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Racconti Fantastici - Viaggio in Paradiso
Racconti Fantastici - Viaggio in Paradiso
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E-book308 pagine3 ore

Racconti Fantastici - Viaggio in Paradiso

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Info su questo ebook

Un viaggio, una crociera, un terrificante incidente. Su un'isola sperduta un inquietante mistero rimasto nascosto dalla Seconda Guerra Mondiale stava per essere svelato.

La vita di Owen Collins si intreccia con quelle dei sopravvissuti, alla scoperta di un male nato dall'uomo.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mag 2019
ISBN9788831620444
Racconti Fantastici - Viaggio in Paradiso

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    Anteprima del libro

    Racconti Fantastici - Viaggio in Paradiso - Nicola Ibba

    Paradiso

    Prologo

    2 settembre 1945.

    La Seconda Guerra Mondiale era finita.

    Il conflitto armato più grande della storia, costato all’umanità sei anni di sofferenze, distruzioni e massacri con un totale di 55-60 milioni di morti, si era finalmente concluso.

    L’Europa era stata ridotta a un cumolo di macerie. Gli Stati Uniti, invece, riuscirono a piegare l’ostinatezza giapponese, che decretò la fine del conflitto.

    Da quel momento, l’America divenne la prima potenza mondiale.

    Nei sei lunghi anni di guerra molti fatti rimasero nascosti, infangati dalle forze armate ostili. Misteri ed eventi raccapriccianti che molti ancora non conoscono.

    Durante l’anno del 1954, nove anni dopo la guerra, sul porto di New York, la MS Atlantic stava per compiere il suo primo viaggio, a cui venne dato il nome di: La Rotta Proibita.

    La nave aveva attirato tanti cittadini americani che avrebbero compiuto un piacevole viaggio verso L’Avana.

    Fotografi e turisti di tutto il mondo salirono a bordo.

    Dalla Grande Mela, l’Atlantic partì alla volta di Cuba.

    Il primo viaggio risultò piacevole, confortevole e di grande spicco. Non ci furono problemi di nessun tipo, e giunsero a destinazione nei tempi prefissati.

    Ciò segnò un altro grande passo per l’America, che diede inizio a un percorso turistico molto apprezzato.

    L’inizio di qualcosa di più grande e oscuro.

    Atto 1

    La partenza

    1957.

    La MS Atlantic era pronta a salpare, accogliendo a bordo oltre 700 passeggeri.

    Il grande porto occupato da centinaia di turisti e lavoratori era sempre in costante regime grazie alla sua importanza commerciale, che beneficiava di una posizione geografica veramente unica, con otto baie, quattro stretti e quattro fiumi. Nonché principale punto d’arrivo degli immigrati provenienti principalmente dall’Europa.

    Numerose barche, pescherecci e navi da trasporto erano ormeggiate, compresa la grande Atlantic, che rivelava tutta la sua magnificenza in attesa che i primissimi passeggeri salissero a bordo.

    In tanti lavoravano giorno e notte per mantenere in continuo sviluppo le attività navali. Il lavoro non mancava mai ed era assai pesante. I commercianti, soprattutto nei banchi di pesce, guadagnavano fior fior di quattrini grazie al continuo movimento turistico.

    Nella gelida mattina del 13 giugno 1957, il caos prevaleva nel porto di New York.

    In lontananza, la Statua della Libertà dominava tutto il territorio. Nella sua figura femminile dall’espressione seria e concentrata, con indosso un diadema ornato da numerose e ipotetiche gemme, la sua opera monumentale rappresentava la libertà che illumina il mondo.

    La sua mano si innalzava verso il cielo tenendo una fiaccola accesa, simbolo di indipendenza e giustizia.

    Lei era la dama che accoglieva ogni singolo uomo fin dalle prime luci dell’alba, nel suo serio ma fascinoso aspetto.

    Molti turisti pronti a salire sulla MS Atlantic si fermavano a lungo ad ammirarla, mentre il movimento cittadino spiccava in ogni direzione, causando caos e diversi disagi.

