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Sono stata io
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E-book139 pagine1 ora

Sono stata io

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Info su questo ebook

Come si fa a dimenticare una persona quando è stata, per tutta la vita, una specie di ossessione?

Gli amori ci accompagnano per tutta l’esistenza. Alcuni durano per sempre, altri si riducono a pochi attimi divenendo dei ricordi inscindibili da noi stessi. Passioni travolgenti, ma anche incontri occasionali. Innamoramenti che richiedono tempo e fatica, o sentimenti che sbocciano in un istante.

Ognuno di loro racconta i nostri successi e i nostri fallimenti, ci spiega chi siamo e rivela la strada che abbiamo percorso.

Ma l’amore può andare ben oltre e diventare un’ossessione, come quella dei protagonisti di Sono stata io, un avvincente romanzo psicologico in cui si corre per tutta l’Italia alla ricerca di spiegazioni, dove si fugge per non dover affrontare un amore del passato che continua a essere un puro tormento.

Amare è possibile, uccidere lo è ancora di più. Ma chi è realmente la vittima e chi il carnefice?
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2019
ISBN9788831600286
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    Anteprima del libro

    Sono stata io - Filippo Ottoni

    davvero.

    1.

    La macchina correva lungo la litoranea ad una velocità eccessiva, date le condizioni atmosferiche. Era un buio pesto. Una nebbiolina frammista a pioggia si stagliava alla luce dei fari che cercavano invano di illuminare la strada. Di tanto in tanto le poche auto che transitavano nella direzione opposta apparivano e scomparivano come per magìa. All’interno, sul sedile del guidatore, c’era un uomo che sembrava colto da un attacco di cuore. Si dimenava tutto, respirando a fatica, sempre più preso da quella che sembrava una improvvisa malattia.

    Sulla strada l’auto cominciò e sbandare, dapprima verso la corregiata opposta, poi dall’altra, poi ancora verso sinistra, senza rallentare l’andatura.

    Il conducente di una utilitaria proveniente dalla direzione opposta, fu investito dai fari per un momento, frenò di colpo, il viso contratto in una smorfia di terrore. Prima che potesse dire oddiooo i fari illuminarono i pini sul bordo della strada subito seguito da un terribile schianto di lamiere e di vetri. L’uomo non fece in tempo a trarre un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo che la sua attenzione si spostò sulla macchina una diecina di metri più indietro. Si slacciò la cintura, scese dall’auto e guardò. La Mercedes scura era ferma contro il pino, il motore fumante, i fari ancora accesi. L’uomo biascicò una giaculatoria e si avvicinò all’auto. Guardò dentro. Vide il corpo del conducente spiaccicato contro l’airbag che si era gonfiato. Si avvicinò ancora, a ridosso dell’auto accartocciata. Guardò dentro, chiamando il conducente nella speranza che questi rispondesse. La frase gli si congelò nella bocca, e rimase lì a guardare, gli occhi spalancati dallo stupore. Dentro l’auto, tra le gambe del conducente, in un ammasso di carni straziate, c’era una giovane donna bionda, il cranio fracassato, all’altezza del basso ventre del conducente, che aveva le pubenda scoperte, in un atto che lasciava poco spazio alla fantasia.

    2.

    La telefonata raggiunse Irene ancora a letto. Erano circa le sette. Il telefono suonò almeno cinque o sei volte prima che la donna si svegliasse da un sonno profondo. Si tolse la maschera per il buio dagli occhi e rispose con la indolenza di chi è appena stato svegliato.

    La voce all’altro capo era quella di un uomo. Uno sconosciuto.

    E’ la signora Mastrangeli?

    Sì… Ma chi è? chiese con voce sempre più attenta.

    Sono il tenente… cominciò la voce, ma subito si riprese, in un tono più morbido.

    Non è niente, signora, stia tranquilla. Volevo avvertirla che il signor Mastrangeli ha avuto un incidente con la Mercedes. E io volevo…

    La reazione della donna fu immediata, violenta.

