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The Masterplan (Il Grande Progetto)
The Masterplan (Il Grande Progetto)
The Masterplan (Il Grande Progetto)
E-book221 pagine3 ore

The Masterplan (Il Grande Progetto)

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Info su questo ebook

L’orto dove Riccardo era tornato per ripensarsi sembra diventato teatro di una malinconica e un po’ letteraria confluenza tra ricordi, realtà, speranze.

Un vero e proprio crocevia dove si incontrano la morte (un cadavere nel pozzo) e la vita (i giochi dei ragazzi), si accavallano linguaggi antichi (i dialoghi col vecchio maestro Aldo) e nuovi (i floppy e i cd nascosti), fantastiche favole di re e corsari e mitici racconti di goblin e di maghi, antiche aspettative e sogni rinnovati.

Il romanzo è come l’orto di Riccardo.

La morte misteriosa di una ragazzina “ cui non era stato dato di crescere senza fretta e per la quale il mondo non aveva ancora trovato il modo di pagare i suoi debiti” segue quella di un vecchio faccendiere che, in qualche modo invece, alcuni suoi debiti aveva pure cercato di pagarli.

I versi di Orazio (carpe diem) si sovrappongono a quelli degli Oasis (take the time), la musica di Mendelssohn si accompagna ai valzer di Strauss e alle canzoni dei Beatles, i sermoni del prete, le riflessioni di Aldo, le chiacchiere di paese, le invasioni dell’orto si intrecciano con le dissertazioni e gli scoop dei giornali e delle tv e le invadenze ipertecnologiche di Investigator.

Come le bocce di Paolo e di Bortolazzi, i giochi di ruolo dei giovani nell’orto, i giochi per computer progettati da Riccardo, che narrano dello scorrere del divertimento tra ieri e domani. Come il potere sottile e raffinato di Laurenti e la grezza potenza di Barca che vengono dal presente e dal futuro e che raccontano di come continuino su nuovi binari gli antichi percorsi della prepotenza e della violenza. Come suggerirà l’amara soluzione del mistero: «Cerchi al paese, noi con i delitti del suo orto non c’entriamo». Abbiamo ben altro per cui delinquere.

Tutto ciò immerso in una realtà sospesa, in bilico tra ricordi e speranze, tra passato e futuro strizzando l’occhio al presente. Tra la curiosità di Riccardo e il Grande Progetto di Rossana, l’ingenuità di Marzia e il cinismo di Gigi, tra dubbi e certezze e la voglia di capire perché, ovunque vai, il gallo canta sempre allo stesso modo.

Se canta.
LinguaItaliano
Data di uscita30 ago 2015
ISBN9786050406900
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    Anteprima del libro

    The Masterplan (Il Grande Progetto) - Damiano E Ilario Verda

    Ringraziamenti

    1

    Era il profumo delle viole il ricordo più fastidioso, più dolce e più suggestivo dell’infanzia lontana.

    Più fastidioso, perché di quei giorni in cui andava con gli amici a farne mazzetti sotto l’occhio vigile e attento degli adulti (che intanto raccoglievano le ultime olive) ricordava soprattutto il vento pungente di marzo che gelava le gambe nude (a San Giuseppe, cascasse il mondo era d’obbligo rimettere in uso i pantaloncini corti) e bruciava sugli occhi già feriti da un sole appena risorto e perciò prepotente.

    Più dolce perché quel profumo gli ritornava alla mente, tenero e forte, come la promessa di prossimi giochi all’aperto, di future scorribande assolate sulla piazza del paese alla rincorsa di un pallone, tra le case a nascondersi oppure in mezzo alle terrazze rinate di erba e di vita a rubare e a nascondere le prime ciliegie.

    Più suggestivo perché quel profumo di viole si affacciava ogni tanto nella sua vita di oggi, tra il rumore e il fumo della città, nella rincorsa tra il minuto di prima e quello di poi, sempre meno come il ricordo delle antiche promesse di vita e sempre più come il rimpianto per una speranza perduta.

