggiato i depositi delle armi proibite e destinate alla distruzione, ma è da verificare la loro funzionalità e la capacità di usarle di quegli uomini. In ogni caso, sia che decidano di attraversare il mare, oppure di salire a nord, entrando dalle Terre del Piano, occorreranno, a mio parere, due o tre mesi di preparazione».

    «Anche le notizie che sono arrivate a noi» intervenne Gian Leone «parlano di un gran numero di predoni pronti ad invadere le nostre terre. Solamente con l’unione delle nostre forze, secondo me, potremo opporci ad un attacco di questo esercito. La loro forza, oltre al numero, è il terrore inculcato dai loro capi, che non esitano ad uccidere chi mostra paura o pietà per gli avversari ed hanno l’ordine di distruggere tutto ciò che a loro non serve, siano cose, animali od uomini. Per non parlare della sorte che tocca alle donne che vengono catturate vive!»

    «Non è possibile» disse il Priore, «tentare una trattativa? Si tratta pur sempre di uomini!»

    «Abbiamo tentato, alcuni mesi fa,» rispose Gian Leone «di prendere contatto con loro, inviando una delegazione del nostro parlamento, ma l’esito è stato disastroso. Due dei nostri sono stati imprigionati con accuse inesistenti di spionaggio e uccisi in carcere. Gli altri sono riusciti a fuggire di notte con l’aiuto di alcuni cittadini coraggiosi, che odiano gli invasori».

    «Chi comanda queste bande?» chiese il Rosso.

    «Oramai» rispose Gian Leone, «non si può parlare di bande, ma di un vero e proprio esercito, sicuramente disordinato, i cui componenti, presi uno ad uno, sono assolutamente inaffidabili ma, come dicevo prima, la disciplina del terrore li ha trasformati in un’ armata molto temibile. Sono certo che, eliminando la fonte del terrore, cioè i loro capi e capetti, questa potente macchina da guerra si sgretolerebbe in mille pezzi ed ogni gruppo ricomincerebbe ad operare per proprio conto, probabilmente anche uno contro l’altro. Mi chiedevi chi li comanda: sappiamo solo che questo personaggio proviene dal centro dell’Asia, è un uomo dall’ aspetto possente, sicuramente intelligente e privo di scrupoli. Si fa chiamare Aligeris Khan e si è circondato di una corte di capibanda ai quali ha concesso molti privilegi, incluso il diritto di vita o di morte sui propri uomini. Si dice anche, ma la cosa non è provata, che questo Aligeris Khan, comparso improvvisamente ed altrettanto rapidamente pervenuto al comando, sia una creatura delle Famiglie. Questa potente organizzazione, dopo aver causato l’ ultima Grande Distruzione con la perdita del controllo delle terribili armi che aveva distribuito, pare si sia rapidamente riorganizzata e, grazie alle ricchezze che comunque è riuscita a conservare, sia determinata a perseguire il suo scopo di conquistare il potere sul Mondo e sulle sue creature a qualunque costo. I componenti di questa organizzazione considerano la devastazione e la strage causata dal loro cinico comportamento una prima tappa, imprevista ma in fondo utile ai loro scopi, del percorso programmato».

    «E’ l’eterna battaglia tra il bene e il male» » disse il Comandante dei Guardiani con un sospiro, «in questo caso bisogna combattere contro chi vuol fare apparire, in modo diabolico, ciò che è immorale, vergognoso e vizioso una cosa legittima ed opportuna. Ma veniamo alle cose pratiche: quali forze possono mettere in campo i vostri Territori?»

    «Abbiamo calcolato» rispose Domenico, «che tra la mia Terra e quella di Gian Leone, che sono quelle più esposte ad un attacco, potremmo schierare ventimila uomini. Trentamila con l’ intervento di Benjamin. Il rapporto sarebbe, comunque, di uno a dieci. In un paio di mesi potremmo raddoppiare questo numero con le riserve, che tuttavia non sono altrettanto efficienti».

    «Come sapete,» intervenne il Priore Celio, «il nostro è un piccolo esercito e, il Comandante mi corregga se sbaglio, non possiamo mettere insieme più di tremila uomini senza rischiare di rimanere completamente sguarniti. Tuttavia, considerando il grado di addestramento ed il valore dei nostri e dei vostri soldati, l’ impresa di respingere questa invasione non mi sembra impossibile, con l’aiuto di Dio, naturalmente».

