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Aforismario
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E-book447 pagine4 ore

Aforismario

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Info su questo ebook

Nel quadro di una cultura contemporanea postmoderna generalizzata e poco centrata sui temi più significativi di una fluida e sempre meno consistente attualità, sfocata da un aberrante ed equivoco pluralismo culturale, nella quale il fenomeno del decentramento della società è sintomo di una distrazione verso la struttura del senso della parola, fenomeno, questo, che denota una sovversione dei modelli ermeneutici tradizionali del pensiero, la frammentarietà dell'informazione si inserisce, in questa evanescente prospettiva, come surrogato di una forma di informazione che conosce, nella sua estrema sintesi, la sua ragion d'essere. L'aforisma, la cui brevità lo colloca, di diritto, in questa esigenza culturale, soddisfa con efficacia la richiesta di una cultura predigerita, capace di orientare il lettore nei meandri dell’incontinenza editoriale, paragonabile quasi a un’incontenibile proluvie di ventre, verso la quale egli manifesta un certo imbarazzo, il quale si traduce nel cauto rifiuto di una scelta culturale frettolosa, dannosa al punto da farlo apparire sempre meno esigente e più superficiale, avvezzo a essere lusingato da una insonnolita critica di due soldi che lo solleva dalla responsabilità di sviluppare un pensiero critico su quanto esperisce attraverso il rumoroso rito della lettura.
LinguaItaliano
Data di uscita4 ott 2018
ISBN9788827849552
Aforismario

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    Anteprima del libro

    Aforismario - Dario Taurino

    padre

    PREFAZIONE

    Nel quadro di una cultura contemporanea postmoderna generalizzata e poco centrata sui temi più significativi di una fluida e sempre meno consistente attualità, sfocata da un aberrante ed equivoco pluralismo culturale (che favorisce e accentua il fenomeno del relativismo assiologico esasperato, quanto promuove una deriva culturale non quantificabile, nel deterministico frazionamento del valore morale, etico e culturale), nella quale il fenomeno del decentramento della società è sintomo di una distrazione verso la struttura del senso della parola, fenomeno, questo, che denota una sovversione dei modelli ermeneutici tradizionali del pensiero, la frammentarietà dell'informazione si inserisce, in questa evanescente prospettiva, come surrogato di una forma di informazione che conosce, nella sua estrema sintesi, la sua ragion d'essere.

    L'aforisma, la cui brevità lo colloca, di diritto, in questa esigenza culturale, soddisfa con efficacia la richiesta di una cultura predigerita, capace di orientare il lettore nei meandri dell’incontinenza editoriale, paragonabile quasi a un’incontenibile proluvie di ventre, verso la quale egli manifesta un certo imbarazzo, il quale si traduce nel cauto rifiuto di una scelta culturale frettolosa, dannosa al punto da farlo apparire sempre meno esigente e più superficiale, avvezzo a essere lusingato da una insonnolita critica di due soldi che lo solleva dalla responsabilità di sviluppare un pensiero critico su quanto esperisce attraverso il rumoroso rito della lettura.

    Dobbiamo, a questo punto, pensare che l'aforisma sia una forma letteraria con la quale si confeziona e si veicola un'informazione predigerita e su misura, la quale pecca di generalizzazione ma che si sottrae alla necessità del dubbio di chi ne esperisce, in qualche modo, il suo contenuto? L'aforisma racchiude, nella sua provocatoria brevità, una verità che tende a falsarne il carattere a causa del suo tono perentorio e, talvolta, caustico, sebbene possa non rivelare nulla di fondamentale che di esso non si possa debitamente evitare di conoscere.

    La letteratura di ogni epoca, come sappiamo, si avvale dell'impertinenza dell'assunto contenuto nell'aforisma per ornare le proprie verità o sostenere la voce delle proprie ragioni, come una sorta di corollario che abbellisce e dona insieme una certa vis a quanto appartiene al dominio del noto, restituendo alla cultura semplicemente quanto già essa ha esperito in tutte le sue forme per mezzo di definiti(vi) programmi teorici. Ma la più grande provocazione dell'aforisma risiede soprattutto nel riferire il noto nella formula alchemica dell'ignoto, rivestendolo di una patina di novità e di sorpresa.

