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Elementi cristiani nel pensiero e nell'etica di Albert Camus
Elementi cristiani nel pensiero e nell'etica di Albert Camus
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E-book587 pagine7 ore

Elementi cristiani nel pensiero e nell'etica di Albert Camus

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Info su questo ebook

Camus è stato un uomo in costante ricerca: una inquietudine tutt'altro che estranea alla tradizione biblica, anzi connaturale in qualche modo alla fede stessa. Il travaglio interiore che non ha mai cercato di nascondere si presenta per lo più come una lotta contro un indefinibile quanto inaccettabile senso di colpa che si traduce in una solitaria rivolta contro Dio ed in una accusa di ingiustizia nei suoi confronti.
Qualunque esito si voglia dare a questo contenzioso, il mondo resta comunque sotto il segno dell'assurdo. Per uscire da questo vicolo cieco bisogna porre la questione del senso della vita da un altro punto di vista, abbandonando l'ossessionante alternativa della colpa e dell'innocenza che, a ben vedere, nasconde solo una raffinata forma di egocentrismo. Ciò può avvenire soltanto attraverso la scoperta della dimensione comunitaria della propria esistenza e della condivisione della lotta contro il male e l'ingiustizia. Da qui la elaborazione di un'etica della solidarietà, la cui affinità all'ethos cristiano si rivela nelle parole stesse dell'Autore, da sempre affascinato dalla figura del Cristo e per questo instancabile provocatore del credente.
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2023
ISBN9791222072616
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    Anteprima del libro

    Elementi cristiani nel pensiero e nell'etica di Albert Camus - Marcello Tobia

    Marcello Tobia

    ELEMENTI CRISTIANI NEL PENSIERO

    E NELL'ETICA DI ALBERT CAMUS

    2021 - Phanospress, P.O.Box 774

    Claremont.CA - 91711 USA -

    Library of Congress Cataloging-in-Publication Data

    Tobia, Marcello 1957-

    Elementi Cristiani nel pensiero e nell'etica di Albert Camus

    Library of Congress Control Number: 2021922941

    Copyright © 2021 Marcello Tobia

    Cover, copyright © Marcello Tobia: Il piccolo chiostro della chiesa di S. Matteo a Genova, amato da Albert Camus.

    «Piccolo chiostro di S. Matteo… Breve attimo di felicità. Ora bisogna cambiar vita.» (Albert Camus, Tac III, 135)

    Versione digitale realizzata da Streetlib srl

    Phanos Press è stata creata per ospitare opere di filosofia, teologia e letteratura caratterizzate dal rigore della ricerca e dalla fascinazione della conoscenza. Il logo stesso ci ricorda Diogene e Nietzsche ma, soprattutto, la metafora evangelica della lampada la cui luce non può essere nascosta ma è destinata ad illuminare la casa che è il nostro spirito. Si tratta dunque di offrire ai lettori strumenti che permettano di superare la banalità del senso comune in materia di pensiero, spiritualità e religione, per aiutarli ad intraprendere un cammino libero dalle imposture delle mode e lontano dalle caricature del soprannaturale.

    PREFAZIONE

    Questo studio è un lavoro dottorale. Ciò significa che è stato svolto in modo per quanto possibile oggettivo, non inficiato da pregiudiziali simpatie o antipatie nei confronti dell'Autore. Cosa non facile, dato il successo che egli riscuote ancor oggi presso ogni sorta di pubblico e la parzialità di molte pubblicazioni sul suo pensiero.

    Naturalmente ho scelto Albert Camus perché ha sempre riscosso il mio interesse e la mia ammirazione per la sua infaticabile ricerca, la sua costante inquietudine e la sua libertà di pensiero. Quella libertà e quell'autonomia che gli hanno permesso di sfidare i dogmi degli intellettuali del suo tempo a prezzo di un doloroso isolamento; quella libertà e quel desiderio di conoscenza grazie al quale mai egli ebbe esitazione a dialogare costantemente con il Cristianesimo, in particolare con i cattolici, sia che fossero teologi, preti, monaci o semplici laici, arrivando a farne degli interlocutori privilegiati. Non dimentichiamo che la prima lettura del Malinteso fu fatta ai monaci del monastero di Saint-Maximin-la-Sainte-Baume, in Provenza, dove egli si era recato per insistenza dell'amico padre Bruckbecker, a curarsi la tubercolosi.

    L'inquietudine di Camus, le sue contraddizioni, la sua insofferenza nei confronti di quei sistemi di pensiero che si illudono di irretire la complessità del mondo in idee e concetti, l'ho sempre sentita molto vicina al mio percorso interiore. In Camus ho ritrovato le stesse argomentazioni, lo stesso desiderio di chiarezza, ma anche gli stessi limiti concettuali, linguistici e di pensiero di un adolescente. Il che peraltro credo che sia la ragione del suo successo fino ad oggi. Per questo ho voluto dialogare con lui come con un amico e, come si fa con un amico a cui si tiene molto, sono stato molto schietto con lui: non ho risparmiato critiche alla superficialità di certe sue affermazioni, alle sue posizioni aprioristiche riguardo a certi suoi personaggi e alla inadeguatezza degli strumenti di pensiero che spesso ha utilizzato avventurandosi in territori filosofici e teologici. Tutto questo per arrivare a scoprire che forse ciò che appare distante non lo è poi così tanto e che in questo faticoso quanto affascinante percorso spirituale si tratta di imparare a dialogare per comprendere la domanda di cui un pensiero rappresenta sempre la risposta.

