Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

I Cinque Regni - Rosa, Fuoco e Morte
I Cinque Regni - Rosa, Fuoco e Morte
I Cinque Regni - Rosa, Fuoco e Morte
E-book827 pagine11 ore

I Cinque Regni - Rosa, Fuoco e Morte

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il Regno di Varmire è uno dei cinque reami toccati dall'immensa foresta di Oltreterra, ed è rinomato per essere il luogo più pacifico e inconsueto che vi sia a Sud delle montagne: in molti attribuiscono i meriti alla Casata dei Robestin e al corrente sovrano, Claus, ma i più fantasiosi ritengono che Varmire sia da secoli protetta dalle Fate dei Boschi, creature magiche che nessun uomo ha mai visto, e che vivono nelle leggende tramandate di generazione in generazione.

Ma la pace è stata messa a dura prova durante il Regno di Claus: un'improvvisa battaglia ha distrutto l'esercito, il reame e la popolazione. Non si conosce il responsabile dell'attacco, né le motivazioni, eppure si è certi del fatto che Varmire ne sia uscita vittoriosa, nonostante le difficoltà.

Da quell'evento trascorre più di un decennio in piena tranquillità e ripresa, quando eventi tragici tornano inaspettatamente a colpire il regno, ancora toccato nel profondo dal ricordo della guerra passata: un vecchio nemico in cerca di vendetta è sempre più vicino al Trono. Claus Robestin e la famiglia reale sono costretti a rimettere piede sul campo di battaglia, e sono disposti a tutto pur di difendere la propria casa, il proprio popolo, la propria Varmire… Perfino inoltrarsi nella foresta per cercare coloro di cui hanno maggior timore, e da cui potrebbe dipendere l'esito dell'imminente scontro: le Fate dei Boschi.
LinguaItaliano
Data di uscita22 apr 2021
ISBN9791220333801
I Cinque Regni - Rosa, Fuoco e Morte

Correlato a I Cinque Regni - Rosa, Fuoco e Morte

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su I Cinque Regni - Rosa, Fuoco e Morte

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    I Cinque Regni - Rosa, Fuoco e Morte - Ludovica Cavallucci

    CAPITOLO UNO

    33 ANNI DOPO

    L’uomo rallentò il passo del cavallo, e la carrozza si fermò.

    Fortunatamente all’ingresso per il Regno non vi era una lunga fila di persone, pertanto si mise ad attendere insieme gli altri mercanti, con la profonda e selvaggia Oltreterra alle spalle. Aveva compiuto un lungo viaggio tra gli alberi di quella foresta, e, nonostante gli avvertimenti del suo ultimogenito, nel Regno delle Fate dei Boschi non aveva incontrato alcuna creatura. Ovviamente sapeva che si trattava di leggende alle quali nessuno più dava conto, ma ai bambini piacevano, e lui non aveva voluto abbattere le fantasie del figlio.

    Dopo aver controllato le carte e i prodotti che stava trasportando, i soldati varmiriani, dalle lucenti armature blu, lo lasciarono entrare. Superate le alte mura – pietrose e costituite da un lungo parapetto con alternanza di merli – l’uomo percorse l’ampia strada, sabbiosa e accostata da vaste campagne.

    Quando raggiunse il villaggio, venne a poco a poco travolto dalla movimentata folla che abitava la città di Varmire.

    Il vecchio, seduto davanti alla porta della piccola casa, osservava i mercanti stranieri dirigersi alla fiera del villaggio. Quello di Varmire era uno dei mercati più forniti della zona: vi erano cibo, animali, utensili per il lavoro e per la casa, tessuti e gioielli.

    Ricordava ancora quando, da giovane, passeggiava con la moglie tra le strade del mercato. Col trascorrere degli anni nulla era cambiato: sui rispettivi banconi, il panettiere continuava a esporre il pane fresco, l’armaiolo a forgiare spade per i cavalieri più valorosi, l’ortolano a sistemare gli ortaggi colti di prima mattina, e il mercante di prodotti pregiati ad attirare le donne spruzzando profumo.

    La porta di casa si aprì, e la nipote uscì fuori con una cesta di tessuti, pronta per andare a lavorare alla sartoria del villaggio.

    La ragazza evitò la gallina, e riuscì a salvare i tessuti nel cesto di vimini.

    Per le strade di Varmire si trovavano, ogni giorno e a ogni ora del giorno, uomini con carretti, animali o bambini che si sfidavano in gare di corsa. Oltre a ciò, il villaggio offriva negozi, una locanda ospitale e abitazioni.

    Superò il mercato, e passò per la piazza rotonda dove gli abitanti trascorrevano il tempo libero, prendevano l’acqua dal pozzo, o pregavano nel tempio dei Cinque Dei.

    Incrociò una guardia in groppa a un cavallo bianco; lo salutò chinando il capo e con un sorriso al quale il soldato rispose.

    La guardia aveva terminato il turno notturno, e non vedeva l’ora di tornare al proprio appartamento.

    Lasciato il villaggio, portò il cavallo ad accelerare il passo lungo la stradina che collegava la città alla fortezza reale, piazzata sul punto più alto del Regno.

    La fortezza, di modeste dimensioni, comprendeva il castello, il campo per gli addestramenti dei membri dell’esercito a cui si poteva accedere tramite scale discendenti, le stalle, e un giardino che si estendeva dalla parte posteriore del complesso fino al suo ingresso.

    Il soldato affidò il cavallo allo stalliere, e infine rientrò nel castello col pensiero di riposare: non aveva più l’età per i turni notturni…

    A quel pensiero, gli tornarono alla mente i giorni in cui era stato pieno di forze, coincidente purtroppo col periodo peggiore del Regno di Claus Robestin: la guerra era stata terribile.

    Troppe perdite umane, troppo sangue innocente versato per le strade di un reame tranquillo come Varmire. Nessuno avrebbe potuto immaginare che il reame sarebbe stato attaccato, soprattutto in un modo tanto feroce…

    Non avrebbe mai dimenticato quel giorno di sedici anni prima: era sembrata una mattina come tutte le altre, poi, però, un minaccioso esercito di nemici sconosciuti era apparso all’orizzonte…

    La battaglia era stata inevitabile.

    I soldati, dalle armature più nere della pece, erano riusciti a sfondare il portone e a entrare nel villaggio, uccidendo chiunque si trovasse sul loro passaggio. A guidarli vi era stato un comandante misterioso che aveva bramato il Trono del Regno di Varmire. Il motivo? Nessuno era mai riuscito a capirlo: la ricchezza? Probabile. La favorevole posizione geografica? Fu una delle ipotesi.

    Il Regno stava per essere conquistato, quando Claus Robestin, sovrano e capo dell’esercito, era stato in grado di riprendere il controllo della situazione.

    Quel comandante era poi scomparso, mentre gli invasori erano stati sconfitti dai varmiriani rimasti.

    Il successivo conto dei decessi aveva rappresentato la parte più difficile. Tra le perdite, la stessa Regina, Viola Robestin, e alcuni dei più importanti soldati del rame, come Philip Torfalk, Capo arciere di Varmire, e la moglie, Rachel Aairob Torfalk.

    Nel corso degli anni, il Regno aveva saputo riprendersi in fretta: erano stati ricostruiti gli edifici, l’esercito aveva dato il benvenuto a nuovi membri, e con il duro lavoro si era tornati alla ricchezza che aveva da sempre caratterizzato Varmire…

    I pensieri della guardia furono interrotti all’improvviso dalla giovane lady che, dopo essergli passata accanto quasi correndo nell’illuminato corridoio del castello, lo salutò con un rapido inchino.

    La lady reggeva con entrambe le mani la lunga gonna dell’abito di raso, così da evitare di inciampare e cadere a terra, o sulla gente di passaggio.

    Laila Torfalk si contraddistingueva per un’altezza non proprio invidiabile – d’altronde le avevano sempre raccontato che la bassezza fosse una delle tipiche caratteristiche della sua Casata – con un fisico snello, privo di curve femminili marcate, che comunque le offriva il vantaggio di essere piuttosto agile. I lunghi capelli ondulati, castani e dai riflessi ramati, seguivano i suoi movimenti veloci, mentre gli occhi grigio-verde si spostavano rapidamente tra il suolo su cui stava camminando, e ciò che vi era davanti a sé. Il viso aveva lineamenti dolci e morbidi, con chiare lentiggini spruzzate sulle guance rosee. Laila Torfalk aveva sedici anni, sebbene alle volte se ne sentisse sulle spalle molti di più.

