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Diario di un dannato
Diario di un dannato
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E-book447 pagine5 ore

Diario di un dannato

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Info su questo ebook

Nell’intimità della nostra memoria, cerchiamo di conservare quanto, del giorno fugato, abbiamo vissuto, ricomponendo ogni frame in associazioni mai esistite perché mai vissute, ma rese tali da costruire una storia, la nostra storia, che si va a sommare a tutte le piccole storie accumulate in una intera vita, rivelando, in questo modo, quanto di falso sia insito nel ricordo. Nella testimonianza passiva di un diario, ogni pensiero o nota assume la forma inequivoca di una confessione, dalla quale emerge, con assoluta lucidità, la disperazione tangibile che le nostre dita hanno cercato di interpretare, conferendo ad esse una veste fatta di parole e suoni soffocati, nascosti nella codificazione grammaticale, per rinviare la scoperta dell’assurdo operata attraverso il rumoroso rito della lettura. La scrittura è oblio di sé: essa, sospinge a cercarsi oltre le freatiche lande del conscio, dove le emozioni rifrangono il respiro dell’esserci, nella mutevolezza dei falsi equilibri. Tutto oscilla nella dimensione della dualità, tra le cui sottili mura si creano e si distruggono interi mondi, albergano i mostri che ci fanno più paura, si nascondono le ombre che muovono le nostre esistenze come se fossimo dei manichini inconsapevolmente compiacenti, alle quali non saprebbero opporre un rifiuto per il timore ossessivo di rinunciare a una artificiale, beata condizione (quasi) lapsariana.
LinguaItaliano
Data di uscita3 dic 2018
ISBN9788827860892
Diario di un dannato

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    Anteprima del libro

    Diario di un dannato - Dario Taurino

    Dario Taurino

    Diario di un dannato

    Le Confessioni del Male

    Youcanprint Self-Publishing

    Titolo | Diario di un dannato Autore | Dario Taurino ISBN | 978-88-27851-80-7 © Tutti i diritti riservati all'Autore Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi 6 - 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    In copertina: Arthur Rimbaud, pagina originale della lettera indirizzata a Paul Demeny, conosciuta come la Lettera del veggente ( Lettre du Voyant, 15 maggio 1871).

    Alla memoria di Giuseppa Maria Lucia Rollo (Josephine), mia nonna, che fu la donna che mi ha allevato e che mi ha insegnato i misteri della Natura e del cuore, dedico le accorate parole di questo diario, da me vergato per lenire l’insopportabile dolore che visita, ogni notte, le stanze disadorne della mia memoria infuriando sulla mia bianca carne di fanciullo insonne, affebbrato dalla bruciante assenza di ciò che il tempo ha mutato in muta ombra nelle quali custodisco gelosamente i preziosi insegnamenti di cui mi fece largo dono in vita.

    PREFAZIONE

    IX

    Nella frammentazione dell’io, scorgiamo attoniti la fragilità del concetto di identità, i cui confini divengono incerti nelle assolutizzazioni maniacali operate dalla ragione me-diante il dubbio, quando la certezza dell’esserci si disgrega, generando una diffrazione delle proprie emozioni, che si coagulano come dense stille di assenza, poiché le une distanti dalle altre, separate dalle invisibili distanze del dolore provato in un mai asciugato mal du vivre, che condanna alla sudicia consapevolezza della sua pervasiva presenza.

    Così, immersi nelle stigie paludi della verità delle cose, ci lasciamo scivolare, senza ricordo, sulle amarezze dettate da remissive rinunce, che obbligano a rivivere, ogni giorno, il rito osceno del distacco della propria volontà, congelata nello scrigno opaco dell’impossibilità di divenire semplicemente nella propria essenza, al di là delle mutevoli prospet-tive dell’Essere, dove si crea il costante stupore dell’attesa per un Creato del quale non si è che una stinta ombra.