    INTRODUZIONE

    Non esiste un solo Albert Camus, ma una pluralità di Camus, data la sua personalità contraddittoria e complessa. La sua produzione letteraria è ben lungi dal rappresentare quella linearità di evoluzione che qualcuno -magari forzando i testi- vorrebbe trovare. Perché Camus in realtà è stato innanzitutto un uomo in costante ricerca: da qui il suo grande fascino. Il travaglio che non ha mai cercato di nascondere ha avuto la sua espressione nelle arti letterarie fino a sconfinare nella filosofia, in cui -pur non essendo un filosofo, secondo le sue stesse parole- si è cimentato con esito incerto e con strumenti linguistici non del tutto affinati. Infatti, l’uso che fa di concetti fondamentali come «assurdo» e «rivolta» sono spesso equivoci e le difficoltà di comprensione che certe sue opere hanno incontrato e di cui egli si è lagnato hanno per lo più qui la loro origine e le loro buone ragioni.

    Non per questo i suoi scritti perdono di interesse. Al contrario, sono ricchissimi e stimolanti sia per chi crede che per chi non crede. La loro a-sistematicità e le incongruenze che li caratterizzano non ne diminuiscono il valore ma, se possibile, li impreziosiscono perché lasciano scorgere ulteriori prospettive ermeneutiche del suo pensiero, alla luce delle nuove situazioni storiche in cui un testo viene letto.

    1. A partire dalle forze oscure dell'anima

    L'arte non deve discendere da una ideologia ma nascere dalle «oscure forze dell’anima»¹ e portarne le tracce. Per questo ho speso tanto tempo e tante pagine ad esaminare l'animo dell'Autore così come egli si descrive in certi suoi scritti e per risalire all’origine di certe affermazioni, certe sensazioni, esperienze, e forse anche delirii, in essi disseminati. Non se ne può fare a meno, se si vuole arrivare a capire a fondo la persona e a comprendere meglio la sua concezione dell'esistenza. Non per nulla Camus, ancora nel 1958, nella prefazione alla riedizione della raccolta dei primissimi scritti giovanili (Essais) disse che il nocciolo del suo pensiero era già presente in quei brevi saggi e che in seguito non aveva fatto altro che tentare di riprenderne lo spirito e le intuizioni. Perciò ho voluto iniziare la mia ricerca proprio da questi, che in realtà ricoprono un lasso di tempo molto più ampio ma hanno lo stesso sentore, la stessa sensibilità, lo stesso scopo: «ritrovare, con i sotterfugi dell’arte, le due o tre immagini semplici e grandi sulle quali una prima volta il cuore si è aperto»². Qui si propongono struggenti ricordi di infanzia, profonde riflessioni sulla storia, sulla caducità delle cose, sulla vecchiaia e la giovinezza; frementi descrizioni della bellezza di antichi luoghi e della natura mediterranea…

    Altissima letteratura, che però si colloca all'interno di una sensibilità romantica ben conosciuta. La loro originalità, al contrario, consiste nella percezione, dentro quella bellezza, di una oscura minaccia che si può manifestare in mille modi. Può pesare sul cielo azzurro, oscurare il sole, nascondersi fra le pietre delle antiche rovine; può spuntare improvvisamente, come un perturbante, dall'incanto di un paesaggio; può assumere i tratti di un opprimente senso di indegnità o di colpa cui egli reagisce con gratuite proteste di innocenza. Infine, la pervicace nostalgia di qualcosa che è completamente perduto. Per questo, nell’anelito a ritrovare qualcosa che non c’è più, talvolta par di sentir parlare un vecchio, mentre si ha a che fare con un giovane di poco più di 20 anni.

    Ho cercato di andare all’origine di questa presenza minacciosa che ho identificato nel senso di colpa. Ho tentato di sviluppare questa intuizione e di individuarne la presenza anche in elementi simbolici che ritornano qui e là nei racconti più recenti. Questa chiave di lettura mi ha permesso di elaborare un criterio di suddivisione del materiale letterario che non intende seguire la pedestre scansione in tre momenti: l’assurdo - la rivolta - la solidarietà, ormai diventato un luogo comune peraltro non del tutto convincente, checché ne dica lo stesso autore.

    Mi è venuto spontaneo invece raggruppare la sua produzione considerando la lotta che Camus ha intrattenuto con questo opprimente senso di colpa, caratterizzata da alterne vicende. Ho ritenuto importante sottolineare questo aspetto non per collocare il grande scrittore nella scomoda posizione di paziente ed esercitare su di lui una professione che non mi appartiene, ma per arrivare a stabilire una sostanziale differenza fra due dimensioni dello spirito che si assomigliano ma sono in realtà affatto diverse: quella del senso di colpa e quella del riconoscimento del peccato in vista del perdono. La prima rinserra l’uomo in un atteggiamento autistico che può sfociare nella disperazione, mentre la seconda, fondata sulla speranza, pone in primo piano l’Altro (che può essere anche Dio), con cui si intende restaurare la relazione, in quanto riconosciuto come importante oggetto di amore.

    Credo che la prigionia di un indefinibile senso di colpa ed i relativi tentativi autistici di sottrarsi alla sentenza del suo tribunale siano gli elementi caratterizzanti un'ampia porzione della produzione di Camus.

    Questi tentativi di auto-liberazione vanno dalla ossessiva negazione di una altrettanto assillante imputazione, all'aspirazione a non più esistere; dalla estensione a tutta l'umanità dello stato di colpevolezza, trasformata in un dato naturale e perciò non perseguibile, all'accusa di ingiustizia fatta a Dio stesso.