    In sottofondo si udivano le urla dei mozzi, dei commercianti e dei ragazzi orfani che correvano in gruppo in cerca di avventura. In cerca di qualcuno da abbindolare o perfino da derubare.

    Gli scippatori erano ovunque, e non si sapeva mai da dove sbucassero.

    Molti turisti perdevano portafogli e documenti d’imbarco senza nemmeno accorgersene, che successivamente venivano falsificati dai più abili per intraprendere un viaggio ignoto fuori dalla Grande Mela.

    Nelle zone più vicine alle navi, l’odore di olio e sudore impestava l’aria marina. Il metallo caldo e il tanfo di pesce appena pescato. I pericoli erano in agguato, e gli uomini di fatica, forti e abituati a questo stile di vita lavoravano senza sosta con la pelle sporca e calda. Vestiti rovinati e luridi di sudore.

    Tutto questo, messo insieme, era qualcosa di affascinante che, visto dagli occhi di un ragazzino, diventava ancora più magico e fantastico.

    Questo era vivere, affrontare appieno ogni singolo momento della propria vita. Conoscere ogni giorno personaggi diversi provenienti da tutto il mondo.

    Owen Collins era affascinato da tutto ciò. Guardava con i suoi occhioni ogni volto di passaggio e qualunque cosa gli capitasse a tiro.

    Benché avesse appena dodici anni di età, per lui era la prima volta che vedeva il porto così da vicino. Sentirne gli odori, i sapori e gli schiamazzi era qualcosa di nuovo.

    Il tentacolare movimento di tantissimi sconosciuti presi ad andare chissà dove, avvolti dai propri pensieri, dalle proprie mansioni o frettolose intenzioni.

    Nel suo luminoso e sempre attento sguardo, Owen fissava da lontano la gigantesca e altissima nave. Un mostro navale che si distingueva da qualsiasi altra imbarcazione.

    La passerella era zeppa di persone in fila che attendevano il proprio turno, mentre un uomo piuttosto alto e grosso, con cappello e uniforme blu dai bottoni giallo oro accoglieva ogni singolo passeggero.

    Owen si scostò i capelli biondi dal viso e cercò di capire, immaginando che quel barbuto personaggio fosse il capitano della nave.

    Ne rimase affascinato a tal punto da perdersi nei suoi pensieri, allontanandosi dalla madre intenta a farsi largo in quella ressa per raggiungere l’Atlantic.

    Un improvviso spintone buttò a terra il giovanotto, che si graffiò i palmi.

    «Levati dai piedi, ragazzino!» un tale, sacca in spalla, si fermò, lanciandogli un’occhiataccia.

    Owen, impaurito, incrociò il suo sguardo, fissando il livido nel suo occhio destro. Solo pochi secondi prima che lo sconosciuto riprendesse a correre frettolosamente.

    «Ehi! Stai attento!» il padre si fece avanti appena dopo, ma il suo grido non venne mai udito. «Imbecille…» borbottò, assicurandosi che il figlio stesse bene.

    «Owen! Quante volte ti ho detto di non allontanarti?» la madre sopraggiunse spaventata. «Sai che qui è facile perdersi… è pieno di energumeni.»

    «Scusami, mamma…» Owen abbassò la testa. Si sistemò i capelli fissando i mozziconi ai suoi piedi. «Mi sono distratto…»

    «Ma guarda un po’ qua!» lei sbuffò, guardando lo sporco e i tagli sulle mani. «Appena saliamo a bordo dobbiamo disinfettarle.»

    «È solo qualche graffio, mamma. Mi pizzica solo un po’.»

    «Non è solo un graffio! Con tutte le malattie chissà cosa ti potresti prendere. Sai che questo è un viaggio importante per tuo padre.»

    «Avanti… non è colpa sua» Nathan prese le parti del figlio, mantenendo sempre una mano sulla borsa da viaggio che portava in spalla. «Ho visto il tipo venirgli addosso.»

