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Irresistibili bastardi. Raccolta di racconti rosa-noir-erotici
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E-book159 pagine2 ore

Irresistibili bastardi. Raccolta di racconti rosa-noir-erotici

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Info su questo ebook

Al centro di ogni racconto, comunque, c’è sempre LUI, l’uomo dei sogni, quell’irresistibile bastardo!
Dodici autrici per raccontare una Liguria da cronaca, dove vicende affettive e noir s’intrecciano continuamente.
Racconti di Raffaella Grassi, Annamaria Fassio, Anna Parodi, Francesca Romana Capone, Laura Guglielmi, Claudia Lupi, Annamaria D’Ursi, Silvana Canevelli, Luciana Chiesi De Fornari, Roberta Bottino, Tittyna (Titty Cerquetti), Adriana Albini.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mar 2014
ISBN9788875638160
Irresistibili bastardi. Raccolta di racconti rosa-noir-erotici

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    Anteprima del libro

    Irresistibili bastardi. Raccolta di racconti rosa-noir-erotici - Autrici varie

    Introduzione

    Dodici donne, dodici modi di scrivere, stili, linguaggi diversi. Quest’antologia di racconti attraversa i generi del giallo, rosa, noir, gotico, impegnato, erotico, pornografico. Si passa dall’io narrante alla terza persona, allo stile epistolare, dall’uso del tempo presente a quello passato. Eppure nella raccolta di autrici provenienti da diverse esperienze di lavoro e familiari (giornaliste, scrittrici, professioniste...) e gravitanti in area Ligure, si legge un filo conduttore ben preciso: il confronto con un altro (o un’altra) con cui la comunicazione è difficile, contraddittoria, interrotta, spezzata. Un appello, talvolta una rassegnazione accettata, la routine o la ribellione, si fanno primi attori di questi drammi e commedie umane. Da tutte le narrazioni trapela la profonda sensibilità e intuizione femminile, che non vive nulla senza meditarlo, rifletterlo, raccontarlo, renderlo storia, parteciparlo al punto che i racconti vi faranno sorridere o piangere, ma difficilmente vi lasceranno indifferenti. Sullo sfondo, o in primo piano, compaiono costantemente le figure, sfumate o accentuate, di uomini dotati di un’affascinante bastardaggine: mariti, amanti, o ex-tali, clienti di privé, addirittura il diavolo in persona, soggetti indifferenti o crudeli, aggressivi o asfissiantemente buoni, dotati di istinti omicidi o banalmente perversi, eppure evidentemente uomini irresistibili se balzano alla ribalta come protagonisti di episodi di vita femminile dove hanno lasciato il segno. Il fascino del bastardo caratterizza la nostra epoca, tanto è vero che uno dei blog più visitati si intitola: www.bastardidentro.it; letteratura e filmografia hanno attinto all’aggettivo con accezione sempre più positiva e intrigante. In fondo la parola viene dal latino di altra natura e indica semplicemente ciò che non riusciamo ad afferrare e perciò ci attira. In uno show di Giobbe Covatta il comico raccontava che la donna ha nel cervello una zona speciale e unica in grado di identificare un bastardo nel raggio di tre chilometri e farla irrimediabilmente innamorare...

    Dunque sono notevoli, a loro modo, gli uomini che hanno ispirato queste storie e soprattutto, credo, sono speciali le autrici, che con tanta maestria ce li hanno narrati nei loro scritti e ci insegneranno forse, l’arte, se non di evitarli… di conoscerli o riconoscerli.

    La curatrice Adriana Albini

    Prendete nota, bambine

    Raffaella Grassi

    Torno a casa, è mezzanotte passata, mi tolgo il cappotto, e poi il maglione, le scarpe, i jeans.

    Rimango in mutandine e reggiseno, a piedi nudi sul tappeto, poi mi tolgo tutto e mi annuso piano, per sentire il tuo odore.

    Dura qualche ora, non di più, e stanotte vorrei dormirci dentro, addormentarmi dentro, al risveglio non ci sarà più, evaporato come i segni delle tue labbra sul mio seno.

    Quando ci rivediamo, Fede?.

    Non lo so, sono incasinato.

    Domani magari ti chiamo.

    No guarda, non chiamare, meglio di no, non essere ossessionante.

    Così, solo per sentirti.

    Lascia stare, lo sapevo, adesso ricominci con le richieste.

    Non è una ri....

    Vai a casa, è meglio, adesso arriva la telefonata, lo sai, e voglio che tu sia già andata via.

    Allora ciao.

    Ciao.

    La figura dell’amante non è popolare, eufemismo.