    In questo sta l'elemento ateo, diciamo così, della sua produzione: non tanto nelle sue dichiarazioni di tipo gnoseologico, ma nella claustrofobica visione dell’uomo, solo e soffocato dal timore della colpa da cui tenta di liberarsi in ogni modo ma invano.

    Una condizione che mi ricorda tanto il «rinchiusi sotto la legge» di cui parla Paolo (Gal 3,23). Dal giogo della legge -e dell'accusa- non ci si libera da soli: la liberazione viene da fuori e, se non dall'Alto, dall'Altro. La guarigione dalla nevrosi della colpa, che ne costituisce anche la punizione, avviene solo attraverso il superamento dell'egocentrismo che ne è la causa. Quindi, nell'oblio di sé per dare la precedenza alle necessità dell’altro, nella solidarietà con gli altri uomini e nel riconoscimento del valore del perdono.

    2. Seguendo il combattimento interiore

    Questa lettura dell'autore non è quella di maggior successo. O meglio, non è stata pressoché mai fatta. Di Camus si sono appropriati, o hanno cercato di farlo, atei qualunquisti del genere ormai tanto diffuso, nichilisti-opportunisti, esistenzialisti da bistrot, intellettuali poco propensi all'azione e molto alle citazioni letterarie, propugnatori di libertarismi morali e di costume legati ai più banali valori della borghesia capitalista (qualcosa di simile ai radical chic di wolfiana memoria)...

    Denominatore comune di questo coacervo di interpretazioni -tutte per lo più fondate in maniera parziale sulla interpretazione di una parte sola dei suoi scritti- è il tentativo di sdoganare il vuoto libertarismo che sta alla base della mentalità individualistica di oggi, come forma etica adulta ed evoluta rispetto a qualunque altra morale, politica, sociale o religiosa.

    Figure come quella di Meursault e del quasi omonimo Mersault, suo precedente abbozzo, sono state ipostatizzate, mitizzate, trasformate in icone di quelle varie forme di pensiero. Dunque, non ho potuto evitare di confrontarmici; non per avventurarmi in una forma di critica letteraria, ma per sgombrare il campo da equivoci e fornire i chiarimenti necessari all’avvio di un discorso il più preciso possibile sull’etica di Camus e su quella cristiana. Non potevo fare come suggerisce Dante: «non ragioniam di lor ma guarda e passa»³.

    Per evitare il rischio di interpretazioni riduttive del pensiero di Camus, ho seguito il suo stesso suggerimento: «Personalmente, non credo ai libri isolati. In alcuni scrittori, mi pare che le loro opere formino un tutto in cui ciascuna prende luce dalle altre, e tutte sembrano guardarsi»⁴. E' questo il motivo per cui ho dedicato così tante pagine all’analisi delle sue opere letterarie⁵ e non sono partito -come forse ci si aspetterebbe- dai suoi classici volumi di saggi filosofici.

    Peraltro, non si potrebbe certo evitare l'esame di una letteratura molto più voluminosa della produzione filosofica e che aiuta molto più di quanto non sembri a comprendere la weltanschauung di Camus. D'altra parte, non dovremo necessariamente considerare la letteratura come la trasposizione pedissequa di idee in personaggi, trasformando racconti e romanzi in grottesche parabole: quel che fece Sartre quando volle leggere Lo Straniero esclusivamente a partire dal Mito di Sisifo, la cui interpretazione purtroppo fece scuola. Ci siamo così trovati a dover leggere un fiume di libri e di articoli che vanno nella stessa direzione senza l’ombra di una lettura seriamente critica e davvero originale.

    Io ho fatto una operazione del tutto diversa identificando, come detto più sopra, nella questione della colpa il filo rosso del tormento del Nostro. Non importa di fronte a chi o a che cosa, se un Dio, una legge, un tribunale umano. Si tratta del timore della imputabilità, della paura di esser trovati colpevoli. Semplicemente, l’uomo non vuole essere responsabile delle proprie azioni (quando negative), dei propri fallimenti, del proprio male. E tutto questo comporta uno sforzo, una fuga, una costante rivendicazione di innocenza che può assumere i connotati di un personaggio letterario come di un pensiero filosofico. A questo proposito, certe stesse ideologie libertarie e nichiliste così comuni oggi hanno molto probabilmente lo stesso scopo.

    Se è vero -come è vero- che, con Abraham Yehoshua, Lo Straniero di Camus «ha segnato l’inizio di una nuova era della letteratura moderna dopo la Seconda guerra mondiale»⁶, un'epoca in cui l’etica è messa da parte per far spazio a sterili analisi psicologiche sulla superficialità della vita, non si può evitare di approfondire le ragioni di questa deriva. Lo stesso Camus -contraddicendo se stesso nella suddivisione dei suoi scritti nei tre famosi periodi- ci aiuta in questo senso ponendo prepotentemente in primo piano nel suo ultimo romanzo proprio il tema della insostenibilità della colpa, sostenendo che il protagonista abbia un cuore moderno proprio perché «non riesce a sopportare di essere giudicato»⁷.

    Per Camus questo è il punto di partenza, non c’è dubbio, ed il suo percorso va nel senso di una lotta di liberazione: «Non credo che si possano considerare i miei libri altrimenti che come la sequenza per immagini di un combattimento che si svolge in me»⁸. Non solo una lotta di liberazione, ma di redenzione, potremmo dire. Infatti egli ha dovuto anzitutto riconoscere, per poi combatterle, le contraddizioni ed i rischi letali connaturati a quel nichilismo che egli inizialmente -per sua stessa ammissione- aveva contribuito a diffondere. Un nichilismo che -come tutti i nichilismi- trova la sua ragion d'essere nell'indifferenza etica al bene e al male e di conseguenza nella fuga dalla responsabilità. Camus definirà questa fase eufemisticamente come la fase «negativa» dell’assurdo, ma dovrà poi faticare non poco nel tentativo di offrire all'uomo buone ragioni per una prospettiva diversa da quella del suicidio.