    Erano già tante, in quella seconda primavera del nuovo millennio, le viole precocemente fiorite in mezzo all’erba un po’ incolta, in mezzo alle olive che nessuno più raccoglieva, su quello stesso terreno orfano delle remote rincorse e degli antichi giochi, invecchiato senza che fuori nessuno se ne accorgesse: soltanto lui lo capiva, ché ne riconosceva il sospiro. Tante come non lo eran mai state, come avrebbero un tempo voluto, tante da formare in pochissimo tempo un cesto di mazzetti, buoni da portare a casa a seccare per profumare gli armadi e il comò.

    L’erba bagnata di rugiada luccicava come un prato di piccole gemme al sole appena fiorito, le goccioline sembravano gioielli seminati in un improbabile campo dei miracoli da un ricco credulone o regalati al vento da un mago capriccioso. Veniva voglia di chinarsi a raccoglierli, come quando cercava le ultime olive per riuscire a coprire il culo del canestro (la nonna diceva proprio così, con linguaggio underground): il che voleva dire guadagnarsi una moneta da infilare nel salvadanaio.

    Se la ricordava ancora, sua nonna. Era ancora molto piccolo quando era morta, eppure l’aveva ancora davanti agli occhi, con tutti i lineamenti al proprio posto. O almeno, così gli pareva. D’altra parte, a volte basta poco per tingere di colori scintillanti un ricordo in bianco e nero, basta anche solo il ricordo del culo di un canestro da ricoprire con le ultime olive. Quel canestro che aveva sempre visto così lontano e indistinto e che ora ricordava, come in una giornata stranamente e irrealmente autunnale, così diversa da quella di oggi e da quelle di ieri: come se indistinte e confuse fossero diventate le stagioni, in cui foglie cadute e ricordi si confondevano sul terreno.

    In quel momento si rese conto di quanto foglie e ricordi si assomigliassero, entrambi cullati dal vento verso l’oblio. E tutto si mescolava nella sua mente, come in una centrifuga di pensieri. Le stagioni, le viole, il canestro, la nonna.

    Eccola di nuovo. Il viso sottile, tagliente quasi quanto la sua lingua. Ricordava con nostalgia le discussioni in famiglia.

    Non c’era volta che non fosse lei a prevalere. Riusciva con poche parole ben dite a mettere a tacere il nonno. E lui, seduto a guardare, assisteva quasi estasiato alla sconfitta di quell’omone, con mani grandi e spalle larghe, di fronte ad una donna esile e, a detta di molti, con un piede nella tomba. Quando per la prima volta aveva sentito qualcuno parlarne come di una persona destinata ad andarsene presto, si era precipitato a casa sua. Le aveva chiesto se era tutto vero e lei, per nulla sorpresa aveva risposto: «No. Io e te saremo sempre insieme». Dopo poco tempo, invece, se n’era andata. Non era triste, quel giorno, ma arrabbiato. Arrabbiato perché la nonna, di cui così tanto si fidava, aveva infranto la promessa più importante. Quella di non lasciarlo. Solo anni dopo si era reso conto che gli aveva mentito per non farlo soffrire prima del tempo. Oggi invece capiva che non aveva mentito affatto: la nonna era lì, vicino a lui, tra il profumo delle viole e il culo del canestro.

    Si chiese perché i ricordi sono così dolci anche se, a ben guardare, si riferiscono a momenti poco piacevoli, come quelli di un bambino che tutto può avere in testa tranne le olive e il canestro che gli tocca ricoprire.

    Gli venne di chinarsi per accarezzare l’erba con le mani là dove una goccia più grossa e più brillante delle altre sembrava messa lì apposta per attirare la sua attenzione: allungò le dita curiose fino a toccare qualcosa di solido, luccicante, lampeggiante mentre rifletteva la luce chiara e bagnata del mattino. O quello era il mattino dei miracoli oppure più prosaicamente e realisticamente qualcuno aveva perso un orecchino piccolo, a goccia, appena appena pendente e con un’ attaccatura così sottile (sembrava oro bianco, o forse era soltanto argento) che a malapena riusciva ad afferrare.