    Girò l'angolo, e incrociò un uomo che portava un cesto di lenzuola appena pulite. Per evitarla, il servitore compì un gesto troppo rapido con le braccia, e le lenzuola gli caddero a terra.

    «Non volevo, perdonatemi!» si scusò lei, mortificata

    «Nessun problema, è stato solo un incidente.» si abbassò e iniziò a raccoglierle «Come mai così di fretta, lady Laila?».

    «Sono stata convocata dalla principessa per una questione urgente… Meglio non farla aspettare!». Prima di correre via, la madamigella lo aiutò, e si scusò nuovamente.

    Arrivò davanti a una grande porta di legno ad arco, ed entrò nell’ampia camerata.

    La principessa Ginevra, seduta su uno sgabello, stava definendo alcuni tratti dell’ultima opera a cui stava lavorando. I capelli biondi erano illuminati dalla luce passante per la finestra alle sue spalle, e l’elegante abito di raso le evidenziava il corpo, più formato rispetto a quello dell’amica. Era considerata una delle donne più belle di Varmire, e lei stessa era consapevole di esserlo.

    Ginevra Robestin aveva, fin dalla nascita, una grande passione per l’arte, infatti le pareti della sua camera erano state decorate con affreschi realizzati proprio da lei. Trascorreva molto tempo dipingendo, scolpendo piccole statue o disegnando, e negli anni era diventata sempre più brava.

    Finalmente, Ginevra si voltò verso la nuova arrivata e le sorrise: «Eccoti.»

    «Mi hai mandato quattro servitori, e tutti mi hanno riferito le stesse parole: La principessa richiede la vostra presenza immediata.» si richiuse la porta alle spalle, e sospirò «Ebbene, qual è l’urgenza?»

    «Innanzitutto ti ringrazio per essere qui.» scomparve di nuovo dietro la tela per tornare all’opera «Ho davvero bisogno che tu vada nell’Ala a prendermi la boccetta con la tempera nera. È insieme alle altre, le hai già viste, quindi non dovrebbe essere difficile ritrovarla.».

    Laila rimase a guardarla meravigliata, cercando di capire se fosse seria o meno: «Tu hai chiesto la mia presenza perché vuoi che ti vada a prendere un colore?» si portò una mano sulla fronte «Ginevra, credevo che ti fosse successo qualcosa, che avessi davvero bisogno di me!».

    Ginevra si bloccò e parve pensarci su: «Sono stata catturata da questo dipinto! Come avrei potuto allontanarmi?» le indicò il telo che aveva davanti «I colori insieme creano un meraviglioso equilibrio, e tutto segue un legame perfetto. Se andassi via e tornassi dopo ore, questo legame si spezzerebbe…»

    «Credo che parlare di ore sia esagerato…»

    «E se questo legame si dovesse spezzare, il quadro non sarebbe affatto bello, io perderei la fiducia in me stessa e nelle mie abilità, e non riuscirei mai più a dipingere. Vuoi davvero che la tua migliore amica soffra?».

    Laila mise le braccia conserte: «Stai cercando di farmi sentire in colpa?». Conosceva Ginevra fin troppo bene, sapeva cosa stesse cercando di fare.

    «Perché pensi questo?» chiese di rimando l’altra, quasi offesa.

    La lady corrugò la fronte: «Dimmi solo perché hai chiamato me, quando ci sono decine di persone disposte a scalare una montagna per la principessa di Varmire, futura erede al Trono.»

    «Io mi fido di te, sei una delle poche persone alle quali permetterei di accedere alla mia Ala personale.» emise un sospiro rammaricato «Se sei arrabbiata con me, ti chiedo scusa. Me ne occuperò io, spero soltanto che al mio ritorno l’equilibrio ci sia ancora…».

    La madamigella sollevò entrambe le mani, in segno di resa: «D’accordo, hai vinto!».

    Il viso di Ginevra s’illuminò di colpo: «Oh, grazie, sono in debito con te!». Si alzò dalla postazione, aprì un cassetto e ne tirò fuori una grande chiave di rame.

    Laila l’afferrò: «Sei già in debito con me.».

    La ragazza tornò a dipingere: «Non so a cosa tu stia facendo riferimento…»

    «Io lo so molto bene.» strinse gli occhi in due fessure «Una luna fa, tuo padre ti punì perché avevi acquistato più di una dozzina di abiti di seta provenienti dal Regno di Farlight…»

    «La specialità di quel reame è la seta! Così pregiata, lucida e morbida…».

    Lei la ignorò e proseguì col racconto, in modo da ricordarle per bene cosa fosse successo: «Nel bel mezzo della notte mi hai fatta salire su una carrozza diretta a Farlight. Io non volevo, l’ho fatto perché mi dispiaceva per te. Tuo padre è stato subito informato e ha rimproverato anche me per essere stata tua complice.».

    Ginevra aprì bocca per controbattere, tuttavia dovette accettare il fatto che nulla avrebbe potuto giustificarla: «D’accordo… Sono molte volte in debito con te.». Le promise comunque che quella sarebbe stata l’ultima richiesta.

    Laila non le credette, ma non si lamentò ulteriormente: Ginevra era la sua migliore amica, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.

    ***

    L’Ala dell’Arte era la parte del castello dedicata alla passione di Ginevra: nessuno poteva accedervi senza la sua concessione. In quell’ambiente, raffinatezza e gusto artistico erano combinati in un’unica essenza, ed esprimevano appieno la personalità della principessa.

    Laila inserì la chiave e aprì il portone di legno d’acacia. Fu subito investita dal dolce profumo di cannella che Ginevra vi faceva spruzzare una volta a settimana.

    L’ocra delle pareti conferiva vivacità al corridoio, arricchito dalla contrapposizione di vetrate luminose su un muro, e sculture marmoree dall’altra parte. Dall’androne era possibile accedere a un salone rettangolare dove non vi erano mobili, ma solo opere di artisti varmiriani e stranieri. Proseguendo, si passava di fianco a una sala in cui si trovavano tutte le tele che Ginevra aveva realizzato negli anni, e che aveva voluto conservare per sé.

    Laila giunse alla fine del corridoio ed entrò in un piccolo magazzino in cui era riposto tutto ciò che Ginevra usava per dipingere. Tra le boccette di tempera, organizzate in ordine cromatico su uno scaffale, trovò il contenitore di vetro che le interessava, ed uscì dalla stanza.

    Ogni volta che accostava il grande salone, si fermava per qualche minuto a osservare i quadri esposti. Ce n’era soprattutto uno che attirava la sua attenzione: il ritratto della Regina Viola.

    Viola Robestin morì quel giorno, insieme ai genitori di Laila… Di loro, la ragazza sapeva soltanto che si chiamavano Rachel Aairob e Phil Torfalk, e che erano stati due degli arcieri più forti dell’esercito. Non conosceva nemmeno il loro aspetto: lei era nata proprio durante i combattimenti, ed i genitori erano stati uccisi subito dopo. Così Re Claus aveva preso in custodia la bambina, e l’aveva resa una seconda figlia.

    Solo osservando quel quadro si poteva ammirare la bellezza della donna. Pareva perfetta in qualsiasi aspetto, e il suo semplice sguardo esprimeva regalità.

    «Buongiorno.». Una voce maschile risuonò alle sue spalle, rimbombando leggermente all’interno del salone.

    Laila si voltò, e vide il ragazzo che, appoggiato all’ingresso, la guardava sorridendo: «Alex, cosa ci fai qui?».

    Alexander e Ginevra erano diversi fisicamente: lui, primogenito di diciannove anni, assomigliava molto a Viola, per via dei capelli castani e degli occhi di un blu profondo in cui potersi perdere… Ginevra, al contrario, assomigliava di più al Re, con quei capelli dorati, lisci e dalla lunghezza inusuale – arrivavano poco dopo le spalle, ed era la principessa stessa a tagliarseli per motivi legati alla comodità mentre dipingeva – ma la particolarità era data dagli occhi di lei, verdi da parte del padre intorno alla pupilla, e azzurri da parte della madre alla fine dell’iride. I due fratelli Robestin avevano comunque lo stesso sorriso spontaneo, la stessa determinazione e la stessa testardaggine, la quale riusciva a metterli solitamente l’uno contro l’altro anche per futili ragioni.

    Gli occhi turchesi del giovane vagarono tra le pareti, e lui, per risposta, le mostrò un pezzo di ceramica: «Non chiedere come, né chi. Ti basti sapere che è del vaso donato dal Re Orientale, Kaar Lee, al sovrano di Varmire come segno di amicizia…» si morse il labbro inferiore «Sai dove posso trovare qualcosa per aggiustare questo disastro?».

