#Stodadio. L'enigma di Artolè
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#Stodadio. L'enigma di Artolè - Carmine Caputo
Carmine Caputo
#STODADIO
L’enigma di Artolè
Prima Edizione Ebook 2021 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868104627
Immagine di copertina: Fabrizio Carollo
www.fabriziocarollo.it
Damster Edizioni è un marchio editoriale
Edizioni del Loggione S.r.l.
Via Piave, 60 - 41121 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
img1.pngCarmine Caputo
#STODADIO
L’enigma di Artolè
Romanzo
INDICE
Da Le mie favolose favole
di Leonardo Stasi Lo zio di Celestina
1
2
Da Le mie favolose favole
di Leonardo Stasi Il regno di Gattusia
3
4
5
6
7
8
Da Le mie favolose favole
di Leonardo Stasi Il presepe che verrà
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
Da Le mie favolose favole
di Leonardo Stasi Il viaggio di Celestina
Note dell’autore
L’AUTORE
CATALOGO I GIALLI DAMSTER
A chi ama la montagna da novembre a febbraio
Da Le mie favolose favole
di Leonardo Stasi
Lo zio di Celestina
C’era una volta Celestina, la figlia minore di una famiglia di maniscalchi. Il padre si prendeva cura di ferrare i cavalli del borgo sin da quando era piccolo, aveva ereditato questo mestiere e a sua volta contava di trasmetterlo ai figli.
Era sera e si stavano riposando, dopo cena, vicino alla fioca luce di una brace ardente, quando Celestina chiese al padre come facevano a camminare i cavalli prima che l’uomo ferrasse i loro piedi. Il maniscalco le spiegò che i cavalli che vivevano allo stato brado non avevano bisogno di ferri, perché i loro zoccoli si indurivano camminando su tanti diversi terreni accidentati, mentre i cavalli domestici si muovevano solo su strade battute. La figlia lo ascoltò attenta, ma fece notare che secondo lo zio i ferri erano necessari perché i cavalli addomesticati erano costretti a trascinare pesi eccessivi, mentre invece i cavalli liberi potevano galoppare leggeri. Per quello lui non voleva fare il maniscalco. Poi Celestina domandò come facevano le mucche a muoversi prima che i fattori le mungessero. Esplodevano di latte? Il maniscalco spiegò alla piccola che le mucche avevano il latte solo quando c’era un piccolo vitello, che succhiava il loro latte, per il resto dell’anno non c’era bisogno che nessuno le mungesse. La piccola obiettò che secondo lo zio le mucche della fattoria erano sempre incinte perché gli uomini avevano bisogno di rubare loro il latte. Per quello lui non voleva fare il fattore. Infine la bambina domandò come facevano i maiali a crescere senza qualcuno che li nutrisse, visto che erano animali così poco prestanti. Il padre le rispose che crescevano come crescono i cinghiali e gli altri animali selvatici, cercando il cibo giorno per giorno e morendo di fame se non si davano da fare per trovarne. Ancora una volta la piccola replicò che secondo lo zio i maiali erano così lenti e impacciati proprio perché venivano ingozzati e fatti muovere poco per ingrassare ed essere poi macellati. Per questo lui non voleva fare il macellaio.
Il maniscalco si alzò lentamente. Prese per mano la figlia, le indicò la fattoria vicino a casa loro dove a quell’ora dormivano beatamente mucche, cavalli, maiali, galline, e tutti gli altri animali addomesticati. Poi le mostrò invece la radura che conduceva alla foresta, dove non si sentiva volare una mosca. Vedi, figlia mia, le disse, laggiù nel bosco ci sono tanti animali selvatici. È vero, vivono in libertà, fino al giorno in cui un lupo, un rapace o un’altra bestia feroce non li sbrana, o qualche erbaccia che non avrebbero dovuto mangiare non li avvelena. Il loro sonno non è mai un sonno tranquillo. La libertà esige un prezzo alto da pagare. Ci sono specie animali che vi hanno rinunciato, come quelli del fattore, e altre che invece la perseguono ancora.