    La verità di un aforisma è, come si potrebbe pensare, un'illusoria rivelazione, la quale traduce nella composizione di pochi elementi un messaggio pregno di significato, costruito su dinamici giochi di ri-semantizzazioni verbali e di nuove e insospettabili codificazioni concettuali, articolate in snodi ermeneutici fondanti di un nuovo modo di conferire senso alle parole. Il concetto veicolato dall'aforisma, talvolta, nella ferma volontà di violare la banalità dell’interpretazione del lettore distratto o poco interessato, sembra rovesciare pregiudizi universalmente accettati: la tendenza alla paradossalità del concetto contenuto nell'aforisma, ci permette di operare un'inferenza inversa sulla rigidità del suo formale rigore morale ed etico.

    La caratteristica che più colpisce di un aforisma, come ho già affermato sopra, è la sua brevità: nel modulo della brevità, infatti, riconosciamo un aspetto funzionale che colleghiamo alla sua estensione, e cioè più un aforisma è lungo più si presta ad essere considerato mendace; mentre a un aforisma breve, per converso, si riconosce sempre una caratteristica di illuminante rivelazione, rinforzata dalla sua essenziale icasticità.

    Questo aforismario si propone, tout court, di realizzare l'ardimentoso intento di costituire un manuale di puro scetticismo da usare con la stessa cautela con cui l’alchimista adopera il fragile alambicco , il quale invita il lettore all'esercizio estenuante del dubbio, offrendo così un modello ermeneutico di etica personale capace di oltrepassare l’unilateralità della propria visione, con il quale egli possa confrontarsi e ricavare un modello di incertezza concettuale e di pragmatica incapacità riflessiva nel definire la perenta dimensione della cultura contemporanea, dai cui abissi si lascia assorbire per vanificare l'insolente oltraggio di riconoscersi debitore della superficiale attenzione che si presta al surrogato della complessità, ovvero alle sintesi oggigiorno costituite dalle informazioni digitali che veicolano, in una frenetica e cacofonica eccedenza, un’informazione transeunte e instabile, privata di un contenuto sostanziale, oltre che di un (oggettivo) contesto, insomma una sorta di contenitore universale nel quale ogni informazione resta isolata dalla altre, sospesa in una insostanziale matrice incapace di generare un funzionale e necessario dinamismo dialettico.

    Dunque, questa corposa raccolta di aforismi vuole semplicemente nuocere alla presuntuosa, quanto pretestuosa, arroganza intellettuale di chi scardina, con la banalizzante superficialità del sospetto, il significato stesso di un aforisma attraverso la sbrigativa etichetta dell'informazione predigerita, destinata a soddisfare i palati meno raffinati dell'intellettuale annoiato o dell’occasionale e titubante lettore, il quale preferisce la comodità della sintesi offerta dall'aforisma al più impegnat(iv)o rito del pensiero complesso.

    Un consiglio che voglio dare al lettore, il quale si avventura impavidamente sulle unte pagine di un libello linguacciuto e impertinente, è quello di eseguire, di ogni pagina, una lettura quanto più attenta  e integrale, onde evitare la spiacevole esperienza di ritrovarsi a meditare sulla portata degli effetti rovinosi che il suo contenuto può provocare, costringendolo nell'imbarazzante condizione dell'incauto ignorante, il quale apprende per mezzo di una pomposa lingua biforcuta tutta l'illuminazione negatagli dallo sterile e meccanico esercizio della conoscenza finora acquisita.

    Concludo, infine, invitando altresì il lettore a non prendere sul serio la verità delle parole che sporcano ogni pagina, come un tesoro annerito dal respiro dei secoli, in quanto ogni singola parola del mio impertinente libello può gravemente nuocere alla salute della sua anima, fino a provocarne, nell’insospettabile stato di sospensione del rassicurante dubbio, l’irreversibile esperienza dell’illuminazione.