    3. Contro l'omologazione

    Questo lavoro probabilmente scandalizzerà qualcuno; qualcuno di quelli che accampano diritti sul pensiero di Camus, che credono di possedere una specie di esclusiva nell'interpretazione del suo pensiero e che soprattutto non vedono di buon occhio che si tenti di darne una lettura teologica. Ciò di cui stupirsi, al contrario, sta nel fatto che, nonostante le svariate celebrazioni di questo autore, relativamente pochi siano ancora quelli che hanno voluto esplorare le profonde suggestioni esercitate su di lui dal Cristianesimo e da pensatori e filosofi cristiani, nonostante la cospicua documentazione esistente. Ed è questo che ritengo mio compito precipuo.

    Non si tratta di fare di Camus un cristiano: tutt'altro. Sarebbe tradirne il pensiero e soprattutto sarebbe andare contro le sue stesse affermazioni in merito. Ognuno deve continuare ad essere ciò che è, e per questo rimanere interessante, continuare a portare stimoli e contributi al dialogo e alla cultura. All’opposto, però, non si può presumere che egli appartenga ad una cultura estranea al Cristianesimo: egli, per sua stessa ammissione, ne è in qualche modo figlio, pur nel suo rifiuto metafisico del Trascendente (peraltro, l’alterità di Dio e dunque la sua inconoscibilità fanno parte del bagaglio teologico biblico).

    Né ritengo si debba insistere su ciò che manca, vale a dire ciò a cui il nostro autore anela, senza però trovarlo, per colmare questo vuoto con il termine «Dio» e fare di lui una specie di cristiano inconsapevole. Questo significherebbe ragionare a rovescio. Credo fermamente, invece, che la ricerca vada fatta all’interno o meglio a partire dall’interno del suo pensiero, rispettando i limiti di immanenza da lui stabiliti. Perciò la domanda principale sarà: anche nel relativismo più totale, nella più soffocante prospettiva immanentista, esistono occasioni, esperienze, eventi che, caricandosi di una consistenza ontologica superiore a quella della piatta quotidianità, possano assumere significazioni valoriali di riferimento, nel disordinato fluire degli eventi che caratterizzano l’esistenza assurda? Esistono momenti «topici» nella vita dell’uomo assurdo? Qual è la loro caratteristica, la loro struttura esperienziale, fenomenologica? Esiste una somiglianza con qualcosa che l’uomo religioso sperimenta normalmente come «sacro»?

    In questo modo non trasformeremo il pensiero di Camus in qualcosa di radicalmente diverso da se stesso, come in molti casi ho avuto occasione di leggere ma, confrontandoci con esso nel rispetto della sua originalità, gli domanderemo come, dove e perché l’uomo assurdo riesca a vivere in un mondo a lui così estraneo. Ci stupiremo nel constatare che avremo ottenuto molto più di quanto potevamo immaginare senza ricorrere a interpretazioni forzate. E potremo trovarci molto vicini «spiritualmente», creando scandalo in chi invece vorrebbe, al contrario, un Camus arroccato in un gretto ateismo militante o in uno stato di costante disperazione.

    4. Cenni metodologici e scansione dell'opera

    L'indagine sul linguaggio, pur essendosi limitata ai concetti più importanti ai fini della nostra ricerca, si è rivelata immediatamente come un lavoro imprescindibile. Il significato di certi termini utilizzati dal Nostro nelle riflessioni filosofiche, quando non ambiguo, è addirittura soggettivo, personale: basti pensare al concetto di storia ne L'uomo in rivolta. L'ambiguità del linguaggio e delle argomentazioni non di rado si riflette sul senso e lo scopo delle opere stesse⁹. Per questo insieme di ragioni è stato spesso necessario un paziente lavoro ermeneutico che ha implicato il ricorso ad altri scritti dell'Autore e talvolta ad opere della sua formazione che, in maniera più o meno diretta, aiutassero ad una interpretazione il più coerente possibile di certa terminologia e di certi concetti. In questo senso i Taccuini si sono rivelati uno strumento utilissimo per l'enorme quantità di riflessioni e di riferimenti alle opere stesse che vi si trovano e, allo stesso modo, certa corrispondenza da cui emergono tratti importanti della personalità e del pensiero di Camus.

    Nonostante l'eterogeneità delle opere e la tortuosità dei percorsi di pensiero, la questione fondamentale della percezione della colpa e la relativa domanda di salvezza si sono rivelate in filigrana il leitmotiv che le collega tutte quante e che perciò ha potuto fare da collegamento alle cinque sezioni di questo lavoro.

    Colpirà forse la quantità di citazioni che si intrecciano con la mia scrittura: le ragioni sono molte. Anzitutto, le parole dell'Autore sono spesso più efficaci di quelle dello studioso; inoltre, presentano un fascino particolare, proprio per la loro paternità. Ma ciò che ho tentato di fare è stato di lasciar parlare per quanto possibile lo stesso Camus, come in un dialogo costante, espressione probabilmente di ciò che mi sarebbe piaciuto fare nella realtà. Non ultimo, ho voluto in tal modo testimoniare in maniera più immediata ed evidente la sostenibilità logica di certe mie deduzioni come anche di certe contestazioni.