E poi ci sono i lupi come tuo zio che mangiano e basta. Di questo tuttavia non dovremo preoccuparci più. Visto che non vuole far soffrire gli animali, io rispetto la sua scelta e l’ammiro. Da domani andrà a lavorare al vecchio mulino.
Speriamo che non lo impressioni troppo anche macinare dei semi di grano.
1
Agosto 2014
La mattina del giorno in cui sono morta mi sono svegliata sorridendo, canticchiando una vecchia canzone di cui non ricordavo nemmeno più le parole. Dopo due giornate di orizzonte plumbeo e pioggia, il cielo era finalmente sgombro e un raggio di sole faceva capolino sul mio adorato paesino. Mi ero alzata presto, avevo aperto gli scuri con le mani tremanti, avvertendo un leggero batticuore mentre l’odore del caffè si diffondeva in cucina. Ero curiosa di percepire cosa ne sarebbe stato della festa di Artolè, la manifestazione alla quale anch’io avevo dato il mio contributo insieme a tanti altri paesani. Se adesso penso che mi ero rammaricata di non aver dormito di più!
Al contrario, sono proprio lieta di essermene andata dopo una giornata così lunga e intensa. Porto con me una borsa di ricordi felici decisamente più pesante. Affrontare il viaggio con un bagaglio così ricco sarà meno malinconico. Sebbene la giornata non sia stata altrettanto serena per tutti. Non per colpa mia, sapete. Siamo come pigne appese al ramo di un pino maestoso che nemmeno si accorgono quando le altre pigne cadono. Di tutto ciò posso rendermene conto solo adesso, guardandomi distrattamente indietro, visto che, come potete immaginare, ho decisamente di meglio a cui pensare.
Aveva voglia di starsene in salotto in mutande con il condizionatore acceso al massimo, aveva voglia di latte di mandorla ghiacciato sul tavolo e di una vaschetta di gelato appoggiata arrendevolmente sulle ginocchia, aveva voglia di afa, di occhiali da sole e canottiera, aveva voglia di sudare, aveva voglia di tutto ciò quella maledetta estate gli aveva negato.
Visto che era agosto si ostinava a dormire con il pigiama estivo, così, per darsi un tono, ma considerato che era l’agosto più freddo che ricordasse, al risveglio si era coperto indossando una felpa.
Si era svegliato tardi, e si muoveva con l’indolenza un po’ ovattata di chi non è abituato a dormire tanto. Ne aveva bisogno, dopo il periodo intenso che aveva attraversato. Cercò il cellulare. Aveva disattivato le suonerie. Due chiamate non risposte.
Una era di Leo, il suo amico di infanzia, che gli aveva lasciato un messaggio in segreteria sollecitando una risposta immediata. L’altra di Simona, una ragazza che aveva conosciuto tempo prima in occasione di una sagra estiva. Ovviamente richiamò Simona.
Lo invitava per il 24 agosto a partecipare ad Artolé, una manifestazione culturale che avrebbe avuto luogo nel borgo di Tolè, un grazioso villaggio appenninico noto per le sue acque di sorgente, le passeggiate nei boschi e l’arredo urbano fatto di sculture e quadri donati dagli artisti negli anni. Diede un’occhiata al calendario. Aveva diritto anche lui a qualche giorno di ferie. Di più, si sarebbe concesso addirittura il lusso di soggiornare in albergo, che faceva tanto vacanza, anche se il villaggio distava meno di un’ora da casa sua. Riagganciò, rassicurando la ragazza della sua presenza. Ragazza, poi. Giovane donna. Donna. Insomma doveva avere ormai la sua età, quarant’anni o giù di lì, era una bella donna attiva, e single.
Come lui.
Di più non sapeva, e non aveva intenzione di indagare, perché sapeva bene che i quarantenni scapoli nascondono cicatrici che non è il caso di riportare alla luce.
Rinfrancato dall’idea di un weekend di vacanza, seppure a poche decine di chilometri dalla sua caserma, si decise ad affrontare la seconda chiamata.
— Pronto Leo, mi hai cercato? Sì, te l’ho già detto, questa estate non riesco a scendere. Forse più avanti, a settembre. Lo sai che non dipende da me e sì, la Benemerita potrà sopravvivere anche senza i sacrifici del maresciallo Luccarelli. Come, il prossimo weekend? Mi dispiace non ci sono. Sì, sono fuori. No, ma guarda non è il caso.