    Oddio, Giugiu! Come, quando, dove? Come sta?... Non è mica ferito, vero?

    Il tenente Barletti fece una smorfia agitando tra le mani il cellulare.

    Sì….No… Ferito, sì… Ma… Adesso lo stanno portando… via. Volevo avvertirla, signora…

    Mi dica dove si trova ora, la prego. La voce della donna assunse subito un tono fattivo.

    Ehm… fece il tenente con aria incerta, smarrita, e scosse il telefonino con le due mani mentre guardava la scena davanti a sé. Una scena davvero sconcertante. Attorno alla Mercedes c’erano altri due poliziotti che misuravano il cammino dell’auto fino al tronco del pino quasi divelto. Un capitano che parlottava con gli infermieri che avevano appena tirato fuori e messo su una barella il corpo senza vita di Giorgio Mastrangeli, e altri due uomini armati di cesoie che armeggiavano al lato del posto del conducente e tiravano fuori il corpo della donna, e quattro o cinque automobilisti che si erano fermati a curiosare dal ciglio della strada.

    Pronto, mi sente? Dove si trova Giorgio, mi dica!

    Sì… riprese subito il tenente. Pronto?... Ehm… all’ospedale…All’ospedale si trova, signora.

    Quale ospedale? domandò la voce spazientita.

    Quale ospedale.. ripetè il tenente, lo sguardo fisso sul corpo della giovane estratta dall’auto che, sebbene sfigurata, sembrava giovane e bella.

    Qui, sulla strada di Ostia, il Santo Padre Redentore. Attese qualche secondo.

    Pronto?.. Pronto, signora?

    Ma la signora non era più al telefono.

    Una piccola auto da città correva pericolosamente sulla strada di Ostia. Alla guida c’era Irene, scapigliata, non truccata, vestita alla meglio con un soprabito scuro, che andava snocciolando una preghiera semimuta dove trapelavano ogni tanto le parole Giugiu, amore mio!... alternate a un rimbrotto amorevole: Te l’avevo detto di non viaggiare di notte!... per tornare subito a una preghiera: Dio, Dio Santissimo, fa che non sia grave!

    All’ospedale lasciò l’auto in mezzo alla strada e si precipitò dentro. Ad attenderla c’era il tenente dei carabinieri Barletti che subito le andò incontro con un altro carabiniere e cercò di fermarla.

    Signora Mastrangeli?

    Sì…

    Venga, venga con me. le disse il tenente, prendendole delicatamente il braccio e guidandola verso un saletta appartata.

    Ma… che succede? Dov’è Giorgio… Mio marito dov’è? Disse lei con foga, fecendo resistenza.

    Venga, prego. Il tenente e l’altro carabiniere erano più forte di lei.

    Quando furono nella saletta, il carabiniere chiuse la porta. Irene cominciò a capire che qualcosa non andava.

    Mio marito dov’è?! chiese con fermezza.

    Lo stanno preparando.

    Prepa… Preparando?

    Sì, per renderlo… il tenente cercò a lungo la parola giusta.

    Per renderlo?...

    …riconoscibile.

    Irene esplose in un pianto isterico, frammisto a frasi sconnese che andavano dal dichiarare il suo amore per Giorgio, al desiderio di vederlo subito, in qualsiasi situazione fosse. Il tenente la trattenne a sé in un abbraccio goffo, tentando di offrirle la sua protezione. Lei si liberò della stretta con uno scatto violento, per poi diventare subito fredda, reclamando i suoi diritti, da vera signora.

    Mi porti subito da mio marito. Disse con voce tesa ma calma, fissandolo negli occhi.

    Il carabiniere semplice guardò incuriosito la reazione del superiore. Ma in quel momento il rumore della porta che si aprì gli fece deviare lo sguardo su un signore piuttosto corpulento, con camice bianco, che si fermò sulla porta, e fece un lieve cenno del capo verso il tenente.

    Che succede? Mi porti subito da mio marito! disse con autorità Irene. E il tenente, grato per l’interruzione, le fece un ampio cenno verso l’uomo in camice.