    Julia lo guardò incattivita, molto scocciata. «Sei troppo premuroso» disse. «Stai prendendo alla leggera questo viaggio. È importante per il lavoro che fai.»

    «Non c’è bisogno che me lo ripeti ogni volta» Nathan rimase sereno, riprendendo a camminare. «Andiamo… altrimenti faremo tardi.»

    Nathan Collins, nel suo lavoro, era un vero e proprio portento. Lavorava come fotografo al New York Times. Era stato incaricato di salire a bordo della nave crociera MS Atlantic diretta verso Cuba con il compito di scattare le più belle fotografie del posto per un importantissimo articolo.

    Già dal 1954 la fotografia a colori viveva un momento di grande splendore. Il padre di Owen era un vero portento nel suo campo, e salì per la prima volta sulla Atlantic proprio nel ’54.

    In questo suo secondo incarico importante, Nathan decise di portare anche la sua famiglia per il piacere della crociera. Lui era un padre e un marito molto premuroso e gentile con tutti. Odiava la violenza e i prepotenti.

    Elegante, con giacca a quadri e borsa in spalla, proseguiva verso la nave. La sua era una borsa molto preziosa; possedeva tutta l’attrezzatura da fotografo. Molto costosa a quei tempi. Per questo non si separava mai da essa.

    Aveva i capelli lunghi e tirati all’indietro, sempre ben pettinati. Sbarbato e dal viso uniforme.

    Al seguito, sua moglie Julia. A differenza del marito, che aveva quarantatré anni, lei ne aveva cinque in meno. Era una donna molto di classe, che si teneva sempre bella ed elegante. Badava costantemente al giovane Owen. Era una madre casalinga e molto protettiva. Ma amava la bella vita. Amava New York e amava viaggiare.

    In quella splendida occasione indossava un vestito lungo ed elegante, con la fascia sui fianchi. Si portava dietro una valigia piuttosto ingombrante che conteneva di tutto.

    Un fiocco rosa raccoglieva i lunghi capelli biondi in una coda, come fosse una cascata di oro liquido.

    Owen, timido dodicenne con poca vita sociale, di carattere somigliava parecchio al padre.

    Come la madre amava viaggiare, ma a differenza sua amava anche sognare. Amava la vita che svolgevano al porto.

    Era un sognatore, era un ragazzino che amava sporcarsi le mani. Ma chiunque a quell’età ambiva a simili desideri.

    Il suo cammino doveva ancora compiersi, e questo era solo il primo passo.

    Finalmente la famiglia Collins si introdusse dentro la lunga e infinita passerella che li avrebbe condotti a bordo della nave.

    Da così vicino sembrava ancora più grande agli occhi di Owen.

    Persone di ogni tipo circondavano il giovanotto, che li fissava sbalordito e incuriosito. C’erano anziani e bambini, persone di classe e ragazzi euforici. Molti vestiti con abiti particolari e strampalati.

    I mozzi erano in continuo movimento. Gente che fischiava, urlava e rideva.

    In sottofondo un’orchestra.

    A bordo, non visibile dalla sua posizione, si sentivano violini, flauti e clarinetti, tromboni e anche un pianoforte che amplificava la bellissima melodia.

    Dalla passerella l’ambiente cambiò radicalmente, diventando più chic. Una fantastica sensazione che mandava in visibilio il giovanotto.

    Ogni tanto si voltava ad ammirare da quella altezza il porto e le migliaia di persone che si spostavano ovunque.

    Fumi e vapori invadevano l’aria insieme a tantissimi odori diversi. Rumori, tantissimi rumori.

    L’attesa sulla passerella, per Owen, non durò neanche più di tanto.

    Con poco timore, seguendo i passi della madre, mise il primo piede dentro la nave, fissando dalla sua bassa posizione il gigantesco uomo con cappello e barba lunga.

    «Benvenuti a bordo, signori Collins» il capitano Adam Clark Williams li accolse con un grazioso sorriso.

    Levò dalla tasca della giacca un ticchettante orologio a cipolla in argento. Guardò l’ora e lanciò un’occhiatina al giovane Owen.

