Una spada per la vita: Alla riscoperta della virilità cristiana
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Vengono qui raccolti alcuni scritti «di battaglia» apparsi (prevalentemente sulla Croce Quotidiano) al tempo dei due Family Day, inevitabilmente condizionati dalla tensione febbrile che si respirava in quei giorni.
Beninteso, battaglia contro le idee, non contro le persone. Persone nominate però per nome e cognome, perché poche cose irritano quanto l'attitudine tipicamente clericale di polemizzare per mezzo di allusioni maligne.
Il confronto, anche duro e polemico, se vuole essere franco e leale (in una parola, umano) deve avvenire tra persone con un nome, un volto, una storia.
La polemica deve essere ragionata, giacché lega esseri dotati di logos. La penna, anche quando è impugnata alla maniera della spada, non deve scadere in quel polemismo dalla retorica roboante e villana, insultante e astiosa, caratterizzato dall’argomentare rozzo e dal fraintendimento sistematico delle ragioni altrui. La scrittura, in tal caso, diventa sterile esercizio di vanità. Una specie di prosecuzione del linciaggio con altri mezzi.
«L’uso della spada profana lo spirito che essa vuole difendere», ci ricorda Gustave Thibon.
A questa profonda verità tuttavia se ne può contrapporre un’altra, altrettanto profonda: quaggiù sulla terra, in un mondo che reca la ferita del peccato, anche la più nobile delle verità non può incarnarsi se non attraverso lo sforzo, la passione, la lotta.
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Anteprima del libro
Una spada per la vita - Emiliano Fumaneri
misericordismo
Prefazione
Per introdurre i temi di questo libro occorre ritornare con la mente e col cuore alla straordinaria stagione dei due Family Day. Parliamo di quei mesi (poco più di sette) che hanno separato il Family Day di Piazza San Giovanni (20 giugno 2015) dal «bis» del Circo Massimo (30 gennaio 2016). Altrove ho definito questa mobilitazione, autenticamente spontanea e dal basso, come una «bonaria insorgenza del senso comune». Come definire altrimenti la sollevazione pacifica di un popolo senza mezzi, ignorato dai potenti e irriso dai mass media, radunatosi per manifestare una verità scritta fisicamente nel corpo di ciascuno dei manifestanti, ossia la natura sessuata di uomini e donne?
Una manifestazione fisica, prima che politica. Giova ricordare che natura, physis in greco, deriva da un verbo che significa «generare» ma anche «far apparire» una profondità nascosta, evidenziare quel che non è evidente. In una parola: manifestare.
Ma sarebbe mentire affermare che il popolo del Family Day è nato col Family Day. No, quel gigantesco sforzo collettivo discende da un'esperienza plurale. Affonda le sue radici in una fitta foresta di uomini e donne ramificata nel paese e intrecciatasi per naturale affinità.
Il pensiero va immediatamente alla rete delle Sentinelle in Piedi, nata nel 2013 per imitazione spontanea – ma anche creativa – dei Veilleurs Debout francesi.
Ma prima ancora bisogna menzionare il fermentare di passioni positive sprigionato da quel provvidenziale fenomeno editoriale che è stato Sposati e sii sottomessa di Costanza Miriano, presto affiancato da un blog al quale ho avuto l’onore di partecipare col nickname di Andreas Hofer
(omaggio all'eroe di un'altra insorgenza popolare, avvenuta in un passato ormai lontano ma per certi versi analoga a quella del Family Day).
Altre realtà sarebbero poi nate e confluite in questo popolo: la Manif Pour Tous Italia (poi Generazione Famiglia, guidata da Jacopo Coghe, Maria Rachele Ruiu, Filippo Savarese), Mario Adinolfi col suo Voglio la Mamma e la sfida coraggiosa lanciata col quotidiano La Croce, Gianfranco Amato e la sua instancabile attività in chiave antigender, e tanti altri, singoli e associazioni.
Ho avuto la fortuna di vivere in prima persona momenti «fusionali», di eccitazione collettiva, come il Convegno di Milano del 17 gennaio 2015, coi «quattro moschettieri» (Costanza Miriano, Padre Maurizio Botta, Mario Adinolfi, Marco Scicchitano) affiancati da Massimo Introvigne e Luigi Amicone.
Il resto è noto: la nascita del Comitato Difendiamo i Nostri Figli sotto la guida di Massimo Gandolfini, le speranze, la battaglia delle idee, la battaglia parlamentare e extraparlamentare intorno al ddl Cirinnà, la sconfitta, la delusione, la divisione.
Molto è successo da allora. Dopo l’impresa è arrivato, inesorabile, il momento delle scelte e talora l’amarezza si è mescolata allo slancio di quei giorni. Altre amicizie sono nate, altre si sono approfondite. Altre ancora si sono spezzate.