    E non solo un orecchino, si disse, guarda là, vicino al tronco dell’albero, c’è qualcos’altro che brilla…

    - Invece di perdere tempo a mimare la mitica ed eterna figura dell’uomo che pensa dovresti deciderti a sistemare per bene il coperchio del pozzo, che se ti ci finisce dentro qualcuno, poi sì che avrai davvero qualcosa su cui riflettere.

    2

    La voce dietro alle sue spalle era quella di Aldo. Una voce calda, profonda, resa appena un po’ più incerta dagli anni, ma sempre decisa, rassicurante, incoraggiante.

    - Ehi, Aldo, accidenti, coma va, va bene?

    - Ma sì, che la facciamo andare, e tu?

    Intanto si era alzato in piedi e si era avviato verso la scaletta di pietra ricavata nel muro che divideva le due fasce di terreno, ma Aldo era già salito e gli porgeva sorridendo la mano:

    - Sei venuto a controllarti un po’ l’insieme eh?

    - Era ora no? Ti trovo bene, come va la gamba?

    - Be’, se cambia va peggio, dunque…E tu, professore? Mi mancano un po’ i discorsi con te, sai. Cosa vuoi, qua non c’è molto da fare e non c’è un fesso con cui discutere.

    - Be’ oggi ci sono io, vuoi dire? Scherzi a parte, mancano anche a me le nostre discussioni. Ti ricordi, la destra, la sinistra, la libertà, la giustizia…

    Ma si capiva che un po’ mentiva, non aveva tempo di rimpiangere quelle discussioni, in città aveva il lavoro, la fretta di arrivare in fondo alla giornata, il computer, internet; il mondo globale aveva rimosso il paese (e, insieme al paese, qualche idea e qualche convinzione). Come in un lampo rifletté che il lontano era diventato vicino e che ciò che era vicino, nel frattempo, era scomparso.

    Ecco, pensò, parlare con Aldo aveva ancora la capacità di farlo pensare.

    Quando era scomparso suo padre, sapere che Aldo c’era, fu una consolazione, un aiuto a farsene una ragione, un punto di riferimento che restava, mentre un altro se ne era andato.

    I suoi capelli, sempre folti e arruffati sulle orecchie, malamente e parzialmente nascosti dal berretto, erano ormai tutti grigio-bianchi, più bianchi che grigi.

    Aldo era più basso di lui e un po’ più rotondo; i suoi larghi occhiali da vecchio professore in pensione (pensionato da anni, pensionato baby, ci teneva a puntualizzare) larghi sul naso, al punto che ogni tanto con la punta dell’indice doveva spingerli verso gli occhi; la gamba che da anni, mentre camminava cedeva un pochino, ma non gli impediva il passo veloce, né la guida della sua vecchia e gloriosa lambretta; lo sguardo vivace che, rispetto a come era in realtà, lo dipingeva meno intelligente e più vissuto. Ma come era Aldo? Chi poteva dire come era veramente Aldo? Aldo era Aldo. E, se aveva un po’ mentito quando aveva risposto che gli erano mancate le antiche discussioni, non lo aveva fatto quando gli aveva detto che gli faceva piacere rivederlo. Anche quella mattina, come sempre.

    Parlarono a lungo, come se avessero smesso la sera prima e non quasi vent’anni prima, quando il professore giovane aveva avuto un promettente incarico nel campo della nascente ICT (Information and Communication Technology, come aveva annunciato un po’ ritroso e un po’ misterioso) a Milano e il professore anziano aveva festeggiato con la pensione l’abbandono di un mondo nel quale cominciava a far fatica ad abitare.

    - Comunque puoi stare tranquillo, Maria tiene bene la tua roba, come se fosse sua, sei già entrato in casa?