    Obliville, luglio 2018

    Dario Taurino

    AFORISMARIO

    Ciò che si simula sul palcoscenico di un'attesa è una menzogna che mente al suo stesso artefice, sollevandolo dall’imbarazzo della sua incauta simulazione.

    Certe nudità fanno paura, se sono quelle dell'anima.

    Non chiedere mai a nessuno di fare ciò che nemmeno noi faremmo per noi stessi, come conoscerci.

    Ogni certezza svanisce nella disattenzione di un'osservazione mai generata dalla coscienza di chi dovrebbe, in qualche modo, conoscerti.

    Guardare negli occhi di chi si pensa di conoscere e scorgere solo ciò che l'altro vuole che tu veda, è un gioco perverso di specchi emotivi che si dissolve con la dimenticanza di uno sguardo dissimulato - simulacro di illusioni prive di radici.

    Talvolta, si scopre di essere fatti delle cose di cui si ha più paura. Così, si ha paura di diventare ciò che più si teme.

    Se credere in qualcosa comporta perdere se stessi, allora questo qualcosa non merita di essere ricordato, in quanto tale rinuncia comporterebbe l’annullamento della propria struttura identitaria.

    Dimenticare un'emozione che scivola via dalle proprie mani non è mai facile, ma ancora di più lo è se non si riesce a ricordarne nemmeno il nome.

    In questo frangente storico-sociale confuso e intermittente, viviamo, stanchi e dimentichi, una condizione di crepuscolo della volontà, che, malata, si affaccia dai margini della propria rinuncia per ascoltare l'eco rauca di un oblio senza radici.

    Quanto è avvilente scoprire che gli altri ti sorprendono spesso solo negativamente!

    La cosa più strana che mi possa mai accadere? E' condividere appieno il mio stesso pensiero.

    La cosa più difficile da realizzare? Citare se stessi, senza sbavature emotive.

    Non accettarti perché qualcuno non ti accetta per quello che sei, ma fallo solo se a non accettarti sei proprio tu.

    Ognuno fa ciò che è perché in fondo è sempre e solo quello che fa.

    Siamo come gli dèi, da cui abbiamo ereditato il peggiore dei difetti: siamo invidiosi. Oppure usiamo la comoda scusa degli dèi per giustificarci del più irrazionale tra i mali, come l'invidia appunto.

    L'unico dubbio che non ho è quello di averne. Unico indizio: il dubbio stesso.

    Ho dubitato tanto di me stesso che non ho più nessun dubbio sul fatto che fosse inutile.

    Il dubbio uccide la mente, ma la ragione ne opera la sua rigenerazione.

    Il dubbio scardina i fondamenti che sono alla base di un approccio epistemologico della realtà, la cui conoscenza si sposta di conseguenza su un piano fenomenico suscettibile di produrre una visione parziale e selettiva della stessa realtà: pertanto, il dubbio rende più soggettivo il proprio individualismo che non la propria presunzione.

    Di tutte le cicatrici che abbiamo, l'unica che non riusciremo mai a nascondere è la nostra debolezza.

    Talvolta, dimenticare serve solo a ostinarsi inconsciamente a conservare la fragile memoria di ciò che rifiutiamo di noi stessi.

    Sospingersi oltre la propria memoria, in cerca dell’ombra del dubbio che viola le nostre fragili certezze, conduce inevitabilmente a varcare il limaccioso confine della verità del sé.

    Non esiste cosa più stupida di quella di tradirsi smentendosi.

    Solo alla fine ci si accorge dell'importanza del proprio viaggio.

    Succede sempre che la fine di ogni cosa segni l'inizio della memoria che si conserva di essa.

    Si finisce sempre di finire ciò che si pensava fosse già finito, per scoprire poi l'ironico paradosso che nemmeno la fine di ogni cosa è poi tanto finita.

    Il cambiamento è sempre stato dentro di noi. Ci sei se te ne accorgi, e in quell'istante tutta la tua vita cambia.

    Superare tutte le correlazioni preontiche delle componenti dell'io, percepito come piattaforma noetica generatrice di processi gnosici soggettivi, la cui funzione, attraverso l'utilizzo delle categorie logico-formali, ci consente l'accesso alla corretta conoscenza oggettiva della realtà delle cose, tanto da implicare il superamento di una visione eidetica della stessa realtà.

