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Per farmi capire
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E-book204 pagine2 ore

Per farmi capire

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Info su questo ebook

Don Andreoli riporta in questo volume i suoi scritti relativi alla sua attività pastorale in vari luoghi della Diocesi di Foligno.
LinguaItaliano
Data di uscita19 set 2016
ISBN9788892625754
Per farmi capire

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    Anteprima del libro

    Per farmi capire - Sergio Andreoli

    1. RACCONTI BREVI

    DA COLLE SAN LORENZO

    DI FOLIGNO

    I edizione, in Il Giornale dell’Umbria.

    A Mamma e Papà

    1. L’EDERA.

    IV (2003), n. 21, p. 19.

    Quando, l’altro ieri, insieme ad un personaggio noto anche al pubblico televisivo, per il suo copricapo dalle larghissime falde, oltre che per la sua competenza storica, e un esperto di fornelli, pentole e sughi, ma, a tempo pieno, anche di tutt’altro, ho percorso per la prima volta un sentiero di Colle di San Lorenzo, ho visto strappare, con mani decise, rami di edera verdissima avvinta al fusto di una pianta, che subiva chissà da quando tale presenza.

    Una cosa che mi ha meravigliato, all’inizio, ma poi ho capito che il parassitismo, bello a vedersi - si tratta di una allettante composizione: fusto robusto più edera gentile -, è davvero, non solo odioso nella sostanza, ma dannoso in senso assoluto.

    Per chi lo subisce, infatti, si tratta di perdere, senza scopo e senza colpa, data quella presenza snervante, defatigante e devastante, la vita, il succo, l’anima e qualcos’altro ancora.

    Perdere, svilirsi e seccarsi per sempre.

    Per chi lo pratica, poi, è la manifestazione della nullità, trasformata in potenza: cosa ci vuole ad aggrapparsi e non perdere la presa e aspettarsi tutto dagli altri, con pretese impossibili, assurde e farneticanti?

    Il parassita non ha nulla da dare - solo l’immagine, l’apparente splendore e il luccichio senza senso, e cerca di rubare ogni cosa.

    Nel mondo di oggi, questa immagine dell’albero abbellito, si fa per dire, dall’edera, come una parete dalla tinta vivace - girate per Foligno e ne vedrete di belle, con le nuove mode giustificate dalla ricostruzione! -, potrebbe parlare a quei giovani, che nulla fanno per diventare autonomi e dare alla famiglia, alla città e alla chiesa qualcosa, perché esse crescano, migliorino, diventino sempre più attraenti, per la sostanza del loro messaggio e della loro esperienza e non per altri effimeri motivi, che solo gli allocchi possono apprezzare.

    Sfinire la società in ogni sua espressione e articolazione, succhiando senza posa e senza ritegno e non restituendo il prezioso liquore che si ingoia, è l’inizio di un processo degenerativo, che spaventa chiunque abbia un po’ di sensibilità e passione per gli altri, prima ancora che per la propria persona.

    2. LE GALLINE.

    IV (2003), n. 26, p. 19.

    Il Professore le ha portate da Foligno, in uno scatola ora abbandonata su un piccolo piazzale, per collocarle nella nuova abitazione, deserta, purtroppo, da qualche mese, non per colpa delle galline.

    Le nuove inquiline - uso il femminile, anche se, tra le sette creature, oltre alle tre ovaiole e alle tre non ricordo più che cosa, c’è un galletto - sono ancora spaesate, a distanza di qualche giorno e non trovano da far meglio che stare rinchiuse, invece di godersi il bel sole di questa strana fine di gennaio, e far combriccola, a distanza, con due cagnolini e un gatto del posto.

    Galline, svegliatevi!

    Il meglio non è alle vostre spalle o dentro il pollaio, ma di fronte a voi e fuori del recinto.

    Lo capirete, quando il Professore vi aprirà il cancelletto e beccherete nell’orto inselvatichito, che attende l’intervento risolutivo d’un milanese, con cronica nostalgia dell’Umbria.

    Allora sarà chiaro anche al vostro piccolo cervello - ce l’hanno, eccome, il cervello, le galline! - che l’aria, il sole, l’erba e le piante valgono più del becchime e che i vermi - che verme ho visto, in mezzo alla strada asfaltata, nella zona di San Bartolomeo! Ma lui non ha il cervello, ed allora, l’ho tirato su in qualche nodo e l’ho ributtato tra l’erba - sono più gustosi di quella robetta gialla messa nelle scodelle.

    Vi renderete anche conto che nello spazio verde, altre creature passeggiano: piccioni, passeri e simili, in cerca di preda.

    Riuscirete, una volta uscite, a fare un patto di pacifica convivenza con loro?

    Non credo!

    Non ne siete capaci, con il cervello che avete.

    Si tratterebbe, infatti, di ragionare, confrontare, ipotizzare, concludere e poi riprendere il discorso daccapo e sentire le opinioni di chi era assente alla prima riunione, prima d’arrivare alla decisione.

    Le decisioni, voi non lo sapete, fanno soffrire.

    Ed allora, quando arriverà il tempo della libera uscita, rinunciate pure agli incontri-scontri.