    Come consunti navigli dal timone spezzato, ci incagliamo nelle secche del tempo - pia illusione -, il quale deforma le nostre paure, dilatandone smisuratamente la percezione, la quale innesca un perverso gioco fatto di riflessi su specchi inesistenti, sulla cui sporca superficie intravediamo i volti scomposti delle nostre stanche speranze, appese, come piccole stelle, a serici fili, che le fanno oscillare oltre i margini della pensabilità di un libero arbitrio che tutti ignoriamo, poiché pensare possibile ciò che ci terrorizza equivale a ma-terializzarne l’unta ombra, che irrora subdolamente le nostre coscienze, costringendole al ritualizzato esercizio dell’autoanalisi.

    Ciò che ci resta di un’esperienza esistentiva, scomposta in una inconscia pluralità di esperienze di scelta non del tutto esaurita, è la meticolosa annotazione diaristica del nostro vissuto, al fine di impedire all’oblio della mente di fagocitar-lo per sempre, dissolvendo ciò che con fanciullesca insistenza osiamo definire esistenza.

    X

    Tutto ciò che esiste non ha bisogno di una memoria, ma la memoria ha bisogno delle cose per poter esistere: siamo fatti della stessa sostanza della memoria, nella quale i sogni sono degli stratificati, differiti labirinti, nei quali essa nasconde gli idoli delle proprie assenze, sulle cui inconsistenti fondamenta edificare le certezze che ci sostengono e ci per-mettono di non precipitare nei gorghi della follia, originati dal suo atemporale ventre. Quindi è sempre presente, nelle nostre esistenze, la costante della fuga verso ciò che può di-latare il tempo delle illusioni dell’esistenza, delle quali ci rendiamo partecipi attori per neutralizzare la gravità del Nulla, di cui la morte non ne è che solo il pesante accesso.

    Nell’intimità della nostra memoria, cerchiamo di conservare quanto, del giorno fugato, abbiamo vissuto, ricompo-nendo ogni frame in associazioni mai esistite perché mai vissute, ma rese tali da costruire una storia, la nostra storia, che si va a sommare a tutte le piccole storie accumulate in una intera vita, rivelando, in questo modo, quanto di falso sia insito nel ricordo.

    Nella testimonianza passiva di un diario, ogni pensiero o nota assume la forma inequivoca di una confessione, dalla quale emerge, con assoluta lucidità, la disperazione tangibi-le che le nostre dita hanno cercato di interpretare, conferen-do ad esse una veste fatta di parole e suoni soffocati, nascosti nella codificazione grammaticale, per rinviare la scoperta dell’assurdo operata attraverso il rumoroso rito della lettura. La scrittura è oblio di sé: essa, sospinge a cercarsi oltre le freatiche lande del conscio, dove le emozioni rifrangono il respiro dell’esserci, nella mutevolezza dei falsi equilibri.

    Tutto oscilla nella dimensione della dualità, tra le cui sottili mura si creano e si distruggono interi mondi, alberga-no i mostri che ci fanno più paura, si nascondono le ombre che muovono le nostre esistenze come se fossimo dei manichini inconsapevolmente compiacenti, alle quali non sapreb-

    XI

    bero opporre un rifiuto per il timore ossessivo di rinunciare a una artificiale, beata condizione (quasi) lapsariana.

    La rinuncia al ricordo ci garantisce la sopravvivenza delle emozioni meno sfocate dalla frenesia dell’esistenza, alla quale offriamo, come sacrificio cruento, la nostra volontà, condannandoci a divenire protesi di un severo Fato monoco-lo, a cui rivolgiamo, come sentite preghiere, le nostre stra-zianti urla di dolore.

    Atterriti dall’incontrollata invocazione all’illusorietà del mutamento, restiamo intrappolati nel nostro concetto di dualità – teatro spoglio, sul cui proscenio smembriamo dimentichi la carne del nostro divenire –, intorno al quale si concre-ziona ogni sforzo compiuto per realizzare la vuota sicurezza di appartenere a un sistema, che invece ci digerisce nella indifferenza programmata, nei cui circuiti veniamo inseriti per attuare un apparente afinalistico disegno, per raggiungere insospettabili mete, oltre le quali si staglia il negativo dell’illusione che le contiene, risucchiate nella zona del crepuscolo del sogno, il quale fluttua in un universo assente, privo di scopo.