    Nella prima parte (Salvezze Impossibili), dedicata esclusivamente alle opere letterarie, ho seguito per quanto possibile uno schema cronologico. In esse ho evidenziato la presenza del tema della colpa ed ipotizzato la sua possibile eziologia. Troviamo la descrizione dell'uomo che, imprigionato nel senso di colpa, tenta di sfuggirgli negandola o assolvendosi da solo, ma senza esito: regna un'atmosfera di morte e rassegnazione anche nei momenti di maggiore entusiasmo per la vita. In questa dimensione la relazione con l'altro è di tipo autistico: c'è assenza di amore e impossibilità di perdono, che sia richiesto o donato.

    Prospettive di liberazione da questa condizione di isolamento e disperazione emergono invece in alcune opere, come La peste, ed in molte pagine dei suoi Taccuini, di cui ho trattato nella seconda parte (Liberazione).

    Nella terza parte (I saggi filosofici) ho preso in esame alcuni concetti fondamentali del pensiero di Camus presenti nelle due raccolte di saggi filosofici, in cui è evidente lo sviluppo e la maturazione del suo pensiero. Nell'analisi di un dramma teatrale e di un personaggio di Dostoevskij ho inteso sviluppare le questioni fondamentali che stanno alla base dei due saggi, vale a dire l'indagine sulla eventuale liceità dell'omicidio e del suicidio come soluzioni al problema della giustizia e del senso della vita. Infine, ho voluto brevemente offrire una interpretazione di alcuni aspetti dell'etica dell'assurdo a partire dal pensiero di alcuni autori cristiani particolarmente vicini o determinanti per il pensiero del Nostro.

    La fede cristiana o meglio la Parola di Dio espressa nelle Sacre Scritture ha da sempre incluso ogni possibilità esistenziale dell’uomo: nulla le è estraneo. Di questo mi sono occupato nella quarta parte di questo lavoro (A partire dalla Bibbia). La Bibbia è stata oggetto di scandalo in molte occasioni ed in modo ben più sconvolgente di quanto non possa esserlo l’inquietudine di un poeta o di un filosofo che, in tutta sincerità, si ponga le domande essenziali della vita. Antesignani della modernità nei suoi interrogativi più radicali sono certamente il libro di Qoèlet ed il libro di Giobbe, a cui peraltro la modernità si è nuovamente rivolta riconoscendo in essi i grandi anticipatori del dubbio radicale.

    Per quanto riguarda il Nuovo Testamento non ho preso in considerazione libri o brani specifici, ma ho cercato di render conto delle affermazioni più contraddittorie del Nostro nei confronti Cristianesimo per restituire il profilo di una persona in sincera ricerca del Senso e che ha sempre avuto come interlocutore principale la fede cristiana. La figura di Gesù assurge in Camus a simbolo della rivolta, come Prometeo, nel duplice senso della solidarietà con gli uomini nel dolore e della cruciale domanda di senso al Padre sulla croce. Aggiungiamo che la «follia» del messaggio cristiano (1 Cor. 17,15) non è che il compimento di una rivelazione che ha da sempre percorso i rischiosi sentieri dell'assurdo. Non per nulla Camus si riferisce proprio a questo brano di Paolo per illustrare il pensiero assurdo.

    Infine, ho preso in esame il concetto di razionalità utilizzato da Camus per costruire la sua filosofia dell'assurdo, con relativa critica.

    Nella quinta ed ultima parte (Attualità dell'etica dell'assurdo) ho rilevato che profonde convergenze con il Cristianesimo non possono più di tanto essere cercate e trovate sul piano intellettuale, quanto su quello etico, sia politico-sociale che personale. Qui i punti comuni sono molti, a cominciare dal concetto di natura umana, su cui Camus costruisce una specie di dottrina dei diritti umani che farà da criterio sia per il rifiuto di dottrine totalitarie sia per la elaborazione di modelli economici alternativi al capitalismo e al comunismo.

    Attraverso il concetto di etica intesa come linguaggio, meglio si può comprendere questa apparente contraddizione, cioè l'accordo sui valori fondamentali della vita nonostante la dialettica sul piano trascendentale. Nell'ultimo capitolo di questa parte, infine, mi sono soffermato a riflettere sulla attualità del messaggio di Camus, sulla sua possibile efficacia nel nuovo contesto sociale e politico del nostro Paese e dell'Europa in genere. L'atteggiamento nichilista determinato dalla società dei consumi e la potente restrizione dell'orizzonte della solidarietà rendono difficile sia l'accettazione della proposta etica camusiana che la comprensione stessa del dilemma esistenziale che sta alla base del suo messaggio. Il lavoro che si presenta a chi voglia difendere i diritti della persona è lungo ed impegnativo e dovrà occupare ogni settore della società: non solo la politica, che ne è forse la conclusione, ma la cultura, l'arte in tutte le sue forme, la scuola, il lavoro.

    5. I testi

    Per quanto riguarda le opere di Camus, ho dato la precedenza alle traduzioni in italiano, quando esistenti, nelle edizioni indicate più sotto, con relativa abbreviazione per le citazioni in nota. So che sarebbe stato più elegante riferire ogni citazione ai quattro volumi delle Oeuvres Complétes della Gallimard e magari riportare il testo in lingua originale, ma non credo sarebbe stato corretto verso quei lettori -la maggioranzache non conoscono il francese oppure non possiedono quei costosi volumi. Ho creduto più opportuno offrire ai lettori la possibilità di accedere a quei testi, se lo vorranno, in italiano, in edizioni più reperibili sul mercato. Quando la traduzione non mi ha soddisfatto, l'ho variata segnalando la modifica e rendendone ragione. Negli altri casi, ho utilizzato gli originali in francese a partire dalle Oeuvres Complétes di cui sopra e, nel caso di corrispondenze ed articoli ivi non contenuti, ho utilizzato altri testi pubblicati di recente, per lo più in formato elettronico. Voglio precisare che ogni citazione si riferisce alla impaginazione del lettore Kindle Paperwhite, lettura in verticale di 21 righe per pagina.

