Uomo in fuga
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Anteprima del libro
Uomo in fuga - Marcello Stoppa Corona
Marcello Stoppa Corona
Uomo in fuga
Marcello Stoppa Corona
Uomo in fuga
© Editrice GDS
Via pozzo 34
20069 Vaprio d’Adda-Mi
Tel 02.90970439
www.gdsedizioni.it
www.gdsbookstore.it
© Copertina di Erica Marchesi
TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI
Disponibile anche in formato cartaceo
Quest’opera è frutto d’immaginazione e fantasia dell’autore.
I personaggi, istituzioni, organizzazioni e soprattutto le circostanze sono casuali e sono usate solo per scopo narrativo.
Ogni riferimento a cose, persone e a fatti è da ritenersi puramente fortuita.
Bredian
Il capitano Pàdriac Belmonte, del corpo speciale dei SAS inglesi, dopo aver compiuto svariate azioni di spionaggio, di guerriglia e di operazioni molto segrete, la maggior parte svolte nelle foreste della Malesia, fu spostato, dopo aver raggiunto l’età di quarantadue anni, dall’incarico operativo al ruolo di addestratore, e fu inviato in una base segreta tra i boschi del Galles, dove avrebbe continuato la sua carriera insegnando a giovani reclute le tecniche di guerriglia e di sopravvivenza.
Pàdriac si rivelò un perfetto insegnante a dispetto dei molti dubbi che lo assillavano.
Le sue doti di esperto militare, esperienza forgiata negli anni nelle innumerevoli operazioni in condizioni estreme, lo fecero diventare in breve tempo il capitan istruttore più rinomato nel circuito della Royal Force.
Gli uomini che riuscivano a completare il durissimo Corso Crw del capitano Pàdriac, che lui aveva personalmente creato, modificando il vecchio metodo, si distinguevano meritevolmente in qualsiasi evento operassero, anche in quelle missioni più delicate dove si richiedevano uomini d’esperienza e di alta professionalità.
Rispetto agli altri soldati, questi uomini erano pronti a tutte le evenienze, tanto che i vertici della Royal Force furono lieti di creare una squadra speciale della SAS, chiamandola Uks. I vertici della Royal volevano un corpo speciale molto addestrato, che si potesse, come fama e professionalità, contrapporre alle teste di cuoio americane e che potessero operare in situazioni delicate ma soprattutto segrete.
Questa peculiarità di Pàdriac, da perfetto killer e da stupefacente insegnante, fu notata da un’organizzazione segreta che operava parallelamente a quelle solite e conosciute. Questa struttura a tentacoli, a mo’ di polipo, aveva uomini inseriti in tutti gli uffici e vertici importanti dello stato ed era in cerca di soggetti speciali e valorosi.
In una mattinata uggiosa, una di quelle giornate che preferiresti stare a letto a dormire piuttosto che affrontare la vita, quando l’autunno annuncia il suo arrivo in anticipo e le Black Mountains, a est della base di Brecon Beacons, sono scure come il nome che portano, mentre le foreste frusciano veementi sotto le sferzate del vento che soffia a più di sessanta chilometri orari, la misteriosa organizzazione prese contatto con il capitano.
Bussarono alla porta della camera. «Avanti.» disse Pàdriac. La porta si aprì. Era l’attendente del colonnello Jeams Oldway, il comandante della base, nonché amico d’infanzia del Primo Ministro inglese.
«Il colonnello ordina al capitan istruttore di presentarsi nel suo ufficio urgentemente!» disse l’attendente.
Oldway era un uomo tutto di un pezzo, comprensivo come un padre ma severo come una madre, o al contrario per altri. Una cosa era certa: non era saggio far attendere il colonnello quando si era stati convocati.
Pàdriac, appunto, non si fece aspettare. Mise gli anfibi, s’infilò il giaccone di pelle e come una saetta imboccò la porta per precipitarsi nell’ufficio del colonnello.
Non dovette uscire dallo stabile ma percorse con passo lungo e disciplinato i corridoi dei tre bracci, che dividevano le camerate dove alloggiavano soldati e ufficiali istruttori dagli uffici.