    La velocità con cui si cambia idea è proporzionale alla velocità dei processi innescati dalla propria coerenza. Ma la frequenza con cui avviene questo fenomeno è proporzionale all'incapacità di dissimulare una connaturata mancanza di intelligenza.

    Pensare o agire? Agire di pensare o pensare di agire? Sarebbe meglio se agissi di non pensare per poter non agire di conseguenza.

    Infrangere le proprie illusioni per cadere nell’omologazione della ragione equivale a infrangere  se stessi.

    Giudichiamo degli altri solo tutto ciò che più temiamo di poter riconoscere in noi stessi.

    Quanto è inutile talvolta ricordare, come quanto inutile è ricordarsi, per spegnersi un istante dopo nel riformismo dell’oblio della propria ragione.

    Se decidessi di decidermi, mi deciderei di non farlo.

    Vorrei essere più limitato di quanto non lo sia già, giusto per non accorgermi di esserlo.

    La mancanza di possibilità di un individuo risiede nel doversi confrontare con un sistema standardizzato di apparenze, volte a svuotare dall'interno l'entusiasmo con cui questi alimenta le proprie speranze.

    Una civiltà edificata sulle apparenze è una civiltà che non lascia memoria alcuna di sé.

    Citare ciò che è stato citato senza averne una qualche esperienza non ci conduce alla verità del suo assunto.

    La verità delle cose è dentro ognuno di noi ed ha il volto della nostra anima.

    Cercare la verità delle cose significa anche non incagliarsi nelle illusorie secche del proprio io.

    Se la valutazione di un individuo dovesse soggiacere al particolarismo soggettivistico della nostra visione, produrremo tanti errori quanto si estenderebbe il carattere soggettivistico della stessa visione.

    Capita, talvolta, che un'eccessiva conoscenza isterilisca un animo troppo orgoglioso.

    Vincere le barriere delle differenze imposte dall'io significa oltrepassare la finitudine della propria natura.

    Non stupirti del silenzio dell’altro, se sei stato proprio tu a provocarlo.

    Troveremo l'illuminazione solo quando ricorderemo che siamo fatti di luce e di suono.

    Abbiamo tutti bisogno delle stesse cose per poter continuare a sopravvivere, eppure siamo intrappolati nell'ossimorica condizione di passivi ma esigenti spettatori, vincolati nell'assurdo teatro delle nostre paralizzanti e omologanti differenze.

    Dobbiamo infrangere i nostri labirinti di specchi emotivi perché possiamo accorgerci dell'inganno da cui il nostro doppio tenta di salvarci: le metamorfosi omonimiche dell'io.

    La paura più grande che potrei mai provare è perdere la capacità di amare.

    La realtà è la più insospettabili tra le illusioni.

    La insoluta complessità dell’esserci è dettata dalla dipendenza della credenza nel Fato.

    Cos’è il rimpianto se non l’aver sentito a metà ciò che si è vissuto, e non ciò che si sarebbe potuto vivere se solo ci si fosse accorti di non aver mai provato niente fino in fondo.

    Nella messa in fase identitaria, durante le pause dormienti della mattina, lo schernitore degli specchi che è la nostra insofferenza a rifletterci nel pensiero acerbo di chi si è appena svegliato, senza la stessa tautologica riflessione dello specchio per sublimare la messa in scena di un evitarsi distratto, diviene il più chiassoso dei teatri, in cui si grida senza ritegno per guardarsi allo specchio e mentirsi su quanto si sarebbe potuto evitare di dirsi se solo si fosse stati disposti a riconoscere la forza delle nostre tentazioni di vederci riflessi. Siamo di fronte a una sindrome discrasica artaudiana?

    Assistere, ogni giorno, alla manifestazione ridicola del teatrino delle mezze verità, fatte passare per indiscutibili certezze, provoca una deflessione del buonumore, tanto che ci si deve sforzare per ricondurlo, per lo meno, ad un andamento accettabilmente asintotico.