    Nell’assenza di un’origine comune, a cui si sottendono i nostri scialbati destini, nascondiamo, nel fondo di pagine intrise di vuoto, il lividore delle nostre confessioni, la cui vo-ce è una lenta salmodia, la quale invoca il Male che l’ha so-stanziata con la luce della sterile ragione.

    Ecco, allora, che, nel mutamento all’inversione del senso delle cose, trova la ragion d’essere la struttura pesante di una negazione alla vita, che noi abbiamo chiamato Male, nella cui invocazione, stanchi e insonni, tentiamo di rigenerare l’ombra del sogno che chiamiamo tutti esistenza, nei cui recessi anneghiamo, tormentati dalla vertigine della caduta nel senso delle cose, l’idolico simulacro della Verità.

    Obliville, ottobre1897

    Dario Taurino

    DIARIO DI UN DANNATO

    Le Confessioni del Male

    PROOEMIUM ADFICTUM

    5

    Procumbe, Viator,

    hic pretium tuae

    redemptionis adora!

    Dai superni altari dell’antico capro la lode io canto, con il calice ricolmo rivolgo preci assorte al custode dell’Arcano, che scruta il volgo ignorante, del cui vangelo verbo alcuno mai ode. A te, dio lapso, nobile genia, delle milizie celesti il capo, questo canto offro, vergato con il mio nero sangue di accolito impudico, che si asconde alla luce dell’aurora.

    Or sommesso, getto nel bronzeo tripode, come il sacro miste, aulente olibano, che si effonde soave dall’aureo turibolo per la notturna aere, e di risonanti preci.

    Omaggio rendo con questo ornato melòde, cantato in sì gran pompa, per osannare il tuo rinascente lume, del cui verbo ogni cuore è servo.

    Ascolta, o poeta dei mille inverni, del mendacio non trarre sonante verbo, perché l’ira funesta dell’angelo del Vespero attirerai, e il tuo verso illato nella tenebra sarà presto, e il tuo lume s’affoscherà come crepitante pira all’occaso.

    Del gravoso officio del verso sei l’artefice, stanco cucitor di versi, che ti tiene desto sulle oscure rive di Plutone; filando come una stolta parca, verghi i tuoi verbi, sì malaticci che egre e lasse membra appaiono al volgare orecchio. Destati! L’ora della veglia notturna è giunta. Sii pronto, avvinazzato miste, degli antichi misteri ctonii sii il gran pope.

    La tua alta fronte, vaticinatore del mendacio, prostra al sacro nume della terra, e il suo

    6

    marmoreo idolo adora nel silenzio della composta confessione. Invoca il suo nome immortale, o accolito del Male, e compiaci la sua mano come obbediente istrumento.

    Ascolta le sue preci, e fa che il tuo inno innalzi il suo glorioso lume, acciocché enallumini i sentieri di cinabro, che penitente attraversi, cinto dalla sacre vesti della rinuncia alla sterile redenzione.

    Muta le tue bianche membra di cinedo

    in altare, e fa sì che il tuo mortal sangue divenga atramento temperato, con cui

    vergare verbi maledetti, intrisi della pietà della Creatura di cui ti rendi osceno teste.

    Versa, dunque, in questo dorato calice, un farmaco nepente che doni l’oblio,

    acciocché la tua mano divenga la sua

    carne immortale, e il tuo verbo risuoni nella morta aere della notte come un canto.

    Il tuo verbo sia come dolce bruma,

    confonda lo stolto cerebro del profano; aulente ambrosia esso divenga, e ogni supplice servo del Verbo ne tracanni

    lunghe sorsate, e subisca l’imperio del suo mendacio. Trista è l’etade che lascia come retaggio le prische ombre del suo verso, che canuto si spegne come tizzone bagnato dai lavacri della stolta espiazione.

    Or dunque, mesto poeta, esicasta del Verbo Saccente, infine, con l’olezzoso sputo del tuo corrotto lume, sigilla queste oscure confessioni, che del Male antico sono il rilucente scettro.

    LE CONFESSIONI DEL MALE

    9

    Il poeta è il sacerdote dell’invisibile.

    (Wallace Stevens)

    Credo nella dissoluzione dell'oblio perché ne sono la sua differita memoria.