    L’amante è una fatalona perversa rubamariti.

    In una parola, una troia.

    Una che s’infila nelle storie d’amore degli altri.

    Una ladra di baci, carezze, orgasmi.

    I romanzi e i film sono pieni di povere innocenti tradite, annientate dalla perfidia dell’altra. Che in genere è una tipa senza scrupoli, sexy e vendicativa, che alla mattina esce di casa in tacchi a spillo, autoreggenti e guêpière.

    Prendete nota, bambine, che un giorno poi magari vi potrà servire, da qualunque delle due parti vi capiterà di trovarvi, le cose non stanno così.

    Le amanti sono donne uguali alle altre.

    Le amanti hanno la cellulite, la ricrescita dei capelli, corrono agli appuntamenti (corrono, le amanti per definizione corrono, e poi aspettano) in scarpe da ginnastica e con il trucco un po’ sfatto dopo una giornata di lavoro. Spesso sono imbranate, insicure, indecise.

    Per le occasioni speciali si sistemano anche loro, vanno dal parrucchiere per i colpi di sole, fanno la maschera al viso e si comprano il balconcino di pizzo nero ai saldi, ma né più né meno delle altre, le ufficiali.

    Le amanti sono donne normali, solo che hanno incontrato l’uomo della loro vita al momento sbagliato. Bastava incrociarlo qualche anno prima, quando lui era ancora libero e bello e il gioco era fatto.

    Saremmo stati felici insieme, vero Fede?.

    Aspetta, fammi fare i calcoli, sì, se ci incontravamo nel 2000 sì. Nel 1995 no perché stavo con un’altra, un’avvocatessa.

    E io che facevo nel 2000? Avevo una storia con il mio maestro di yoga, ma lo avrei lasciato all’istante.

    Benedetto anno 2000, in cui tutto sarebbe potuto accadere.

    Ma le amanti sono scoordinate, incasinate, fuori sincrono.

    Sì, avete indovinato.

    Sì.

    Non era difficile.

    Io sono un’amante.

    Da due anni.

    Sì, sono anch’io una serpe che manda gli sms mentre lui è seduto sul divano a guardare il tg vicino a lei, la vittima ignara e senza colpe; sono anch’io una stronza che spedisce mms hard mentre loro sono sotto l’ombrellone a fare i cruciverba.

    Non per cattiveria, non per farci scoprire, non sono così stupida, so che lo perderei.

    Molto più banalmente per ricordargli che esisto, che ci sono anch’io, rannicchiata su una poltrona da qualche parte, da sola, lontano dai suoi pensieri e dai suoi gesti; che esisto anch’io, che lo penso e lo immagino anche quando lui non c’è. Soprattutto quando lui non c’è.

    Patetica, concordo.

    Masochista, concordo, concordo.

    Assolutamente cretina, vi ho detto che concordo.

    Sono due anni che lui mi sbatte il telefono in faccia se lo chiamo nei momenti sbagliati.

    Che sono: quando è con lei, e questo è ovvio. Quando è con gli amici di lei. Quando è con i suoi amici che però conoscono anche lei. Sul lavoro. Appena uscito dal lavoro perché i colleghi sono nei paraggi. A volte anche quando è da solo, perché lei lo deve chiamare ed è meglio che non trovi il telefono occupato. Se fate i calcoli, i momenti sbagliati sono praticamente sempre. Da un po’ di tempo non ho più il coraggio di telefonargli se non in casi eccezionali, gli mando sms, o gli scrivo lunghe mail in orario d’ufficio. Ci siamo inviati milioni di mail, io e Federico. Potremmo pubblicare un libro di mail, io le ho salvate tutte, lui non credo, penso le cancelli digitando velocissimo senza neanche leggerle fino in fondo, troppo rischioso.

    Perché Federico ha il terrore che ci scoprano.

    Così se ci incontriamo a teatro, al cinema, in un ristorante o in una qualsiasi situazione pubblica, lui fa finta di non vedermi. Non di non conoscermi, attenzione, perché per lavoro frequentiamo lo stesso ambiente e la gente sa che ci conosciamo, no no lui fa proprio finta di non vedermi. Come se io fossi trasparente, o lui afflitto da un attacco di cecità temporanea e localizzata.

    Quando fa così, io sto male.

    Magari la sera prima abbiamo fatto l’amore a casa sua e lo abbiamo fatto nel più tenero e sensuale dei modi, lui ha inventato le cose più porche e poi le più dolci e al momento di salutarci i nostri corpi non riuscivano a staccarsi e abbiamo dovuto respirare forte per rivestirci e rientrare nelle nostre vite, e il giorno dopo lui come se niente fosse non mi saluta e fa finta di non vedermi.

