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Federica. La dipendenza non è per sempre
Federica. La dipendenza non è per sempre
Federica. La dipendenza non è per sempre
E-book211 pagine3 ore

Federica. La dipendenza non è per sempre

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Info su questo ebook

Federica è una bambina, poi una ragazza e infine una donna che ha imparato a convivere con la violenza. Fin da piccola cresciuta in un ambiente disagiato in cui ha sempre conosciuto troppo poco amore, appena maggiorenne fugge dalla sua terra natia alla ricerca di sé stessa. Ciò che riuscirà a trovare, però, saranno soltanto cattiverie e soprusi. Nel desiderio di trovare pace e serenità, Federica riempie il vuoto che si porta dentro all’anima attraverso le dipendenze: dalle sostanze, dalle emozioni e dalle persone. La vita però disegna per lei un percorso verso la salvezza. La crescita personale attraverso i dodici passi le permette di riappropriarsi dei suoi sentimenti e di un’esistenza che sembrava perduta, imparando – e insegnandoci – che tutti abbiamo una possibilità di riscatto. Dal baratro più profondo si può risalire, conquistando una vita felice e appagante. Alla fine del suo percorso, Federica porterà per sempre dentro sé l’insegnamento più importante: la vita è preziosa e meravigliosa.

Ludovica March si è formata all’Accademia di Belle Arti di Brera. Artista poliedrica, ha sviluppato il suo percorso creativo spaziando dal realismo all’arte astratta, che l’ha portata a sviluppare una buona sensibilità alle problematiche esistenziali. Ha osservato e condiviso i dolori nella crescita di tante persone, imparando l’importanza dei veri valori e delle priorità della vita. Ha vissuto la maggior parte della sua vita a Milano, dove si è laureata anche in Scienze Umane dell’Ambiente, del Paesaggio e del Territorio all’Università degli Studi di Milano. Attualmente, per scelta, vive in Sicilia, innamorata di questa terra di antiche tradizioni, paesaggi meravigliosi e gente dalla grande ospitalità e accoglienza.  
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2021
ISBN9788830635500
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    Anteprima del libro

    Federica. La dipendenza non è per sempre - Ludovica March

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    Ludovica March

    FEDERICA

    La dipendenza non è per sempre

    a cura di Irene Scialanca

    © 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-2901-1

    I edizione novembre 2020

    Finito di stampare nel mese di novembre 2020

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    FEDERICA

    La dipendenza non è per sempre

    PREFAZIONE

    Ho scritto questo romanzo poiché sentivo il bisogno di parlare di dipendenza, dalle sostanze, dalle persone o dalle emozioni. Volevo farlo tramite la storia di una ragazza che non ha i mezzi necessari per difendersi dalla vita, ed è costretta a subire tanto prima di imparare a bastare a sé stessa.

    Così è nata Federica.

    Nonostante sia un personaggio di fantasia mi ha aiutato a parlare, attraverso ciò che le succede in queste pagine, di tematiche sociali molto delicate e soprattutto reali, che esistono nella vita di molti di noi e che, spesso, si fa fatica ad accettare.

    Non è colpa di Federica se si è trovata a dover fronteggiare tutto ciò: la sua vita fin dall’inizio si è rivelata difficile. Proprio nel momento della sua formazione, in un ambiente famigliare malsano, è costretta a saltare alcuni passaggi fondamentali dello sviluppo di un essere umano. L’adolescente, ormai compromessa dalla mancata infanzia, non sarà in grado di proseguire la sua maturazione emotiva naturale e sarà costretta a colmare queste mancanze come meglio potrà. Con le dipendenze, appunto, riproponendo involontariamente le modalità presenti in quelle situazioni famigliari tanto compromesse.

    Sarà la resilienza che la nostra protagonista riuscirà a trovare attraverso un programma di recupero della personalità, che la porterà a diventare una persona forte, capace di affrontare le difficoltà della vita, come sa fare chi ha avuto un’esistenza meno faticosa. Federica si metterà alla pari e, con l’enorme sforzo del lavoro su sé stessa, riuscirà a mettere in discussione ogni risvolto della propria essenza.