    I

    SALVEZZE IMPOSSIBILI

    GLI ESSAIS

    1. L'opera

    In questo capitolo prendiamo in considerazione quei saggi (Essais) che Camus scrisse a partire dall’età di 22 anni, nel 1935, e poi successivamente lungo tutto il suo percorso artistico fino al 1954. Li pubblicò separatamente con diversi titoli: Il Rovescio e il Diritto (1937, 1958), Nozze (1939), L’Estate (1954). In Italia sono state pubblicate insieme, con il titolo Il Rovescio e il Diritto ed è a questa edizione che faremo riferimento¹.

    Camus ne sottolinea l’importanza -soprattutto in riferimento alla prima raccolta- nella prefazione dell’edizione del 1958, che esamineremo in fondo al capitolo. Egli afferma di ritrovare se stesso in quei primi scritti e conferisce loro più verità che a qualsiasi altra sua opera. L’affermazione può essere ampliata anche alle altre due raccolte, che hanno lo stesso sapore e sono permeate dello stesso spirito poetico. Nell’interpretarli, seguiremo ciò che scrisse Camus stesso: «i sentimenti profondi significano sempre più di quanto non abbiano coscienza di esprimere»².

    2. Luci e ombre

    Il desiderio o meglio il piacere legato alla contemplazione della bellezza della natura viene spesso bruscamente interrotto in Camus dall’insorgere di un sentimento di sconfitta, di impotenza e di morte. Accanto ad estatiche descrizioni della bellezza di un paesaggio, spesso dovuta al sovraccarico di storia che custodisce o per la potenza della memoria che evoca, troviamo affermazioni che stonano con quella serena pacificazione. Emergono sentimenti di indegnità, di inanità, di disperazione che contrastano con la beatitudine che dovrebbe accompagnare la percezione del bello³. Anche il racconto «Amore di vivere», dal cui titolo ci sarebbe da aspettarsi qualcosa di diverso, è segnato dalla lapidaria affermazione: «non c’è amor di vivere senza disperazione di vivere»⁴. Lo stesso Autore sembra essere consapevole della difficoltà implicita in queste riflessioni: «come esprimere il legame che conduce da questo amore divorante per la vita a questa segreta disperazione?». A Djemila -continua- «si forgia qualcosa che dà all’uomo la misura della sua identità con la solitudine e col silenzio della città morta», si percepisce qualcosa come un comune «gusto di morte», senza difesa «contro le forze lente che in me dicevano di no»⁶. Perché è portato a pensare che la bellezza possa non spettargli? Perché è sempre presente la disperazione? Questi elementi punitivi nulla hanno a che fare con la percezione della bellezza e del sublime. La sensazione di disagio descritta da Stendhal che può impossessarsi di un uomo di fronte alla soverchiante bellezza della natura o di un’opera d’arte non comporta il senso di indegnità e di morte che qui invece vengono costantemente a galla⁷. Un innaturale istinto di morte si accompagna spesso all’estasi della bellezza. L’armonia cui si anela ma che non si trova, il pensiero della morte ed il «no» che emerge nel momento della godimento estetico hanno il sapore di una ancestrale interdizione nei confronti dell’oggetto del desiderio.

    3. Prefazione del 1958

    La prefazione a Il Rovescio e il Diritto contiene molti suggerimenti per l’interpretazione non solo di questi saggi, ma dell’opera successiva di Camus. Scritta due anni prima della morte, sembra un testamento. Afferma che, nonostante le imperfezioni, i racconti ivi contenuti contengono già tutto se stesso, anche se solo in potenza. Suo ideale sarebbe di riscriverlo, essendo l’opera umana nient’altro che il percorso a ritroso «per ritrovare, con i sotterfugi dell’arte, le due o tre immagini semplici e grandi sulle quali una prima volta il cuore si è aperto.» Quelle immagini sono «il silenzio di una madre e lo sforzo di un uomo per ritrovare una giustizia o un amore che riequilibrii quel silenzio»⁸.

    L’affermazione che qui fa il nostro Autore è chiarissima nel suo intento. Si tratta di riportare un equilibrio in un rapporto squilibrato, rivedere la propria storia e il proprio vissuto a partire da una maturazione di cui egli percepisce ad un tempo l’avvento e la necessità. Ricuperare un rapporto «assurdo» -anche nel senso tecnico definito da Camus nel Mito di Sisifo- cioè quell’esperienza originaria che ha pesato per tutta la vita e la cui descrizione si trova in questi ed altri racconti e nella sua opera in forma più o meno simbolica⁹ .