    Il Rosso era rimasto pensieroso per alcuni minuti, ma a quel punto prese la parola :

    «Stavo riflettendo e mi chiedevo se, in considerazione del nemico che abbiamo di fronte e del fatto che nessuna delle nostre Terre, anche se non in prima linea, può considerarsi al sicuro , sia meglio aspettare di essere invasi o cercare, piuttosto, di scompaginare i loro piani prima che riescano ad entrare nei nostri territori e, siatene certi, ci riusciranno, passando dal nord, attraversando il mare e, probabilmente, sbarcando al sud e risalendo la penisola fino ai nostri territori, che sono quelli che a loro interessano!»

    «Effettivamente» osservò il Priore, «potrebbe essere una buona idea, anche se invadere un altro Paese è contro i miei e, ritengo, anche i vostri principi. Dobbiamo però essere certi che il nostro intervento non porti ulteriori sofferenze a quelle popolazioni, ma sia il primo passo verso la loro liberazione».

    «Come dimostrato da quanto ha raccontato Gian Leone, », soggiunse il Comandante, «la popolazione sarebbe sicuramente dalla nostra parte. Per poter attuare un piano simile è però indispensabile innanzi tutto la sorpresa. Per questo occorrerebbe predisporre con la massima rapidità un piano e, per fare questo, sono necessarie alcune informazioni sulla consistenza dei nostri avversari, sulle loro armi e sulla dislocazione del loro esercito».

    «Non sarà facile andare a spiarli nel territorio controllato da loro», disse Domenico, «abbiamo sentito la fine fatta dai messaggeri di Gian Leone!»

    «A questo possiamo provvedere noi», proseguì il Rosso, «naturalmente con il vostro appoggio. Christian», aggiunse poi rivolto al direttore delle risorse, «per cortesia, fai venire Cipriano, vorrei sentire il suo parere. Vi spiego, il sistema migliore che abbiamo per controllare il territorio è sorvolarlo con i deltaplani. Sono ormai molti anni che utilizziamo questi mezzi ed abbiamo navigatori molto bravi, uno di questi è il giovane che ho mandato a chiamare e vorrei affidare a lui il comando di questa operazione, anche se mi rendo conto del pericolo che comporta. Cipriano è come un figlio per noi,» il Priore annuì, « ma ho piena fiducia in lui e sono certo che, con una buona preparazione, l’ impresa potrà avere successo».

    Dopo pochi minuti Christian e Cipriano entrarono nella sala. Nonostante la differenza di età, Christian aveva trentacinque anni e Cipriano venticinque, l’ attenzione venne subito attirata dal più giovane, per il sorriso che distribuì a tutti i presenti e per la sicurezza del portamento. Christian era sicuramente un ottimo elemento, nominato dall’ Assemblea delle Terre Alte a coprire il delicato incarico di aiutare lo scambio di prodotti con gli altri territori. Conosceva diverse lingue, era dinamico e capace, ma aveva alcuni difetti che, con l’ andare del tempo, tendevano a peggiorare: una grande ambizione e la tendenza ad invidiare gli altri. Due nei che, messi insieme, potevano creare una pericolosa miscela. Più volte il Priore, che aveva il dono di vedere e prevedere, si era preoccupato di parlare a lungo con lui, cercando di fargli capire quali erano i valori reali e quelli che, invece, corrodevano, a poco a poco, la capacità di discernere ed accettare gli accadimenti della vita, ma i risultati, con Christian, non erano stati quelli sperati.

    «Siamo a vostra disposizione» disse Christian dopo che lui e Cipriano avevano salutato tutti i presenti.

    «Sedetevi, vi prego.» disse il Priore indicando alcuni posti lasciati liberi attorno al tavolo, «Dobbiamo affidarvi un compito molto delicato e vorrei avere anche la vostra opinione».

    In realtà quello che interessava al Priore era il parere di Cipriano, ma Christian sarebbe stato utile in quanto era uno dei pochi che, avendo viaggiato molto anche nei territori dell’Est, conosceva la lingua che veniva parlata dalla maggioranza della gente in quei paesi.

    Rapidamente, Cipriano fu informato di quanto era stato detto e deciso e, al termine della spiegazione, il Rosso gli chiese: «Quante macchine pensi siano necessarie per questa operazione?»