    La lady trattenne una risata: «Credo che nel magazzino troverai la risposta ai tuoi problemi.».

    Andarono a controllare insieme, e dopo una breve ricerca trovarono della colla liquida nascosta dietro una torretta di fogli. Alex emise un fischiettio di gioia.

    Mentre si dirigevano verso l’uscita, lui le rivolse uno sguardo incuriosito, come se si fosse accorto solo in quel momento che anche lei si trovasse nell’Ala dell’Arte: «E tu, invece, cosa facevi?»

    «Mi ha mandato Ginevra.».

    «Lei ha mandato te?» Alex sbatté le palpebre e sbuffò «Tipico di mia sorella…»

    «Non sapevo ti avesse autorizzato a entrare qui.» disse Laila, con una punta di sarcasmo.

    Alexander Robestin schioccò la lingua: «Non lo ha fatto. Sono passato con la speranza di trovare Ginevra e chiedere direttamente a lei. La porta era aperta, e così…». Sollevò le spalle e lasciò cadere la frase.

    La giovane annuì comprensiva.

    Passarono di nuovo accanto al salone dei dipinti, ed entrambi, senza però fermarsi, posarono la propria attenzione all’interno.

    «Il ritratto della Regina è l’opera più bella dell’Ala intera.» affermò il ragazzo.

    Qualche volta Alexander era solito esprimere la nostalgia del tempo passato con la madre. Ne sentiva la mancanza, e non faceva che maledire l’impossibilità per lui di cambiare quanto fosse accaduto in passato.

    «Hai per caso visto Xavier?» chiese Alexander, rompendo il silenzio.

    D’istinto Laila si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio: «È nel castello?».

    «Non lo so, non riesco a trovarlo!» sospirò «Dovevamo incontrarci al campo d’allenamento, ma non si è presentato. È molto puntuale, di solito arriva addirittura in anticipo… E questo mi turba un po'.»

    «Vedrai che arriverà.» lo rassicurò lei.

    «Se comunque ti capita di incontrarlo, riferiscigli che lo aspetto al solito posto.»

    «Sarà fatto.».

    Alexander la osservò un attimo con la coda dell’occhio, e poi scoppiò a ridere: «Il tuo amore per lui è troppo tenero.»

    «Smettila… Mi sento a disagio quando ne parli così!».

    Il principe scosse il capo: «Non capisco il motivo per cui ti nascondi, davvero. Sono anni che sei interessata a Xavier… Perché non glielo hai ancora detto?».

    Ogni volta che tra lei e Alex veniva fuori quella storia, lui le poneva la stessa domanda, ottenendo sempre la stessa risposta… Malgrado ciò, non si stancava mai di chiedere. Sapeva che il ragazzo non voleva umiliarla: l’intento del principe era spingerla a dichiararsi, ma lui non riusciva a capire quanto la situazione fosse per lei complicata.

    «La nostra amicizia potrebbe esserne compromessa! Ti immagini il dolore nel distruggere in un solo colpo dieci anni di bei ricordi?»

    «E se lui ricambiasse i tuoi sentimenti?».

    Lei alzò un sopracciglio: «Tu sai se prova qualcosa per me che vada oltre l’amicizia?».

    Alex corrugò la fronte: «Sai com’è fatto Xavier… Non parliamo tanto di argomenti che riguardano le emozioni. Quando ci provo, lui cambia discorso…»

    «Io sono fermamente convinta di poter rovinare tutto.» abbassò lo sguardo «Alex, sappiamo entrambi che Xavier non è una persona sentimentale. È un buon amico? Certo, ed è sempre presente nel momento del bisogno, tuttavia non si aprirà mai completamente, neppure con noi. Lui è fatto così, non puoi cambiare il modo di essere di una persona.»

    «Se provassi a…».

    Laila lo bloccò: «Preferisco continuare a modo mio.».

    Il principe parve rattristato dal fatto che Laila non gli desse la possibilità di aiutarla: «Non vorrei allontanarvi, assolutamente. Io, te, mia sorella e Xavier siamo un gruppo, siamo cresciuti insieme, e insieme abbiamo praticamente imparato a vivere.»

    «Ecco, questa è la ragione per la quale non voglio rischiare. Non riuscirei a sopportare la fine della nostra amicizia, specie se per colpa mia…».

    Il ragazzo sorrise incoraggiante: «Laila, il nostro rapporto non finirà mai, hai la mia parola.». La fermò e la strinse a sé in un forte abbraccio.

    Alexander era una delle persone migliori che Laila conoscesse, e si sentiva fortunata a essere non solo la sua migliore amica, ma anche sua sorella, sebbene acquisita. La madamigella era certa che il futuro del ragazzo sarebbe stato splendido: un ottimo sovrano ricordato nella storia per un governo giusto, corretto e saggio, proprio come quello del padre Claus.

    ***

    Mentre faceva ritorno da Ginevra, Laila incontrò due cavalieri dai mantelli blu tipici di Varmire.

    «Buongiorno.» li salutò Laila, sorridendo.

    «Buongiorno, lady Laila.» risposero loro all’unisono «Come sta procedendo la mattinata?» le domandò ser Riley.

    Lei mostrò la boccetta che stringeva in mano: «Ginevra la sta rendendo movimentata…».

    Ser Vincent sfoggiò un sorriso brillante: «Non vedo l’ora di ammirare il nuovo dipinto della principessa.».

    Vincent Vaul e Riley Penfass erano grandissimi amici dal giorno in cui si erano conosciuti. Per volere dei loro padri, lord di due Regni diversi, erano arrivati a Varmire per diventare cavalieri dell’esercito. Erano praticamente come il sole e la luna: Vincent era alto, biondo, ironico e solare; Riley, più serio e orgoglioso, aveva grandi occhi azzurri e severi, e capelli neri che preferiva portare molto corti. Alexander qualche volta scherzava sulle loro differenze di altezza: Riley aveva una statura nella norma, ma in confronto a Vincent poteva apparire più basso di quanto in realtà non fosse.

    Essendo i soldati con cui ser Xavier aveva maggiormente legato durante gli anni da scudiero, col passare del tempo i due avevano conquistato anche l’amicizia di Laila e dei principi Robestin: non era difficile trovarli tutti nella stessa compagnia, tuttavia erano più frequenti i momenti che Riley e Vincent trascorrevano da soli, come fratelli separati alla nascita e ricongiunti dopo anni.

    Laila raggiunse la stanza della principessa. Bussò forte, e Ginevra, dopo qualche secondo, le aprì la porta: «Finalmente! Ora il lavoro sarà perfetto, più di quanto non sia già!». Strappò la boccetta dalla mano di Laila e tornò al quadro.

    La madamigella mise le braccia conserte: «Come sei sicura di te, Gin.»

    «Spesso aiuta credere in sé stessi…» Ginevra le lanciò un’occhiata di rimprovero «Potresti provarci, Laila, non ti farebbe male.».

    Ginevra aprì la boccetta e con la punta del pennello raccolse una goccia di tempera.

    Laila la osservò, e rimase abbastanza delusa quando vide il pennello toccare la tavola per realizzare soltanto un piccolo cerchio nero.

    Ginevra, piena di entusiasmo, scattò in piedi, e indietreggiò: «Proprio ciò che volevo ottenere…».

    Laila non era un’esperta di Arte, però riconosceva il talento di Ginevra e l’attenzione nelle opere che riusciva a realizzare.

    Davanti ai loro occhi, vi era una donna dai capelli dorati con un infante stretto tre le proprie braccia. Il volto di lei era sollevato verso l’alto, verso quel puntino nero: il corpo formoso della protagonista irradiava così tanta luce da contrastare la cupezza della piccola macchia scura, e i colori che rappresentavano l’immagine si accompagnavano armoniosamente, senza dare alcuna pesantezza al quadro.

    «Che cosa ne pensi?» le chiese Ginevra, pulendosi le mani con un pezzo di stoffa.

    La ragazza era meravigliata: «Penso che sia un altro dei tuoi capolavori.»

    «L’altra volta una lady aveva soccorso suo figlio ferito dopo una brutta caduta. Il bambino piangeva, soffriva davanti alla vista del sangue, eppure, con l’intervento della madre, è riuscito a calmarsi e a dimenticare il dolore.» alzò fiera la testa «Le bravi madri proteggono dal male.». Contemplò per un po' il proprio lavoro in religioso silenzio. In seguito, dopo aver gettato lo straccio sporco di tempera, si rivolse a Laila: «Mi piacerebbe uscire all’aperto, e vorrei che venissi con me.».

    Laila sollevò le sopracciglia: «So che non accetteresti un no come risposta.».

