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In viaggio con il chierico. Letture a sobbalzi tra rotoli del Salterio, dogmi e vangeli
In viaggio con il chierico. Letture a sobbalzi tra rotoli del Salterio, dogmi e vangeli
In viaggio con il chierico. Letture a sobbalzi tra rotoli del Salterio, dogmi e vangeli
E-book841 pagine10 ore

In viaggio con il chierico. Letture a sobbalzi tra rotoli del Salterio, dogmi e vangeli

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L'origine della religione cristiana tra il mito e la storia. Il passaggio dall'ebraismo del Salterio alla Parola dei Vangeli, infatti, viene osservato in un elaborato processo evolutivo, dettato da mutate condizioni storiche ed economiche, susseguenti alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, da parte dei Romani, e alla massiccia diaspora che ne è derivata, determinando un'enorme delusione per la mancata instaurazione del Regno di Dio in terra, con l'attesa del Messia, accompagnata da un'angosciosa ricerca, da parte dei fuoriusciti, Eletti di Dio, di una nuova identità, sia religiosa che politica.

In un naturale cambio generazionale, la esuberanza dei giovani contro l'inalterabilità dei vecchi, alla Religione dei padri sembra succedere quella dei figli che, come da canoni rivoluzionari, respingono il superato rigore dei riti e dei precetti del Tempio, rendendosi disponibili, per di più, a osare qualsiasi trasgressione, fino ad accettare la "contaminazione" con altri modelli religiosi, che culminano nella figura di un Soter, Salvatore, figlio di Dio, che viene offerto come capro espiatorio, unico e per sempre.

Questa nuova culturalità, mettendo fine a tutti i sacrifici di animali, sposta la centralità del culto divino dal Tempio ad ogni singolo individuo, che vive una nuova esperienza religiosa nel semplice ricordo di quel sommo sacrificio, che può praticare in ogni momento e in ogni angolo della terra, nel modo di adattare la sua quotidianità ad altre cadenze di stagioni, in mezzo a tanta diversità di genti, interpretando le sue relazioni sociali, sia da uomo libero che da schiavo, tutte finalizzate alla sua salvezza eterna.
LinguaItaliano
Data di uscita27 feb 2019
ISBN9788831605892
In viaggio con il chierico. Letture a sobbalzi tra rotoli del Salterio, dogmi e vangeli

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    Anteprima del libro

    In viaggio con il chierico. Letture a sobbalzi tra rotoli del Salterio, dogmi e vangeli - Stefano Giacomo Iavazzo

    Bloch

    INTRODUZIONE

    Il Cristianesimo, da secoli, affonda le sue radici nella storia, mostrando come un iceberg solo la punta della sua origine, sottratta quasi per dogma al ciclo di nascite e di morte che da sempre segna la vita.

    La sua formazione è così composita che ficcare il naso nelle sue molteplici incongruenze sembra quasi un attacco dichiarato alla sua verità di fede, portato avanti da miscredenti o, peggio ancora, da atei che, da nemici giurati, sembrano si ostinino a essere avversi per partito preso, quando, invece, cercano di portar chiarezza e convincimento prima a sé stessi, come a ragionar con passione e non ad aver passione senza ragione, mentre si propongono l’unico obiettivo non quello di persuadere ma di far riflettere.

    Il presupposto storico non può essere, perciò, risolto come una condizione capziosa, dal momento in cui tutta la dottrina cristiana è impiantata sulla morte e resurrezione di Gesù Cristo, da cui deriva che se non fosse risorto, come dice Paolo di Tarso, vana sarebbe ogni fede.

    La verità rivelata, in questo caso, ha necessità di linearità di linguaggio e di comportamenti, come impose Costantino, nel Concilio di Nicea, il quale a tale scopo mandò in missione, per tutto l’Impero, con mezzi di trasporto che si immaginano, soprattutto, carri, pieni di rotoli e pergamene, trascrizioni di quanto era stato sancito nel Concilio niceno, i chierici, ad istruire e a far partecipe il popolo di Dio, in modo univoco, della dottrina di fede, come risultante del pensiero dominante, avvertendo, altresì, che si dichiarava eresia, con conseguenze adeguate, ogni altra teoria non conforme o, per qualche verso, discostante.

    I chierici, quindi, sono rappresentanti ieratici di una religione, della cui visione devono conservare la storia, nel mondo, per perpetuare la memoria, tramite i riti e le pratiche cultuali, necessaria a mostrare la loro fede, nel convincimento di altri a quella che loro ritengono la sola verità, avvolta quasi sempre nel mistero.

    Per la qual cosa si ritengono detentori di impenetrabili segreti, vivendo, nella loro società, un ruolo di privilegio, differenziato nel loro ordine gerarchico, in base ad un presunto grado di conoscenza e di santità.

    Per questa ambizione di raggiungere il grado più elevato, il sistema si consolida sull’obbedienza cieca, supportata da dogmi e castighi divini, inibendo qualsiasi desiderio, lontano dai precetti, concepito anche solo con la mente.

    Secondo il diritto canonico, perciò, il chierico è incaricato di portare la parola di Dio, colui che ha il compito di amministrare i sacramenti, sacerdote, in senso proprio, contrapposto a laico. Per di più vien inteso persona avviata al sacerdozio e che già indossa l'abito talare, la stessa che, prima dell'attuale riforma, era obbligato al rito della tonsura, oggi soppresso. Prima della riforma del Concilio Vaticano II, difatti, era chierico anche l'uomo che, pur non avendo ancora ricevuto gli Ordini maggiori (suddiaconato, diaconato, presbiterato ed episcopato), era già considerato come facente parte del clero, in quanto aveva ricevuto uno o più ordini minori, godendo della rendita di un beneficio ecclesiastico, per la qual cosa veniva giudicato, in caso di reati, da uno specifico tribunale ecclesiastico in base al privilegium fori.

    Proprio a significare questa distinzione rispetto al resto del popolo, gli veniva rasata la parte superiore della testa, tramite il rito della tonsura, per la qual cosa anche la parte rasata del capo, soprattutto, in alcune regioni d'Italia, veniva chiamata chierica.

    Tra gli Ordini Maggiori viene compreso l’episcopato, che deriva dal greco "episcopo, che significa supervisore, sorvegliante".

    Segue il presbitero, dal greco presbýteros, più anziano, dal latino presbite, il diacono, il suddiacono, con funzioni minori e secondarie.

    Tra gli ordini minori è da ricordare l’Ostiario, letteralmente 'portinaio', dal latino ostium – porta, molto importante durante le persecuzioni e molto più simile al levita dei giudei. Segue il lettore, capace di leggere testi della sacra Scrittura, in particolare il Vecchio testamento, e l’esorcista, capace di pratiche e riti, nello scacciare una presunta presenza demoniaca o malefica, da una persona, un animale o da un luogo, utilizzando preghiere, formule prestabilite, gesti, simboli e anche icone, reliquie, oggetti benedetti. LAccolito, invece, è abilitato al servizio dell'altare, soprattutto nel servir messa.

    Per estensione, il termine chierico vuol dire dotto, opposto, allo stesso tempo, a laico, che designa l'uomo del popolo, cioè il volgo.

    A partire dal Medioevo, con il termine chierico, quindi, ci si riferiva anche a persone dedite ad attività intellettuali e culturali, che studiavano il latino classico e lo parlavano, finanche, tra loro.

    D’altra parte, soprattutto, nel Medioevo, come anche dopo, gli intellettuali si formavano nell’ambito della Chiesa, così che, per potersi dedicare completamente allo studio, per garantirsi una continuità nella formazione, venivano vocati seminaristi in uno degli ordini minori.

    Il filosofo e scrittore francese, Julien Benda , invece,utilizzò, nei suoi scritti, il termine chierico con l'accezione di intellettuale, che era in organico al potere, persona anche colta, al servizio dei potenti.

    In particolare, nel romanzo "L'ordination (1910/1912) e nel famoso trattato La Trahison des Clercs" (Il tradimento degli intellettuali, 1927) lamentò, polemicamente, la tendenza degli intellettuali, suoi contemporanei, a tradire la loro posizione nella totalità del valore, obiettivo, della giustizia e della democrazia,mentre si concentravano, sempre più, su passioni politiche più locali e del momento, come la lotta di classe, il nazionalismo e il razzismo.