    Federica, dunque, è un personaggio di fantasia ma, nonostante questo, rappresenta un po’ tutti noi.

    Ho scritto questo libro con l’auspicio che possa in qualche modo smuovere le coscienze dei miei lettori. Da un lato, a chi si identifica nelle problematiche di Federica, a chi si sente crescere, fallire, ma anche rinascere con lei. Mi auguro che chiunque abbia sofferto, nella vita, delle stesse problematiche della nostra eroina possa in qualche modo trarne ispirazione per un nuovo inizio. Dall’altro lato, a chi si identifica in chi ha fatto del male a Federica. Anche a loro il romanzo è dedicato, affinché si riesca un po’ di più a mettersi nei panni dell’altro e a comprendere che, oltre i nostri sentimenti, esiste anche la sensibilità di chi abbiamo davanti.

    A tutte le Federica del mondo, insomma; e anche a tutti quelli che non hanno mai smesso di farle del male.

    Ludovica March

    CAPITOLO 1 - STUPRO

    Verona, 1975

    «Mamma mia, che succede?»

    Federica guardò l’uomo nella macchina accanto, sulla corsia di sorpasso, suonare il clacson e gesticolare animatamente indicando il retro della sua auto. Era un’auto vecchia quella di Federica, comprata usata da un privato per poche migliaia di lire. Nonostante questo, aveva fatto fino a quel momento egregiamente il suo dovere, ma nulla vietava che potesse da un secondo all’altro abbandonarla - come tutti, del resto, nella vita avevano fatto con lei. Forse, quell’uomo cercava di avvertirla di un problema e, a giudicare dalla veemenza con cui tentava di attirare la sua attenzione, il guasto doveva essere ingente. Oppure, molto più semplicemente, non era altro che un pazzo: le capitava molto spesso di incontrarne.

    «Che cavolo vuoi?» gridò Federica spaventata «Cretino!».

    Tenne salde le mani sul volante e proseguì a schiacciare l’acceleratore. L’uomo, però, non sembrava arrendersi, anzi. Continuava ad accostarla e a indicare il lato posteriore della macchina.

    Lo sguardo di Federica, allora, si staccò dalla strada e si posò per un istante sullo specchietto retrovisore: un denso fumo nero sembrava inseguirla.

    La ragazza, d’istinto, schiacciò con forza il piede sul freno, inchiodando all’istante. La macchina sbandò prima da un lato e poi dall’altro, tanto che Federica fu quasi certa, per un attimo, di non riuscire a controllarla. Fortunatamente, invece, la forza che aveva nelle braccia le venne in suo soccorso e riuscì, non senza fatica, ad accostare sul ciglio della strada, sana e salva.

    Cosa stava accadendo? Federica pensò subito al peggio: avrebbe potuto schiantarsi contro il guard-rail o, addirittura, saltare in aria a causa di chissà quale guasto. Per fortuna, quell’uomo aveva insistito pur di farla fermare.

    «Brava cretina» si disse fra sé e sé «visto cosa si rischia a non fidarsi mai?».

    Ora però, bisognava pensare a come agire: realizzò presto che essere senza patente, saper guidare da poche settimane e non conoscere nulla di macchine, non le sarebbero venuti in soccorso.

    Fortunatamente, l’uomo che tanto aveva mostrato a Federica la sua preoccupazione, accostò subito dietro di lei e scese dalla macchina. Federica lo vide avvicinarsi: era alto, robusto, sulla cinquantina. Aveva un’aria burbera ma, certamente, sotto sotto, nascondeva un cuore buono.

    Federica, osservandolo, si sentì grata e colma di fiducia verso quell’estraneo che, chissà perché, aveva scelto di salvarla.