    La principessa, euforica, la prese per mano, e la trascinò con sé fuori dalla stanza.

    ***

    Alexander arrivò al campo, e trovò Xavier che si stava allenando da solo.

    Il cavaliere si muoveva rapido e deciso contro dei nemici immaginari, e la lama della spada brillava di luce riflessa. Xavier Moonson non se ne separava quasi mai, era l’ultimo legame rimastogli con la sua vita passata.

    Ad Alexander erano serviti alcuni anni per convincere l’amico a raccontargli la propria storia: il ragazzo era sfuggito allo sterminio causato da un popolo di bruti, nel vecchio Regno di Ambra. I genitori erano stati trucidati insieme al resto della corte e del popolo, e lui, all’età di otto anni, era riuscito a sopravvivere gettandosi nel fiume insanguinato che attraversava il villaggio. Prima di morire, il padre gli aveva regalato una spada: l’elsa era di pietra bianca con un rubino sul pomolo, ma la parte più importante era senz’ombra di dubbio la lama d’acciaio su cui era stata incisa una frase, Credi sempre nei tuoi sogni. Xavier era geloso dell’arma, non consentiva a nessuno di toccarla. Una volta il principe, approfittando della sua distrazione, l’aveva sfoderata… Il cavaliere si era molto arrabbiato, e per poco non erano arrivati alle mani. A ogni modo, la fissazione di Xavier per la spada era comprensibile, anche perché essa era stata la sua unica compagna nel disperato viaggio che lo aveva condotto a Varmire. Alexander ricordava quando Laila aveva perso il controllo del cavallo e aveva quasi travolto quel ragazzino tutt’ossa e sporco dalla testa ai piedi… Per difendersi, il bambino aveva cercato di impugnare con le braccia esili la spada pesante e affilata: al posto di incutere timore, era riuscito solo ad apparire buffo. Appena lo aveva visto, il principe aveva deciso che lui e il ragazzino sarebbero diventati amici.

    Xavier era un individuo difficile, e ciò lo rendeva assai interessante. Qualche volta i suoi occhi s’incupivano, come se stesse rivivendo un triste evento, poi ritornavano alla realtà, come se nulla fosse stato. Non parlava spesso di sé, sembrava anzi che volesse evitare il discorso sulla propria vita, per questo preferiva concentrarsi sugli altri, tanto da essere considerato un buon ascoltatore.

    Il principe sguainò la propria spada: lama d’acciaio ed elsa d’oro con un diamante nero incastonato sul pomello. Elegante, preziosa, ma non speciale quanto quella del compagno.

    In un attimo, fu alle spalle di Xavier, che percepì il suono dei suoi passi, e parò velocemente l’attacco.

    Cominciarono a combattere.

    «Si può sapere dov’eri finito?» chiese Alexander, colpendolo con un fendente «Sapevi che avremmo dovuto allenarci!»

    «Posso giustificare il mio ritardo.» rispose, fermandolo con un colpo obliquo

    «Ti ascolto.».

    Fece un passo indietro, studiando i movimenti del principe, e cominciò a parlare: «La figlia dei miei vicini è venuta da me e ha insistito affinché la aiutassi a ritrovare un orecchino molto importante che aveva perso. In seguito, un’altra ragazza mi ha chiesto di accompagnarla al mercato, aveva paura di muoversi da sola nella calca di gente, e io ho accettato…»

    «Ha una fine questa stupida storia?»

    «Ho soccorso quelle persone.» chiarì il soldato «Un buon cavaliere non si tira mai indietro di fronte a una richiesta d’aiuto…»

    «Soprattutto se la richiesta di aiuto è di qualche donna…» lo provocò Alexander.

    Xavier lo colpì con una punta dritta: «No, non è questo che prevede il nostro codice d’onore. Per chiunque abbia bisogno di assistenza, i cavalieri devono accorrere.». E non vi era nulla di ironico o malizioso nelle sue parole: Xavier credeva davvero in quel codice, e si faceva sempre avanti senza chiedere nulla in cambio.

    Il principe strinse la presa intorno all’impugnatura della spada, e si buttò sull’amico: «Sicuro che almeno una di queste ragazze non ti piaccia? Magari qualcuna sarà la fortunata che ti toglierà la verginità!».

    Il ragazzo gli lanciò uno sguardo pericoloso, più pericoloso della lama che per poco non sfiorò la guancia del principe.

    «Immagino come i loro cuori si spezzeranno davanti ai tuoi rifiuti!» insistette Alexander, troppo divertito per preoccuparsi della rabbia del giovane cavaliere.

    «Non si spezzerà niente!»

    «Non ti interessa nessuna di loro, quindi?».

    Xavier rallentò la propria azione, ma non si fermò: «Che razza di domanda è?»

    «Sai, una fanciulla ti renderebbe più sereno.»

    «Sto bene così come sono, grazie.»

    «Prego, di nulla.» rispose prontamente il principe «Fanciulle a parte, se vivessi al castello come tutti gli altri cavalieri, non mi lasceresti solo ad aspettarti…».

    Il cavaliere scosse la testa: «Non mi piace la vita nei castelli.» rispose «Giù in città la gente è piacevole, e spesso ti lascia in pace quando vuoi essere lasciato in pace. Se vivessi al castello, credo che tu mi disturberesti ogni secondo…»

    «Dovrei offendermi?». Alexander rise, ed evitò per un soffio la stoccata dell’avversario.

    ***

    L’ascia colpì rapidamente il tronco, falciando l’aria.

    Il boscaiolo strinse l’impugnatura, e si preparò a tirare un altro colpo.

    Il fusto si piegò, producendo uno scricchiolio prolungato, e dopo alcuni attimi l’albero cadde a terra, provocando un forte fragore.

    Terminata buona parte del lavoro, il tagliaboschi conficcò l’accetta nella piccola metà che era rimasta dell’albero, e si concesse un po’ di riposo: in seguito avrebbe caricato sulla propria carretta i pezzi di legno da conservare per i giorni freddi e da rivendere agli artigiani.

    Si passò il dorso della mano sulla fronte madida di sudore, e guardò la cima delle montagne poco distanti. Erano talmente alte che alcune punte sparivano tra le nuvole. L’occhio poi gli cadde sul sole: ancora qualche ora, e sarebbe arrivato il tramonto. Doveva sbrigarsi, altrimenti avrebbe finito col perdere la strada per tornare al reame.

    Afferrò il manico della mannaia e la staccò dal mezzo tronco. Si diresse verso l’albero a terra e si preparò a tagliare via i primi rami… Quando un fruscio lo interruppe.

    L’ascia rimase sospesa a metà, e l’uomo studiò il punto dal quale era provenuto il rumore: non c’era nulla lì, probabilmente lo aveva soltanto immaginato.

    Non terminò la propria considerazione che udì lo stesso suono alle proprie spalle, a qualche passo di distanza. Si voltò di scatto, puntando l’arma avanti a sé, pronto per usarla come difesa.

    Un momento di silenzio, e poi uno scalpiccio a sinistra.

    Il boscaiolo iniziò a respirare affannosamente, temendo l’attacco di qualche selvaggio…

    Si rese conto allora di non sentire più alcun suono: né il cinguettio degli uccelli, né il vento che colpiva le foglie… Perfino il proprio respiro era diventato silenzioso. Tutto taceva, e ciò non fece che preoccuparlo maggiormente.

    Cosa stava accadendo?

    La risposta arrivò senza farsi attendere ulteriormente: un lupo sbucò dal proprio nascondiglio. A differenza dei lupi che conosceva lui, quello era enorme, quasi quanto un orso, nero come la notte, e con occhi rossi e minacciosi. La bestia compì un passo in avanti, fissando il taglialegna e ringhiando.

    Lui alzò l’accetta, quando una debole luce violastra si manifestò nella penombra, dietro la creatura.

    Inspiegabilmente, l’uomo perse il controllo sull’ascia, la quale si staccò dalla mano per andarsi a incastrare nell’albero accanto, come se l’avesse lanciata via… Ma lui non aveva fatto nulla di ciò.

    Deglutì: era isolato e indifeso, nessuno avrebbe udito i richiami d’aiuto, in quanto le mura del reame erano abbastanza distanti.

    Incrociò lo sguardo del mostro, che si leccò il muso con bramosia.

    Una voce sconosciuta, rauca e lieve, provenne dallo stesso nascondiglio in cui brillava la strana luce: «Attacca…». Si poteva intravedere un’ombra, tuttavia non era chiaro capire a chi appartenesse.

    Il lupo emise un ultimo ringhio, e balzò sul corpo del boscaiolo.