    Su e giù per le città dell’impero, i chierici furono strumenti della divulgazione, delle delibere adottate, prime tra tutte, nel Concilio di Nicea I, senz’altro, deputati a fare da interpreti dell’unità dell’Impero romano, secondo l’intento di Costantino, capaci di rendere, forse, anche più semplice la comprensione dell’homoousion, consubstantialem, della stessa sostanza, del Padre e del Figlio.

    Nel secondo medioevo, ma già prima, i falsari di documenti, avendo possibilità di leggere e scrivere, si rivelarono tutti membri del clero, chierici, per l’appunto, tanto che i documenti falsi superavano, di gran numero, quelli autentici.

    Tutto accadde in quanto i vescovi monopolizzarono la cultura, diventando, allo stesso tempo, custodi del sapere e consiglieri e cancellieri imperiali, comunque, di potere, in generale, fino a inventarsi la donazione di Costantino, intesa ad elevare i membri della chiesa, i chierici, alla gloria del Senato.

    La tendenza a falsificare i testi, durante i primi secoli di esistenza della chiesa, diventò, ad un certo punto, talmente sregolata che si rese necessario coniare larguzia della pia fraus.

    In uno dei suoi lavori, Eusebio ha redatto questo significativo paragrafo intitolato: "Non c'è nulla di più legittimo e di più idoneo che usare la menzogna come medicina per il beneficio di coloro che desiderano essere ingannati."¹

    Wheless chiama pure Giustino Martire, Eusebio e Tertulliano i "tre illuminati bugiardi."² Secondo Keeler: I primi padri cristiani erano estremamente ignoranti e superstiziosi; essi erano particolarmente incompetenti a trattare con i concetti del sovranaturale.³

    La Catholic Encyclopedia denuncia, in continuazione, l’uso smoderato che si è fatto di tali falsità.

    Anzi, alcuni grandi padri della chiesa, come, ad esempio, Eusebio di Cesarea, furono apertamente incoraggiati, dai loro contemporanei, a raccontare storie, riguardo a quello che il Signore avrebbe detto o avrebbe fatto, durante il suo soggiorno terreno.

    Nella doppia veste di chierici, in qualità di religiosi e di uomini di lettere, perciò, sono da considerare gli evangelisti, che sembrano attenersi, scrupolosamente, al ruolo definito da Benda, quello che impedisce di tenere una posizione, emotivamente e convenientemente, equidistante da quella missione in cui vennero coinvolti, tramite la rivelazione che, invece, doveva emergere con la sola forza della verità.

    Per questo, tutti gli eventi che narrano vengono arricchiti, in maniera anche forzata e, spesso, privi di nesso con la realtà, tramite parole, frasi ed episodi che diventano, banalmente errati, sia storicamente che geograficamente, dando notizie, decisamente inadeguate, sul piano della testimonianza, anche dottrinale, concentrandosi solo su riferimenti biblici. 

    Tutto il racconto della vita di Cristo, intanto, è rattoppato di profezie, da cui non ha scampo, facendo mancare all’umanizzazione della divinità il punto di forza del libero arbitrio, che appartiene ad ogni uomo, nel suo rapporto con Dio, al fine di poter determinarsi nel premio e nel castigo, a seconda della sua fedeltà.

    Cristo, infatti non muove un solo passo se non è contemplato, come in un copione, nelle profezie del Vecchio Testamento, dalla nascita a Betlemme fino alla morte in croce, dovendosi inventare la resurrezione, nel momento in cui non era ancora contemplata, dai profeti, sopraggiunta con la redenzione dei peccati, dopo la svolta paolina.

    I vangeli, perciò, sembrano strumenti di apostolato, intesi a sostenere testimonianze storiche a favore delle dottrine cristiane, presentando Gesù, prima, come Messia, nato nel paese di David, e poi figlio di Dio, fattosi uomo per morire sulla croce, come sacrificio in redenzione del peccato di tutto il genere umano.

    Gli evangelisti, per questo, si sono serviti di ogni fonte e di ogni mezzo, per affermare la loro verità, prima in un senso, poi, in un altro, abusando delle profezie, della reticenza, dell’omissione, della contraffazione,

    dell’incongruenza, propria dei riferimenti storici, della contraddizione, della falsificazione, dell’interpolazione, proprio come era prescritto nel ruolo degli evangelisti, istruiti ad essere, soprattutto, chierici, così che fossero idonei,

    prima di essere utili alla causa, allo specifico compito di servir messa, nel ricordo, sconclusionato, dell’ultima cena.

    Non a caso i primi tre vangeli sono definiti sinottici, in quanto, se sono concordi, usano addirittura le medesime parole, come sotto dettatura di un unico insegnante, diversamente sembrano aver assistito ad avvenimenti differenti o da una prospettiva tale che li porterebbe a non poter giurare su quella versione data.

    Giovanni, invece, nel suo vangelo, sembra aver seguito Gesù che andava in tutt’altra direzione, in quanto incontra gli altri tre come ad un crocevia, dove si riconoscono, per qualche breve istante, come quelli che stanno facendo lo stesso percorso, per poi proseguire ognuno per la propria strada.

    Per di più, il vangelo di Giovanni è capitato, tra i canonici, per ultimo e per caso, in quanto pur risultando un evangelista indisciplinato, un chierico fuori dal coro, fu accolto solo perché era stato decisivo a far raggiungere ai vangeli il numero di quattro, né uno in più né uno in meno, per coprire i quattro angoli della terra, che, allora, si pensava piatta.

    Gli stessi Padri della Chiesa sono definiti, dal Cristianesimo del V secolo, i principali scrittori cristiani, rappresentando quella parte di chierici, istruiti e devoti, il cui insegnamento, relativo alla loro conoscenza, era ritenuto fondamentale per la dottrina della Chiesa. I loro scritti formano, infatti, la cosiddetta letteratura patristica.

    Eusebio, in particolare, è famoso per la sua Storia ecclesiastica, primo tentativo di redigere una cronistoria delle vicende della chiesa, dalle origini al periodo in cui egli stesso viveva.

    Sfortunatamente, lo storico Eusebio è conosciuto anche nella sua veste di chierico, in quanto intellettuale al servizio dell’Imperatore Costantino, essendo uno dei pochi, se non l’unico, ad aver accesso agli archivi imperiali, fino a decidersi a diventare un falsario, a fin di bene, è fortemente sospettato di aver interpolato e manomesso i testi originali, per renderli conformi ai canoni della storicità e alla congruenza delle dottrine cristiane, per la qual cosa, le sue opere risultano apologetiche e, alquanto, tendenti ad essere inadeguate alla verità.

    Non per niente, Eusebio fa fatica ad essere ritenuto un grande storico, titolo che, oltretutto, lo scrittore si impegna, anche molto, a guadagnarsi, soprattutto, quando riconosce:

    "in questa storia presenteremo in generale solo quegli eventi che possono risultare utili prima a noi stessi e poi ai posteri"

    Se in taluni casi, come questo, Eusebio può essere tacciato, tutt’al più, di omissione, in un passo, in particolare, legittima, senza scrupoli, la pia frode, quando, proprio nella sua "Preparazione evangelica", afferma :

    Può essere lecito e opportuno utilizzare la falsità come medicina, per il beneficio di coloro che vogliono essere ingannati

    M. Mangasarian nella conferenza The Truth about Jesus: "Lo storico della chiesa Mosheim scrive che ‘i padri cristiani ritenevano un atto pio quello di impiegare l’inganno e la frode".

    Aggiunge, inoltre: I maestri, anche i più grandi ed i più pii, erano tutti affetti da questa lebbra. Nessun credente ci dirà mai perché la frode e l’inganno fossero necessari, per dimostrare la storicità di Gesù....

    Alcuni grandi padri della Chiesa, furono apertamente incoraggiati a mentire su ciò che stavano scrivendo, in merito alla dottrina cristiana.

    In uno dei suoi lavori, lo stesso Eusebio ha redatto un significativo capitolo intitolato: Non c’è nulla di più legittimo e di più idoneo che usare la menzogna come medicina per il beneficio di coloro che desiderano essere ingannati.