    Le prime volte mi veniva da piangere, più avanti mi saliva su per la pancia la voglia di prenderlo a schiaffi e sputtanarlo davanti a tutti; adesso invece me ne sto da una parte, lo guardo dal mio angolo polveroso e ingoio tristezza, senza dire una parola.

    All’inizio era diverso.

    All’inizio giravamo per strada camminando vicini e ci guardavamo in un modo che era come gridarlo al mondo, ehi, noi due siamo innamorati, si vede, vero, abbiamo appena fatto l’amore e le lenzuola sono ancora calde dei nostri corpi, si vede vero?, e andavamo a cena nei ristorantini e ci sfioravamo di continuo le dita, e al cinema lui mi teneva la mano, un po’ nascosta sotto il sedile d’accordo ma la teneva stretta, e mi sfiorava il seno e io mi riempivo di brividi belli.

    Poi lui ha iniziato a guardarsi sempre intorno, e una volta c’era quello, e un’altra volta c’era quell’altro.

    Ci hanno guardato strano, hai notato?.

    No, Fede, a me non sembra.

    E invece ti dico di sì, vedrai che domani in ufficio cominciano a rompere.

    Così le cene nei ristorantini sono finite, e sono diventate cene a casa sua, al riparo da pettegoli e spie. Io ero contenta lo stesso, a me bastava (a me basta) stare con lui. Facevo i quattro piani di ardesia di corsa e arrivavo col fiatone, con tutti i pacchettini in mano, le trofie, il pesto, la torta pasqualina, la Sacher. Appena entravo lui buttava tutto sul tavolo o dentro al frigo, così, a caso, mi prendeva per i fianchi già nel corridoio e mi spingeva baciandomi verso la camera da letto, togliendomi in sequenza maglietta, gonna, calze, reggiseno, mutandine, sussurrandomi tra i capelli mi fai impazzire, ti desidero da morire. E io lui. Poi anche questa fase è finita.

    Non me la sento più di fare i fidanzatini che fanno la cenetta romantica, mi sento in colpa, cerca di capirmi. Da questo momento non verrai più a cena qui. Verrai solo per fare l’amore, e poi subito dopo andrai via.

    Quando me lo ha detto, al telefono, ho perso l’equilibrio. Stavo facendo San Matteo in discesa e ho vacillato, un ragazzo che passava se ne è accorto e mi ha tenuto un gomito per non farmi cadere.

    Io e Fede quando siamo insieme siamo speciali. Lo so, lo dicono tutti, ma noi lo siamo davvero. Basta che i nostri occhi s’incontrino e rimaniamo agganciati per ore, senza aver voglia di fare altro che non sia accarezzarci e toccarci. E poi ridiamo, mangiamo, guardiamo la tv sul divano, chiacchieriamo sotto le coperte e inventiamo storie. Non capivo, e non capisco: come fa Fede a rinunciare a tutto questo? E perché poi? Complessi di colpa?

    La felicità non è una colpa, non può esserlo.

    L’infelicità invece sì, perché è da vigliacchi.

    Per non farmi mancare niente ho studiato le foto di lei nei dettagli, le ho scannerizzate mentalmente e memorizzate. Mentre lui è in bagno a farsi la doccia, io mi metto d’impegno e seziono primi piani, mezzi busti e piani americani. Dopo mesi di esami approfonditi, sono arrivata a una conclusione. Lei non è la donna adatta a Fede. No, bambine, non lo dico per gelosia. Ne sono davvero convinta, lei non è la donna adatta a Fede. È troppo bassa, troppo anonima, troppo sciuretta. Non ha seno. E lui impazzisce per il seno. Comincia sempre da lì. Anche quando siamo per strada me lo guarda, e nei ristoranti, e sull’autobus.

    Io lo conosco bene, Fede, conosco ogni centimetro e ogni angolo del suo corpo, so che cosa lo fa eccitare, cosa lo confonde, cosa lo fa andare in tilt. Io sono un flipper e lui è un jukebox.

    No, non ve lo dico, bambine, è una cosa solo nostra, ed è un segreto prezioso. Provate a immaginare la sabbia e l’acqua insieme, il cioccolato fondente e quello con le nocciole, lo zucchero e il sale, il sole che scotta sulla schiena a inizio estate la prima volta che andate al mare, cento neon tutti accesi, un rossetto, A love supreme di John Coltrane e Waltz for Debby di Bill Evans, una scatola di Caran d’Ache, una nuotata al largo, una corsa in salita, la testa sotto

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