    Non vorrei avere più memoria di certe emozioni che mi consumano dentro, depositando uno spesso strato d'oblio che mi sommerge cancellando l'ultima sbiadita traccia di me.

    Vorrei imparare a dimenticare ciò che mi tiene sveglio e avvinto al rumoroso giogo di Lei che, supplice, cerco di spezzare; non ci riesco, perché le mie carni sono trafitte dalle fredde lame dell'assenza che la dilaniano, senza pietà alcuna.

    La fine, la fine delle parole, la fine di ogni gesto, la fine di ogni ricordo; la fine ci accompagna ovunque, ma mai da noi stessi.

    Siamo assetati cercatori di sogni imbevuti dell'iridescenza della notte, che si dissolve sui margini convulsi di attese vitree che si infrangono sul riflesso distorto del nostro androgino pensiero: siamo dannati, se beviamo dalla coppa del peccato che ci vincola all'eterna sete di essere ciò che non possiamo mai sognare?

    Ho provato la vertigine del Nulla… Ora sono salvo e tre volte benedetto.

    10

    Ho paura che le oscure acque del tempo cancellino quello che resta del ricordo sempre più sbiadito del volto di Lei.

    Prostrato, consumato dalle onde dei procellosi oceani dei miei limiti, mi preparo a cancellare le unte ombre delle mie notti insonni, senza memoria, per rinascere alla luce di un nuovo giorno privo di un nome.

    Ho conosciuto l'istante in cui l'aurora sfiora le labbra della notte. Vorrei soltanto non averlo mai visto, perché così ho dannato me stesso alla sete eterna della luce.

    Vorrei poter cancellare dalle mie nodose mani le stigme di ogni mio atto di esserci, per non dover sognare ancora le abissali e fredde profondità del mio peccato del quale, ogni notte, sfioro le illividite ombre. Non riesco più a svegliarmi dai resti consunti dell'Essere, il cui volto scorgo, confuso, nelle terre freatiche dei miei ambigui sogni di metallo liquefatto.

    Vorrei chiudere il sipario su questa sogno imperlato di follia, dal quale scorgo solo volgarità, meschinità, e tanta supponente ipocrisia. Verrà presto l'oscurità, e calerà negli occhi dello stolto profeta dell'eburneo verso.

    Della mia essenza, si riesce a scorgere solo la carne delle emozioni che suscito. Vorrei conoscere il volto di quell'emozione nata nel cuore di chi vedrebbe il mio vero volto, se lo mostrassi all'ipocrisia distratta del mondo. Ma ho ancora voglia di vivere nell'assenza di questa assenza.

    11

    Tutto questo Nulla che sento originarsi nei recessi privi di riverbero è solo l'assenza di me, che si espande, tracimando come un fiume dalle oscure acque sulle terre del sogno, con-fondendo la mia mente, di cui erode e scava la memoria, luogo inaccesso nel quale mi sono più volte nascosto per non guardare il mio volto sfigurato dal rifiuto del cuore materno.

    Sono maledetto, e la mia eredità è il sangue della morte che scorre nella mia carne, facendola prigioniera dell'Eternità.

    Vorrei solo potermi svegliare, per morire un'ultima volta.

    Cerco, ancora, di capire se esisti. Se una traccia, pur sbiadita, incerta, possa rivelarmi la tua presenza. Nascosta, forse, tra i miei pensieri, ti aggiri, sognante, tra le mura della mia memoria, che stenta a ricordare il tuo delicato volto sognato, perché lontano, fino a perdersi nelle cimmerie nebbie dell'attesa mai vissuta. Svegliami, perché ho freddo! Piove, ancora.

    Spero, un giorno, di poter cancellare il tuo nome, quel nome che tutte le labbra e i cuori pronunciano, invocano, perché mi hai solo donato la luce dell'oscurità. Da questa luce, la mia carne brucerà il tuo santo corpo di vergine folle.

    Lascialo bruciare! Lascia che il tuo tempo bruci, perché tu possa fuggire oltre questa notte di pioggia. Lascia che il tuo tempo si consumi e con esso tutto il dolore che si è riversato come amaro nepente nelle morte stanze della tua anima. Oltre queste antiche oscurità senza nome, riposa la nuda rosa scarlatta.