    4. Il silenzio della madre

    Le descrizioni che Camus dà della madre -pur con tutte le cautele di un commovente tentativo di ricupero filiale di quella figura- non tratteggiano una relazione affettiva soddisfacente. La capacità di comunicazione di lei è quantomeno lacunosa: lunghi silenzi caratterizzano il suo comportamento in casa, al ritorno dall’umile lavoro di domestica; lo sguardo perso in un orizzonte indefinito fuori del balcone, incapace di manifestare sentimenti di amore verso il figlio. Il piccolo Albert Camus non sa cosa significhi voler bene:

    «Ha pietà della propria madre: significa amarla? Lei non lo ha mai accarezzato, perché non saprebbe. Allora rimane a guardarla a lungo¹⁰. Sentendosi estraneo, prende coscienza della propria pena. (…) Ma adesso quel silenzio segna una pausa, un istante smisurato. Nel sentirlo confusamente, il bambino crede di sentire nello slancio che è in lui dell’amore per la madre. E ci deve essere, perché in fin dei conti è sua madre»¹¹.

    Ma la realtà si impone in tutta la sua durezza: «Infanzia povera. Vita senza amore (non senza gioie). La madre non è una sorgente d’amore. Pertanto, la cosa più lunga al mondo è imparare ad amare»¹².

    Il desiderio di instaurare un rapporto soddisfacente con la madre lo assillerà per tutta la vita, fino a fargli rimpiangere di non essere riuscito a scrivere così semplicemente da poter essere da lei compreso:

    «Ciò che desiderava di più al mondo, che la sua madre leggesse tutto ciò che era la sua vita e la sua carne, era impossibile. Il suo amore, il suo unico amore, sarebbe stato per sempre muto»¹³.

    4.a. Amore e disperazione

    La sofferenza che deriva da tale disagio porta inevitabilmente ad un atteggiamento aggressivo nei confronti dello stesso oggetto del desiderio, la madre. E’ questo conflitto fra amore e odio nei confronti dell’oggetto del desiderio che determina l’insorgere del senso di colpa, di cui può rimanere traccia nella vita della persona e che può trovare reviviscenza di fronte alle delusioni e alle sofferenze della vita¹⁴. Di senso di colpa infatti parla esplicitamente Camus in riferimento a se stesso:

    «Per finire, chiede perdono alla madre.

    -Perché? Sei stato un buon figliolo.

    Ma è per tutto il resto, che lei non può sapere e nemmeno immaginare (…) che lei sola può perdonare (…)

    -No, io non sono un buon figlio: un buon figlio è quello che resta. Io ho girato il mondo, l’ho ingannata con la vanità, la gloria, cento donne.

    -Ma non amavi che lei?

    -Ah, non ho amato che lei!» ¹⁵.

    In questa confessione, redatta negli appunti finali dell’opera incompiuta che sarebbe stata la biografia dell’Autore, si trovano tutti gli elementi determinanti l’insorgere del senso di colpa che a lungo ed in molti modi segnerà l’opera del Nostro. In un estremo tentativo di salvare la figura materna, egli attribuirà se stesso la responsabilità del fallimento di questo rapporto: «La mamma. La verità è che, nonostante tutto il mio amore, non ero stato capace di vivere all’altezza di quella pazienza cieca, senza parole né progetti. Non ero stato capace di vivere della sua vita ignorante»¹⁶. Fino a definirsi per questo motivo «un mostro»¹⁷.

    Questa lotta lo occuperà più di qualsiasi altra: «Amavo mia madre con disperazione. L’ho sempre amata con disperazione»¹⁸. «Nessuna causa, anche se innocente e giusta, mi separerà mai da mia madre che è la più importante causa che io conosca»¹⁹.

    L’ambigua relazione con la madre soggiace a tutta la produzione letteraria del Nostro. Gli improvvisi squarci malinconici nel bel mezzo di momenti estatici di fronte alla natura -da sempre simbolo dell’abbondanza del seno materno- o alle testimonianze dell’arte antica sembrano non essere che la trasposizione simbolica di questo conflitto interiore²⁰.

    L’assenza del padre, l’inanità della madre, la severa freddezza della nonna compongono un quadro perfetto per la nascita di un temperamento malinconico in cui desiderio di amore e impossibilità di una tale relazione arrivano a scontrarsi e a creare una personalità ansiosa e particolarmente portata allo sconforto²¹. Lo stesso Camus sembra alludervi:

    «Lei non pensa a nulla. Fuori, la luce, i rumori: qui silenzio nel buio. Il bambino crescerà, imparerà. Lo allevano e gli chiederanno riconoscenza, come se gli risparmiassero il dolore. Sua madre avrà sempre di questi silenzi. Lui crescerà con dolore. Quel che conta è essere uomo. Morirà la nonna, poi sua madre, lui»²².

    Questa è la dimensione in cui si muove Camus: la sensazione diffusa e sfuggente di una sconfitta o comunque di una provvisorietà nel raggiungimento di un appagamento estetico, morale, spirituale. Uno scacco ancestrale, che condizionerà tutto il suo pensiero e sul quale possiamo bene supporre possa trovare fondamento il senso dell’assurdo, cioè il radicale contrasto fra l’esigenza naturale di chiarezza e di armonia da parte dell’uomo da un lato e la sua irrimediabile negazione dall’altro. Il testo qui sotto conferma in modo chiaro quanto fin qui argomentato:

    «Un certo numero d’anni miseramente vissuti è sufficiente a costruire una sensibilità. In questo caso particolare quel curioso sentimento che il figlio prova nei confronti della madre costituisce tutta la sua sensibilità. Le manifestazioni di questa sensibilità nei campi più diversi sono sufficientemente giustificate dal ricordo latente, materiale, dell’infanzia (un vischio che s’appiccica all’anima)»²³.