    Uno stormo di uccelli si levò in volo, lontano da quella scena sanguinolenta.

    CAPITOLO DUE

    La famiglia reale sedeva riunita a tavola per la colazione.

    Il Re appariva come un uomo dall’aspetto piacente, con occhi chiari, un viso abbronzato percorso da una barba curata, e lunghi capelli dorati che arrivavano fino alle spalle muscolose. La saggezza era una dote che, negli anni, lo aveva reso un buon sovrano: ascoltava la gente e offriva loro consigli meditati, pertanto molti andavano da lui non solo perché fosse il sovrano, ma anche perché era ragionevole e giusto. Occupava il trono di Varmire da quando aveva circa venti anni, e tutto il popolo lo amava. C’era chi addirittura lo considerava migliore del suo predecessore, Bodor Robestin.

    Claus si trovava a capo tavola, e Alex e Ginevra, uno di fronte all’altra, erano accomodati ai lati. L’appetito dei tre, quella mattina, era incoraggiato dai piatti invitanti esibiti sotto i loro occhi: biscotti al miele, torta alle noci e al limone, pere nel vino cotto, formaggio fresco spalmato su pane nero, succo alla mela, frutta essiccata e latte di mandorla.

    Il Re si pulì le dita con un tovagliolo: «Pare che oggi sarà una bella giornata.» si rivolse ai figli sorridendo «Se non doveste avere piani in mente, vorrei proporvi una passeggiata nel bosco.».

    I figli parvero entusiasti dell’idea. Sarebbe stato piacevole isolarsi qualche ora nella foresta, dove avrebbero trovato un po' di riposo dalla corte.

    «Padre, ho sentito del nuovo acquisto della scuderia.» fece prontamente Alexander, versandosi da bere «Un cavallo che nessuno è ancora riuscito a domare.».

    L’uomo annuì: «Alters: un purosangue nero, bello quanto ribelle. Pare che sia molto veloce e che detesti essere comandato.» lo guardò perplesso «Perché lo chiedi?».

    Alex congiunse le braccia: «Perché voglio cavalcarlo io. Sarò il primo a tenerlo per le briglie.»

    «Figlio, non essere troppo arrogante…»

    «Non sono arrogante.» ribatté il ragazzo

    «Sì, lo sei. Se esperti che lavorano da anni con i cavalli non sono riusciti a collaborare con lui, come potresti riuscirci tu?» scosse il capo «Niente da fare, non salirai su quella bestia.».

    Alexander si sporse in avanti: «Lasciami tentare. Voglio provarci.»

    «Padre, accontentalo.» intervenne Ginevra, con un sorriso divertito «Sarà interessante vedere Alexander perdere contro un cavallo.».

    Il principe Alexander aveva preso una decisione, e nulla lo avrebbe distolto da quelle intenzioni, l’uomo lo sapeva fin troppo bene. Chiamò allora un servitore e gli riferì di preparare i cavalli – tra cui il nuovo arrivato, Alters – per un’escursione nel bosco di Oltreterra: «Ti starò accanto per intervenire qualora ne avessi bisogno.».

    Il figlio sollevò un sopracciglio: «Non ce ne sarà motivo, fidatevi. Sono sicuro di potercela fare.».

    ***

    «Cos’è che aveva detto?» chiese Claus, cavalcando accanto alla figlia «Sono sicuro di potercela fare?».

    Alexander stava facendo grande fatica a gestire il purosangue, intenzionato ad ignorare del tutto gli ordini del ragazzo. Sul volto del principe si leggeva uno stato di disperazione, soprattutto quando Alters cominciava a girare su sé stesso.

    Ad un certo punto il cavallo si fermò, lasciando credere ai presenti che si sarebbe fatto guidare… Invece scosse la testa, frustando con la propria criniera il viso di Alexander. Sebbene avesse un carattere ribelle, lo si poteva comunque considerare una bellissima creatura: era slanciato, elegante e dal manto nero talmente lucido da apparire blu scuro.

    Ginevra sorrise: «Alex non è ancora stato disarcionato, quindi già ha realizzato un piccolo successo.».

    Il Re, senza distogliere lo sguardo dal figlio – leggermente distaccatosi dai due per volere del cavallo – parve condividere quell’osservazione. Accarezzò il proprio shire bianco e sospirò: «Ultimamente non sto più trascorrendo molto tempo con voi, e mi dispiace. Non vorrei che vi sentiate ignorati da me.».

    Alla giovane vennero in mente alcuni ricordi legati all’infanzia… Quelle volte in cui, da piccola, aveva trascorso intere ore con Claus giocando, passeggiando nel giardino, leggendo i libri della biblioteca reale o dipingendo in compagnia. Tutto meraviglioso, finché qualcuno non interrompeva quei momenti per portarsi via Claus Robestin, che smetteva all’improvviso di essere suo padre per rivestire i panni del sovrano di Varmire. Ginevra e Alexander erano cresciuti sapendo di non far parte di una famiglia normale, avevano accettato tale aspetto, ed erano diventati consapevoli del fatto che sarebbe stato forse anche il loro futuro. Eppure, Claus sembrava alle volte provare un grande rimorso: «Non è colpa tua, padre.» chiarì lei «Hai un ruolo, e questo ruolo ti sovrasta. Noi capiamo che ci sono periodi molto impegnativi per te, lo abbiamo sempre capito, e continueremo a farlo.»

    «L’ultimo mio desiderio è essere come tuo nonno.» Claus le rivolse uno sguardo dispiaciuto «Per me fu quasi come non avere un genitore.»

    «Tu non sei lui, credimi. Credimi anche quando ti dico che non ci sentiamo ignorati da te. Ti vediamo lavorare tanto per rendere Varmire un posto sempre più bello, migliore di quanto non sia già, e sappiamo che lo stai facendo per noi, tutti noi. La nostra felicità deriva da te, e noi ti amiamo anche per questo.».

    Claus le prese la mano e la baciò sul palmo: «Ogni giorno ringrazio i Cinque di averti avuto nella mia vita.».

    Rimasero in silenzio per un po’, mano nella mano, osservando la natura che li circondava: fiori e piante di ogni tipo catturavano la loro attenzione, e alla principessa diedero molta ispirazione per nuovi dipinti.

    «Io e tua madre venivamo spesso qui nel bosco… A lei piaceva così tanto…».

    Ginevra lo guardò, e non disse altro. Si limitò semplicemente ad assaporare quel momento e quell’informazione.

    Da quando lei e Alexander erano bambini, Claus sceglieva di raccontare qualche dettaglio su Viola, così da permettere ai figli di saperne di più sulla madre… Soltanto che preferiva farlo di volta in volta, in giorni casuali, quando lui si sentiva ispirato e tranquillo. All’inizio, i figli non erano riusciti a comprendere, non si erano trovati d’accordo con il volere del padre; c’erano state tante discussioni, poi, però, avevano cominciato a capire le ragioni dell’uomo. Il ricordo di lei, infatti, non sarebbe mai scomparso dalla sua mente, quindi parlarne poco alla volta probabilmente gli avrebbe permesso di non rivivere allo stesso instante troppe emozioni forti. Di conseguenza, quando Claus, dal nulla, raccontava qualcosa del passato, Alex e Ginevra raccoglievano le sue storie come se fossero fiori, così da annusarne il dolce profumo e permetterne la conservazione in piccoli vasi immaginari.

    Viola era stata una Regina molto ben voluta dal popolo. Non aveva avuto fratelli, ed era originaria di una famiglia della piccola nobiltà, oramai scomparsa. Lei e Claus si erano per caso conosciuti al matrimonio, e durante i festeggiamenti era nato l’amore, giunto al culmine con le nozze dopo circa un anno, per via dei lunghi accordi matrimoniali. Ginevra non vedeva l’ora di saperne ancora di più.

    Padre e figlia udirono un improvviso fruscio dietro a dei cespugli. I loro cavalli restarono indifferenti al rumore, mentre il purosangue del giovane si agitò maggiormente: si alzò sulle zampe posteriori e, dopo essere ricaduto a terra, partì via al galoppo, ignorando le opposizioni del ragazzo seduto sulla sua sella.

    Claus e Ginevra cercarono di raggiungere il principe, ma Alters era più veloce di loro.

    Continuarono a galoppare finché, disperati, realizzarono di aver perso le tracce di Alexander.

    ***

    Il principe ne aveva abbastanza di essere ridicolizzato da un cavallo, pertanto, incurante del fatto che avrebbe potuto disarcionarlo, tirò le redini all’indietro con tutta la forza che aveva…

    E Alters, finalmente, si fermò.