    Lui si nascose dietro le gambe della madre, mentre Nathan restituì il saluto, spostandosi sulla battagliola.

    «È sempre bello tornarci…» sussurrò Nathan, ammirando il panorama. «È sempre un’esperienza magnifica» si lasciò sfuggire un sospiro malinconico e sorrise.

    Julia sorrise affiancandosi a lui, mentre il giovane Owen cercava di arrampicarsi sulle sbarre della battagliola, riuscendo a malapena a scorgere il porto.

    Catenelle d’acciaio sbattevano l’un l’altra spinte dalla leggera brezza mattutina. L’intera nave oscillava leggermente, mentre in sottofondo si udivano i piccoli scricchiolii della struttura.

    L’intero ponte in poco tempo si riempì di persone, che salutavano i propri cari, amici o conoscenti, prima della partenza.

    Tante voci si sentivano, chiacchiere e risate ovunque, accompagnate dalla costante melodia dell’orchestra.

    Owen si guardò attorno e ammirò.

    La nave in sé era relativamente semplice e poco costosa, ma aveva tanti posti da visitare, e diversi tipi di intrattenimento.

    Era alta, molto alta agli occhi del giovanotto, suddivisa in diversi piani.

    Appena l’ultimo passeggero salì a bordo, la passerella venne tolta e il capitano si ritirò in cabina.

    Molti dei numerosi passeggeri rimasero sul ponte ancora a lungo, mentre altri iniziarono a spostarsi verso i propri alloggi. Altri ancora si spostarono a prua per vivere al meglio l’esperienza della partenza.

    Nathan ebbe la stessa idea.

    Owen stava al passo tenendo sempre la mano della madre, senza mai smettere di guardarsi attorno.

    Un forte rombo lo spinse ad alzare gli occhi verso il cielo, fissando l’altissima ciminiera sputare un getto di fumo improvviso.

    Tutto iniziò a vibrare e la nave a muoversi con lentezza, allontanandosi dal porto, mentre un generale grido di saluti risuonò al rumore costante dei motori in funzione.

    La MS Atlantic iniziava così un nuovo viaggio verso Cuba.

    Iniziava l’avventura del giovane Owen Collins.

    L’Uomo Misterioso

    16 giugno 1957.

    La MS Atlantic procedeva a velocità sostenuta nell’Oceano Atlantico.

    I primi giorni a bordo della nave furono estasianti per Owen. I posti da visitare erano tantissimi. Per un giovanotto come lui non c’era da annoiarsi.

    Tra i molteplici alloggi, semplici ma eleganti, la nave era provvista di una piccola sala d’intrattenimento, un teatro a parte e un ristorante, per trascorrere le serate più piacevoli con musica e ballo.

    La nave aveva in totale quattro classi, le ultime due si trovavano nei livelli più bassi, ed erano occupate dai passeggeri meno importanti rispetto a chi poteva privilegiare delle classi più accoglienti e lussuose.

    Nella parte posteriore della nave c’era un grande deposito merci, accessibile solo all’equipaggio. Nella parte più bassa, vicino alla pancia della nave, nonché il punto più caldo dell’intera struttura, quintali di carbone erano depositati per tenere in costante funzione i motori.

    Tanti uomini lavoravano 24 ore su 24, patendo un caldo e una fatica insopportabili, che molti nemmeno immaginavano.

    La vita a bordo non era per tutti un piacere o un lusso. C’erano delle grandi responsabilità, e il capitano Adam Clark Williams aveva quella più importante.

    La cosa che ogni capitano odiava di più in assoluto era la possibile presenza di clandestini, che salivano a bordo di nascosto eludendo i controlli o con passaporti falsi.

    Accadeva molto spesso, ed era davvero difficile da evitare durante il trambusto della partenza.

    Owen alloggiava in seconda classe. Si alzava molto preso la mattina. Faceva una leggera colazione e usciva subito ad ammirare il paesaggio dell’oceano. Non gli importava altro. Gli piaceva trascorrere il tempo nell’argano della prua, dove il panorama era mozzafiato.