    Se la maggior parte di noi si sforzasse di capire le cose, non dovremmo assistere al miserando spettacolo dello sforzo provocatorio di chi si ostina a non farlo.

    La nostra salvezza risiede nel negare recisamente, vincendo le torbide maree del dubbio, la verità dell’anomica illusione che è l’esserci.

    L'Amore è la più grande forza che guarisce, la fonte che disseta dall'arsura della solitudine, che libera dalla violenza del non amarsi. Eppure, proprio l’amore, spesso, vincola, condanna, castiga, umilia, fa disperare, e infine annienta il cuore stesso che lo genera.

    L’amore è la più grande menzogna a cui si crede senza minimamente obiettare.

    L’amore è il più dolce tra i veleni.

    Non smettere mai di credere in te stesso, per qualunque motivo al mondo, se vorrai vedere i tuoi sogni sorriderti.

    Chi è un vero amico non ti tradirà mai, né farà mai finta di non accorgersi di ciò che gli doni.

    Ho sviluppato, nel tempo, l'insano istinto di ribellarmi all'ovvietà di una realtà sociale che prescrive la fastosa manifestazione del sé nell'assurdo teatro dell'apparenza.

    Ogni giorno mettiamo in scena, come abili funamboli sulla corda tesa della realtà, il nostro precario equilibrio, per dimostrare a noi stessi l'illusoria costante dell'esserci stati.

    Oggigiorno, comunicare con l'altro è un atto egoistico, il quale sublima l'illusione dell'esserci e dell'esserci stato, ma nessuno quasi più comunica con se stesso per paura di non avere più nulla da dirsi.

    L'indifferenza è la più grande malattia di una mente che rinuncia a essere libera da ogni condizionamento di sorta vivendo semplicemente secondo ragione.

    Ho letto da qualche parte che l'apparenza non sempre inganna. Cosa dire in merito? L'apparenza sembra non ingannare mai solo quando rappresenta se stessa come verità mediante la simulazione.

    La verità è sempre un'altra, quella di cui non si sospetta mai l'esistenza.

    Un problema lo si comprende se lo si vuole risolvere, traducendolo come la risultante di un errore compensatorio a ciò che si rifiuta a priori di accettare.

    Se si parla o si ascolta, per lo meno, un imbecille, gli imbecilli diventano irrimediabilmente due.

    Presumere di conoscere gli altri senza aver conosciuto mai se stessi è votarsi ad un sicuro suicidio emotivo.

    Conoscersi è la paura più grande dalla quale si tenta di sfuggire dimenticandosi semplicemente.

    La condizione più difficile da accettare, talvolta, è quella di essere diventati prigionieri dei nostri stessi errori.

    Ogni distanza si annulla, se si ascolta la voce del cuore.

    E’ importante appartenere a qualcuno, ma è ancora più importante appartenersi per poter essere di qualcuno.

    Se conoscerai te stesso, conoscerai chi ti starà di fronte perché ne leggerai il cuore.

    Vivi la tua vita senza mai dimenticarla perché la vita stessa non ti cancelli dalle sue pagine.

    Non smettere mai di lottare per i tuoi sogni perché se lo farai avrai perso la tua vita.

    Dubitare la dubitabilità del dubbio innesca l’irreversibile svuotamento dell’induibitabilità dello stesso dubbio.

    E' solo attraverso l'esperienza della conoscenza che ogni essere umano esperisce, realizzando, la dimensione della propria umanità.

    La cosa più importante da fare è quella di non farla mai quando vorresti proprio farla per non doverla ripetere.

    Non cercare gli altri, se ancora non sei riuscito a raggiungere te stesso.

    Non si può desiderare chi non ci desidera perché se lo facessimo consentiremmo al nostro egoismo di tradirci.

    Credere in qualcosa è il credo più diffuso.

    Abbi il coraggio di accettarti per come sei, se vuoi che i volti del tuo cambiamento vengano accettati dagli altri.

    Quando le emozioni si dirigono frettolose all'uscita della mia anima, accalcandosi nella fragilità delle mie nodose dita, succede che la loro traduzione in parole risulti o errata o confusa.