    Il principe, dopo un attimo di sorpresa, scoppiò a ridere e, prendendo coraggio, diede una leggera carezza sul collo del cavallo: «Bravo, bravo, così…».

    Il purosangue nitrì lievemente.

    Dopo averlo spronato con delicatezza, l’animale riprese un passo più tranquillo: «Volevi solo un po' sfogarti, amico mio?» gli diede un’altra carezza «Hai rischiato di uccidermi, ma ti perdono. Ora qui siamo in un posto tranquillo dove nessuno può infastidirti…».

    Alex lo indirizzò verso la direzione che gli sembrava più giusta per tornare sul percorso comune. Non aveva idea di dove fossero suo padre e Ginevra; sperò di rincontrarli, anche se c’era più probabilità di rivederli nel castello di Varmire…

    Procedettero a passo andante per qualche minuto, finché Alexander non notò in lontananza, tra le grosse radici di una quercia, una figura distesa a terra. Spinto da una certa curiosità, portò Alters al trotto, e giunto all’albero constatò che la figura fosse una ragazza priva di coscienza: aveva un viso magro, il corpo sottile, e lunghi capelli rosso chiaro. Era ferita sulla fronte, e una riga di sangue le aveva macchiato metà volto.

    Il principe si bloccò: dal nulla era apparsa una sconosciuta, forse morta.

    E se si fosse trattato di una trappola? Se quella fosse stata una criminale, lui avrebbe dovuto fare qualcosa prima di ritrovarsi il pugnale della ragazza contro il proprio collo… Ma se non fosse stata una criminale, lui avrebbe lasciato morire una povera innocente.

    Alla fine, senza pensarci ulteriormente, scese dal cavallo. Le controllò il battito del cuore, verificando così che fosse ancora viva, poi la caricò in sella. Alex risalì in groppa allo stallone, assicurandosi che la sconosciuta fosse sistemata per bene, in seguito avvicinò la testa all’orecchio del cavallo, e sussurrò: «Ti permetto di correre più veloce che puoi.».

    Il purosangue non se lo fece ripetere due volte, e il principe gli fu molto grato di ciò.

    ***

    Laila era comodamente distesa sul prato del giardino reale, vicino alla fontana di marmo. Trovava che il suono dell’acqua contro le pareti della fonte fosse il sottofondo adatto per leggere un libro.

    Ad un certo punto, al crosciare dell’acqua si unì una voce familiare; alzò lo sguardo, e vide Xavier con due guardie, a una ventina di passi di distanza da dove lei sedeva.

    Quando anche lui la notò, subito si congedò dai compagni e la raggiunse.

    Il cuore di Laila cominciò a battere impazzito. Ogni volta che si ritrovava sola col cavaliere, lei rischiava di perdere il controllo delle proprie emozioni.

    «Che cosa stavi leggendo?» chiese lui, sedendosi sul bordo della fontana.

    Laila gli passò il tomo dalla copertina blu, trapassata da decorazioni dorate.

    Xavier sfogliò alcune pagine. Era lento nel leggere – aveva appreso qualcosa durante gli anni in cui era stato scudiero poiché, stranamente, nessuno nel vecchio reame lo aveva educato nella lettura – perciò si limitava a osservare la disposizione delle parole.

    «È una storia d’amore.» chiarì la lady.

    Lui le restituì il libro: «Che noia…».

    Laila gli si accomodò accanto: «Cos’hai contro l’amore, si può sapere?»

    «L’amore è sofferenza.» rispose secco Xavier.

    Lei scosse il capo: «Non sono d’accordo. Per me è un sentimento puro. Amare rende più felici… Offri te stesso a qualcuno di caro, senza secondi fini.».

    Xavier non parlò. Erano i suoi occhi scuri a farlo per lui.

    «Non sei mai stato innamorato?» insistette la madamigella, con un certo vuoto nello stomaco. Da una parte, aveva paura della sua risposta, ma dall’altra era curiosa.

    Il giovane la osservò: «Come riesci a capire se ami qualcuno?».

    Laila arrossì e cercò di non balbettare: «Ecco, direi quando tieni molto a una certa persona, e desideri proteggerla da ogni male, renderla felice, in quanto la sua gioia è anche la tua gioia… Quando vorresti passare i giorni della tua vita in sua compagnia, quando pensi sempre a lei…».

    Xavier la interruppe: «Laila! Di chi sei innamorata?».

    La madamigella sentì mancarle l’aria: «Cosa?»

    «Con me puoi parlare, siamo amici.»

    «Non capisco a cosa tu stia facendo riferimento…». Percepiva il rossore sulle guance aumentare sempre di più.

    Xavier incrociò le gambe: «Dal modo in cui stavi descrivendo l’amore significa che o sei innamorata, oppure lo sei stata.»

    «No, ti sbagli… Sono i libri… I libri che ho letto, mi hanno insegnato…».

    Il ragazzo sollevò lo sguardo al cielo: «Sarò sincero: in passato, ho amato.» ammise «Amavo la mia famiglia.».

    Laila rimase colpita dall’inaspettata confessione dell’amico: «Il tempo non cancella il dolore per una perdita.» gli posò una mano sulla spalla «Così come l’assenza non rende indifferenti. Io non ho conosciuto i miei genitori, eppure per loro provo amore.».

    Il cavaliere la guardò. Successivamente disse, quasi in un mormorio pacato: «Ogni tanto penso che io, te, Ginevra e Alexander abbiamo tutti la stessa cosa in comune…»

    «Cioè?».

    Lui socchiuse gli occhi: «Il fatto che la morte ci abbia portato via una parte di noi.».

    ***

    «Come sta?» domandò Alexander, sinceramente preoccupato per una ragazza che non conosceva nemmeno. Appena rientrato a Varmire, l’aveva portata nell’infermeria del castello, cosicché la ferita della giovane potesse essere curata.

    L’infermeria – una stanza non molto larga, con sei letti a disposizione – era gestita da Penelope, la maestra di corte, una piccola donna che, nonostante l’età – ignota a tutti – sembrava impossibile da fermare. Aveva lunghi capelli bianchi, un viso rugoso sempre sorridente e due occhi azzurri che non smettevano mai di brillare. Penelope non era originaria del reame: dopo anni e anni trascorsi a spostarsi da un luogo all’altro, era arrivata a Varmire da bambina insieme alla madre, scomparsa il giorno seguente per tornare alla propria vita da nomade. In realtà, la donna le aveva fatto un favore, poiché, pur avendola lasciata sola, l’aveva condotta in un luogo sicuro dove la figlia avrebbe avuto la possibilità di studiare per diventare saggia di corte: Penelope da giovanissima aveva lavorato al fianco del vecchio maestro di Varmire, per poi sostituirlo alla sua morte. Nel corso degli anni aveva letto moltissimi libri, e aveva cominciato a trasmettere la propria conoscenza ai futuri regnanti di Varmire, a partire da Claus Robestin.

    «Bene, Alexander caro.» rispose la maestra, rimettendo gli strumenti a posto «Il colpo in testa deve essere stato causato dalla caduta… A ogni modo, si riprenderà.»

    «Entro quando?»

    «Non molto… Ora sta riposando, le ho dato un calmante.»

    «Deve averla attaccata qualche malvivente che si aggira tra le terre di Oltreterra.» ipotizzò il giovane «È un luogo talmente esteso da poter nascondere qualsiasi insidia all’interno…».

    «Le Fate dei Boschi faranno giustizia.» mormorò l’anziana «Mi raccomando, tesoro, al suo risveglio non farla agitare. Deve bere molta acqua, è così disidratata che sembra una pianta secca. Se vuole mangiare, meglio darle una zuppa calda. Una porzione non troppo grande, attento: la poverina non pare vedere cibo da un po’, quindi non è consigliabile ingozzarla da subito. Bisogna riportarla alle dosi giuste lentamente, altrimenti c’è il rischio che possa ricacciare tutto fuori, e poi…»

    «Ho capito, Penelope! Rilassati, me ne occuperò io. Tu intanto vai dove devi andare, la giovane è in buone mani.».

    Penelope lo guardò dubbiosa, ma se ne andò senza aggiungere altro.

    Il ragazzo prese una sedia e si sedette accanto al letto.

    La fanciulla indossava abiti vecchi e consumati dal tempo. Doveva provenire da qualche reame non lontano da Varmire… Di certo, da un luogo confinante con Oltreterra: a giudicare dal corpo, non avrebbe potuto sostenere fatiche eccessive, quindi nemmeno lunghe camminate.