    Scorrazzate e beccate e soprattutto producete le uova, come si deve, per non tirarvi addosso i rimbrotti del Professore.

    E preparatevi a finire - sarà comunque una fine gloriosa! - nella pentola, per una cena tra amici, in riunione, per prendere, come si dice, una decisione sofferta.

    3. L’OLEANDRO.

    IV (2003), n. 28, p. 18.

    È incredibile, ma vero: l’oleandro può finire, nella nostra cara Foligno, in un contenitore destinato all’olio o al vino e ad altri liquidi.

    Nato per stare in zone ampie, senza definiti legami, ora è lì, costretto a non guardarsi addosso, per non vedere il vetro, che ricopre e costringe nel suo abbraccio la terra, che l’alimenta.

    Se potesse, direbbe:

    Ma dove mi avete ficcato?.

    Ragionando un po’, però, arriva a comprendere che, in fondo, la terra non gli manca e neppure l’acqua, tanto meno le cure del giardiniere, convertitosi a questo stravagante mestiere, soltanto da pochissimi anni.

    Non difetta neppure il sole, che dai monti vicini sorge e inonda il terrazzo e quanto vi è sopra - pure una scodella con un po’ d’acqua e biscotti spezzati vi hanno dimora per gli uccelli residenti nei paraggi -, generando un po’ d’invidia in chi non ha questa fortuna.

    Ed allora, che vuole questo oleandro, così giovane, inesperto ed ingenuo?

    Cosa pretende, lui che della vita non ha alcuna esperienza e non può vantare punti di vista di alto profilo?

    Null’altro che conoscere il luogo d’origine, la storia sua personale, o meglio quella dei suoi antenati, custodita chissà dove, e poi spiccare il volo - ma le ali, purtroppo, gli mancano -, per radicarsi di nuovo e cominciare daccapo la vita.

    Chi lo può aiutare?

    Soltanto chi ha fantasia, è in grado di aprirgli gli occhi e dirgli che basta sognare, per essere dove si vuole.

    È sufficiente disegnare uno spazio e fissarvi le immagini care, unite ai propri pensieri e progetti, e ripercorrere le linee, che legano ciascuna alle altre, adornando le icone di parole, grida, lacrime ed anche sorrisi.

    Così gli tornerebbe tutto più chiaro.

    Non è vero?

    4. IL GALLO.

    IV (2003), n. 40, p. 21.

    Questa è la continuazione di un’altra storiella, in quanto il gallo, di cui qui si tratta, è una di quelle sette galline - l’errore semantico è straziante, e per uno che ha insegnato filosofia e si è occupato a lungo di quella del linguaggio, è soprattutto umiliante - residenti in un Colle assai celebrato da chi lo conosce davvero e ne sa cantare le bellezze uniche e nascoste agli sguardi di quelli che transitano per la Strada Statale 77 o che, più sotto, vivono a Belfiore, Vescia e Scanzano.

    Ebbene, visto che il cancello - uno dei tre: ma non esiste a Foligno una tassa per i cancelli? - era stato semplicemente accostato e considerato che il vento, ma soprattutto il muso del cane - uno dei due abituati ad accompagnare il Professore e l’Ospite nelle loro passeggiate post prandium, alla ricerca di asparagi, quelli che poi si amalgamano volentieri con le uova delle bestie suddette -, hanno la capacità intrinseca di aprire e sbattere qualsiasi porta, il povero pollo, pardon gallo, si è ritrovato disteso a terra, colpito non ancora a morte - ma le cose si erano messe proprio male, per sua mala ventura -, sotto lo sguardo truce e le zampe minacciose e graffianti del cane.

    Per fortuna, il Professore - forse ispirato dal fiuto, di cui solo lui conosce l’origine e lo spessore - aveva accolto proprio a quell’ora il Vicino, per sistemare due piccioncini, prelevati in città dal solito commerciante di vite… animali, nello stesso spazio della galline, troppo sole e impaurite e per questo, finite in anfratti insicuri, illuse di superare in quei rifugi i momenti di angoscia, che le rende simili agli umani.

    Da questa normalissima idea - ma quale delle idee, salvo quelle platoniche, non sono normali, cioè rispettose della norma di nascere, vivere e tramontare? - è dipesa la salvezza del gallo, che non saprà mostrare la sua gratitudine, ma forse, in momenti di alta coscienza della sua condizione, qualcosa pur intuirà.

    Grazie ai piccioni, ora egli è di nuovo nel pollaio e forse per lui sarà solo un brutto ricordo l’impari lotta con i denti del cane e potrà felicemente continuare - non si sa, però, per quanto, visto che i programmi del Professore sono ormai stilati e prevedono non pochi incontri di studio - a passeggiare per l’orto e a cantare, senza per questo subire lo sfratto, come è accaduto ad un suo simile al centro-Città, in un luogo destinato al riposo, allo studio e… alla preghiera.

    Se non ci fosse ogni tanto qualche buona idea, come sarebbe il mondo?

    Un pollaio aperto, in cui tutti i cani credono di avere il diritto di scorrazzare e impunemente devastare ogni cosa.