    Così, poiché Gesù aveva necessità di essere storicizzato, fa ricorso ad una testimonianza, incredibile, resa da Gesù stesso, quale prova della sua storicità, con delle lettere, nientemeno, autografate.

    Gesù, è risaputo, nella migliore tradizione misteriosofica, non ha lasciato nulla di scritto, nessun promemoria, da poter essere usato dai suoi discepoli.

    A prova di quanto asserisce, pertanto, Eusebio riporta, nella Historia Ecclesiastica, la Leggenda di Abgar", una leggenda di cui lui stesso si dichiara fermamente convinto, riguardo ad una corrispondenza, intercorsa, tra Gesù ed il potente di Edessa, Abgar.

    La documentazione comprende, perciò, la lettera di Abgar, la risposta, a questi, di Gesù ed un’immagine, del Salvatore, dipinta dal vivo⁸, come risulta nell’Enciclopedia Cattolica.

    Da questa falsificazione del vescovo, Eusebio, da cui derivò la storia di Taddeo ad Edessa, si generarono altre leggende, da cui le cinque lettere scritte da Abgar a Tiberio, come ai regnanti limitrofi, nelle quali si confermano garantiti i poteri, terapeutici, di Gesù, mentre l’imperatore dichiara senza alcun dubbio: Pilato ci ha ufficialmente informato dei miracoli di Gesù⁹.

    Eusebio di Cesarea è coinvolto anche nella credenza diffusa che vuole l’imperatore Costantino abbia chiesto di essere battezzato, poco prima di morire.

    Al di là di ogni ricerca storiografica, occorre evidenziare che, secondo la tradizione cristiana, la conversione dell’imperatore, suddetto, si sarebbe già verificata nel 312 d.C., a causa di quel segno divino, capitato durante la campagna militare che Costantino stava conducendo contro Massenzio e che ebbe il suo epilogo nella famosa battaglia di Ponte Milvio.

    Poi, guarda caso, i due testimoni principali che raccontano questo prodigioso evento sono entrambi uomini di chiesa, nella veste di chierici, per eccellenza,qui propriamente accoliti, nel compito, disciplinato, di servir messa.

    Si tratta di Lattanzio, nel De mortibus persecutorum, e, ancora, di Eusebio di Cesarea, nella sua, ossequiosa, Vita di Costantino.

    Lattanzio, perciò, racconta di un sogno miracoloso, nel quale l’imperatore avrebbe ricevuto l’ordine di far disegnare sugli scudi, dei propri soldati, un emblema divino, che potesse rassicurare sull’esito della battaglia finale.

    Eusebio, ad ogni modo, fornisce una versione in parte diversa, esponendo un racconto, sospetto, più particolareggiato, rispetto a quello più succinto di Lattanzio.

    Il vescovo, infatti, aggiunge, al sogno, un fenomeno celeste, apparso in cielo, in pieno giorno, a cui, per di più, aveva assistito tutto l’esercito.¹⁰

    Si tratta, evidentemente, del labarum, vale a dire l’emblema militare, che riporta le iniziali di Cristo e che, da Costantino in poi, sarebbe diventato uno dei simboli principali del nuovo impero cristiano.¹¹

    Lattanzio, invece, parla solo di una X, attraversata da una linea perpendicolare con la sommità piegata. E’ una figura, in effetti, che solo pochi storici riconoscono come il labarum.

    Ma la cosa curiosa è che, nella Storia Ecclesiastica, la sua opera più famosa, scritta molto prima della Vita di Costantino, lo stesso Eusebio non fa alcuna menzione di questo prodigioso segno divino, apparso a Costantino, come a innumerevoli testimoni, che, oltretutto, citandolo, sarebbe stato molto utile, ai fini della causa cristiana.

    Inoltre, la prima moneta, su cui si rappresenta il labarum, risale al 327 d.C., ben quindici anni dopo il prodigio, mentre si continuava a coniare, sulle sue monete, immagini di divinità pagane.

    Costantino, in effetti, non aveva mai smesso di adorare il Sole, come dimostrano le numerose e comunissime serie di suoi folles, coniati sin dal 320 d.C., il cui rovescio porta una legenda che non adito a dubbi: Soli Invicto Comiti.

    Certo, se i vangeli fossero stati più credibili, privi di ogni sospetto, la Chiesa non avrebbe dovuto sempre rincorrere, in affanno, ad inventare tutte le prove, per cercare di rimediare a qualche strafalcione, sia storico che dottrinale.

    Allo stesso modo, non ci sarebbero state tante interpretazioni, dove ognuna si imponeva come la più giusta, dando luogo a quegli estremismi di fede, dove ognuno era disposto a farsi ammazzare, come pure ad ammazzare, nella convinzione che stesse combattendo chissà quale sacrilega eresia.

    I chierici, perciò, hanno rappresentato i punti di forza di un sistema dottrinale, dal momento in cui sono dotati di conoscenza esoterica, per interpretare i codici del divino, che viene rivelato a loro, esprimibili solo in un linguaggio di rito che, se anche conosciuto da pochi, riesce ad intercedere a beneficio di molti.

    Quasi ad eseguire un ordine di scuderia, perciò, anche Paolo sostiene la frode a fin di bene, quando nella lettera ai romani afferma: Se ad opera della mia menzogna tanto più rifulge la gloria di Dio, perché mai dovrei ancora essere giudicato peccatore?¹².

    I chierici, sia come uomini di Chiesa che come dotti, inoltre, si resero protagonisti, alcuni anni dopo, con l’Editto di Tessalonica, quando furono

    Nel 391-392, i Decreti teodosiani intensificarono le condanne contro i culti pagani e i loro aderenti, dando sfogo ad una vera e propria persecuzione contro il paganesimo.

    A questo scopo, furono distrutti molti templi e vennero giustificati atti di violenza, anche uccisioni ai danni di membri della religione avversaria. Tra questi, si deve ricordare la distruzione, nel 392 circa, del Serapeum di Alessandria, ad opera del vescovo della città, Teofilo, che, alla guida di un esercito di monaci, provocò l'uccisione di numerosi pagani, mentre erano intenti alle loro funzioni sacre.

    A questo, poi, subentrò Cirillo, che interpretò la sua carica episcopale oltre ogni misura, imponendo il terrore tra i pagani, fino ad organizzare, contro di loro, vere squadre della morte, sottoponendo al martirio chiunque non volesse convenire alle sue dottrine di fede, sentenziando giudizi di pena per quanti egli ritenesse animati dallo spirito del demonio, come nel caso della filosofa e scienziata Ipazia d’Alessandria.

    Inoltre, l'arcivescovo Giovanni Crisostomo organizzò una spedizione di asceti fanatici, ad Antiochia, per distruggere i templi e massacrare i fedeli, mentre il vescovo Porfirio di Gaza faceva radere al suolo il famoso tempio di Marnas.

    Nel 423, Teodosio II dichiarò che tutte le religioni pagane non erano altro che culto del demonio ed ordinò, per tutti coloro che si ostinavano a praticarle, punizioni severe, come il carcere e la tortura.

    Successivamente, l'imperatore, Valentiniano III, emanò, nel 445, un editto che determinò l'affermazione dell'autorità e del primato, da parte della sede vescovile di Roma, in Occidente.

    Così, Giustiniano impose pesanti restrizioni a tutte le religioni non cristiane. Nel 527, pertanto, tutti gli eretici e i pagani persero le cariche statali, i titoli onorifici, l'abilitazione all'insegnamento e gli stipendi pubblici, come pure il possesso di beni mobili ed immobili.

    Nel 529, fu imposta, di fatto, la chiusura della scuola filosofica di Atene, ultimo centro di eccellenza, ancora attivo della cultura pagana, e a Costantinopoli, in Asia Minore, i pagani, ancora numerosi, furono costretti al battesimo.

    L'editto di Tessalonica è ritenuto, da molti, un provvedimento grave, in quanto avvia un processo in base al quale "per la prima volta una verità dottrinale veniva imposta come legge dello Stato e, di conseguenza, la dissidenza religiosa si trasformava giuridicamente in crimen publicum: ora gli eretici potevano e dovevano essere perseguitati come pericolo pubblico e nemici dello Stato".¹³

    Il chierico, perciò, fa un po’ da guida in questo viaggio, nella doppia veste di chi conosce le formule del rito come i codici del vivere civile, riuscendo ad adattare le une agli altri, in un ordine cosmologico, che nella sua duplice competenza fa in modo di far credere che l’uno dipenda dall’altro.