    «Dove credi di andare così? Scendi, fai vedere!» le disse con la sua voce roca che svelava senza dubbio un’inclinazione al tabagismo.

    Federica obbedì e scese dall’auto. Subito, un cattivo odore di bruciato le riempì le narici. Nonostante la sua conoscenza di motori fosse pressoché nulla, Federica era una ragazza sveglia e comprese che ci sarebbe stato ben poco da fare: il fine settimana in montagna che aveva programmato con tanta cura era appena svanito dentro una colonna di fumo nero.

    «Ma chi ti ha dato la patente?» disse lui con uno sguardo che sembrava esprimere pietà per quella povera ragazza che si trovava davanti.

    «Avevi il freno a mano tirato» continuò.

    Federica lo osservò con attenzione: due occhi piccoli, quasi affossati in un viso troppo rotondo, la scrutavano con insistenza. Federica sentì un brivido freddo correrle lungo la schiena.

    Una mano estranea, sporca come la coscienza dell’uomo a cui apparteneva, la afferrò per un braccio e la trascinò verso la sua auto.

    «Lasciami! Lasciami stare!»

    Federica gridò, si dimenò e tentò con tutte le sue forze di divincolarsi dalla presa di quell’uomo che, fino a qualche momento prima, aveva creduto essere il suo salvatore.

    Un pugno, crudo e violento, le lacerò lo stomaco: un dolore pungente e intenso fece sparire dal suo piccolo corpo tutte le forze che, fino a quel momento, l’avevano abitato.

    Fu un attimo e Federica si ritrovò scaraventata sul sedile posteriore di una vecchia auto, sporca e maleodorante. Lui, quell’uomo, le si gettò sopra con tutto il peso: non disse niente, agì e basta.

    Federica ci provò ancora, tentò di combattere con il suo ultimo sprazzo di energia. Voleva liberarsi, voleva scappare.

    Un altro pugno allo stomaco, se possibile ancora più violento del primo, le tolse il respiro.

    «Zitta. Stai ferma!» grugnì lui.

    Mentre con una mano la teneva immobile, con l’altra si tirò giù la zip dei pantaloni e scostò da un lato le mutandine di Federica. Fu soltanto in quel momento che realizzò davvero che cosa le stesse accadendo: quell’uomo la stava violentando, le stava addosso, le stava dentro. Era successo così velocemente, in una maniera così sconvolgente, che Federica non aveva avuto nemmeno il tempo di rendersene conto.

    Con quelle luride, schifose mani sudate, quell’uomo le strappò il vestito e le toccò i seni. Sentì il suo respiro affannato sul collo, Federica, insieme a un odore pungente di aglio e vide quegli occhi piccoli e affossati iniettarsi di sangue e di piacere.

    Incredula e impotente rispetto a ciò che le stava accadendo, incapace di reagire, Federica guardò fuori dal finestrino.

    Accanto a lei, lungo la strada, sfrecciavano decine di macchine che – se anche avesse avuto la forza di farlo – non avrebbero mai potuto sentirla gridare. Forse, addirittura, quei guidatori osservavano indignati la strana coppia fare l’amore in corsia di emergenza in pieno giorno, totalmente ignari della tragedia che si stava consumando.

    Quanto avrebbe voluto poter tornare indietro nel tempo Federica, anche soltanto di mezz’ora.

    Il suo bel viso si rigò di un pianto silenzioso, rassegnato, mentre quella bestia che le stava sopra continuava ad annaspare. Un suono disumano di piacere le riempì le orecchie e poi, subito dopo, silenzio.

    Aveva finito.

    L’uomo allentò la presa e si tirò in piedi, fuori dalla macchina.

    Federica aveva appena compiuto vent’anni e le era capitato molto spesso di vedere scene di violenza al cinema. Solitamente, alla fine del rapporto, lo stupratore uccideva la sua vittima. Al solo pensiero, Federica si sentì raggelare: davvero avrebbe potuto ammazzarla?