    Passò circa un’ora…

    Il principe aveva tentato di distrarsi rovistando tra gli apparecchi dell’infermeria. Si stava guardando intorno, quando la sua attenzione fu catturata da un lamento; si girò, e vide la ragazza mettersi a sedere mentre si passava la mano sulle bende.

    «Attenta.» la avvertì lui, avvicinandosi con cautela «La maestra l’ha curata poco fa.».

    Lei gli puntò contro i suoi occhi, grigi e allarmati: «Dove mi trovo?» si portò una mano tra i capelli rossicci e cominciò a tremare «Vi prego, non uccidetemi. Ve l’ho detto, io non ho niente con me.». Sebbene fosse spaventata, parlava con compostezza.

    «Non voglio farvi del male.» la rassicurò Alex «Ci troviamo nell’infermeria di Varmire.».

    A quelle parole, la giovane smise di tremare: «Mi trovo a Varmire?»

    «Sì, adesso siete al sicuro. Varmire è un posto tranquillo, ben protetto…»

    «Sì, conosco Varmire… Io vengo da Vivan.» dichiarò la sconosciuta «Come faccio, però, a sapere che non mi state mentendo?».

    Alexander le indicò allora la finestra. La ragazza vi guardò attraverso, scorgendo il panorama dato dalla fortezza circostante e decorata da bandiere blu, e dal villaggio.

    «Per quale motivo avete deciso di inoltrarvi da sola in Oltreterra?» le domandò lui.

    Non ci fu risposta: evidentemente la straniera non ancora si fidava a tal punto da raccontargli la propria storia.

    «Comunque, sono Alexander.» si presentò il ragazzo.

    La giovane tornò con lo sguardo su di lui, e sgranò gli occhi: «Alexander Robestin? Principe di Varmire e futuro erede al trono?» di colpo impallidì «Principe, vi prego, perdonate il mio abbigliamento inadatto alla vostra presenza, vi chiedo scusa, io…».

    Alex sorrise e tentò di tranquillizzarla: «Non scusatevi, non ne avete bisogno! Mi piace il vostro vestito, dovrebbero indossarlo tutte così.».

    Lei rise imbarazzata: «Siete gentile, principe.»

    «Chiamatemi Alexander, o Alex, se preferite. Mentre il vostro nome è…?».

    Esitò, ma alla fine cedette: «Olasis Parcille.»

    «Bene, abbiamo fatto un passo in avanti.» mise le mani sullo schienale della sedia «Cosa vi ha spinto a lasciare Vivan per inoltrarvi nella foresta?».

    Olasis indugiò ancora, tuttavia parlò: «Alcune esigenze di famiglia.»

    «Del tipo?».

    Lei sollevò un sopracciglio, probabilmente offesa dalla sua insistenza.

    «Perdonate se sembro impertinente, ma vi ho incontrata nella foresta e vi ho condotto all’interno del mio castello senza sapere nulla di voi. Se permettete, devo capire chi siete, e se posso fidarmi di voi o meno.».

    Non era entusiasta della faccenda, eppure non poté opporsi alla richiesta: «Armes Hightly pretende da anni che le famiglie nobiliari paghino mensilmente delle tasse, così da continuare a far parte della corte. La Casata dei Parcile ha diritto a quel posto, che occupa oramai da anni e anni…» sospirò «Mio padre è sempre stato un uomo servizievole, e in più occasioni si è ritrovato a pagare per altre famiglie rimaste senza denaro. Dei veri e propri regali, diciamo… Regali che alla fine ci hanno portato al lastrico. Nessuno, però, si è mai offerto di aiutarci, e, di conseguenza, siamo stati costretti a mancare un pagamento. Armes, dopo una settimana di ritardo, ha sequestrato le nostre terre e ci ha cacciati dal Regno… Ci ha concesso di vivere all’interno di una baracca fuori dalle mura di Vivan. Ringraziate che non vi abbia fatto uccidere dopo un simile oltraggio. Finché non otterrò il mio pagamento, voi resterete qui!, queste sono state le sue parole. In realtà, la ragione per la quale siamo stati mandati via è legata al fatto che nessuno del Regno sopporta Armes Hightly. Da un po' di tempo, infatti, la gente ha iniziato a complottare contro di lui… Noi non sapevamo con certezza chi fossero questi oppositori, ma mio padre comunque non volle entrare dentro la faccenda: non eravamo favorevoli ad Armes, tuttavia lui era il sovrano per nascita, e non potevamo farci nulla. Dopo una denuncia anonima, molti lord, giorno dopo giorno, hanno cominciato a essere condannati a morte per tradimento. Numerosi innocenti sono morti, e stanno continuando a morire anche ora… Mio padre è stato interrogato, e ovviamente non sono riusciti a trovare nulla. Ma il Re non ne è rimasto convinto, e ha aspettato il momento giusto per liberarsi di lui, ritenendolo un pericolo per il Trono.» spostò lo sguardo verso la finestra aperta «Eravamo in quattro all’epoca: io, i miei genitori e la mia cara sorella minore, Stella. Per me non era solo una sorella, era un’amica con la quale condividere tutto: a entrambe piaceva passeggiare a cavallo, spesso ci sfidavamo a chi fosse la più veloce. Il mio palafreno si chiamava Lena, le ero davvero affezionata… E sono stata costretta a rinunciare anche a lei.» si interruppe un attimo, forse turbata dai ricordi «Dopo esserci trasferiti, la nostra situazione è peggiorata: senza denaro non avevamo modo di nutrirci, lavarci o tenerci in salute. Stella soffriva più di tutti noi, e a causa della propria salute cagionevole, e alla fine si è ammalata per davvero. Ha trascorso due settimane intere a letto, senza bere o mangiare. Vederla in quello stato è stato… Terribile. Un medico, dopo averla visitata, ci ha detto che, se non avesse assunto farmaci, presto sarebbe morta. Il fatto che non avessimo oro o argento rappresentava un grande problema, e la soluzione improvvisa trovata da mio padre è stata vendere l’unico bene che ci era rimasto, ovvero Lena. È stata una scelta durissima, forse la più difficile della mia vita, ma non ho potuto essere egoista, perciò ho accettato la sua proposta, a patto che mi occupassi personalmente della vendita: volevo che Lena trovasse dei nuovi proprietari amorevoli, perciò, tramite delle conoscenze, sono risalita a una famiglia della piccola nobiltà interessata all’acquisto. Ciò che mi ha aiutata a concludere l’affare è stato sapere che avrei salvato due vite: quella di Stella, e quella di Lena.» congiunse le mani, e le strinse forte tra loro «Nonostante le cure, Stella è morta. Quando siamo intervenuti, la malattia era ormai peggiorata, e nulla ci ha permesso di riportarla da noi… Il giorno in cui mia sorella ci ha lasciati, nella nostra famiglia la situazione è andata peggiorando: lacrime, dolore e nessuna volontà di proseguire. Avevo perso casa, Stella, Lena, i miei genitori… Ammetto che la morte è stata per giorni il mio pensiero fisso, finché una mattina non ho trovato il fermaglio che mia sorella era stata solita indossare. Un fermaglio di bronzo con tanti ghirigori disegnati sopra, un oggetto privo di valore economico, ma ricco di ricordi e di affetto. Ho interpretato quel ritrovamento come una sorta di segno divino che mi ha risvegliata dal mio torpore, facendomi capire che non potevo lasciarmi morire dentro: dovevo fare qualcosa, dovevo allontanarmi da quel posto… Dovevo sfidare il destino e vedere cosa ne sarebbe stato di me. Senza pensarci troppo, dopo aver abbracciato i miei genitori per l’ultima volta, mi sono avventurata nella foresta portando con me soltanto quel fermaglio. Mi sono detta che forse avrei trovato la morte, forse avrei trovato un’altra vita, ma comunque, qualsiasi futuro ci sarebbe stato davanti a me, ero certa del fatto che rimanere lì non aveva più alcun senso, e che il passato era da abbandonare. Dopo tre giorni di viaggio, mi sono imbattuta in due uomini corpulenti… Mi hanno bloccata e ordinato di dar loro tutto quello che avevo, tuttavia io non avevo nulla con me, eccetto il fermaglio… Per loro era sufficiente, pertanto uno dei due mi ha tirato indietro i capelli e me lo ha strappato di dosso. L’altro compagno mi ha strattonato violentemente, per poi spingermi via. Ho sbattuto la testa contro il tronco di un albero, e da lì non ho più alcun ricordo.». A quel punto, una timida lacrima le rigò la guancia sporca di terra.

    Ci fu un momento di profondo silenzio.