    Si incarica, perciò, di scrivere la storia, come al solito, da parte dei vincitori, dove sono determinati buoni e cattivi, gettando ombre su personaggi, pagani, poco favorevoli alla dottrina cristiana, come Marco Aurelio, Adriano e Giuliano, detto l’apostata, appunto, in quanto con l’Editto di tolleranza voleva ripristinare la libertà di culto, proprio per rispettare il credo di tutti.

    Il chierico ha dimostrato, pertanto, solo di essere prigioniero del suo disegno divino, di cui conserva, maliziosamente, per finta e per veri che siano, tutti i misteri.

    Dopo tanto ragionare sulle cose di Dio e degli uomini, si può ammettere solo una onesta resa, in quanto lo studio risulta alquanto infruttuoso, rispetto alle aspettative, non avendo prodotto neppure un tanto di risultato sperato, per quanto riguarda la verità storica, che sembra essere alla base della dottrina cristiana, con le parole di Paolo di Tarso che, oltretutto, non fa mai accenni alla vita terrena,

    contesto storico e contemporanei, di Gesù: Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede.¹⁴

    L’umanizzazione della divinità di Cristo era stata necessaria, perché come Dio risultasse incarnato, così che morisse e, dopo tre giorni, risorgesse alla

    gloria del Padre, adattando i vangeli a falsificazioni sacerdotali, come minimo, un secolo successivo agli eventi.¹⁵

    A conclusione di ogni intento di evidenziare l’errore, specificamente, storico, come quello capace di sottrarre la ragione a qualunque dogma di fede, che la chiesa cristiana, prima, e quella cattolica, poi, ha imposto come verità rivelata, non si può che convenire con Freud, quando sostiene che la forza della religione, come di qualunque altro sistema, magico e religioso, non si basa sulla sua verità concreta, che è quasi sempre non dimostrabile, quanto nella sua affermazione storica, valutabile sugli effetti e sulle conseguenze che questa ha determinato, tramite il culto, sul piano storico e sulle capacità di trasformazione di una cultura, sul piano etico, economico e sociale.

    La terra di Sion

    La Terra Santa, che era stata ricevuta in dono come terra promessa, secondo la narrazione della Bibbia, non viene mai considerata, da parte del popolo di Israele, una terra di conquista, in quanto, sin dal primo momento, è sempre rimasta proprietà del suo Dio, JHWH, compresi tutti coloro che lì fossero vissuti.

    Dal punto di vista giuridico, Dio aveva loro assegnato, come nacha-lah, vale a dire, sempre e solo, in usufrutto, come possesso, quindi, non come proprietà, le quote di terra tra tutto il popolo di Israele, quando, dopo che si era consumato nella schiavitù, in terra d'Egitto, lo aveva guidato fino alla sua propria terra, dove scorrevano latte e miele, con quel diritto di bene che poteva essere lasciato in eredità, ai loro figli e alla loro discendenza, in cui era incluso un criterio di giustizia, dettato da Mosè nella attribuzione delle quote, attraverso la ridistribuzione delle ricchezze.

    Sul Sinai, dunque, durante il suo patto d'alleanza con Israele, Dio aveva subordinato la permanenza, del popolo eletto, nella Terra Santa, a condizione che seguisse, per intero, le prescrizioni della Torah.

    La Torah, a sua volta, associava ogni tipo di salvezza, proprio, alla permanenza in Terra Santa, minacciando chiunque non avesse rispettato questa condizione, con tremendi castighi, fino alla pena di morte.

    Anzi, in caso di tradimento, l'intero popolo, di Israele, poteva subire l'espulsione dalla terra di Dio, che equivaleva a privarlo del presupposto, concreto, della propria esistenza e della propria salvezza.

    In esilio, infatti, non esisteva alcuna terra di Dio.

    Come poter dare torto, quindi, al popolo di Israele, nel momento in cui viveva questo rapporto privilegiato con Dio, suggellato da questo dono di vita, chiamato a far rispettare questo sacro vincolo, oltre che per un interesse utilitaristico, anche per una infinita riconoscenza, dal momento in cui, insieme alla sua proprietà, per forza di cose, Dio difendeva gelosamente anche coloro che la coltivavano.

    D’altronde, in quanto proprietario della Terra Santa, a Dio appartenevano i frutti della terra, anche se, nella Torah, egli aveva deliberato che i frutti andassero a favore di coloro che li producevano.

    Solo una, minima, parte di questi frutti, si chiedeva che fosse offerta al proprietario della terra, non, certo, per il suo proprio sostentamento ma come espressione, rituale, del riconoscimento di devozione e dei rapporti di proprietà esistenti.

    In sostanza, quelle parti dei frutti, della Terra Santa, offerte a Dio, i sacrifici e le altre offerte cultuali, dovevano andare, ancora una volta, per lo più, a vantaggio degli stessi israeliti. In tal modo, veniva soddisfatto, da una parte, il personale addetto al culto, dall'altra, i membri della popolazione di Israele che fossero sprovvisti di reddito, tutti coloro, cioè, che avevano bisogno di aiuto, da parte della comunità, compresi i forestieri, che si trovassero, per qualsiasi motivo, in Terra Santa.¹⁶

    La condivisione di Dio, dei frutti della Terra Santa, si concretizzava nei prodotti dell'agricoltura, soprattutto nell'offerta delle primizie, di tutto ciò che si produceva.

    Già, da subito, riservandosi il diritto in natura, la nascita del primo figlio, maschio, doveva essere

    ossequiata con il sacrificio di un animale, come risulta dal racconto del sacrificio di Isacco, da parte di suo padre Abramo,¹⁷ tramutato, poi, più sensatamente, con offerte di mucche, pecore e capre, nonché con l'annuale offerta, delle primizie, delle colture di cereali, vigneti e oliveti, poi anche di palme da dattero, fichi e altri alberi da frutta, oltre che di prodotti orticoli.

    L' occasione, delle offerte, veniva data dalle tre "feste di pellegrinaggio", le cui celebrazioni venivano dopo la maturazione dei frutti stagionali, quando tutti gli uomini di Israele, abilitati al culto, dovevano riunirsi nel Tempio di Gerusalemme.

    Queste feste coincidevano, in primavera, con la festa degli Azzimi, connessa alla raccolta dell'orzo, corrispondente, per lo più, alla Pasqua, con la festa delle Primizie del grano, sette settimane più tardi, e con la festa delle Capanne, in autunno, per le primizie di tutti quei prodotti, della terra, che maturavano nella stagione autunnale.

    Parti di queste offerte, allora, venivano bruciate sull'altare dell'olocausto, altre distribuite ai sacerdoti e ai leviti che, come personale incaricato, al culto, non possedevano una propria porzione di Terra Santa, costretti, quindi, a partecipare indirettamente, ai suoi frutti.

    La maggior parte delle offerte, ad ogni modo, erano consumate, dopo il rito, dagli stessi pellegrini che partecipavano alla festa, sul grande piazzale del Tempio.

    La particolarità del culto, nel tempio di Gerusalemme, inoltre, era costituita da quei sacrifici di animali, cibi e bevande che si dovevano offrire, sull'altare dell'olocausto, il sabato e nei giorni delle feste religiose.

    Queste offerte erano legate a scadenze ben precise, le cui date erano fissate dal calendario cultuale.

    La validità dei sacrifici, vale a dire il loro gradimento da parte di Dio, dipendeva molto anche dal fatto che venissero offerti nei tempi giusti.¹⁸ A tale proposito,¹⁹ veniva richiesto anche una differente formulazione, tra il rito sacrificale dei giorni di sabato e quello dei giorni di festa, in quanto, Secondo la Torah, si doveva evitare che i due riti fossero celebrati nello stesso giorno.

    All’origine, l’essenza della pratica sacrificale risultava molto differente tra il regno del nord, di Israele, ed il regno del sud, di Giuda, con il suo Tempio a Gerusalemme, come, d’altronde, differenti si mostravano i due Regni, riguardo all’osservanza dei precetti della Torah e agli altri scritti biblici.