    Resto nudo nella mia realtà.. le nudità del mio essere mi avvolgono come invisibili sudari per sottrarmi al gelo del respiro del giorno.

    12

    Nel gelido respiro di novembre, ho riposto le ossa del tuo ricordo – spoglia urna della rassegnazione. Tutto questo silenzio, come un sudario appesantito dal sangue del sacrificio, ricopre le nudità della tua morte, che, violata dalle urla del dolore, si strazia le carni e si nasconde nelle segrete stanze della notte senza riverbero.

    Dal profondo della mia assenza, pervasa del gelido respiro dell'oceano, oso chiamarti. Così protendo le mie nude braccia di fanciullo per afferrare l'inconsistenza del tuo pensiero, prima che il tempo lo dissolva nelle voragini dendrinose della rinuncia. Ti cerco in ogni istante, e di ogni istante non resta che cenere, che muta mi avvolge, pietrificando la mia carne, ora priva di calore. Ora sono ciò che resta di un'eternità perduta, congelata nell’imperituro istante della mia morte fanciulla.

    Non dimenticherò mai quei gelidi inverni il cui respiro mi avvolgeva come un abbraccio per proteggermi dalle ombre del mio acerbo dolore, che, lento, stillava dal morto costato della notte senza memoria. Piove, ancora, da qualche parte, dentro di me.

    Dalle mie carni crescono ali di corvo con cui fendere la fitta pioggia, che, sbilenca, cade sul volto di sbrecciate tombe, dove la voce del cuore è rinchiusa nelle sue prigioni di stantii silenzi, ingialliti dal respiro dell'inverno, che, immemore, soffia il suo respiro su queste mani intirizzite dalle assenze materne, sgretolate dall'abbandono, unte delle nude fragilità di questo nulla che scorre all'indietro come un nastro, verso le stanze vuote di un passato abitato dagli echi dei miei implumi ricordi. Non c'è pace su quella terra dove la pioggia non posa mai il suo respiro.

    13

    Tu mi condanni per ciò che i miei occhi riescono a vedere, tutte quelle oscurità che avanzano e si ammassano nella mia mente come guerrieri silenziosi. Tu mi condanni per non renderti partecipe di una follia che soggioga la vita stessa, senza avere la possibilità di confessarne le aberranti visioni.

    Tu mi condanni per i miei versi, nella cui carne ho instillato la maledizione del mio essere per non essersi mai destato dal mio male più grande, amare. Sono folle, se aspetto ancora che l'aurora mi riveli i misteri della notte!

    Cade la pioggia, come un invisibile sudario avvolge ogni co-sa, nascondendola dal gelo del giorno, che consuma come fuoco ogni ricordo calcinato dalla dimenticanza di averlo vissuto, accompagnato per le stanze del tempo. Non si può tornare indietro, come non si può scorgere la luce non ancora nata del giorno in cui decideremo di non sentire più la nostra carne - vuota urna di memorie satura, traboccante marea che tracima sulle sponde del misericordioso Nulla.

    Non voglio più svegliarmi nell’assenza di te, ma sprofondare nel sogno più profondo in cui tu svegli me.

    Vorrei poter affondare dentro le cavità lucenti della tua anima per poterne rubare un coagulo di tempo.

    Ho conosciuto l'orrore sublimato dall'estasi del dolore afono ed esecrando, riverso sulle fredde are del cuore violato.

    Aspergete, o fanciulli dall’eretico verso incanutito, con aulenti balsami, le mie mani essudanti versi oscuri!

    14

    Sono morto nell'istante in cui mi sono accorto di non poterti più ritrovare.

    Vorrei che ti perdessi nei miei occhi tessuti di tenebra e di oricalco, perché tu possa trovare il mio cuore esacerbato dai rigori della tua insopportabile assenza. Vorrei tanto che fossi uno dei miei sogni per poterti cancellare al mio risveglio.

    Adesso non ho bisogno che di me stesso; nient’altro che di me stesso.