    Era terrorizzata, umiliata, disgustata e avrebbe avuto soltanto voglia di scappare via veloce, ma la disperazione le risvegliò nel cuore un istinto di sopravvivenza. Sola, in mezzo al niente, con un vestito strappato addosso e il suo carnefice ancora lì al suo fianco, ebbe una reazione istintiva, come se già sapesse alla perfezione come affrontare una situazione del genere.

    «Che ragazzo focoso che sei» disse, meravigliandosi di sé stessa.

    Lui la guardò con un ghigno malato: «Una bellezza come te non l’avrei mai potuta avere. Ma adesso che sei mia… perché sei mia, no? Adesso tu verrai con me».

    Il terrore si impossessò ancor di più di Federica.

    È uno psicopatico» pensò «non devo contraddirlo.

    «Certo, vengo con te» acconsentì Federica.

    Continuò, sempre più sorpresa della voce che le usciva dalla bocca:

    «C’è un solo problema. Vado a Cortina per lavorare, sono commessa in un negozio di moda. Se non mi vedono arrivare si preoccuperanno. Passiamo di lì ad avvisare e poi saremo liberi di stare insieme».

    Lui annuì sistemandosi i pantaloni.

    Federica scese dall’auto e riuscì soltanto a pensare che, in quel momento, respirava ed era viva.

    Mentre camminava verso la sua macchina, sentì lungo le cosce scendere il liquido che quel mostro aveva lasciato in lei. La nausea si fece così forte che non riuscì a trattenersi: Federica vomitò lì per terra la sua colazione e tutto il dolore che, in quel momento, aveva dentro.

    «Hai mangiato pesante?» la guardò l’uomo disgustato.

    Era serio il bastardo, era serio mentre pronunciava quelle parole senza rendersi conto di quello che le aveva appena fatto.

    «Sì, sarà un’indigestione» rispose Federica salendo sulla propria auto «Ora passa».

    «Vai vai avanti tu, io ti vengo dietro» disse lui «Conosco una trattoria dove si mangia bene. Pago io!».

    Fottiti, schifoso porco! avrebbe voluto rispondergli Federica. Piuttosto, annuì e, ancora una volta piena di meraviglia, sentì la sua stessa voce dire:

    «Che bello. Sarà un pranzo romantico. Andiamo!».

    Federica chiuse la portiera, accese la macchina e controllò il freno a mano: sentiva ancora l’odore di bruciato, ma non le importava. Sentì le gambe tremare, le lacrime scendere senza controllo e, finalmente sola, si lasciò andare a un urlo liberatorio, sperando che potesse in qualche modo cancellare tutto ciò che le era appena successo.

    Ma non accadde.

    Federica alzò gli occhi e si guardò nello specchietto. La sua faccia era devastata, i capelli in disordine e l’abito strappato faceva intravedere il reggiseno.

    Si sentiva sporca, sporca dentro. Così prese un fazzolettino e si asciugò tra le gambe, ma non servì a niente. Era imbrattata di una lordura che non sarebbe andata via nemmeno strofinandosi forte nel cuore. Come avrebbe potuto alleviare quel senso di disgusto che sentiva?

    Avrebbe dovuto essere un fine settimana da passare a Cortina in piacevole compagnia delle sue amiche, commesse in un negozio della via centrale, all’insegna del divertimento e del buonumore. Il sabato sera l’avrebbero passato in discoteca a caccia di qualche ragazzo di buona famiglia e poi avrebbero riso sapendo di non esserci riuscite. Adesso, invece, era tutto cambiato.

    Lo denuncio pensò Federica arrivata al casello autostradale chiederò di chiamare la polizia, racconterò cosa mi ha fatto.

    Immediatamente, però, si rese conto di non poterlo fare. Frequentava da poco le lezioni alla scuola guida e aveva comprato con i suoi primi risparmi quella tanto desiderata Mini Minor. Da autodidatta aveva imparato a guidare e si era concessa questo piccolo sgarro, un viaggio in autostrada senza essere autorizzata a farlo. E ora stava pagando quella leggerezza molto cara.