    Attorno alle offerte, chiaramente, faceva pressione una molteplicità di interessi, come poteva essere quello di inserire nuove feste, aumentare le quote, determinare quelle riservate ai sacerdoti e ai leviti, implicare altri settori di produzione, tutelare il monopolio del Tempio di Gerusalemme, o di disporre, ad esempio, quali parti, delle offerte cultuali, potessero essere utilizzate nei rispettivi luoghi d'origine, ovunque essi si trovassero, facendo a meno del culto nel Tempio.

    Ancora più interessante risulta, quindi, la tendenza, intrapresa già all'epoca della monarchia, come quella di raccogliere tutta quella pluralità degli oboli, "nell'offerta delle decime", a prescindere dalle date, comandate, delle feste di pellegrinaggio.

    Già nella Torah, ad ogni modo, erano contemplati diversi esempi, di questo genere, assieme alle offerte, associate a una data fissa. Le decime, in effetti, si pongono in netta concorrenza con le feste di pellegrinaggio, che furono adottate, originariamente, per motivi di politica, cultuale e sociale, ma la cui importanza era cresciuta quando, alla fine del tempo dell'esilio, si era scelto il calendario solare di 364 giorni, per l'organizzazione del culto, nel Tempio di Gerusalemme.

    E’ chiaro, allora, che, in una tale prospettiva, diveniva Messia chiunque si proponesse di tutelare quel dono di Dio, sulle terre di Israele, come i precetti della Torah e le feste comandate, al fine di mantenere, legittimamente, il rappresentante di Dio sui suoi domini.

    E’, persino, troppo ovvio immaginarsi, perciò, quel popolo afflitto, prima che sconfitto, quando, nel lontano 586 a. C., Nabucodonosor, dopo aver invaso la Giudea, distrugge il Tempio e deporta, in Babilonia, il Re Ioachin, con tutte le maggiori personalità giudaiche, privandolo, letteralmente, di ogni ben di Dio, così come di quell’alleanza che lo metteva per qualche motivo, indecifrabile, in contrasto con Lui, ridotto, di nuovo, schiavo, senza grazia e senza terra, comprendendo i suoi frutti.

    Nel frattempo, le persecuzioni contro i Giudei, quelli rimasti nella loro terra d’origine, sono continuate, ad opera dell'esercito babilonese, innanzitutto, e dei popoli confinanti, uniti a questo, quali i Moabiti, i Caldei, gli Ammoniti e gli Aramei, costringendo i sopravvissuti a fuggire in altre nazioni, provando, così, la prima diaspora del popolo ebraico, dopo la fuoriuscita dall’Egitto.

    Dopo, la conquista persiana, nel 539 a.C., compiuta da Ciro, il Grande, aveva inglobato tutto l'Impero neo-babilonese, trasformando la Giudea nella provincia persiana di Yeud Medinata (satrapia di Eber-Nari), dove i giudei, esuli, come gli altri popoli già sottomessi, sotto il dominio babilonese, provarono, da parte dei funzionari persiani, i benefici di una politica di tolleranza, religiosa e culturale, molto sostanziosa, tramite la quale veniva garantita autonomia e rispetto, per i popoli sconfitti, così da far apparire, nel 538 a.C., Ciro, il Grande, come Messia, in quanto con il suo editto aveva consentito che i giudei di Babilonia, potessero far ritorno in patria, dall’esilio, per ricostruire il Tempio di Gerusalemme.

    Tuttavia, molti di questi decisero di restare, nelle terre babilonesi, occupate dai Persiani, così che alcuni riuscirono a raggiungere le più alte gerarchie persiane e ottenere un certo benessere economico, quali, ad esempio, furono Ezra e Neemia, in qualità di alti funzionari, in Persia.

    Quelli che erano rimpatriati, intanto, avevano mantenuto un buon rapporto, sia con gli ebrei connazionali, che avevano lasciato in Palestina, sia con quei pagani che vi si erano stanziati, così che si formò una nuova comunità ebraica, intorno al Secondo Tempio, in cui veniva tollerato anche il culto praticato, da parte di questi ultimi, purché dedicato al Dio ebraico.

    Con il ritorno di altri esuli, tra cui Zorobabele, nipote di Ioiachin, e Zaccaria, il Tempio viene ricostruito e completato, nel 515 a.C., sulle direttive di Zorobabele, nominato da Dario I, di Persia, governatore della Giudea.

    Tutti coloro che facevano parte, di questi esuli, erano appassionati di astronomia, cosmogonia ed escatologia. Questo gruppo di giudei, infatti, concentrati nella produzione di testi apocalittici, si distingue, per le sue uniche caratteristiche, dagli altri partiti-movimenti religiosi dell'epoca, del Secondo Tempio, in quanto le dottrine e il rigore religioso, che più lo contraddistinguono, sono dettate, soprattutto, dal Pentateuco enochiano e da molti apocrifi dell’Antico Testamento, tra cui il Libro dei Giubilei.

    Ma, con la morte di Zorobabele, la situazione precipita, poiché si fa avanti l’interesse dei Sanballatidi, governatori di Samaria, e dei Tobiadi, di Ammon, entrambe famiglie regnanti potenti, sul piano politico-economico, imparentate, peraltro, con i sacerdoti giudei. Questo si ritiene troppo rischioso per gli esuli che erano appena tornati dalla Diaspora, in quanto temono la trasformazione

    del Tempio, come di Gerusalemme stessa, in luoghi frequentabili da tutti i palestinesi, anche dai pagani, e non più strettamente riservati ai giudei, autoctoni ed esiliati, rispettosi della Legge.

    Con il consenso del re persiano, Artaserse I, Neemia viene, perciò, mandato in Palestina, per ricostruire le mura di Gerusalemme, e poi anche Ezra, per riformare la Giudea.

    Al contrario di Ezechiele, Malachia e Tritoisaia, favorevoli, per differenti aspetti ai sacrifici nel Tempio, compiuti anche da pagani ma, sempre e solo, diretti a Yahweh, Ezra non concede la minima possibilità che i pagani possano convivere con i giudei, né integrarsi né adattarsi al loro stile di vita, in quanto chi giunge dal mondo pagano rimane, per sempre, contaminato.

    Quindi, tutti i giudei che sono stati rimpatriati, nel momento in cui accettavano di convivere con persone che praticavano la loro stessa fede, devono, per decreto, scacciare le loro mogli, straniere, ed i figli avuti con queste, in quanto contaminati.

    I primi ad opporsi, a questo riordino di Ezra e Neemia, sono i Samaritani, che fondano, perciò, un nuovo Tempio a Sichem, sul monte Gherizim, dove celebrano i rituali ebraici, tramite quei sacerdoti, di stirpe sadocita, fuggiti da Gerusalemme, dopo la riforma dei due scribi, determinando, in questo modo, uno scisma.

    Poco dopo, si oppone alla riforma, ezriana, la corrente di pensiero che si rifaceva ai Libri di Rut, Giona, Giobbe e Qoelet, vale a dire quel giudaismo sapienziale, da cui deriva il giudaismo enochiano, il più profondo e critico nei confronti di Ezra, che farà derivare il genere letterario apocalittico.

    Dopo essersi organizzati, così , un trascorso che li aveva visti trasformati, da anonimi nomadi, senza patria, in una stirpe, storicamente, raggruppata sotto un solo Dio, la comunità di Gerusalemme diede inizio al programma di riunificazione, che in gran parte fu riconosciuto dalle altre comunità, sparse nel Medio Oriente, le quali, sebbene continuassero a vivere in altre nazioni, mostravano l’intento di continuare a comportarsi, in una forma lecitamente autonoma, secondo le leggi dei loro padri.

    Ma, per quanto questi continuassero a sentirsi accomunati, in quelli che erano i loro precetti e le loro tradizioni, risultarono dei contrasti tra la comunità di Gerusalemme, che insisteva a perseguire una politica rivoluzionaria, per la riconquista della Palestina, in qualità di terra di Dio e quelle comunità, quantunque palestinesi, che vivevano, pacificamente sparse nei vari territori, vicini e lontani.