    Vivo il naufragio del mio fluttuante essere; e come un vascello di cristallo dalle consunte vele, solco i procellosi e funestati oceani dell'esistenza senza memoria, senza voce, solo sospinto dai gelidi venti ad incagliarmi nelle secche del tradimento del cuore fallace e infingardo.

    Mi smargino, ammutolito e freddo, dentro un frammento del mio assente Esserci, mentre sento stillare, sulle sbrecciate mura della mia anima, la pioggia della mia memoria, la quale, in questo immoto istante, dilava ogni traccia del mio peccato di Esserci; ho bisogno soltanto di dimenticarmi.

    La mia carne è il tempio dove custodisco tutti i miei inferni, assordanti, danzanti nella stonata melodia della mia voce di fanciullo arrogante e impertinente, che, insonne, si inebria del silenzio della notte, da cui trasse la sua nascita prima di ogni tempo evocato dalla Storia degli uomini.

    Sono il messo corrotto del dilatato capriccio del divenire dell’Esserci.

    15

    Sono forse vivo, se ancora cerco conforto nelle ombre del dolore? Sono forse sveglio, se non riesco a destarmi dal sogno, dal quale non voglio sottrarmi per la paura di rinascere alla fredda luce del giorno? Sono forse un uomo, se tento di comprendere i miei limiti, le mie pene, le mie angustie ol-traggiare la mia mente, che, confusa e distratta, si arena come un vecchio e consunto vascello nelle secche di illusioni asciugate dall'idea del fallimento? Dormire, ancora dormire per non sognare ciò che ho creduto di poter vivere come un sogno. In questo momento, mi resta solo spegnere ogni denso desio che ingoia, avido, l’scuro nettare del sogno privo di radici e di terra.

    Mi trascino nelle atre profondità del mio spirito per sfuggire al naufragio di un'estinguibile eternità senza confine.

    Sono un'anomalia, un'anomalia emotiva. Vivo, atterrito e affamato, nell'angoscia della struttura del mio pensiero, e nell'espropriante, allucinato, atemporale senso di deriva dovuto alle mie percezioni di visionario condannato all’ebbrezza della sola oscurità.

    Trascinato dai forti venti dell’ispirazione sulla via della vuota pagina. .

    Ho chiesto al Nulla cosa si nascondesse oltre quella siepe intessuta di dubbio e di dolore che mi separava dall'arazzo dell'infinito, ed esso mi ha risposto con tono faceto:

    16

    Scorgo dissolvenze aberranti di luce, oltre la soglia della percezione che declina sui lembi della mia coscienza che astrae la ragione dalle fauci del tempo.

    Cerco di guardare oltre il mio orizzonte perché la luce che penetra nei miei occhi possa sopravvivere alla notte dei miei sensi.

    Sono una antica Fenice; per questo mi rigenero sempre dalle ceneri delle mie atre oscurità senza riverbero.

    (De)scriverò il tuo corpo con l'inchiostro dei tuoi desideri.

    Una goccia d'eternità è stillata dentro la mia anima per trasformarsi in tempo, che si è coagulato in estenuanti attese per ricordare il bagliore di quell'antica caduta dentro le mie vulnerate carni di fanciullo riottoso e impertinente.

    Il dolore è memoria, ma la sua assenza è solo oblio, che stilla nelle antiche oscurità dell'anima rendendola muta, e lontana.

    Mi smargino dentro un frammento del mio diffratto Esserci.

    Sento stillare dentro di me la pioggia della mia memoria, che, adesso, dilava ogni traccia del mio acerbo peccato, fino a spingermi a dimenticarmi.

    17

    Ho tanti nomi: Ne(m)o è uno di questi. Sprofondato nelle ve-trose frequenze di Maya, ho accolto il nome del Principio demistificatore. Sto per svegliarmi da questo inganno per ricordare ciò che sono sempre stato: un protesico coagulo di luce proteiforme, diluito nell'oceano del Nulla senza riverbero; senza luce.

    Pelle, esiste solo nuda pelle a coprire la sensazione mai lasciata cadere nei duplici inganni dei sensi.