    - No, dopo che sono venuti i ladri, Maria ha fatto cambiare la serratura e non ho mai avuto una copia della chiave. Non sa che ci sono, magari vede la macchina e viene…

    - Be’, ci penso io ad avvisarla intanto che passo, ora devo andare, così puoi tornare a raccogliere per terra i tuoi vecchi pensieri.

    Eccolo Aldo, gli bastavano tre parole per colpire il bersaglio o forse soltanto per condire insieme battute e verità.

    - Non ci sono pensieri da raccogliere, almeno non tanti da coprire un culo di canestro, solo orecchini.

    - Quale culo? Quale canestro?

    Stavolta Aldo non aveva capito che davvero Riccardo aveva raccolto un pensiero, ma pensò: cazzata per cazzata. Nel frattempo l’attenzione di Aldo veniva attirata da quel piccolo oggetto che Riccardo teneva ancora in mano, essendosi fino a quel momento dimenticato di averlo raccolto.

    - Fai un po’ vedere.

    - Lo riconosci?

    - Mah, non mi sembra.

    - Be’, è tardi, fatti vedere uno di questi giorni, se posso mi sistemo alla bellemeglio qualche tempo in casa, potremmo parlare un po’.

    - Ma, com’è che sei tornato, qualcosa non va?

    - No, no, ma…che ne faccio adesso di questo?

    - Mah…

    - Guardando un po’ in giro, magari…

    - Sta a vedere che se una perde un orecchino deve perdere anche l’altro…

    - No, no, ma forse, chissà, perché non diamo un’occhiata…

    E fu così che, poco più in là, dove aveva notato un’ora prima qualcos’altro brillare, ai piedi del biancospino, tra il fieno vecchio non raccolto e l’erba fresca cresciuta di nuovo, Riccardo trovò il coltello.

    Lo guardò meglio: era un coltello da cucina con una bella lama. Assomigliava molto a quelli che si usavano quando lui era giovane, a cui sua madre teneva tanto perché erano quelli buoni. Le macchie sulla lama e sul manico non lasciavano dubbi sul fatto che fosse stato in qualche modo utilizzato; parevano proprio macchie di sangue seccato. Per questo Riccardo lo posò dove lo aveva trovato sbattendo la mano come a scrollarla e a pulirla, ma l’umidità che sentiva era solo rugiada.

    - E che cazzo…

    - Ma cosa può…

    Si rese conto in un lampo che anche quel coltello, o quantomeno uno simile, aveva fatto parte della sua infanzia, proprio come il culo del canestro e il profumo delle viole. L’attimo dopo Aldo, un po’ più pensoso del solito, lo riscosse dai suoi pensieri.

    - Qualcuno avrà ammazzato un coniglio.

    - Questo non mi sembra proprio un arnese da ammazzarci i conigli - osservò un po’ più seccamente Riccardo.

    Di solito infatti i conigli si spellano con coletellacci più vecchi e più grossi, tenuti in cantina quasi esclusivamente a tale scopo. La risposta di Aldo gli giunse un po’ preoccupata e un po’ risentita.

    - E allora a che sarebbe servito?

    Riccardo non aveva nessuna risposta da dargli. E come una nave che si arena in porto per evitare di partire verso mari burrascosi, smorzò il suo tono un po’ troppo sopra le righe e si limitò a scrollare leggermente la testa.

    - Un tempo lo si uccideva con un colpo secco sulle orecchie…

    - Forse per spellarlo…

    - Ma c’è ancora chi alleva conigli?

    - Scommetto che non sai più neppure che gusto ha un buon coniglio ruspante.

    Era di nuovo lui. Gioviale , allegro, ironico, scanzonato, pungente. Aldo, insomma. E l’Aldo di prima, assorto e pensieroso, gli sembrò solo il residuo non ancora del tutto svanito di un sogno, al risveglio. Reale quando ci pensi, inconsistente quando ci ripensi.