    5. Oblio di sé

    Il momento dell’estasi estetica, quando non è accompagnato da immaginari di morte o inanità, è descritto spesso come desiderio di auto-annientamento: «In ogni uomo c’è un istinto profondo che non è di distruggere né di creare. Si tratta solo di non assomigliare a nulla»²⁴. E ancora, di fronte alle antiche rovine:

    «che tentazione di identificarsi con quelle pietre, di confondersi con quell’universo ardente e impassibile che sfida la storia e le sue agitazioni! (…) quel bagno violento di sole e di vento esauriva in me ogni forza di vita. (…) Ben presto, sparso ai quattro angoli del mondo, dimentico di me stesso, io sono questo vento e, nel vento, queste colonne e questo arco, queste pietre che sanno di caldo e queste montagne pallide intorno alla città deserta»²⁵.

    L’elemento minerale è presente in maniera costante in queste descrizioni -ed anche altrove, come avremo occasione di evidenziare. Un elemento simbolico che si associa spesso alle rovine ed ai cimiteri, dimensioni di morte o comunque di assenza di vita e di annichilimento. D'altra parte, il desiderio di identificarsi in qualcosa di perfetto ricorda il meccanismo di «identificazione proiettiva» di cui parla Melanie Klein²⁶, che funziona da rimedio alle angosce ancestrali che minacciano l’Io: come quella, nel nostro caso, conseguente al rapporto problematico con la madre. La identificazione proiettiva permetterebbe un recupero di questo rapporto attraverso l'identificazione in qualcosa di perfetto, di sublime -come era il corpo della madre. In questo caso la natura sarebbe il surrogato simbolico di quel corpo. L’idealizzazione dell’oggetto, che può essere la natura o un’altra persona è necessaria, altrimenti non può essere appagante. Le «nozze» con il mondo di cui parla Camus e che danno il titolo alla seconda raccolta di saggi ricordano senza dubbio una tale dinamica psichica. Questo processo di idealizzazione permea tutta la visione del paesaggio camusiano e sembra abbia una parte insostituibile in ogni processo di creazione artistica²⁷.

    La stessa idealizzazione dell’infanzia elaborata in età adulta può risultare una difesa nei confronti di questa inconscia percezione di insufficienza e del conseguente risentimento, finalizzata ad evitare il senso di colpa²⁸. Il superamento di questa situazione che potremmo definire senz'altro edipica si realizzerà con la proposta etica della solidarietà ne L’Uomo in Rivolta, ed in termini letterari nel romanzo La Peste²⁹.

    6. Un mondo ideale

    Ma è L’Estate ad Algeri, della raccolta Nozze, a rappresentare l’apoteosi dell’immaginifico poetico creato dal giovane Camus, che si propone come rifugio dalla realtà del tutto astratto: un mondo irraggiungibile se non nel sogno ad occhi aperti. Troviamo una idealizzazione di tutto: la gioventù, l’amore, il tempo, la povertà, il popolo… Qui il giovane Camus fa della pura poesia ricreando una «patria dell’anima» che «si riconosce sempre al momento di perderla»³⁰, nella quale immergersi fino all’oblìo di sé. La sensualità permea ogni descrizione fin nel dettaglio ma la negazione fa la sua comparsa anche qui. Il paradiso è perduto ed il sentimento della sua perdita implica l’impossibilità di un reale ritorno: «Per chi si tormenta troppo, il paese natale è quello che gli è negato»³¹. Un moralismo malcelato trapela nell’uso stesso del linguaggio, nelle parole scelte per la descrizione poetica: perché la bellezza del paesaggio deve essere «impudica», come poco prima la magnificenza della natura, definita un «gran libertinaggio»³²?

    In altra occasione, Camus confessa una «passione senza freni» per l’Algeria, simile a quella per una donna. «Domanda: si può amare un paese come una donna?»³³. I gerani rossi sono il suo «sangue versato su ciò che furono case, templi e piazze pubbliche» come il sangue di una vergine versato in seguito all’amplesso³⁴ .

    Il tono malinconico si avverte da subito anche di fronte alla generosa offerta di piaceri da parte della natura. «I suoi piaceri non hanno rimedi e le sue gioie rimangono senza speranza». Perché i piaceri dovrebbero avere dei «rimedi»? Ci vogliono «anime chiaroveggenti, cioè senza consolazione»³⁵. Come se la gioia non bastasse a se stessa e l’uomo dovesse ricorrere, nella sua debolezza, a vane speranze o consolazioni per far sì che la gioia sia tale. La gioia è del tutto bastevole a se stessa nel momento in cui sorge. Camus sembra non comprenderlo: Forse è proprio questa la ragione del suo tormento.

    6.a. Lirismi

    Se la vecchiaia è una sconfitta³⁶, lo è in quanto legata al tempo. Perciò, egli si sofferma a lungo a descrivere il vigore e la vitalità dei giovani³⁷. Insiste sulla bellezza dei corpi e sul loro ardore. La loro forza e la loro energia sono trasfigurate da una ammirazione esagerata -forse a causa della fragilità fisica e di salute del giovane Camus, fiaccato già in tenera età dalla tubercolosi. Egli si immedesima in quella gioventù come fanno certi suoi personaggi che assaporano la vita altrui dalla finestra. L’esaltazione per i maschi che sulla spiaggia espongono i loro corpi al sole lo porta a paragonarli ai mitici atleti greci di Delfo. Questa ossessiva descrizione dei corpi e delle abbronzature, in contrasto con il biancore delle case, crea in lui lo stesso desiderio di identificazione che più volte descrive nell’estasi della contemplazione della bellezza della natura. La «ricchezza sensuale» degli uomini del popolo coincide con la «miseria più estrema»³⁸, sostiene

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