    Le mie parole non sono state altro che l'ombra di ciò in cui ho creduto, dimenticando il resto di me stesso a stillare nel negativo dell’esistenza.

    Tutti in un abbraccio, sospesi come gocce di sogno. .

    Sogniamo di essere immersi tutti in un concerto fatto di note, che si liquefano sui nostri nudi palmi, dove la notte e il giorno si inseguono per ruotare nell'abbraccio delle eternità imperiture, fatte con la carne della nostra stessa anima - infinito oceano amante senza tempo.

    Siamo piccoli sogni abbracciati sotto la pioggia dell'esistenza che dilava i nostri caliginosi pensieri, esausti di sognare tutte quelle assenze passate, sfilacciate dentro gli occhi privi di paura.

    Vorrei che non dubitassi mai di me perché non vorrei lasciarti soffocare nell'ombra della tua presunzione, umiliata dalla mia ironica indifferenza di fanciullo dimentico e distratto.

    18

    I tuoi silenzi sono più gelidi della distanza che ci separa.

    Ti ringrazio per attraversare la mia esistenza senza paura, lasciando dentro di me quella parte di te che avevi dimenticato per tanto tempo, il tuo meraviglioso cuore sognante.

    Mi sono imporporato del suono del cielo e del respiro della terra.

    Mi sto perdendo nella vasta invisibilità del mio silenzio antico.

    Sono tutto ciò che ho ereditato di me stesso. .

    Sono l'acqua che scorre sulla terra per renderla fertile.

    Sono la luce del giorno che si infiltra in ogni anfratto per sciogliere il gelo della notte.

    Sono il vento che asciuga il respiro della notte.

    Sono la roccia che resiste all'edacità del tempo.

    Sono il respiro dell'aurora che inebria di vita ogni creatura.

    Sono la pioggia che dilava le sabbie del tempo.

    Sono la terra che custodisce il mistero della vita.

    Sono l'aria che abbraccia ogni cosa.

    Sono il fuoco che riscalda e infonde energia.

    Sono il tempo che attende la fine e l'inizio di ogni età.

    Sono la carne della mia anima che contiene questa antica illusione.

    Alla memoria l'arduo giudizio, ingloriosa invocazione di clemenza per un cuore mai ascoltato. Mecum omnes plangite!

    19

    Siamo solo una transitorietà emotiva che si riveste di carne e di paure, di quelle antiche paure che soffocano il sentimento, spingendoci ad arenarci nell'illusione dell’assenza che impedisce la memoria, e rende sterile il resto di ogni giorno.

    Sono un viaggiatore del tempo intrappolato nell'hangar dei miei pensieri, in cui cerco le risposte alle mie domande senza volto per ricominciare a sognare ancora.

    Se vorrai ascoltarmi, dovrai ascoltarti, perché ti parlerò attraverso la carne della tua anima.

    Forse è stato solo in un istante, quando mi sono accorto del gelo dell'Eternità.

    Tentare di morire perché stanchi dentro, quando si è ancora in vita, è come tentare di vivere ancora senza memoria, mentre la morte si rifiuta di sopravvivere a se stessa.

    Ho dimenticato troppo spesso la vita, tanto che la morte non ha mai imparato il mio nome.

    Mi sono affacciato sull'Eternità per sprofondare nel suo sogno più bello, la vita.

    Ho attraversato le terre del crepuscolo, dove la vita non è ancora morte e la morte è ancora vita.

    20

    Tento sempre di intrappolare nel suono delle parole il sublime canto della vita.

    Immerso nell'illusione di sentire la vita, mi (s)chiudo nel sogno che non ho mai visto nascere dentro di me. Sono oltre ogni dubbio, oltre ogni percezione che menta su ciò che so-no, nella (e)stinta ripetizione dell’atto insulso dell’Esserci.

    Scrivo tante parole, forse, per dimenticare dentro di esse le ombre dei miei pensieri aggrovigliati dal dolore.

    La sottile voce del mio inconscio mi sussurra la magia di un’antica memoria, una memoria devastata del dolore; ormai, frammentata. Risvegliarsi da questo antico dolore, significa precipitare dentro me stesso.