    Queste, infatti, assimilando sempre più i concetti, spiritualisti e tolleranti, dei popoli che li ospitavano, con il convincimento che le guerre avrebbero portato soltanto lutti e dolore, decisero, ad un certo punto, di staccarsi dalle norme severe della Legge ebraica, divenute problematiche per l’applicazione di quei riti, nel nome e rigore della purità, molto difficile da rispettare, se volevano mantenere i rapporti di buon vicinato, dando vita ad una loro corrente religiosa autonoma, come risulta dai libri che uscirono nel IV, III e II secolo a.C., quali le Cronache, Esdra e i Salmi.

    Le due correnti, quindi, quella guerriera, rappresentata dalla comunità di Gerusalemme, e quella spiritualista, composta dalle colonie ebraiche, rappresentate, per lo più dalle comunità siriane, egiziane e greche, quali Damasco, Antiochia, Alessandria, Bitinia, Efeso e Atene, rimasero divise fino a quando, nel 168 a.C., Antioco IV, detto Epifane, divenne regnante della regione della Giudea, costruendo, a Gerusalemme, ginnasi e palestre e affidando il sacerdozio a uomini di fiducia, come Giasone, ebreo ellenizzato, affinché gli ebrei fossero assimilati nella società ellenica.

    Tutta la società giudea, che resta tranquilla fino al 200 a.C., è radicata, pertanto, in concetti ezriani, come il sacerdozio del Tempio, il rispetto della Torah e la Legge, la purità e la contaminazione, ma rimane, allo stesso tempo, fortemente intollerante, nei confronti di quelle opinioni che sono contrarie a quelle di Ezra.

    Nel 332 a.C., la Palestina, la Fenicia e l’Egitto passano sotto il dominio di Alessandro Magno, che presto conquista anche tutti i territori persiani.

    I giudei, intanto, completamente concentrati sulla vita interna di Gerusalemme, sembrano nemmeno accorgersi dell’assetto politico, che mano a mano si trasforma, abituati come erano al governo di forze straniere, testimoni involontari, com’erano, dell'arrivo dell'ellenismo, che arrivava anche nella parte più orientale.

    Con le sei guerre dei Diadochi, successori macedoni, la situazione politica della Palestina cambia molte volte, fino al passaggio della Palestina sotto la dinastia tolemaica, sebbene continuino i tumulti in Giudea, nonostante i Tolomei restituiscano parecchia di quell'indipendenza politica, ambita dai giudei.

    I veri problemi non vengono fuori finché la Palestina non rimane definitivamente sotto il controllo dei sovrani dei Seleucidi, di Siria, dal 200 al 175 a.C..

    I giudei e i seleucidi, infatti, sono coinvolti in una sanguinosa guerra civile, per l'indipendenza della Giudea, in cui si vedono giudei schierati contro giudei, in diverse ed avverse fazioni, ognuna delle quali considera le altre allo stesso modo dei suoi nemici più ostinati.

    Le dottrine ebraiche, perciò, sono diverse a seconda del loro schieramento, anzi,vengono prese a pretesto, per spingere i giudei a combattersi tra loro, soprattutto quelle che riguardano la salvezza della Giudea e del suo popolo, così la purezza del sacerdozio sadocita, come la conservazione della Legge mosaica.

    I Giudei di Gerusalemme, ovviamente, insorsero contro Antioco IV, che annullò ogni libertà religiosa, imponendo le divinità elleniste, dando vita a quella rivolta che prese il nome dei Maccabei, in quanto promossa dal sacerdote Mattatia, detto il Maccabeo, e dai suoi figli Giuda, Simone, Eleazaro, Gionata e Giovanni che reclamavano diritti al trono di Gerusalemme, in qualità di discendenti della stirpe di Davide.

    Gli spiritualisti, d’altra parte, che intravidero nel divieto di Antioco IV un rischio di estinzione per la loro gente, la cui garanzia si basava soprattutto su un programma religioso, dal momento in cui gli ebrei non avevano una terra propria che desse loro una caratteristica di nazione, si unirono a Mattatia il Maccabeo, per appoggiare la sua rivolta armata.

    I primi spiritualisti, ad unirsi ai rivoluzionari Giudei, furono gli Asidei, il cui nome deriva da Hassedin, che significa devoti, osservanti.

      La rivolta ebrea ebbe luogo nel 160 a.C., il cui trionfo, con la riconquista di Gerusalemme, vengono celebrati ancora oggi con la festa di Chanukkah, sebbene, solo nel 142 a.C., i fratelli Maccabei diventino padroni assoluti dell'intera Palestina, quando l'ultimo dei loro discendenti prende anche il titolo di Sommo Sacerdote.

    I Maccabei, nel frattempo, condividono il potere con alcuni partiti religiosi e politici, come, ad esempio, il Chassidismo ezriano, del II secolo a.C., ancora fedele agli ideali della società ezriana, da cui discenderanno i Farisei; il Giudaismo ellenistico, che durante la gestione di Menelao ebbe anche un suo sommo sacerdote, da cui deriva il partito dei Sadducei; lo zelotismo, la corrente più estremista e violenta, incline alla lotta armata, che fa riferimento al sacerdote Fineas; gli Esseni, anche loro discendenti degli asidei, come la corrente farisaica del Chassidismo, ed eredi, insieme a questa, della tradizione enochica, suddivisi in urbani, che vivono in mezzo alla gente, e asceti isolati, come i settari di Qumran, ritiratisi dal combattere e in attesa della battaglia finale.²⁰

    Agli inizi dell'epoca maccabea, quindi, nasce il messianismo ebraico, una dottrina religiosa e politica che avrebbe cambiato radicalmente l’essenza dell'ebraismo, sia palestinese che mediterraneo.

    Ora, dal momento in cui la corrente religiosa, dopo la separazione, si era fatta promotrice, nel frattempo, di un Messia tutto proprio, il movimento rivoluzionario si ritrovò con due Messia. Uno era quello guerriero davidico, eletto da Dio tra gli uomini, sostenuto dai Giudei di Gerusalemme, mentre l’altro era spirituale, che la corrente religiosa aveva divinizzato, tramite le influenze dei Culti dei Misteri pagani, in un essere celeste.

    In qualità di Maestro di Giustizia, infatti, questi sarebbe disceso dal cielo, in un prossimo futuro, per insegnare la morale da seguire, fino a condurre i seguaci alla vittoria finale sui nemici di Dio,che erano rappresentati dagli idolatri delle religioni pagane.

    Siccome, però, nessuna delle due correnti riuscì a rinunciare al proprio Messia, per adottare quello dell'altra, i rivoluzionari giunsero all’accordo di tenersi quel Messia nella doppia veste, di cui si parla nei libri dei Maccabei.

    Così, da una parte si presenta un Messia guerriero, discendente della stirpe di Davide, tramite gli stessi figli di Mattatia, che si avvicendano, oltretutto, in un susseguirsi di battaglie, nella convinzione di rappresentare, ciascuno a suo modo, la sua concretizzazione davidica, quali Giuda, Gionata e Simone, dall’altra, appare un Messia spirituale, che ha origine da quelle apparizioni apocalittiche, che appaiono nel cielo, durante le battaglie, sotto forma di un cavallo, dallo splendido abbigliamento, montato da un cavaliere, ricoperto di un'armatura d'oro e da angeli di splendida bellezza, che incoraggiano i combattenti.²¹

    Sembrerebbe, quasi, una intesa tra cielo e terra, tra religione e politica, che gli ebrei portano a compimento, quando Giuda, figlio primogenito di Mattatia, riveste le due cariche che, fino ad allora, erano state sempre separate, quella di Sommo Sacerdote e Capo dell'esercito.²²

    Questa duplice autorità, che conferì a Giuda pieni poteri teocratici, toccando ai suoi fratelli, Gionata e Simone, poi, continuò a tramandarsi come un diritto di eredità, che gli veniva dalla stirpe di Davide, confermato, peraltro, dall'istituzione di quella casta degli Asmonei, fondata, proprio, da Simone, tramite i suoi discendenti, Aristobulo I, Aristobulo II e Ircano II, fratelli, fino ad arrivare a quell'Ezechia che, secondo Giuseppe Flavio, si oppose con i suoi rivoluzionari ai Romani, quando Pompeo, nel 63 a.C., invase la Palestina con le sue legioni.²³

    L'inclusione della corrente spiritualista, nel movimento rivoluzionario, d’altra parte, comportò un apporto di un più elevato valore dei concetti religiosi, in tutto il mondo giudaico, in quanto, abbandonato il vecchio Dio, tradizionale, che nella Bibbia veniva considerato come un caporale che vaga tra le tende della truppa, per controllare, persino, le latrine dove vengono gettati gli escrementi²⁴, adottò quello degli Asidei, vale a dire quel Dio soprannaturale, che gli spiritualisti avevano, a loro volta, appreso dai Culti dei Misteri, praticati dai popoli pagani.