    - Comunque, mettiamolo da qualche parte…

    - Be’ tienilo tu, io ho già l’orecchino.

    - Mattinata di raccolta, eh ?

    Come le viole, un tempo, pensò Riccardo. Come, un tempo, le viole. E le olive.

    Sorrise.

    Sorrise per ingannare la nostalgia, allontanare i ricordi, salutare Aldo che doveva andare.

    - Ciao Aldo. Mi fermo un po’… qualche giorno, se con Maria riesco a rendere la casa appena appena abitabile; e se il riscaldamento funziona. Fatti vedere. Ce ne stiamo un po’ sotto il pergolato, anche se le foglie non sono ancora cresciute, come ai vecchi tempi.

    Il pergolato, il luogo delle lunghe chiacchierate, dei progetti, degli scherzi, delle fantasie. Al fresco, d’estate, a truffare le lunghe giornate di vacanza; a piluccare l’uva (un’uva che così dolce, buona, speciale in giro non ce n’era) in ottobre, quando le vacanze finivano e il tempo si accorciava. Come si accorciava, ma in un senso diverso e più profondo, ora che era tornato e che non gli riusciva del tutto di eludere con se stesso come aveva fatto con Aldo la domanda: Ma, com’è che sei tornato, qualcosa non va? Il pergolato sopra il pozzo, il pozzo sotto il pergolato: il pergolato delle promesse, il pozzo delle paure; il pozzo dei timori antichi, il pergolato delle antiche speranze.

    Il pozzo che ora qualcuno (è inevitabile quando le cose le abbandoni) aveva violato, chissà con che gusto, chissà perché.

    - Certo che torno – concluse Aldo - ti darò una mano a risistemare il coperchio. Non c’è da scherzare, le leggi sono molto severe. Paolo ha passato un bel po’ di tempo a minacciare multe e denunce per farle rispettare.

    Paolo era il maresciallo, ma ricordava che tutti lo chiamavano semplicemente Paolo, perché il maresciallo (anzi o’ marescia’) era Giovanni, un maresciallo pensionato (anche lui baby), del quale si raccontava che con i sette anni di abbuono per la lotta di liberazione, qualche acciacco dovuto a cause di servizio, i primi anni passati in zone disagiate, qualche riscatto, qualche altro sconto dovuto a chissà che cosa, era a suo tempo andato in pensione con più anni di servizio che di età. Paolo ora comandava la locale stazione dei carabinieri e, raccontava ancora Aldo, stazione e comandante sarebbero andati in pensione insieme, lasciando contemporaneamente Paolo senza niente da controllare e il paese senza carabinieri. In quanto a o’ marescia’, certo, proseguiva Aldo, era nu poco ‘nvecchiato (era originario di Napoli, chissà al paese come c’era finito), ma se li portava bene e aveva sempre voglia di parlare e di scherzare e, qualche volta di sentenziare da vecchio filosofo quale, fin da giovane, era sempre stato. Che vuo’ fa, aveva salutato Riccardo quando se ne era andato, il mondo è grande e il mondo è piccolo; quando tornerai, avrai scoperto che il gallo canta in tutto il mondo allo stesso modo, ma ti auguro di tornare ricco e felice. Statte buono, Ricca’, te voiobbene.

    Più ricco certo lo era. E felice? In quanto al gallo, ancora come sempre, in ogni parte del mondo, allo stesso modo cantava. Se cantava. 

    3

    - C’è qualcosa nel pozzo, qualcosa di grosso…

    - Sembra un corpo, un animale…

    Chi aveva parlato per primo era Andrea, il marito di Maria, che avevano chiamato per dare una sistemata al coperchio e alla casa. Aveva risposto Maria, la moglie. Moglie e marito curavano i terreni, la casa, i residui affari di Riccardo al paese.

    - Prendi quella canna, che provo a muoverlo.

    - Forse si riesce a capire cos’è…

    Un’ora dopo

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