    L’atmosfera dominante non si trovava di certo all’interno della nave, bensì all’esterno, dove si potevano assaporare gli odori del mare, il rumore delle onde e l’infinita distesa azzurra, di un oceano immenso e misterioso.

    La madre di Owen non lo lasciava mai un attimo da solo. Molto spesso veniva costretto a stare nelle aree chiuse e più affollate, dove i passeggeri più raffinati preferivano trascorrere il tempo bevendo drink, in compagnia degli spettacoli orchestrali, che non mancavano mai.

    A soli pochi giorni dalla partenza, tutto l’entusiasmo che Owen provò andò ad assopirsi a causa della madre, interessata solo a stare in piacevole compagnia, facendo amicizia e chiacchierando di cose noiosissime con perfetti sconosciuti.

    Provava un filo d’invidia per il padre. Lui poteva fare tutto ciò che desiderava, senza limiti. Era un adulto, e il suo lavoro lo obbligava a spostarsi ovunque per compiere scatti magnifici.

    In realtà per Nathan non era un obbligo, amava farlo, amava stare all’aperto, e sapeva che il giovane Owen lo amava quanto lui.

    Durante il 17 giugno 1957, quando l’Atlantic stava costeggiando il territorio della Georgia, il comandante fu costretto a fare una piccola deviazione a causa di un improvviso abbassamento delle acque.

    I passeggeri vennero informati, ma non fu nulla di preoccupante. Il mare era calmo e cristallino. Non c’erano isole o scogli all’orizzonte, e le giornate erano sempre belle. Solo con qualche nuvoletta di passaggio.

    Per Nathan fu un peccato non poter fotografare la costa della Georgia, ma si accontentò della piacevole vista dell’oceano, i gabbiani che volavano a pelo d’acqua in cerca di cibo.

    Prendeva sempre molto seriamente il suo lavoro, infatti fotografava ogni momento particolare di questa magnifica esperienza.

    In quella occasione era in costante compagnia del giovane Owen, che riuscì a convincere la madre a stare un po’ con lui, senza disturbarlo.

    Nathan non si sentiva per niente disturbato, anzi, apprezzava molto la presenza di suo figlio. Lui stava perlopiù per conto suo, tra i suoi pensieri, a esplorare e ammirare ogni piccolo evento trovasse interessante.

    Non lontano dalla prua, vicino al ponte di comando, ben più che visibile agli occhi di tutti, Owen notò il capitano discutere animatamente con il comandante in seconda e altri uomini addetti alla sicurezza della nave.

    Dalle loro espressioni e dai loro movimenti di braccia sembravano parecchio nervosi. Soprattutto Williams, che continuava a grattarsi la lunga barba arruffata.

    A un suo gesto alcuni di loro si mossero nervosamente, iniziando a ispezionare le cabine e le botole esterne vicino alla poppa.

    Le persone sul ponte non fecero caso a questo improvviso movimento, nemmeno suo padre che, troppo preso a scattare foto, si allontanò più del dovuto dal figlio.

    Incuriosito, Owen seguì gli spostamenti degli uomini in divisa bianca.

    Un chiacchiericcio continuo di un via vai di passeggeri rischiava di fargli perdere il contatto visivo.

    Qualcuno coperto da un grosso giaccone marrone e una sacca dietro la schiena passò veloce accanto a lui, sfiorando la sua spalla.

    Owen incrociò il suo sguardo appena lo vide entrare in una piccola stiva della caldaia dietro le cabine del piano attuale.

    Vagamente riconobbe il livido sull’occhio destro, il taglio sul labbro e la sua espressione seria.

    Il misterioso uomo socchiuse lo sportello e fece un cenno. «Ssh…» il suo sguardo severo spaventò il ragazzino, che andò a retrocedere fino a sbattere contro la scialuppa alle sue spalle.

    Il telo si sollevò all’improvviso e qualcuno saltò fuori dalla scialuppa, cadendo insieme a Owen.

