Latte e Ghiaccio
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Anteprima del libro
Latte e Ghiaccio - Stefano Motta
Stefano Motta
Latte e Ghiaccio
Copyright© 2020 Edizioni del Faro
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via dei Casai, 6 – 38123 Trento
www.edizionidelfaro.it
info@edizionidelfaro.it
Prima edizione digitale: aprile 2020
ISBN 978-88-5512-071-5 (Print)
ISBN 978-88-5512-944-2 (ePub)
ISBN 978-88-5512-945-9 (mobi)
In copertina:
Francesco Gonin – Luigi Sacchi (incisore)
Illustrazione per Alessandro Manzoni, I promessi sposi
Milano, Guglielmini e Redaelli, 1804-42, p. 8
http://www.edizionidelfaro.it/
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Il libro
Due grotte, quella da cui fuoriesce tambureggiante il Fiumelatte e quella che nel ventre della Grigna custodisce un tesoro di ghiaccio anche d’estate. Due percorsi sui passi di Leonardo da Vinci e del geologo Stenone, dalla Val di Gresta in Trentino alle montagne sopra il lago di Lecco. Due voci, inattese e struggenti, dai Promessi Sposi
. Due racconti, quasi due apocrifi manzoniani, per un’unica storia dantesca di discesa nelle viscere, di risalita e di rinascita.
L’autore
Stefano Motta è nato a Desio (MI) nel 1975 ed è preside del Collegio Villoresi di Merate (LC). Scrittore e saggista, ha pubblicato numerosi titoli di narrativa per ragazzi. Ha curato un’edizione dei Promessi Sposi
adottata da numerosi istituti superiori ed è direttore artistico del Maggio Manzoniano Merate e membro della giuria del premio letterario internazionale Alessandro Manzoni
. Il suo ultimo romanzo, Lale
, è uscito per Einaudi Ragazzi nel maggio 2019.
Latte
F.
Gonin
, Bellano
, illustrazione per Alessandro Manzoni,
I promessi sposi, Milano, Guglielmini e Redaelli, 1840-42.
A riscontro a Bellagio è il Fiumelaccio, il quale cade da alto più che braccia cento dalla vena donde nasce, a piombo sul lago, con inistimabile strepitio e romore. Questa vena versa solamente ad agosto e settembre […]
(
L. Da Vinci, Codice Atlantico, folio 214)
Esce questo fiume d’acqua freddissima da una caverna (risalendo dal basso per una specie di salto di gatto) alta circa mille piedi dal lago; e precipitando poco meno che perpendicolare fra massi, spuma e s’imbianca, sicché non senza ragione dicesi Latte. Narrasi che nel 1383, alcuni che aveano più coraggio che ingegno siano in quella entrati, l’abbiano percorsa per ben sei miglia, siansi per tre giorni smarriti negli andi-rivieni del cavo monte, e al quarto ne siano usciti sì atterriti, che fra tre dì tutti ne morirono.
(C.
Amoretti
, Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano, e di Como, e né monti che li circondano, Milano, Giuseppe Galeazzi, 1801)
Molti in più tempi si misero dentro a quelle cieche spelonche, ma uomini di nessuna dottrina, a quanto pare, essi furono, e le istorie che di lor si raccontano tengono qual più qual meno dell’improbabile e del favoloso […]
(D.
Bertolotti
, Il Raccoglitore, Milano, tip. Batelli e Fanfani, 1819, vol. III, p. 123)
Per me si va
Un piccolo borgo, un paio di miglia prima di Varenna,
Lago di Como, novembre 1610 circa
Dovettero attendere q ua ttro g io rni, p oi il primo r ie merse, come Lazzaro dal sepolcro.
La prima a vederlo fu l’Enrica: dalla finestra della sua casupola affacciata sopra il piccolo orrido contemplava il sole pallido di dicembre che tramontava prestissimo oltre il dorso del monte Crocione, là a occidente. Un ultimo raggio, scappato dalle nuvole come una stilettata, colpì quell’involto di stracci che avanzava muto di dolore.
Le braccia protese in avanti artigliavano i rami secchi, che si rompevano sotto il peso del suo corpo, scheletrico eppur grave per l’inerzia che lo faceva afflosciare a ogni istante, scivolando sul letto asciutto e verdognolo del torrente.
Le mani ferite, come di chi avesse preso a pugni muri di roccia e schegge, erano occhi. Gli occhi arrovesciati indietro non vedevano che gli spettri che si portava dentro.
«È lui! – gridò con la voce in gola – È lui, mamma: è lui!» rimbalzò scendendo in fretta le scale, lieta e superba d’averlo visto lei per prima, finalmente.
Si scontrò sulla soglia di casa con la madre che rientrava dalla cerca delle noci. La magra bisaccia cadde a terra con un rumore come di sassi e la donna rimase come impietrita, tra l’istinto di sgridare la piccola Enrichetta, che con lieta furia la scrollava per le braccia: Girati, mamma, girati!
.
Una madre non lascia mai che la speranza l’abbandoni, ma ci sono anni che scorrono veloci come giorni e giorni che pesano come anni. Era capitato altre volte che il suo ’Maso stesse lontano da casa per più giornate. Quando andava per i boschi del monte Fopp a far legna, o saliva in Ortanella a caccia, per esempio, con quei due suoi compagnoni, l’Achille Chillœul
e l’Anselmo Selmin
, lei non si era mai preoccupata. Ma questa volta non era come le altre. Partiti senza uno scopo vero, dietro a quella sottana, tutti e tre matti come cavalli, a dare la caccia a una cosa inutile.
Che crapùn, che testa calda il suo ’Masin, di andare a infognarsi su per quel budello, che la ’state loro ci cavavano col secchio direttamente dal ballatoio un’acqua fresca che più fresca non si può, e ’desso ci andavano i ragazzetti a raccogliere il muschio verdissimo per il presepio.
«Mi avrà solo chi scoprirà la sorgente del Fiumelaccio» aveva detto a quei tre mosconi che le ronzavano intorno quella là
. Chissà cosa ci vedevano di bello in quella specie di grugno un po’ guerriero con cui si schermiva sempre, in quei fianchi abbondanti. Cos’era poi? Una contadina come tant’altre. Eh! Di queste e delle meglio ce n’è per tutto!
E invece no. Quei tre eran partiti baldanzosi, cantando una canzone un po’ sconcia, che lei si vergognava anche solo a ricordare, e si erano infilati in quel buco maledetto da cui usciva il torrente.
Le acque bianche e spumose che precipitavano tambureggianti verso il lago lo avevano fatto chiamare così sin da quando Berta filava: fiume Latte
. Non era il colore a essere misterioso però, ma l’intermittenza. Il fiume Latte cominciava a scorrere in primavera e si inaridiva al sopraggiungere delle prime notti di gelo autunnale. Usciva da una grotta di forma triangolare, incassata tra due pareti di roccia scura, ma di dove provenisse nessuno lo sapeva. Nessuno si era in verità mai spinto all’interno della montagna perché a nessuno probabilmente interessava. La gente di montagna è gente semplice, accoglie quello che la natura le offre come un dono gratuito, senza chiedersi le ragioni di tale munifica benevolenza. Vivere in quei luoghi poteva non essere semplice, ma la montagna era prodiga di noci, castagne, legname, acque cristalline e, più su, pascoli verdeggianti, se pur impervi. Non c’era pescatore che tornasse a reti vuote dalle notti passate sul lago. A nessuno sarebbe venuto in mente di infilarsi in quel buco, né quando scorreva l’acqua, né tantomeno quando il fiume era in secca, a riposo come andavano a riposo gli animali e le piante nei boschi.