    Poveri noi!

    5. I PIANTONI.

    IV (2003), n. 43, p. 18.

    Se ti capita fra capo e collo una legnata, cosa fai, se non urlare e piangere a dirotto?

    E se ti tagli, non leggermente, ma sul serio, mentre stai operando con un arnese affilato, non gridi?

    Se, però, tu fossi un piantone - lo sai che cosa sono i piantoni? -, allora sopporteresti ogni cosa, qualsiasi dura operazione, ogni intervento di chirurgia plastica e non.

    Proprio in questi giorni puoi verificarlo, se percorri la strada, che da Sant’Eraclio conduce a Roviglieto, oppure se vai a Belfiore - non è mica molto lontano, a meno che, sbagliando, arrivi a Colfiorito - e poi, voltando a sinistra, ti inerpichi, in macchina o a piedi, verso Liè.

    Piantoni tagliati, scarnificati, amputati e rasati, come se si trattasse di alberi, votati alla moda imperante di lasciar passare sulla testa il rasoio e permettere al parrucchiere provetto di modellare, tra la selva dei capelli, un disegno o una sigla.

    Non si lagnano i piantoni, non stridono i loro rami, le foglie non versano lacrime amare e neppure sussurrano strani lamenti.

    Subiscono e basta.

    O meglio, accettano il doloroso e radicale intervento, pensando ai frutti dell’altra stagione, non proprio abbondanti.

    Vorrebbero anch’essi portarne a bizzeffe, senza subire apparenti angherie e disumani tormenti.

    Addirittura, sarebbero tentati di ribellarsi alla mano violenta - una violenza d’amore, è chiaro, in vista del loro avvenire - e adagiarsi, assopirsi e dormire, per poi risvegliarsi, carichi di olive attraenti, bruciando tempi, regole, passaggi obbligati, naturali, ma scomodi.

    Invece, i piantoni resistono e vanno imperterriti avanti, accettando la mano pesante - e quanto! - del potatore diventato maestro chissà come, anzi, si sa come: per caso e passione, con meraviglia e sorpresa di tutti gli esperti, increduli e ironici al principio, ma poi, pentiti, anch’essi apprendisti del metodo nuovo.

    Vogliamo scommettere che anche questa storiella ha qualcosa da dire alle donne e agli uomini d’oggi?

    6. LE LUMACHE.

    IV (2003), n. 51, p. 19.

    È deciso: lunedì sera - l’ora precisa non si conosce, visto che la sera comincia in momenti diversi qua e là nel folignate -, le lumache, che l’altro giorno ho visto ben sistemate in due contenitori da pescatore, sospesi a non so più che cosa, in un vano di sbroglio di una casa di Colle, friggeranno, vale a dire daranno l’ultimo saluto alla vita, per soddisfare palati ben educati ai sapori.

    Povere lumache!

    Speravano di farla franca, nonostante la cattura e l’internamento.

    Tornare in libertà tra le erbe e le erbette, magari ai piedi di un ulivo, era la loro idea fissa, da quando una mano esperta le aveva scovate, preparandosi la strada con un bastone e mormorando:

    Meglio oggi una piccola per me, che domani una grossa per gli altri.

    Un sogno impossibile, visto che loro, le lumache, esistono, per nutrire, oltre che nutrirsi.

    Non c’è posizione culturale che tenga, almeno da noi: esse non sono persone e quindi non è scandaloso gustarle nella forma primitiva di cottura sui carboni, oppure sulla stufa a gas o a legna, adagiate in tegami ben levigati e oliati e contornate da cosine, che gli esperti di cucina hanno da tempo selezionato e conservato per l’occasione.

    È vero che al mondo c’è chi non le mangia.

    Quelli di Spoleto, per esempio - e dire che, fra qualche anno, saremo insieme all’ombra della stessa, nuova Provincia! -.

    Ma è altrettanto assodato che noi folignati - anch’io, cannarese e in parte spellano, ormai lo sono per acquisizione - siamo soliti dire :

    Mejo ‘na lumaca che ‘na sargiccia.

    E allora, avanti, prepariamoci al banchetto, dopo aver chiesto scusa, da persone educate, alle lumache, e aver fatto scorta, oltre che di stecchini, per stanarle dal guscio, anche di salviette, per non lasciare i segni della mangiata.

    Fatto questo, però, torniamo alle cose serie e risolviamo i veri problemi delle donne e degli uomini d’oggi, con saggezza, lungimiranza e soprattutto altruismo, magari cantando, come facevamo da ragazzi:

    Le lumache e i lumaconi friggeranno sui carboni,

    con quel che segue.

    7. GALLO II.

    IV (2003), n. 59, p. 18.

    E il gallo che, non molto tempo fa, fu aggredito da un cane, a pochi giorni dalla presa di possesso del pollaio e dell’orto adiacente, di proprietà del Professore, dove è finito?

    È morto, purtroppo - ridotto com’era in condizioni, se non proprio disperate, certamente preoccupanti -, nonostante le speranze - sempre dure a morire - del Proprietario.

    "Ma che pollaio sarebbe - ha egli pensato - senza il

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