    L’assenza di sé spinge a essere riassorbiti nella propria ombra egoica.

    La vita senza amore è come un viaggio senza meta, un libro mai scritto. Senza l'amore si diviene involucri vuoti, senza calore.

    Preferisco diventare l'ombra delle mie imperfezioni, piuttosto che trasformarmi nell'indistinto riflesso della copia di qualcuno.

    L'unico problema che un regime democratico pone è che tutti abbiano diritto di parlare, soprattutto gli idioti.

    L'ipocrisia è una bruttissima malattia da cui è difficile guarire.

    Sii il martello che forgia la tua volontà, e il mondo si trasformerà nella tua incudine.

    Osiamo nella tenebra dell’ignoranza, finché la notte ci offre la sua fredda luce.

    Sono diventato l'esicaste delle mie stesse illusioni.

    La normalità spinge a cercare gli equilibri del dubbio.

    Mi capita, talvolta, di cancellare ciò che non riesco ancora a scrivermi.

    Quanto è difficile, talvolta, ricordare se stessi!

    Realizzare uno stato di perenne tranquillità consente semplicemente di smarrirsi tra i labirinti delle illusioni del tempo.

    Una visone coercitiva della realtà delle cose, formulata sulla scorta dei condizionamenti dettati dalle credenze religiose, spinge a produrre uno sforzo interpretativo tale da provocare solo un’inestinguibile confusione.

    Talvolta, è nella cacofonica ridondanza che si trova il vero senso delle cose.

    Troppo spesso, ci impegniamo a salmodiare astrusi mantra per poter cancellare il dolore dalla nostra carne. Credo, invece, che se salmodiassimo le nostre essenze, troveremmo di certo l'illuminazione.

    La paura della solitudine, talvolta, mi assale, e come una plutonica marea mi sommerge, per restituirmi alla luce del giorno sfinito, dimentico tra i resti del mio essere.

    Siamo dualità nella dualità, condizione, questa, che esautora il nostro senso di appartenere all'unità demistificata dall'imbarazzo dettato dalla scelta di non restare soli con noi stessi.

    Il dolore è l’unica negazione che rivela la verità di ogni illusione.

    Talvolta, mi capita di pensare che la cosa più difficile da fare è ricordare di vivere la mia esistenza.

    Talvolta, il dolore che proviamo è talmente forte da farci diventare sordi anche ad esso.

    Ho sempre perdonato le imperfezioni della natura umana, ma mi riesce ancora difficile perdonarne l'egoismo.

    Non si può violare ciò che è esso stesso aniconica inaccessibilità, oltre la quale si cela l'origine del Verbo increato.

    Ciò che non si riesce a combattere può trasformarsi, se non dimenticato, nello specchio che deforma tutto ciò che più si teme e in cui si teme riflettersi.

    Dove stiamo andando? Non lo so. So solo che dobbiamo andare.

    Qual è il più grande mistero della vita? Forse, è quello che non è stato ancora pensato.

    Vorrei crederci. Solo che ciò che mi mostri non lo hai mai sognato.

    Nella sfocata età della contemporaneità, siamo diventati dimentichi individualisti, vittime di una visionarietà pareidolica affetta dai vuoti di non-luoghi - dimore di transito senza memoria, partorite dalle spersonalizzanti tendenze anegoiche del surmodernismo.

    Solo il dolore non mente mai.

    Mi rendo conto che mi devo astenere dallo scrivere certe 'acide' parole. Riescono a corrodere persino la mia impertinente penna.

    Mi chiedo sempre se sono io a vederci doppio o se siano le cazzate a rendere doppie le persone.

    Sono diventato un visionario, a furia di vedere ciò che gli altri promettono.

    Nella vita non si può insegnare nulla a nessuno, se prima non si è appresa la lezione più difficile come l’umiltà.

    Rendere sopportabile la propria esistenza, proiettando sugli altri ciò di cui siamo mancanti, è un vero delitto.

    Il vero ignorante è colui che enfatizza in modo ridondante ciò che conosce, senza porsi la domanda che ciò che sa potrebbe essere anche sbagliato.