    «Accidenti!» l’anonimo ragazzo dal berretto e giacchetto rattoppato scattò in piedi, trovando appoggio nella fune accanto.

    Owen rimase a terra e lo osservò qualche istante, notando la leggera differenza d’età che lo distingueva.

    Il fracasso causato, per quanto fosse stato basso, attirò comunque l’attenzione di diversi uomini, che si precipitarono immediatamente verso il giovane sconosciuto.

    «Fermò lì!» gridò qualcuno. «Fermo! Non complicare le cose!»

    Lui non diede ascolto e scappò, mentre Owen si aggrappò alla spranga della battagliola, assistendo all’inseguimento.

    Tutti i presenti in quel momento si fecero da parte. Qualche signora strillò dalla paura al suono di uno sparo partito in aria.

    Una di esse, dalla esagerata capigliatura bionda e un ventaglio in mano, ebbe uno svenimento tra le braccia del suo compagno.

    Il ragazzo in fuga continuò a correre fino a raggiungere la prua. Lì venne accolto da un violento pugno che lo mise subito al tappeto.

    «Puah! Il solito clandestino che tenta di derubare i passeggeri!» il tale lo guardò dall’alto digrignando i denti, mentre veniva raggiunto dagli altri uomini.

    Il naso del ragazzo sanguinava copiosamente. Si lamentava e lacrimava, ma a nessuno importava.

    «La prossima volta evita di sparare!»

    «L’ho fatto per spaventarlo» l’uomo con la pistola si giustificò. «Pensavo si fermasse.»

    «Pensavi male» l’altro uomo, dall’aspetto autorevole e dalle folte sopracciglia, si chinò a raccogliere la sacca del ragazzo, svuotandola ai suoi piedi. «Ma guarda un po’ cosa abbiamo qua!» esclamò. «In questi ultimi giorni non sei rimasto con le mani in mano.»

    Gioielli, collane, orologi costosi e qualche argenteria erano stati depredati dai passeggeri più incauti.

    Non lontano dalla loro posizione, Owen osservava la scena con una piccola nota di colpevolezza, mentre alcuni aiutavano la signora a riprendersi.

    Dalla caldaia l’uomo misterioso uscì in silenzio, e altrettanto silenziosamente si allontanò. Da nessuno venne notato, a parte Owen, che aveva occhi dappertutto.

    Per un momento la sua insistente curiosità lo spinse a seguirlo, ma una mano vigorosa lo fermò.

    «Ehi, giovanotto!» l’uomo dalle folte sopracciglia era davanti a lui. «Ti ho visto, sai?»

    «Visto… visto cosa, signore?» lui fece un passo indietro, intravedendo il clandestino mentre veniva portato via.

    «Hai rallentato la fuga di quel ladruncolo» disse. «Il capitano vorrà ringraziarti personalmente. Lui odia i ladri e i clandestini.»

    «Mio… mio padre odia i prepotenti» Owen rispose in tono sottile e impaurito.

    «Come ti chiami? Dove si trova ora?»

    «Owen… mi chiamo Owen Collins» borbottò. «Credo che mio padre sia ancora a prua, sta scattando delle foto.»

    «Uhm… un fotografo…» l’uomo si grattò il mento. «Io sono Roman… Roman Parker» gli porse la mano in segno di saluto. «Che ne dici se andiamo a cercare tuo padre e poi facciamo visita al capitano Williams?»

    «Va… va bene…» Owen, a disagio, gli strinse la mano e si allontanò insieme a lui, mentre sul ponte tornava la calma.

    Lontano dalla loro portata visiva, il tale col giaccone li osservò allontanarsi. Posò la sacca e la aprì, assicurandosi che il contenuto non si fosse rovinato.

    Nathan era ancora vicino alla prua quando Owen e Roman lo raggiunsero.

    «Per Dio!» la macchina fotografica penzolava intorno al suo collo. «Dove sei stato? Se tua madre scoprisse che ti ho perso di vista…»

    «Papà!» Owen lo abbracciò. «Perdonami…»

    «Vostro figlio è molto

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