    Prego. disse con malcelato sollievo.

    Irene si avviò decisa verso la porta, seguendo l’uomo in camice che si voltò verso di lei al momento d’imboccare una scalinata che scendeva.

    Prego, signora, di qua.

    Quello fu il primo avvertimento che c’era qualcosa che non andava.

    Ma… cominciò Irene, sicura che le stanze dei malati fossero in alto, mentre loro erano avviati verso gli scantinati. Una scritta che indicava la camera mortuaria la colpì come una sassata. Si fermò proprio lì sotto e si rivolse prima all’uomo in camice e poi ai due carabinieri, che seguivano a una certa distanza.

    Mio marito non è… Non è possibile!

    Di fronte alle statue di gesso dei due e poi dell’uomo la verità le piombò addosso in tutta la sua brutalità.

    Nooooo! gridò con quanto fiato aveva in gola, accartocciandosi su se stessa e crollando sulle ginocchia. Il tenente fu il primo a tentare di soccorrerla, chinandosi verso di lei in un gesto di pietà.

    Signora, la prego…

    No… disse Irene, riprendendosi, asciugandosi le lacrime. Si alzò e si ricompose. Andiamo. Dov’e?

    I tre uomini si scambiarono un’occhiata di stupore, poi presero a riaccompagnarla, l’uomo in camice avanti e i due carabinieri dietro. Il tenente si rivolse al suo sottoposto con un gesto di ammirazione, poi fissò lo sguardo sulla donna che lo precedeva e la guardò finché la galleria sotterranea che conduceva alla camera mortuaria non terminò. Dapprima fu un lungo sguardo di commiserazione, che poi divenne occhiata di ammirazione, e infine si trasformò in un barlume di desiderio per quella figura di donna ancora giovane, che si sforzava di camminare eretta, fasciata da quel soprabito scuro che provocava un terremoto di sensualità col movimento delle gambe slanciate.

    Ecco, è qui. disse l’uomo del camice bianco, fermandosi davanti alla porta metallica della camera mortuaria. Irene guardò la porta e lottò contro le lacrime.

    E’ sicura, signora? Aggiunse l’uomo, che l’aveva vista titubante.

    Sì. disse Irene con filo di voce.

    L’uomo esitò, chiese conferma al tenente con un cenno del capo, e spalancò la porta.

    All’interno c’erano tre bare esposte su un lato. Irene cercò con sguardo febbrile quella di Giorgio. Le prime due erano di un uomo anziano e di una donna in età giovanile. La terza era coperta da un lenzuolo. L’uomo del camice si avvicinò a questa e scoprì appena il viso di Giorgio. Il viso… quanto rimaneva di quello che era il bel volto di Giorgio! La testa era fracassata, la faccia contorta in una smorfia di terrore. O di godimento, chissà.

    Giugiu… riuscì appena a dire Irene, e crollò a terra senza un lamento.

    4.

    "Qualcuno ti coglierà

    vergine vellutata.

    Ignaro della tua grazia

    sbriciolerà con mano rude

    la delicata corteccia

    del tuo sentire.

    Calpesterà con pie’ fermo

    ogni tuo anelito

    alla bellezza.

    Riempirà di solidi pesi

    la tua naturale leggerezza.

    E io, da lontano,

    non potrò che pensarti

    madre amorosa

    di figli non miei."

    Scrisse questi versi 27 anni fa, quando gli apparve irrimediabilmente prossimo il giorno in cui non avrebbe più visto Irene. Perché sarebbe partita; catturata e portata via – colta appunto- da uno di quei figli di papà più ricchi e più aitanti di lui. Avevano entrambi 17 anni.

    Da allora non ha fatto che pensare a lei. A rimpiangerla. A paragonarla ossessivamente a tutte le altre donne che avrebbe potuto corteggiare e sposare.

    Amare no, non gli sarebbe stato possibile.

    E sì che non era proprio un miserabile, né un brutto uomo. In fondo era un magistrato. Con uno stipendio buono, anzi più che buono. Un uomo medio si sarebbe fatto

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