Ma questa è storia.
Questo libro vuol essere una testimonianza appassionata – certo personale e soggettiva: come tutte le testimonianze riporta «un» punto di vista, non «il» punto di vista – di questa stagione di impegno e di testimonianza, nella convinzione che non vi sia contrapposizione tra queste due dimensioni della vita cristiana, entrambe indispensabili, ciascuna a suo modo.
Vengono qui raccolti alcuni scritti «di battaglia» apparsi (prevalentemente sulla Croce Quotidiano) al tempo dei due Family Day, inevitabilmente condizionati dalla tensione febbrile che si respirava in quei giorni.
Beninteso, battaglia contro le idee, non contro le persone. Persone nominate però per nome e cognome, perché poche cose irritano quanto l'attitudine tipicamente clericale di polemizzare per mezzo di allusioni maligne.
Il confronto, anche duro e polemico, se vuole essere franco e leale (in una parola, umano) deve avvenire tra persone con un nome, un volto, una storia.
La polemica deve essere ragionata, giacché lega esseri dotati di logos. La penna, anche quando è impugnata alla maniera della spada, non deve scadere in quel polemismo dalla retorica roboante e villana, insultante e astiosa, caratterizzato dall’argomentare rozzo e dal fraintendimento sistematico delle ragioni altrui. La scrittura, in tal caso, diventa sterile esercizio di vanità. Una specie di prosecuzione del linciaggio con altri mezzi.
«L’uso della spada profana lo spirito che essa vuole difendere», ci ricorda Gustave Thibon.
A questa profonda verità tuttavia se ne può contrapporre un’altra, altrettanto profonda: quaggiù sulla terra, in un mondo che reca la ferita del peccato, anche la più nobile delle verità non può incarnarsi se non attraverso lo sforzo, la passione, la lotta.
Thibon lo sa bene. C'è un modo di purificare la spada: metterla al servizio del debole e dell’oppresso. È il principio della cavalleria: la forza al servizio della vita.
San Tommaso riconosce l'esistenza di un’ira «moderata» nella quale la passione, non scavalcando l’uso della ragione, rende più efficace il perseguimento del giusto fine. Una certa capacità di indignazione sprona ad atti virtuosi. Cosa ne sarebbe di un uomo di legge senza passione per la giustizia? Un uomo di legge che non provasse sdegno per le iniquità perpetrate dai ladri e dagli assassini potrà mai essere altro, nella migliore delle ipotesi, che un funzionario irresponsabile?
Non c'è formula che consenta di sfuggire il confronto, mai pienamente risolto, con un simile paradosso. Chiunque maneggi una penna, a qualunque livello, deve sapere di portare una grande responsabilità: la parola, scritta o parlata, può essere parola di vita o parola di morte, potendo nutrire o avvelenare lo spirito a cui essa giungerà.
Con questo spirito ho cercato – se con successo o meno lo lascio giudicare al lettore – di affrontare i temi trattati, che sono quelli disputati abitualmente, oggi come ieri, sul quotidiano La Croce.
In primo luogo le «colonizzazioni ideologiche» (l’ideologia del gender, l’aggressione al matrimonio e alla famiglia, la cultura della morte, le biotecnologie, ecc.) ma anche, soprattutto nella seconda parte, il tema oggi negletto della virilità cristiana, dal cui oblio, sono sempre più convinto, derivano molti dei mali che affliggono la cattolicità.
In ultimo, una dedica. Che va, doverosamente, a san Giovanni Paolo II, il papa della famiglia e della vita, il papa della nostra vita.
La sua voce riecheggia ancora forte in un tempo così avaro per la vita: «Per chi accoglie la Rivelazione, e in particolare il Vangelo, deve essere chiaro che è meglio esistere che non esistere». (Giovanni Paolo II, con Vittorio Messori, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, Milano 1994, p. 24)
In queste parole, di una profondità metafisica senza pari, troviamo le coordinate sufficienti a darci orientamento e il vigore utile a darci sostentamento. Più che mai, nel tempo dell'antivita, bisogna testimoniare che Cristo è il Dio della vita. Chi ama Cristo non può non amare la Creazione.
Il romanticismo biopolitico di Michela Marzano
(31 ottobre 2015)
Molti l’avranno certamente vista in televisione a Open Space, impegnata a polemizzare con lo stato maggiore della Manif Pour Tous Italia. Ha trattato in malo modo il portavoce Filippo Savarese, al quale ha dato apertamente del bugiardo (per poi scrivere sprezzante su Twitter, poco prima di bloccarlo, che «bugiardo
non è un giudizio di valore, è la descrizione di chi mente, ossia falsifica la realtà; basta non mentire!»). E non è stata certo più tenera con la pur combattiva Maria Rachele Ruiu.