    Scomparire attraverso le trasparenze del pensiero, che scivola nell'anteriorità ridondante di un'afasica ricognizione del passato, schiude all’esperienza dello smarrimento.

    Piove ancora. . Qui non ha mai smesso; ed ho molto freddo.

    Ogni mio pensiero si incaglia nell'attesa di dimenticare le ombre che l'hanno evocato.

    Un'assenza può essere tanto presente fino a sconfinare oblite-rando ogni spazio della tua anima, ogni stanza del tuo cuore.

    E tutto s'arresta nel grumo di un silenzio unto dall'ombra delle nostre immisericordiose attese, che cercano di afferrare un dolore impalpabile, privo della consistenza di un’illusione soffocata dalla fredda luce della ragione.

    21

    Sono il fautore della mia verità, una verità che cancella ogni parola scritta dell'uomo, poiché esso si è macchiato con l'olio delle credenze, senza aspergerne la propria carne, unta invece dalla superbia e corrosa dall'inganno.

    Vorrei solo perdermi nel silenzio afono di un'assenza lunga quanto le oscurità che mi separano da me stesso.

    Siamo forse distratti, o velatamente stanchi, se non ci curia-mo di quanto siamo in grado di dimenticare di noi stessi, anche quando siamo proprio noi a sottolinearlo? Forse, siamo solo affetti di quella malattia di cui non vogliamo riconoscerne i sintomi, come l'indifferenza.

    Dalle età delle sconfitte ho appreso la franchezza del coraggio, ma dalle rinunce rumorose del calice traboccante di vino ho compreso la futilità dell'esistenza priva della luce della speranza.

    Mi trovo lontano dal cuore, immerso nel gelo delle artiche terre della ragione, per tornare indietro, all'origine di ciò che sono stato un tempo di cui non ricordo le oscure radici.

    Sono stato il falsario delle mie emozioni, e ora mi ritrovo a stringere nelle nude mani dei gusci vuoti, esangui di ogni respiro.

    Vorrei che tutte queste oscurità prive di volto non tingano più di paura la carne dei miei sogni.

    22

    Mi ricopro con le ceneri del passato per non consumarmi nel vuoto del presente.

    Quanto vorrei non restare spesso incagliato nelle secche della memoria per non precipitare, confuso, nelle ombre del dolore!

    Trascinato per le sabbie del tempo, dimentico di tornare indietro, poiché il futuro altro non è che un passato al rovescio.

    Saturninamente impegnato a tangere il pensiero scisso della creatività.

    Le mie parole non sono altro che le ombre dei miei stessi pensieri, che si diluiscono nel canto della notte, in cui nascondo i miei acerbi sogni dissetati con il sangue dei miei peccati.

    Svegliati! Il viaggio non è ancora terminato, anche se le radici della notte ci trattengono nei nostri silenzi privi di eco.

    Mi perdo sempre per le strade dei miei sogni, dove posso dimenticare il tempo, dove posso ancora ricordare di non aver mai conosciuto il dolore.

    Credo nel peccato della carne perché esso mi sussurra la verità della mia condizione di immemore dannato, avvinto alle lusinghe della tenebra bieca e puttana.

    23

    Rendo immortale la carne dei miei sogni, attraverso il sangue delle mie parole.

    Sono solo un uomo razionale, che, defilato, scruta i sentieri e le strade del mondo umano, per poter comprendere, attraverso il suo dolore debordante, quale sia la migliore cura per alleviare quella stanchezza spossata di cui tutti siamo afflitti.

    Credo che questa cura risieda nella razionalità mai scorporata da quella necessaria componente emotiva, che ci rende ciò che siamo, vivi e infinitamente liberi di creare e amare.

    Ho bisogno solo di silenzio, per ritrovare il senso di questo stesso silenzio.

    Ho bisogno solo di ascoltare la voce del silenzio, per conoscere la vera voce della mia anima.

    Non vorrei dirlo, perché disapproverei, se lo sentissi pronunciato da altri, ma credo che l'unica persona a cui mancheresti sarebbe solo la tua ombra.

    Non ho nome perché la mia voce ha un suono diverso da es-so.

    Aborro l'ipocrisia, come aborro anche le ingiustificate

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