Quella voglia di caldo era legata - oltre al fatto che sull’Appennino bolognese quell’anno la primavera e l’autunno si erano date il cambio saltando agevolmente la bella stagione - anche al fatto che il maresciallo dei carabinieri Antonio Luccarelli nel corso del 2014 non era riuscito a trascorrere le consuete ferie estive in Puglia.
Niente mare, niente sapore di salsedine, niente creme solari, niente passeggiate sulla battigia. Niente ragazza stesa al sole da sbirciare fingendo di scrutare l’orizzonte. Solo tanto lavoro e tanti temporali tra quelle vallate, arrampicandosi con impermeabile e scarponi su per quei crinali in cui lavorava ormai da parecchi anni, senza sapersi rassegnare alla polenta col cinghiale e al risotto coi funghi che gli procuravano acidità di stomaco.
Se il maresciallo non va in Puglia, allora la Puglia va dal maresciallo, aveva sentenziato il suo amico Leo al telefono, annunciando la sua decisione di andarlo a trovare con tutta la famiglia per qualche giorno.
Non l’avrebbero trovato nella sua caserma perché in ferie? Tanto meglio: l’avrebbero seguito.
Avrebbero soggiornato tutti a Tolè.
Il maresciallo accese lo stereo, avvertiva il bisogno impellente di un po’ di musica.
The mystery of death before us
Soon every night can bring the light, and close my eyes.
Sometimes life in here is too limited
Sometimes we don’t care at all.
Sometimes
Si tolse di nuovo la felpa.
Improvvisamente aveva caldo.
2
C’era davvero un brulicare allegro e festoso di persone, a Tolè, il giorno in cui sono morta. Peccato che vengano su solo per un giorno e poi vadano via. In inverno rimaniamo in poche centinaia, in gran parte anziani e stranieri. E meno male che ci sono queste famiglie venute da lontano, senza di loro sarebbe un paese morto. Almeno l’estate, però, come sarebbe bello riportare in vita quelle villeggiature degli anni passati in cui a migliaia tra giovani, anziani e famiglie popolavano le strade del paese per godersi il piacere del fresco, di una bella passeggiata rinfrancante, del silenzio del bosco! Chissà, forse in futuro si riscoprirà il gusto di una vacanza che sia davvero uno svuotamento
dalle tante piccole faccende di cui riempiamo la nostra quotidianità. Com’è successo a un signore, un insegnante credo, venuto addirittura dalla Puglia e che ha contribuito a svelare una triste storia in cui sono stata mia malgrado coinvolta. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo di persona. Ma che importa, in fondo? Tutti quelli che verranno ad ammirare le opere d’arte con cui abbiamo arricchito in nostri borghi mi renderanno felice. Sarà un po’ come averli conosciuti e invitati a gustare qualche zuccherino montanaro, con un buon bicchiere di pignoletto fresco.
Il maresciallo Antonio Luccarelli amava i sonnellini all’ombra di un ulivo, l’odore di pioggia sul lungomare, il vento di scirocco tra i capelli e le friselle con i pomodorini freschi e l’origano raccolto in pineta. Si era ritrovato però, un po’ per forza un po’ per autentica scoperta, ad apprezzare le lunghe passeggiate nei boschi, i tortellini in brodo e i borghi medievali dell’Appennino sopravvissuti al tempo, al passaggio oltraggioso dell’uomo e alle sue barbarie. Certo in montagna il susseguirsi delle stagioni aveva un passo più pesante. Se l’estate si viveva in un turbinio di feste, concerti, mostre, incontri culturali e spettacoli, l’inverno ricopriva tutto con una coltre di freddo, ghiaccio e nebbia. Professionalmente l’estate era più faticosa, tutti quei turisti volevano dire maggior impegno per garantire l’ordine pubblico. Eppure la preferiva di gran lungo a quelle opache mattinate bianche, sommersi da una coperta di mezzo metro di neve, chiusi come talpe tra casa e caserma a bere tisane e guardare tivù. Tu non sai apprezzare abbastanza il dono del silenzio, la pace che queste vie solitarie sanno regalarti, gli aveva detto un giorno un collega anziano. Il vecchio carabiniere per nessuna ragione al mondo avrebbe lasciato la sua casa in fondo al castagneto, vicino al ruscello. Certo aveva le sue ragioni, e se Luccarelli non rimpiangeva troppo gli anni caotici delle sue prime esperienze a Milano, certo non aveva dubbi quando doveva scegliere tra estate e inverno, tra euforia e morte civile. Aveva usato proprio quell’espressione, sconsolato, chiacchierando con la sua amica d’infanzia Gloria, per definire quei lunghi mesi di letargo, sciarpa di lana e connessione internet GPRS a 256k a singhiozzo. Quella fredda e piovosa estate del 2014, poi, si stava rivelando una propaggine indesiderata dell’inverno, con quei cieli cupi e quel freddo pungente che lo avevano costretto a indossare felpe e maglioni persino a ferragosto.