    Non per nulla, capita durante la rivolta dei Maccabei che si predica, per la prima volta, nella storia ebraica, un Dio che spalanca, agli uomini, le porte dell'eternità, tramite la resurrezione dalla morte²⁵, che consente l'inizio in un'altra vita, come viene testimoniato dalla madre dei sette fratelli, che esorta i propri figli ad affrontare, sorridendo, i loro carnefici, in quanto sarà attraverso il martirio che essi acquisteranno i meriti per ritrovarsi ancora tutti insieme, nel giorno della ricompensa, cioè della resurrezione dei morti²⁶.

    Gli Asidei ebbero, all’interno del movimento rivoluzionario, una tale supremazia da imporre a questo il proprio nome, tanto che Giuda stesso, lasciato l'appellativo di Maccabeo, si fece chiamare Giuda l‘Asideo.

    La repressione, ad ogni modo, praticata da Antioco IV contro i rivoltosi, era continuata anche dopo la sua morte, tramite i suoi figli, Antioco V e Antioco VI, in una sequenza di battaglie, con ritorsioni e attentati, con alternanze di atti di terrorismo, da parte degli Asidei (Maccabei), e stermini, da parte delle autorità elleniste, che sottoponevano alle torture, più atroci, i ribelli, come viene riferito dalla Bibbia, nelle persone di Eleazaro e la madre di sette fratelli, come già detto.²⁷

    Finito il dominio ellenista, con la conquista, da parte di Roma, del Medio Oriente, la Palestina passò come protettorato sotto il controllo dell'autorità romana, che aveva sede in Siria.

    Il primo ad entrare in Palestina fu Pompeo che, nel 63, la occupò con le sue legioni, per sedare proprio una guerra di successione, al trono di Gerusalemme, sorta tra i due fratelli, Ircano II e Aristobulo II, figli di Aristobulo I, già incontrato, diretto discendente della stirpe degli Asmonei, fondata da Simone, fratello di Gionata, figlio di Mattatia: I figli di Aristobulo e i suoi discendenti continuarono la lotta di rivendicazione, al trono della Giudea, contro Ircano II .²⁸

    Qui, Pompeo, dopo aver profanato il Tempio di Gerusalemme, si attirò subito l'odio degli ebrei e, in particolare, quello degli esseno-zeloti che, aderendo, più rigorosamente, al programma degli Asidei, vedevano in lui, quale protettore di Erode,il grande, tetrarca di Israele, un nemico degli Asmonei, ritenuti i soli legittimi eredi al trono di Gerusalemme, in qualità di discendenti della stirpe di Davide.

    Durante questa resistenza armata, contro i romani, emerge, infatti, la figura di Ezechia, che rivendica, appunto, il trono di Gerusalemme, quale discendente della casta degli Asmonei.

    Guidati, quindi, da Ezechia, medico e rabbino appartenente ad una famiglia facoltosa della regione del Golan²⁹, gli Asidei, che, intanto, avevano preso il nome di Esseni, attaccarono le guarnigioni romane, lasciate da Pompeo, con i loro alleati, rappresentati dagli erodiadi e i Sadducei.

    Morto Ezechia, nel 44 a.C., in uno scontro armato, contro una pattuglia di Erode, il comando degli esseno-zeloti passò al figlio, Giuda, detto il Galileo, che perì, a sua volta, nella guerra del censimento, nel 6 d.C..

    Verso la fine del I secolo a.C., infatti, con la successione di Giuda, il Galileo, a Ezechia, si identificano degli estremisti rivoluzionari, che vengono chiamati zeloti (da zelotes che significa zelante), sebbene molte prove portano a ritenere che già esistessero, dal tempo della rivolta dei Maccabei, per le tante somiglianze che li accomunano, come le tecniche di razzie e azioni di terrorismo, che racconta pure la Bibbia, riguardo alle pattuglie dei maccabei³⁰ che sono le stesse attribuite, da Giuseppe Flavio e Filone, alle pattuglie zelote.

    Il primo zelota, pertanto, sarebbe stato proprio Mattatia, che in un eccesso di zelo, parola da cui deriva l’appellativo, dette origine alla rivolta, uccidendo, con un colpo di spada, un sacerdote di Antioco IV, che stava preparandosi a compiere un rito pagano.³¹

    Questi zeloti, che erano organizzati in squadre, saccheggiavano le case dei signori, che poi uccidevano, dando alle fiamme i villaggi sì che tutta la Giudea fu piena delle loro gesta efferate.³²

    I figli che subentrarono a Giuda, il Galileo, figlio di Ezechia, nei nomi di Giovanni, Simone, Giacomo, Giuda e Menahem, furono praticamente i promotori, in qualità di pretendenti al trono di Gerusalemme, di tutti i disordini, rivolte e guerre, che avvennero in quel periodo, tra la guerra del censimento, nel 6 d.C, e la guerra giudaica, nel 70 d.C., quando si delineò, molto più chiaramente, l'era messianica.

    Ad ogni modo, il clima di terrore, generato dall'odio dei rivoluzionari contro i romani, fu ancora più violento di quello che era apparso durante il regno di Antioco IV.

    Le rivolte, da parte dei guerriglieri di Gerusalemme insieme alla corrente spiritualista, coinvolgendo tutte le comunità religiose dei palestinesi, che dimoravano fuori della patria, si svilupparono in tutte le città dell'Impero, compresa Roma, dove esisteva una nutrita colonia di ebrei, già dal periodo delle deportazioni, al tempo di Giulio Cesare.

    Ma, disordini e rivolte avvennero, maggiormente, in Egitto e in Siria, nelle città di Antiochia, Alessandria e Damasco, che ospitavano comunità ebraiche particolarmente numerose. Si calcola che ad Alessandria, ad esempio, gli ebrei fossero già oltre cinquecentomila, anche già prima della rivolta dei Maccabei.

    Saranno queste comunità, poi, che determineranno quella particolare evoluzione religiosa-essena, che in buona parte confluirà nel giudaismo tardivo, ebionita, come nei primi cristiani.

    Durante la guerra del censimento, gli esseno-zeloti, intanto, avevano intuito quanto fosse importante coinvolgere la popolazione nelle rivolte, tanto che cercarono di implicare le masse inducendole all'odio contro i Romani ed i loro alleati, accusati di essere la causa delle ingiustizie sociali.

    In questo modo, mentre i guerriglieri si addestravano nei centri di reclutamento, tra Kimbert-Qumran e la Galilea, per affrontare lo scontro finale, che, a breve, avrebbe determinato la fine dei nemici di Dio, i Nazir cercavano un più largo consenso del popolo nella loro causa, con una propaganda di proselitismo, basata su prediche rivolte ai derelitti e ai perseguitati, con il discorso centrato, particolarmente sulle beatitudini e sul battesimo, con la garanzia di una vita eterna, dopo la morte.

    Le comunità essene, in sostanza, accoglievano quanti volevano aderire alla loro ideologia, offrendo vitto e alloggio, in cambio di un’occupazione da svolgere all’interno della comunità.

    Nella certezza assoluta che l'avvento, prossimo, del Messia li avrebbe guidati alla vittoria finale, in quella convinzione che la realizzazione del nuovo Regno fosse voluta, direttamente, da Dio, al fine di dare al suo popolo le condizioni che permettessero quell’alleanza, espressa con i culti del Pentateuco, a riconoscenza del dono della Terra Santa.