    Farsi garantire per essere credibile all’opinione pubblica, senza mai garantirsi di non farlo fare, è la contraddizione più diffusa ormai assurta a norma.

    Non giudico mai gli altri per come sono, ma solo per quello che credono di essere senza mai dimostrarlo.

    Credere in qualcosa senza poterlo dimostrare né a se stessi né agli altri fino all'estenuazione è stupido, ma farlo credere a tutti usando specifiche tecniche persuasive è davvero un delitto.

    Ognuno è caratterizzato da precisi limiti, ma il limite più grande è fare propri quelli di chi non accetta se stesso.

    Basta profezie dalle visioni apocalittiche! Voi che ne parlate, sapreste, piuttosto, realizzare quelle del cuore?

    Quanto è difficile far capire quanto sia necessario avere accanto qualcuno che non abbia bisogno di te!

    Spesso, per cambiare la nostra esistenza, basta mutare l’ atteggiamento con cui la si affronta.

    Non bisogna mai limitarsi per non divenire limite di se stessi.

    Sono ciò che il mio stesso pensiero contiene.

    Sbattezzarsi è una provocazione morale o la riappropriazione di un diritto identitario, cancellato da una tradizione religiosa omologante?

    L’imperfezione definisce il limite che l’occhio non può cogliere oltre l’apparenza.

    Siamo, forse, una palindromica ripetizione tautologica di sequenze foniche sporcate da aberranti significanti che ingannano nei significati, stinte ombre di atti egoici rappresentati in messe in scena senza volti seppur latranti, costrette alla manifestazione caduca per l’azione riflessa di un autoconvincimento autarchico privo di passione, stato anteriore al tracotante atto presuntuoso di imitare goffamente un arbitrario esserci senza nome?

    Si inneggia sempre all'apparenza, mentre il senso profondo delle cose lo si lascia interpretare dai nostri bisogni.

    Un cuore tradito tradisce sempre chi gli appartiene.

    La ragione atarassica degli illuminati è sempre anapodittica, mentre il torpore quiescente della presunzione dell’uomo volgare si nota sempre per il fatto di smentire goffamente se stesso.

    Il fissismo ideologico è una chiara rinuncia al progresso socio-culturale, oltre che evolutivo.

    Non vale la pena aggiungere altro all'appiattente sordità sociale.

    Non c'è cosa peggiore che usare la volgarità per esprimere il proprio disappunto in una questione.

    I peggiori nemici che possiamo mai avere? Gli ignoranti convinti.

    L'attitudine di un individuo a comprendere le cose e definirne i rapporti e le relative correlazioni è proporzionale all'inverso della propria disattenzione per esse.

    Rovistando tra i ricordi, si può inciampare nei resti del loro vuoto.

    Talvolta, la semplicità per certe persone è la peggiore delle malattie.

    Il dolore ci offre dei lunghi percorsi lungo i quali pratichiamo delle scelte capaci di sottrarci all'inutilità del male che esso può provocarci.

    Il dolore non conosce la diversità dell'animo, ma solo il linguaggio dell'assenza, il freddo dell'abbandono, il vuoto della rinuncia: esso, esige il sacrificio della nostra volontà, senza domande, senza esitazioni di sorta. Il dolore ci racconta come sentiamo la realtà delle cose, come riusciamo a farci attraversare dalle emozioni, come riusciamo a ricordare ciò che ci manca, senza mai perderlo.

    E' meraviglioso conoscere e comprendere tante cose, ma tutto quello che ci resta è solo il modo in cui le diciamo.

    L'incidente parmenideo generò l'Essere, ma l'incidente cristiano creò il Diavolo.

    Perseverare è diabolico soltanto nel caso in cui si riconosce spudoratamente la fondatezza dei propri errori, senza curarsi di quanto sia difficile apparire sinceri all’altro nell’ammissione spudorata della propria colpa.

    La cosa che non dimenticherò mai nella mia vita? Proprio quella che dovrei ricordare appunto!

    Le illusioni sono le credenze più diffuse al mondo.

    Scegliere per poterlo fare ancora, senza esitazioni che ci fanno arenare nella falsa consapevolezza fornitaci

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