    «Non molte, direi non più di quattro o sei. Non conosciamo quelle zone e se, come penso e come ritengo più opportuno, dovremo volare anche con poca luce per non essere visti, è necessario che io abbia le carte con tutti i rilievi e, possibilmente, una mappa dei venti. In ogni caso il numero deve essere pari, in quanto, considerando il tipo di operazione che dobbiamo compiere, dovremo volare sempre in coppia».

    «Per quanto riguarda le carte e le mappe», intervenne Domenico, «sono sicuro che i nostri cartografi e gli esperti del meteo ti potranno aiutare».

    A quel punto bussarono alla porta ed una delle guardie che sorvegliavano la sala della riunione entrò e si avvicinò al Priore per sussurrargli qualcosa all’ orecchio. Il Priore Celio si alzò : «Perdonatemi,» disse, «ma devo lasciarvi per alcune questioni urgenti. Vi prego di predisporre tutti i dettagli di questa operazione. D’altra parte gli esperti siete voi ed io non vi sarei di molto aiuto. Questo progetto deve essere attuato al più presto,» proseguì rivolto a Cipriano, «ricordati però che tra due giorni ci sarà la Festa dell’Aria, e nessuno di noi può mancare. Tenetene conto. Naturalmente i nostri ospiti saranno gli invitati d’onore!»

    Detto questo uscì ed a Cipriano, che sapeva il motivo dell’abbandono, non sfuggì l’espressione turbata che raramente appariva sul volto del suo maestro che, uscito dalla stanza della riunione, si avviò con decisione verso il suo studio. Lì lo attendeva un personaggio che sicuramente non passava inosservato: sprofondato su una poltrona, i piedi calzati in alti stivaloni appoggiati su un tavolo e un grosso sigaro, che Maria Rosa aveva costretto a spegnere, in bocca, c’era Bartolo Levisio, rappresentante di un gruppo di oppositori del governo delle Terre Alte che mal sopportavano le regole apportate dal Priore il quale, dopo essere entrato ed aver lanciato uno sguardo al visitatore, tale che lo fece alzare di scatto, si chiuse la pesante porta alle spalle. La discussione che avvenne all’interno della stanza fu aspra e solo le spesse pareti della stanza impedirono che gli ospiti udissero la voce alterata del Levisio e le risposte secche, ma pacate, del Priore.

    Il dissidio, inconciliabile, verteva principalmente sulle limitazioni che il Governo delle Terre Alte aveva imposto alle banche che, dopo le nuove regole, dovevano confrontarsi, nei casi di controversia, non più con i semplici cittadini, ma con le Confraternite che, gratuitamente, intervenivano in loro aiuto.

    Inoltre queste associazioni, in caso di prestiti di piccola entità a persone con particolari problemi, sostituivano molte volte le stesse banche

    Uscito il Priore, Cipriano e gli altri partecipanti alla riunione stesero sul tavolo le carte che avevano a disposizione, iniziando a discutere per elaborare un piano che fosse efficace, limitando, per quanto possibile, i rischi dei piloti e degli altri partecipanti.

    I deltaplani infatti, operando su un territorio sconosciuto e senza un adeguato supporto a terra, sarebbero stati oltremodo vulnerabili, anche in considerazione delle armi da fuoco che, nonostante fossero state bandite dopo la Grande Distruzione, i Senza Terra avevano recuperato dai depositi abbandonati e che usavano dopo averle rimesse in qualche modo in funzione, sfidando le leggi imposte, dopo la devastazione, a tutti i paesi che si erano riorganizzati in un’ Assemblea dei Territori. Leggi che, tuttavia, ancora nessuno riusciva a far rispettare, a scapito dei paesi più virtuosi.

    La discussione durò alcune ore, interrotta solo da Fiammetta che, all’una in punto, dopo aver bussato, entrò nella sala con un vassoio colmo di tramezzini dall’ aspetto molto invitante, una brocca d’acqua fresca e alcune bottiglie di ottima birra provenienti dalla Fabbrica che si trovava al Piano e serviva tutte le Terre Alte.

    «Questa si che è una splendida idea!» esclamò Domenico che, poco avvezzo ai digiuni, da tempo lottava con le violente proteste del suo stomaco. Dopo di che nessuno si fece pregare per servirsi e la pausa fu brevissima a motivo dell’esaurimento delle vivande.

    Al termine della riunione le decisioni, prese di comune accordo tra i partecipanti, furono trascritte in una relazione stesa da Gian Leone, per essere poi

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