Doveva decidere come comportarsi con Simona. In un primo momento aveva immaginato che Leo si sarebbe presentato a Tolè con tanto di famiglia al seguito: Lisa, affascinante nel suo abito azzurro o blu che ne fasciava un corpo ancora in forma nonostante le due gravidanze, il figlio maggiore attaccato allo smartphone per seguire le ultime vicende del calciomercato, la piccolina libera di scorrazzare sotto qualche corriera o giù per un dirupo. Due le prospettive che si delineavano: Simona si sarebbe spaventata, avrebbe colto quell’invasione come un tentativo di correre in avanti e sarebbe scappata via. Nessuno si presenta a un primo appuntamento accompagnato dall’allegra famigliola del mulino dei biscotti. La seconda alternativa era pure peggiore: Simona avrebbe potuto fraintendere quel messaggio, avvertire intenso quel profumo di fiori d’arancio che verso i quaranta si fa via via più evanescente. Avrebbe cominciato a parlargli di arredamento del salotto e prezzo degli immobili, prima che lui se ne potesse rendere conto. In un caso o nell’altro, sarebbe stato meglio evitare ogni complicazione. Ogni dubbio era scomparso quando Leo, biascicando qualcosa a proposito di traditori o degenerati, lo richiamò per dirgli che sua moglie e i suoi figli non sarebbero venuti a Tolè perché volevano trascorrere il fine settimana a Bologna.
— Davvero, sono mortificato. Si sono coalizzati contro di me, ecco cosa hanno fatto. Ho parlato per settimane di aria pura, contatto con la natura, ambiente, e il risultato è che vogliono starsene in città approfittando del fatto che non è poi così caldo. Guarderanno una di quelle mostre con quattro pannelli multimediali e due effetti di luce da sceneggiato televisivo. Due percento di arte e per il restante novantotto marketing.
— Vabbè, quindi non venite più?— non sapeva se essere più incavolato, deluso o sollevato per quel modo tipico del suo amico di cambiare e scombinare piani a piacimento. Non aveva ancora telefonato a Simona. Non tutto era perduto, dunque. Avrebbero chiacchierato nella piazzetta davanti alla chiesa, lui le avrebbe comprato per gioco qualche capo di bigiotteria facendo attenzione a non spendere troppo, ma neanche troppo poco, avrebbero mangiato insieme in uno dei ristoranti del paese, un buon vino rosso della casa avrebbe agevolato la chiacchierata, lui le avrebbe detto che sembrava una ragazzina, avrebbe ammiccato alla possibilità il giorno dopo di andare insieme nella vicina piscina...
— Vabbè, quindi non venite più?— riprese nuovamente.
— Loro non vengono più. Che se ne stiano pure nello smog cittadino. Veniamo forse da Taranto per respirarci i tubi di scarico di Bologna? Sarà pure una straordinaria città a misura d’uomo, sarà pure all’avanguardia per la cultura e la gastronomia, ma avremmo comunque avuto modo di visitarla durante i giorni successivi. Invece no, pretendono di starci tutto il weekend, non trovano nemmeno uno scampolo di tempo per venire lassù da te. Comunque, compare, io non ti tradisco. Verrò a Tolè anche se per un giorno solo. Arrivo domenica mattina e lunedì nel tardo pomeriggio riparto. Almeno avremo un po’ di tempo per stare insieme. Ho prenotato una camera doppia, sarai mio ospite, non dire niente, è il minimo che potessi fare.