    In questa necessità di ripristinare i possedimenti di Dio, contro Roma, i giudei, spinti dagli esseno-zeloti, trasformarono l'Impero in uno scenario di attentati e di rivolte, che culminarono con quella guerra giudaica che determinò, nel 70 d. C., la fine dell'era messianica, dove morì Menahem, ultimo figlio di Giuda, il Galileo.

    Babilonia

    Pompeo interviene quando Aristobulo I,  fu nominato strategos dell'Idumea, mantenendo questa carica anche per sua moglie, Salomé Alessandra, che divenne moglie anche del fratello di questi, Alessandro Ianneo (76-67 a.C.), famoso per la sua crudeltà e la persecuzione che scatenò contro i Farisei,³³ facendo eseguire 800 crocifissioni di quegli oppositori, in rivolta contro la sua politica.³⁴³⁵

    Nel 67 a.C., Giovanni Ircano II, figlio di Salomé, ripristinando il Sinedrio, divenne re e sommo sacerdote, allo stesso tempo, ma fu avversato dal fratello, Aristobulo II, facendo scatenare una guerra civile, che offrì, alla Repubblica Romana, di allora, l’opportunità di intervenire, così che i romani, nel 63 a.C., riescono vittoriosi nella guerra contro i giudei³⁶ fino a quando Gerusalemme è conquistata da Pompeo, mettendo fine all'indipendenza giudaica che, bene o male, era stata mantenuta dalla dinastia degli Asmonei. 

    Flavio Giuseppe racconta che, fra le tante azioni più sciagurate, quella del Tempio, scoperto e messo a vista, a cielo aperto, risultò la più infame. Pompeo, infatti, era riuscito ad entrare, con tutto il suo seguito, là dove era consentito solo al Sommo Sacerdote, fino a toccare, quasi, la Menorah, le lampade, la tavola ed i vasi per le libagioni, gli incensieri, tutti d'oro massiccio, oltre, naturalmente, al sacro tesoro di ben 2.000 talenti, anche se, pare, non abbia toccato nessuno di questi oggetti sacri.

    Il giorno dopo all’occupazione del Tempio, invece, pretese la sua purificazione, attraverso sacrifici di rito, mentre il nuovo Regno di Giudea veniva affidato a Giovanni Ircano II, che si era dimostrato un affidabile alleato, mentre il fratello, Aristobulo II, veniva esiliato, in Sardegna.³⁷

    Pompeo, intanto, impose alla città di Gerusalemme, come a tutta la Regione intorno, il pagamento di un tributo,³⁸ costituì la nuova provincia di Siria, sempre nel 63 a.C., partendo dalla Regione della Celesiria.

    Fece della Giudea, pertanto, un regno satellite, mentre veniva ricostruita Gadara, che era stata distrutta dai giudei,³⁹ proclamando liberi quei territori occupati dai giudei, come Ippo, Scitopoli, Pella, Samaria, Iamnia, Marisa, Azoto, Aretusa, Gaza, Ioppe, Dora e Torre di Stratone, per annetterle, poi, alla nuova provincia di Siria, che affidò ad Emilio Scauro, governatore della Regione, con due legioni in assegnazione.

    Così, il potere politico, con la fine degli Asmonei, verrà gestito direttamente da Roma, mentre il Tempio, le leggi ed il Sinedrio rimarranno nelle mani dei Sadducei e Farisei, obbligati a dar conto all’esercio di occupazione.

    Giulio Cesare, nel 47 a.C., nomina, in seguito, Erode Antipatro procuratore della Giudea, che a sua volta nominò i propri figli, Erode il Grande e Fasaele, governatori rispettivamente di Gerusalemme, in Giudea, e della Galilea.

    Nel 43 a.C., Antipatro fu assassinato, sebbene i suoi due figli restassero in carica, elevati, nel 41, al grado di tetrarchi, da Marco Antonio, subentrato a Giulio Cesare.

    Nonostante le continue rivolte anti-romane, da parte di alcuni discendenti Asmonei, la situazione non cambia, anzi, nel 40 a.C., la dinastia erodiana ottiene finanche il sacerdozio di Gerusalemme e, nel 37 a.C., Erode il Grande diventa, addirittura, re di Giudea, sotto il protettorato romano.

    Durante il suo regno, nello stesso momento, viene ultimata la costruzione del Secondo Tempio, che verrà appunto denominato "Tempio di Erode".

    Dopo la sua morte, i romani suddividono la provincia, tra i figli di Erode, in tre etnarchie, comunque sottomesse a Roma. In tal modo, ad Erode Archelao vengono assegnate Samaria, Idumea e Giudea; Galilea e Perea ad Erode Antipa, mentre ad Erode Filippo viene lasciata la Transgiordania, che comprende Traconitide, Batanea, Auranitide, Gaulantide, mentre a Salomè, sorella di Erode, toccò alcune città, quali Iamnia, Azoto, Faselide e Ascalona, con le relative rendite.

    La divisione si rende necessaria a causa della forte rivalità e conflitto di interessi tra i fratelli.

    Archelao, infatti, era già andato dall'imperatore romano, Augusto, per metterlo a conoscenza che il padre, Erode, aveva intenzione di affidargli la parte più consistente del regno. Augusto esaudisce le richieste di Archelao ma non lo riconosce come re della Giudea, come era già capitato al padre, in quanto la Giudea, di Archelao, divenne un distretto sottoposto all'autorità del legatus Augusti pro praetore di Siria.

    Ora, poiché Archelao veniva ritenuto, dai giudei, un oppressore, straniero, come d’altra parte lo era anche suo padre, vengono provocate continue rivolte contro il suo governo, così che Augusto, nel 6 a.C., decide di processarlo e deporlo dalla carica, esiliandolo in Gallia. 

    La Giudea, perciò, viene ad essere assoggettata ora al controllo dei discendenti erodiani ora a quello dei Prefetti romani. 

    Publio Sulpicio Quirino, legato di Siria, istituisce un censimento, sotto la prefettura di Coponio, il quale deve provvedere ad una riorganizzazione amministrativa e fiscale, anche se questo provocherà la rovina della Giudea, in quanto, se da un lato, infatti, era previsto un censimento⁴⁰ per il pagamento della capitazione, tributum pro capite, dall'altro, la nuova tassa doveva essere pagata in denaro. Una tassa in denaro già, in sé stessa, era insostenibile, in quanto molto più impegnativa, specie quando, dopo un cattivo raccolto, si doveva far ricorso ad un prestito, per pagare le tasse. Tra i giudei, oltretutto, la questione diveniva ancora più scabrosa, in quanto vi era divieto di prestare denaro, con interesse, ad un giudeo, per di più suscitava scandalo le effigi umane raffigurate sulle monete romane.

    In occasione del censimento, del 6 a.C., la reazione generò una rivolta, capeggiata da Giuda, il Galileo, discendente di Ezechia di Gamala,⁴¹ appoggiato dal Fariseo Sadoq, che con il suo gruppo aveva invaso la Galilea, ai confini della Siria.

    Giuda, così, si rese protagonista di una rivolta, portata avanti come pretendente al trono giudaico, fino a quando fu catturato e ucciso da Erode, il Grande, una volta rientrato in possesso della regione.

    Il proclama della rivolta dichiarava che il Dio d’Israele, in qualità di unico signore e padrone, avrebbe soccorso e concesso la grazia a tutti coloro che si fossero ribellati alle pratiche di omaggio o di adorazione, essendo atto blasfemo, all'imperatore romano o a chi per esso.

    "Divenuto ormai lo spavento di tutti, depredava quanti incontrava, aspirava a cose sempre più grandi, la sua ambizione erano ormai gli onori reali, premio che egli aspettava di ottenere non con la pratica della virtù, ma con la prepotenza che usava verso tutti. […] Giuda spinse gli abitanti alla ribellione, colmandoli di ingiurie se avessero continuato a pagare il tributo ai Romani e ad avere, oltre dio, padroni mortali. Questi era un dottore che fondò una sua setta particolare, e non aveva nulla in comune con gli altri. Giuda non era un semplice bandito, bensì un dottore benestante se lo storico giudeo asserisce che lui e un certo Saddoc, […] diedero inizio tra noi a una astrusa scuola di filosofia, e quando acquistarono una quantità di ammiratori,

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