Di chi si tratta? Parlo di Michela Marzano, classe 1970, romana trapiantata a Parigi, dove insegna filosofia all’Università René Descartes dopo studi prestigiosi presso la Scuola Normale di Pisa e La Sapienza di Roma. Nel 2011 diventa direttrice del Dipartimento di scienze sociali della Sorbona. All’attività accademica affianca quella giornalistica come editorialista di Repubblica.
E non solo: Michela Marzano, in omaggio alla tradizione platonica del philosophe roi (per Platone ci sarà un buon governo solo quando i filosofi diventeranno re o i re diventeranno filosofi), è riuscita anche a ritagliarsi uno spazio in politica facendosi eleggere deputata del Partito Democratico nella Circoscrizione I Lombardia. In Parlamento tra le altre cose si è segnalata per l’attivismo nel campo dei «nuovi diritti» e per il contrasto a omofobia e transfobia, a cominciare dal ddl Scalfarotto che l’ha vista tra i promotori.
Da non molto è uscito in libreria anche un suo saggetto didascalico intitolato Papà, mamma e gender, composto in buona parte dalla rimasticatura di articoli apparsi su Repubblica. Un libro, scrive la Marzano nelle prime pagine, pensato per rispondere all’allarmismo sociale diffuso a piene mani da una truppa di scaltri manipolatori delle menti. È stata questa masnada di cinici avventurieri ad aver infestato il dibattito pubblico mettendo in circolazione rappresentazioni caricaturali e propagandistiche degli studi sul gender.
In verità, obietta la sorboniana, gli studi di genere non si prefiggono altro che il nobile scopo di combattere la discriminazione perpetrata ai danni di chi «viene considerato inferiore solo in ragione del proprio sesso, del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere».
Così da un lato si è creata nel paese una profonda frattura. Una guerra ideologica che vede schierate due fazioni contrapposte. Da una parte della barricata abbiamo un Fodria sgangherato: l’Armata Brancaleone degli «essenzialisti», convinti che esista una definizione unica e assoluta del bene.
Il Family Day, secondo questa rappresentazione, non è stato altro che la manifestazione più eclatante della chiamata a raccolta di questa specie di orda fanatica (una mobilitazione «disperata e disorganizzata» l’ha definita il sociologo Giuseppe De Rita, interpellato dall’ Huffington Post) bramosa di combattere con cieca dedizione un progetto di indottrinamento dei bambini volto a scardinare i valori famigliari e a banalizzare ogni comportamento sessuale.
L’essenzialismo, dice la Marzano, è quella corrente che assolutizza il dato biologico e «considera le differenze esistenti tra l’uomo e la donna come naturali e immutabili». Partendo dal presupposto che la differenza sessuale è inscritta nel corpo l’essenzialista ne deduce che essere uomo o donna coincide con l’essere maschio o femmina, cancellando così ogni influenza culturale nella determinazione dei ruoli maschili e femminili.
Dall’altra parte della barricata abbiamo invece coloro che vengono falsamente etichettati dalla barbarie familista come sostenitori del «relativismo etico». Sarebbe imprudente fidarsi di questa bieca propaganda, avverte la filosofia in quota al Partito Democratico. La realtà naturalmente è un’altra: la pars adversa si compone di padri e di madri, di sorelle e di fratelli di persone omosessuali. Si tratta degli affetti di una minoranza emarginata in ragione del diverso orientamento sessuale.
Dunque il quadro a tinte manichee è questo: il conflitto tra una canea berciante di oppressori ideologizzati e una comunità sofferente di dannati della terra. Carnefici e vittime, ruoli già assegnati in partenza. Fin dalle prime pagine del libro emerge la spiccata inclinazione della filosofa a fare uso della suggestione sentimentalistica.
Michela Marzano critica anzitutto il popolo del Family Day e le varie realtà pro-family (reti come la Manif Pour Tous e le Sentinelle in Piedi, associazioni come i Giuristi per la Vita e Notizie ProVita, giornalisti come Costanza Miriano e Mario Adinolfi).
Secondariamente la critica marzaniana cade anche su Judith Butler, la teorica del genderismo radicale contestata per aver identificato orientamento sessuale e identità di genere. È una posizione, la sua, che prende le mosse da nobili propositi. Butler contesta l’idea che una donna attratta da un’altra donna (orientamento sessuale) sarebbe «meno donna» (identità di genere) delle donne attratte dagli uomini. Di conseguenza le donne con orientamento omosessuale sarebbero non-donne o non-persone destinate ad essere oggetto di discriminazione e di emarginazione sociale.
Per questo la Butler afferma che «il desiderio omosessuale terrorizza il genere». Ed ecco spiegato perché una femminista come Monique Wittig