    Alexander sapeva di aver ascoltato una delle storie più tristi che qualcuno gli avesse mai raccontato, e, all’idea che la ragazza si fosse confidata così tanto con lui, una persona appena incontrata, non riuscì a non provare compassione. Le prese delicatamente la mano, e le accarezzò il dorso: «Ora siete al sicuro. Mi prenderò cura di voi.».

    Lei lo guardò, e i suoi occhi grigi si riempirono di lacrime. Si gettò sul principe e lasciò andare tutte le emozioni che a fatica aveva trattenuto.

    ***

    I palafreni tornarono alla fortezza più che stremati, dopo la lunga galoppata a cui Claus e Ginevra li avevano spinti.

    I due Robestin avevano deciso di rientrare a Varmire e intraprendere una ricerca con altre guardie reali all’interno di Oltreterra, quando, giunti alle scuderie, trovarono uno degli stallieri occupato a strigliare Alters, il purosangue con il quale Alexander era scomparso.

    «Al suo ritorno, era solo o c’era anche il principe?» domandò Claus, con grande trepidazione.

    L’uomo pareva perplesso: «C’era anche il principe, ovvio. È stato lui a portarlo da me.».

    Finalmente Ginevra e Claus poterono tornare a respirare… Poi, dopo aver riflettuto sulle parole dello stalliere, si scambiarono uno sguardo sorpreso.

    «Alexander lo ha riportato a casa?» ripeté la ragazza, per avere conferma del fatto

    «Proprio così! Per la prima volta, ho visto Alters tranquillo con uno sconosciuto!» sorrise, e accarezzò il muso dell’animale «C’era anche una fanciulla con loro.».

    Claus sollevò le sopracciglia: «Fanciulla?»

    «Sì, il principe Alexander l’ha subito accompagnata in infermeria… Non so chi fosse, ma non sembrava affatto stare bene…».

    Padre e figlia, a quel punto, gli passarono le rispettive redini, lo ringraziarono per le informazioni ottenute, ed entrarono velocemente nel castello.

    CAPITOLO TRE

    «Questo posto è splendido…» mormorò Olasis, mentre lei e il principe passeggiavano per i corridoi del castello.

    Per tranquillizzarla un po', Alexander aveva pensato di farle visitare la fortezza di Varmire.

    Durante la camminata, stavano incontrando molte persone, e ciascuno di loro li salutava con gentilezza e riservatezza: il principe aveva notato come già solo il contatto umano stesse rendendo il viso della lady pian piano più solare.

    In quel momento, passarono accanto a un dipinto appeso alla parete: raffigurava il villaggio di Varmire durante uno dei pochi inverni nevosi.

    «L’ha realizzato mia sorella.» spiegò allora lui «Ha un certo talento nel campo artistico.»

    «La principessa Ginevra…» i suoi occhi vagavano tra i dettagli di quell’opera che Alex aveva già visto innumerevoli volte «Dicono sia una delle fanciulle più belle del territorio, non soltanto di Varmire.».

    «Sì, posso dire che sia una bella ragazza.»

    «E andate d’accordo?».

    Lui annuì: «A volte sembriamo acqua e fuoco, ma entrambi abbiamo bisogno l’uno dell’altra.».

    La giovane sorrise, e riposò il proprio sguardo sul principe: «Raccontatemi qualcosa di voi.».

    Alex fu colpito dalla richiesta: «Di me? Non saprei cosa dire…»

    «Siete l’erede al trono di questo reame. Immagino abbiate una vita molto interessante.»

    «Mi state sopravvalutando.»

    «Raccontatemi qualcosa, e allora potrò confermare o meno la vostra risposta.». Rise, e ad Alex piacque la sua risata: gli ricordò una soleggiata giornata di primavera.

    «Mia signora, se insistete tanto, non posso rifiutare…» congiunse le mani, e pensò a cosa raccontare di sé «Come ben sapete, mio padre, Claus Robestin, è il sovrano di Varmire, e io e mia sorella erediteremo insieme questo reame… Oltre a ciò, posso dire di essere cresciuto in una famiglia mista: ci sono persone con le quali non ho legami di sangue, ma che comunque considero fratelli. Si tratta, in particolare, di Laila Torfalk e di Xavier Moonson, i miei più cari amici. Xavier lo conosco da dieci anni: è giunto a Varmire dall’ormai decaduto Regno di Ambra. Io, Ginevra e Laila, invece, siamo sempre stati insieme sin da infanti, dato che mio padre ha preso con noi Laila dopo che i suoi genitori sono morti… Anni fa, infatti, a Varmire c’è stata una guerra…»

    «Sì, so la storia…» lo interruppe timidamente lei «Potete anche non parlarne, se il ricordo vi procura ancora molto dolore.»

    Alexander si fermò davanti una finestra, piuttosto turbato: «Non ne parlo perché… Non ricordo. Le mie memorie, sebbene abbia vissuto quella battaglia, sono scosse, offuscate, frammentate. Certi avvenimenti dovrebbero restare segnati in un essere umano, invece io rammento solo mio padre. Lui aveva la spada in una mano, e una neonata nell’altra: quella bambina era piccolissima, e non smetteva di piangere. Riusciva quasi a coprire le urla e il cozzare di spade che si udivano, quel giorno, per tutto il reame.» gli tornò allora in mente la prima volta in cui lui e Laila, all’epoca in fasce, si erano guardati negli occhi «Mio padre mi invitò a seguirlo, e raggiungemmo maestra Penelope, nascosta nella sorvegliatissima Sala del Trono insieme ad altre donne, nobili e non. La saggia, con mia sorella profondamente addormentata tra le braccia, accolse anche me e Laila. Prima di fuggire via, il Re mi salutò con un abbraccio, e disse a Penelope che sarebbe dovuto andare.». E dopo quel punto, i suoi ricordi iniziavano a non essere più chiari…

    Lady Olasis sospirò amareggiata: «Immagino che vi siate sentiti abbandonati dai Cinque Dei, ma sappiate che agiscono sempre per uno scopo, e lo fanno in modi duri, alle volte. Anche la morte di mia sorella è stata per me un’ingiustizia, eppure so che adesso lei si trova in un posto migliore, lontana dalla sofferenza.».

    Lui si sentì piuttosto intimidito dalla sua grande devozione: «Voi avete un buon cuore…»

    «No, non ditelo. Ho avuto pensieri cattivi contro gli Dei fino a poche ore fa… E avrei continuato, se non fosse avvenuto l’incontro con voi, che mi avete condotta in questo posto pacifico che è Varmire.».

    Alexander la osservò con maggior attenzione: era una fanciulla dalla bellezza innocente. I capelli le incorniciavano morbidamente il viso gentile e puro, ed erano tanto lunghi da accarezzarle la fine della schiena. Quando sorrideva, le brillavano gli occhi grigi, onesti come il carattere che aveva mostrato di avere.

    «Principe Alexander…».

    Lui si ridestò, spaventato all’idea di averla fissata in maniera strana e di averla messa a disagio.

    «Voi siete… Diverso.»

    «In che senso?». Il giudizio di lei cominciò allora a premerlo.

    «Vi siete confidato con me senza preoccuparvi che io possa essere a conoscenza del vostro turbamento… E voi mi avete ascoltato quando, al vostro posto, forse nessuno lo avrebbe voluto fare.».

    Alex si rese conto di essere stato colpito da Olasis Parcille. Nel suo piccolo, era una giovane lady piena di coraggio.

    Stava per rispondere, quando qualcuno di familiare lo chiamò per nome.

    Claus, Penelope, Laila, Xavier e Ginevra, tutti presenti, nel momento meno opportuno. Il principe non sapeva se apprezzare il loro interessamento, o se maledire quell’intrusione dovuta alla curiosità per la nuova arrivata.

    «Alexander caro, ti avevo raccomandato di prenderti cura di…» fece Penelope, che subito dopo sorrise a Olasis «Io sono maestra Penelope. Qual è il tuo nome, tesoro?».

    La lady contraccambiò il sorriso: «Olasis Parcille, signora.».

    L’anziana annuì dapprima con dolcezza, per poi puntare l’indice contro il principe, cambiando completamente espressione: «Alexander, mi avevi assicurato che ti saresti occupato di Olasis!»

    «È quello che stavo facendo!» ribatté lui, sollevando le mani.

    «È ancora troppo debole, avresti dovuto lasciarla riposare…»

    «Oh, no, mi sento già molto meglio.» lo difese lei «Inoltre, il principe Alexander è stato cortese con me.». Non appena si accorse del sovrano, s’inchinò al suo cospetto. Olasis poteva anche non appartenere più alla nobiltà, eppure, probabilmente, avrebbe continuato a comportarsi come tale per

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1