Arrivato davanti alla porta dell’ufficio del colonnello, prima di entrare, si diede una veloce controllata alla divisa, e solo quando fu sicuro di essere in ordine bussò.
«Avanti!» esclamò il colonnello.
Pàdriac entrò.
L’ufficio del colonnello era ben illuminato dai molti faretti disposti ovunque. Le finestre, che davano sul campo di addestramento, erano coperte da tende pesanti di color amaranto mentre le pareti bianche erano tappezzate da quadri e quadretti che ritraevano, nelle molte fotografie appese, tutta la vita militare trascorsa dal colonnello.
La scrivania, che nella stanza occupava uno spazio di privilegio sull’umile arredamento, era di bellezza unica. Costruita in legno di noce, era un mobile originale dei primi dell’ottocento, che, con le quattro sedie della stessa epoca e fattura, erano gli unici mobili di arredamento dell’ufficio.
Il colonnello Oldway era seduto aldilà del tavolo in compagnia di altri due uomini che restavano in piedi ad un passo dietro lo schienale della poltroncina.
Il capitano camminò solenne fin davanti alla scrivania, salutò il colonnello scattando sugli attenti e rimase immobile come una torre. Fu subito congedato dai convenevoli e invitato a sedersi tutto con tono d’ordine e Pàdriac obbedì mantenendo il silenzio.
Mentre si accomodava, Pàdriac spostò lo sguardo verso i due ceffi che troneggiavano alle spalle del comandante Oldway che si limitarono a seguire con gli occhi ogni movimento che faceva. Il capitano si sentì esaminato in quel momento. Come se fosse sotto accusa di qualche evento, ancora a lui sconosciuto.
Senza timore il capitano sfidò lo sguardo dei due, utilizzò lo stesso modo, li squadrò.
Uno dei due era alto e magro, aveva un’espressione seria di chi obbedisce e basta, l’altro invece era poco più basso, più cicciotto, con un sorrisino sciocco stampato sul viso di chi sa tutto lui. Entrambi erano rinchiusi in pastrani di pelle nera e maleducatamente non si erano degnati di togliersi il cappello, un copricapo con l’ala rialzata e la piega centrale simile a un’infossatura, anch’esso scuro come tutto quello che indossavano.
Pàdriac pensò che fossero becchini e cominciò a immaginare eventi di morte. Un qualche incidente in caserma che lui doveva rapportare.
Dopo un paio di minuti, il tempo necessario di sfogliare le carte sul tavolo, il colonnello disse:
«Questi due signori sono venuti per proporti un nuovo lavoro.» si preoccupò di precisare inizialmente. «Vorrebbero che tu prendessi in seria considerazione di passare dal corpo speciale della SAS ai servizi segreti».
«Più precisamente…» intervenne il tizio più basso, togliendosi la lobbia e poggiandola con cura sulla scrivania. «Stiamo cercando uomini in gamba come lei. Stiamo completando un’unità particolare di uomini preparati che opererà in missioni molto segrete e delicate».
Pàdriac rimase in silenzio ad ascoltare, ma gli si leggeva un punto interrogativo sul viso, e allora l’uomo in nero continuò:
«Non sarei autorizzato a rivelargli la natura delle nostre operazioni. Ma, dato che non le nascondo il desiderio dei nostri superiori di averla nel nostro gruppo, le dico che trattiamo operazioni volte ad applicare le giuste pene ai delinquenti, che purtroppo la scampano sfruttando scappatoie e cavilli. Noi condanniamo l’imputato utilizzando il metodo antico dell’etica, applichiamo la pena giusta senza dare possibilità al colpevole di usufruire di vie, cavilli o prescrizioni».
Pàdriac, scuotendo il capo da destra a sinistra, rispose:
«Perdonatemi, ma non credo di aver più l’età per fare certe cose. A voi servirebbero ragazzi giovani, ventenni vogliosi di affrontare nuove avventure, non uno come me, che ha già quarantadue anni».
«Beh! Noi non vogliamo giovani inesperti, che facciano