    L’unica soluzione rimasta sarebbe stata scappare. Ma in che modo?

    L’uomo subito la sorpassò e la condusse alla trattoria.

    Appena dentro, Federica andò in bagno e lui la aspettò, ingombrante nel corpo e nei modi, fuori dalla porta pur di non perderla d’occhio.

    I due si sedettero a tavola e Federica tentò di nascondere il disgusto che provava pur di conquistare la sua fiducia.

    «Da dove vieni?» gli chiese lei con un falso sorriso sulle labbra.

    «Dalla provincia di Lecco, vivo col mio babbo. È un buon padre, il mio. Curiamo le bestie, io do da mangiare alle vacche e ai maiali. L’altro ieri» continuò lui come se niente fosse successo «abbiamo macellato una scrofa di ottanta chili. Era una bestia buona! Abbiamo fatto delle salsicce. Te le farò assaggiare, sono buone, vedrai che ti piaceranno!» concluse asciugandosi la bocca sporca direttamente con le mani, quelle mani che fino a pochi minuti prima l’avevano strattonata, colpita, toccata.

    Federica se le immaginò, quelle mani grasse e sudate, uccidere il maiale e sentì nuovamente un conato di vomito esploderle in gola. Prima di rimettere, però, afferrò il bicchiere che aveva davanti il piatto e buttò giù insieme al vino l’ennesimo boccone amaro.

    Finito di mangiare, uscirono dal locale per rimettersi in viaggio.

    «Appena arrivati a Cortina vado ad avvisare le mie colleghe. Tu però aspettami fuori, non voglio che ti vedano, potrebbero pensare male».

    Santo Dio, non credeva alle parole che le stavano per uscire dalla bocca.

    «Ci metterò dieci minuti. Poi saremo liberi. Non vedo l’ora di stare insieme a te» disse con aria maliziosa, tremando al solo pensiero che lui dicesse no.

    Doveva essere stata particolarmente brava, poiché lui fece un cenno di assenso con la testa, accompagnato da una smorfia che avrebbe potuto essere ricondotta a una specie di sorriso.

    Proprio lì, in quel momento, si rese conto di non sapere neanche il nome di quell’uomo: lei non aveva intenzione di presentarsi e lui non gliel’aveva chiesto. Con questo pensiero nella testa, Federica salì in macchina e partì. Una volta arrivata all’inizio della cittadina, abbassò il finestrino e fece cenno all’uomo di aspettarla in un parcheggio. Lui, fiducioso, accostò e lei ripartì subito. Doveva fare in fretta: sapeva benissimo che in un inseguimento non avrebbe avuto scampo, la sua inesperienza nella guida era evidente. Doveva avvantaggiarsi prima che lui si rendesse conto che lei se n’era andata.

    Federica attraversò il centro di Cortina e proseguì il più velocemente possibile. Passò davanti un cartello stradale che indicava Trento e si ricordò di un suo amico che abitava lì. Senza pensarci troppo, tirò dritta per quella direzione tenendo sempre d’occhio lo specchietto retrovisore. L’adrenalina accumulata la portò fino al maneggio dove il suo amico Lorenzo insegnava equitazione.

    Lo vide da lontano, nel recinto, dare lezioni individuali a una signora. Lui, appena si accorse di lei, si lasciò andare a un sorriso, il sorriso di chi rivede d’improvviso una persona cara.

    «Fede! Che piacere vederti!» disse Lorenzo «Aspettami dentro, ho quasi finito!».

    Federica in pochi passi raggiunse il bancone del bar nella Club House e ordinò un Negroni: era ciò di cui aveva bisogno.

    Finalmente comoda, seduta su una poltrona di vimini, con un bicchiere in mano e la desolazione nel cuore, sentì di essere in un

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