Una ragazza da amare
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Anteprima del libro
Una ragazza da amare - Carlo Silvano
2019
Capitolo I
Da qualche ora ha smesso di piovere. L’aria è pulita. È un’esperienza unica guardare Napoli dall’alto: l’occhio si perde tra le cupole delle chiese ricche di arte e le strade che brulicano di vita, tra le aspre torri del Maschio Angioino e l’austera eleganza della reggia di Capodimonte, tra l’imponenza taciturna del Vesuvio e la placida distesa delle acque del golfo.
Con l’immaginazione tutto è possibile: man mano che si plana, che lentamente si scende verso terra, tutto diventa più chiaro e distinto e ad un certo punto – con la fantasia – si può anche scorgere una giovane donna che da una porta finestra di un appartamento all’ultimo piano di un anonimo palazzo del cuore di Napoli esce per andare sul proprio balcone per spostare alcune piantine di basilico e rosmarino. Poi, come per abitudine, la donna si sporge lievemente dalla ringhiera in ferro battuto del balcone: sotto di lei c’è una stradina a quell’ora poco trafficata e la sua attenzione si concentra su un uomo in giacca e cravatta che arriva da un vicolo laterale e che a passo veloce e deciso percorre una breve distanza fino a raggiungere il portone di un antico palazzo che sorge proprio davanti a quello della giovane casalinga.
La donna torna ad occuparsi delle sue piantine, mentre l’uomo, perso nei propri pensieri, estrae da una tasca della giacca un mazzo di chiavi ed aperta la serratura del portone inizia a salire i gradini, realizzati con roccia di piperno, di una secolare ed arcaica scala. Al primo piano, sul pianerottolo una studentessa sta chiamando sua sorella Giulia invitandola ad affrettarsi per non fare tardi a scuola. La ragazza, con accento veronese, si rivolge all’uomo che ha poco più di cinquant’anni dicendo:
«Buongiorno dottor Varriale».
«Buongiorno, buongiorno Adelaide».
«Sto andando a scuola. Se Martina vuole venire con me la posso aspettare. Comunque adesso la chiamo per citofono».
Il dottor Varriale fa cenno di sì con la testa: ha fatto un lungo percorso a piedi e a passo veloce ed è stanco dopo aver lavorato tutta la notte in ospedale.
«Grazie Adelaide… se Martina viene con te sono più tranquillo».
Adelaide annuisce e torna a chiamare la sorella mentre il dottor Varriale riprende a salire i gradini della scala. Giunto al pianerottolo successivo si ferma per un attimo ad osservare il nome inciso su una targhetta affissa sulla porta di un appartamento: prof.ssa Giovanna De Santis
. Poi riprende a salire per arrivare a casa sua. Sempre con una delle chiavi che ha in mano apre e annuncia il proprio arrivo alla moglie:
«Rita, Rita sono io. Sono tornato. Oggi Martina se la sente di andare a scuola? Se ci va ed è pronta può andare con la sua amica che è già vicino al portone del palazzo».
«Ciao Roberto – risponde la moglie – adesso chiedo a Martina cosa fa, che è in bagno da mezzora».
Avvicinatasi alla porta del bagno la donna bussa lievemente e in quel momento si sente anche lo squillo del citofono.
«Martina – dice la mamma – te la senti di andare a scuola? Adelaide è giù che ti aspetta».
In bagno Martina è davanti al lavandino, si sta lavando la faccia, alza la testa e la sua immagine compare sullo specchio che ha di fronte; un cospicuo fiotto di sangue scorre dalle sue narici e mentre si pulisce lavandosi con dell’acqua, risponde:
«Certo che vado a scuola. Perché non dovrei? Ad Adelaide però dille di avviarsi, che la raggiungo al liceo».
La madre esegue e quando Martina esce dal bagno è visibilmente stanca: prende comunque lo zaino con i libri e i quaderni di scuola e una merenda lasciata sul tavolo della cucina. A pochi passi da lei il televisore è acceso e sintonizzato su un telegiornale locale che riporta la notizia delle indagini avviate dai carabinieri per dare il volto agli autori di un reato che ha suscitato una particolare emozione in città: alcuni ignoti avevano nei giorni precedenti appeso un fiocco azzurro sul portone di un noto convento femminile napoletano e ciò aveva causato l’indignazione di non pochi politici che accusavano le avverse fazioni. Nei confronti di questi ignoti le suore del convento avevano presentato una querela.
Con lo zaino sulle spalle Martina saluta i propri genitori ed uscita di casa scende lentamente i gradini della scala; anche lei con la coda dell’occhio osserva la targhetta apposta sulla porta dell’appartamento del secondo piano e mentalmente legge: prof.ssa Giovanna De Santis. Dopo alcuni minuti è da sola alla fermata dei mezzi pubblici.
L’autobus utilizzato da Martina arriva a poche centinaia di metri dal liceo: le porte dell’automezzo si aprono e un fiume di studenti scende sul marciapiede della fermata. Per alcuni secondi dall’autobus non scende più nessuno, ma poi si vede Martina. Fa molta attenzione a non cadere ed una volta scesa dall’autobus si gira verso l’autista: con un cenno della mano lo ringrazia per la sua pazienza e poi si avvia verso la scuola facendo così l’ultimo tratto di strada a piedi. Percorre, però, poche decine di metri, che trova un suo compagno di classe seduto a terra.
«Cosa ti è successo, Pasquale?», chiede la ragazza.
«Per la fretta sono caduto e col ginocchio ho battuto sullo spigolo del marciapiedi, ma tu vai avanti. Adesso ti raggiungo».
«Vedo del sangue. Sei