Eccola lì, Simona, scivolargli via di mano, girarsi di spalle, salutarlo, andarsene in piscina con un collega di lavoro, peggio con un tedesco, peggio con un un appuntato della Guardia di Finanza con le sopracciglia a volo d’uccello, il petto depilato e il copri-volante sportivo nella Mini Cooper con il serbatoio a GPL.
Avrebbe chiamato Simona. Le avrebbe detto che non poteva essere più a Tolè per un impegno di lavoro. Ma no, figurarsi, con la sua fortuna si sarebbero incontrati senz’altro. Le avrebbe detto di essere in servizio in borghese. Figurarsi, il capitano non tollerava chi cercasse di entrare gratis in discoteca sfruttando il tesserino, figurarsi se gli avrebbe fatto passare liscia una balla del genere. Le avrebbe detto la verità: aveva tanta, tanta voglia di trascorrere il weekend con lei, mangiare frittura e bere birra alla spina, comprare prodotti locali e farsi infinocchiare dai banchetti degli artigiani, ma soprattutto finire la giornata in una confortevole camera da letto con lei, dando libero sfogo tra le lenzuola alle fantasie comprensibili di un trentanovenne single. Ma un amico aveva deciso di venirlo a trovare proprio durante quel weekend, era un caro amico che stava attraversando un momento familiare difficile a cui non aveva potuto dire di no. Avrebbe detto così. Tralasciando magari quel dettaglio sulle lenzuola e soffermandosi sulle difficoltà dell’amico ormai a un passo dal divorzio, a forte rischio alcolismo dopo aver scoperto il tradimento della moglie. Con il suo datore di lavoro, per giunta, che l’aveva licenziato, visto che gli avevano rubato l’auto e non riusciva ad arrivare in ufficio in orario. Che diavolo, Leo, te la sei proprio cercata.
Quando le telefonò, Simona reagì insospettabilmente bene al cambio di programma: se ci rimase male non lo diede affatto a vedere. Be’, ma se vieni con il tuo amico ci vedremo comunque
le aveva risposto, come se quella potesse essere una consolazione. In effetti l’aveva solo invitato a visitare il paese a cui era legata perché ci trascorreva l’infanzia, tutto il resto l’aveva fatto il galoppare dei suoi ormoni di quarantenne, ancora lontani dalla pace dei sensi. Con ogni probabilità aveva come al solito sovrastimato le sue possibilità di conquistare quella ragazza, e se non altro Leo gli avrebbe dato una scusa per giustificare quell’ennesimo fallimento.
Mentre preparava la valigia, mise da parte la scatola di plastica trasparente che conteneva un paio di costosi boxer, comprati per le grandi occasioni. Cercò invano di evitare lo sguardo deluso di quelle mutande, con il loro elegante logo ricamato, che si preparavano a trascorrere un altro anno rinchiuse in un cassetto, abborracciò qualche scusa tra sé e sé per persuadersi che in fondo era andata bene così.
A Tolè ci arrivi dopo un lungo rettilineo che, dopo le molli e gaudenti curve che profumano di Pignoletto e tartufi della Valsamoggia, ti spalanca di fronte il sipario dell’aspro, passionale e incontaminato Appennino bolognese.
E sono un’illusione, quei due chilometri di strada tutta dritta o quasi, perché dopo non ne troverai più. Sia che con la tua automobile tu decida di arrampicarti lungo i tornanti affannosi che ti avvolgono tra i boschi di Castel d’Aiano, accanto ai salumi lussuriosi lavorati lungo la Canevaccia che porta a Montese e al suo parmigiano di montagna, sia che tu decida invece di spostarti verso Zocca, sperando magari di incrociare Vasco in bicicletta che va a bersi un bicchierino nel suo bar preferito. E se anche dovessi decidere di tornare