Andata e ritorno al 41° parallelo nord
Di Luana Zaami
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Anteprima del libro
Andata e ritorno al 41° parallelo nord - Luana Zaami
Indice
ANDATA E RITORNO AL 41° PARALLELO NORD
PRIMA PARTE
SECONDA PARTE
PARTE TERZA
Alla mia nipotina Nicole
perché impari presto a perseguire un obiettivo.
Luana Zaami
ANDATA E RITORNO
AL 41° PARALLELO NORD
Youcanprint
Titolo | Andata e ritorno al 41° parallelo nord
Autore | Luana Zaami
ISBN | 9788831631181
Prima edizione digitale: 2019
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Questo racconto, storia di una famiglia alla ricerca della propria dimensione, ambientata in un lungo spaccato temporale, sullo sfondo di due paesi in evoluzione ha richiesto impegno ed amore. Spero che sia accettato come testimonianza di un quadro storico ancora vicino nella memoria collettiva.
PRIMA PARTE
Era una famiglia storica su quel lembo di terra del Sud.
Le origini si perdevano nell’intricata storia delle invasioni, dai turchi agli arabi ai normanni…
Per qualche oscuro motivo, avevano deciso di mettere radici in quella città.
Una città che porta chiari i segni delle dominazioni subite.
Nell’architettura spesso chiaramente araba, (è impossibile non citare la splendida chiesa della Martorana) nelle tradizioni e nei gusti.
Così era iniziata la storia della famiglia, si erano incrociati e moltiplicati con poche altre famiglie, mantenendo la loro identità prioritaria rispetto alle altre, ciò li aveva resi orgogliosi, o forse lo erano caratterialmente.
L’antico lignaggio non li esimeva dall’odiarsi cordialmente all’occorrenza.
C’era un segno caratteriale ricorrente, un’arrogante supponenza, forse un’ingenua vena di propensione all’accettazione accomodante in funzione di uno spirito egoistico inesplorato che faceva presagire sviluppi imprevisti ed incontrollabili.
Si favoleggiava come in una leggenda metropolitana che fossero stati cinque gemelli assolutamente identici i fondatori. Poiché nei documenti si trovano tracce solo di tre predecessori è logico dedurre che siano stati tre, di cui due emeriti bastardi e l’altro forse…la pecora nera… o bianca che dir si voglia.
Perché bastardi?
Soltanto perché nel corso della loro vita riuscirono a mettere insieme un patrimonio che sarebbe durato per molte generazioni, se ben gestito.
Si potrebbe dunque concludere che arricchirsi dà automaticamente la patente di bastardo?
Punti di vista, dirà qualcuno.
Tuttavia mettere insieme una tale fortuna poteva dare adito a mille congetture.
Avevano iniziato con tre bastimenti, e già questo avvalorava la tesi dei tre fratelli che nell’immaginario divennero gemelli.
Forse lo erano o forse no, è certo che si assomigliavano.
Erano gli armatori dei bastimenti, e i documenti dell’epoca lo dimostrano.
La SANTA, la NORA e la VANNA.
Si racconta che i tre bastimenti fossero il tributo d’onore pagato da un armatore dell’epoca che trovandosi in difficoltà si era giocata l’ultima risorsa per far fronte ai debiti di gioco in cui si era cacciato dopo il naufragio di altri due bastimenti della sua piccola flotta.
Erano i tempi in cui il gioco d’azzardo spesse volte apriva e concludeva un affare.
Era la fine del secolo. L’anno domini 1900.
Le assicurazioni erano ancora un’ipotesi.
Tuttavia i bastimenti erano belli e robusti a vela s’intende, spesso con un supporto di caldaie a carbone e potevano navigare su ogni mare.
Gli equipaggi erano uomini un po’ naviganti e un po’ filibustieri, non molto dissimili dal loro armatore.
Erano i tempi di una marineria particolare in cui si riversavano avvicendandosi i personaggi più disparati.
Spesso violenti per lo più attenti ai profitti anche se spesso dentro i limiti mai troppo definiti della legalità.
A bordo vigeva un regime di obbedienza totale ed indiscutibile al comandante che, padrone assoluto, poteva decidere la sorte del suo manipolo di uomini e del carico (tranne in caso di ammutinamento in verità abbastanza raro, anche se la letteratura ci tramanda casi di ammutinamenti famosi, con un vago sentore di romanticismo).
Simone, Lorenzo e Michele D’Auria i tre fratelli armatori facevano navigare i loro bastimenti carichi di merci ed equipaggiati come mai s’era visto.
Non c ‘era situazione meteorologica che li trattenesse in porto.
Si partiva sempre, col mare forza otto o col mare piatto bastava che ci fosse il vento giusto per riempire le vele e spingere la barca verso il mare aperto, poi il comandante avrebbe intuito con la sua sagacia, gli strumenti disponibili, la conoscenza degli astri e degli elementi, la rotta giusta per incontrare e sfruttare le situazioni più favorevoli alla navigazione.
Le rotte erano transoceaniche per Michele e Lorenzo.
Il nuovo mondo rappresentava un notevole polo d’attrazione con un mercato in espansione come quello degli anni tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900.
I bastimenti partivano con carichi umani, i primi emigranti che coraggiosamente abbandonavano la terra natia e la povertà attratti dai racconti mirabolanti che giungevano con un passaparola.
Si narrava di terre vergini e sconfinate, di prodotti spesso sconosciuti o di derrate a prezzi più convenienti.
Il tabacco, il riso, la canna da zucchero, il legname il grano ed alcuni prodotti totalmente sconosciuti in Europa (il pomodoro).
Tutto ciò riscuoteva interesse e speranze che spesso si tramutavano in un desiderio insopprimibile di –andare– per sperimentare di persona il nuovo mondo e le nuove risorse.
Gli stati sovrani d’Europa, dall’Inghilterra in primis al Portogallo tentarono la colonizzazione delle nuove terre.
L’italia provò una nuova formula di fatto molti italiani si stabilirono nell’America del Sud, Venezuela, Brasile, altri preferirono il Nord America, dove le grandi fabbriche li fagocitarono strappandoli al loro destino di agricoltori, pescatori, pastori.
Simone, il minore dei tre fratelli batteva le rotte del Nord Europa da cui si importava il carbone.
Con l’avvento della seconda rivoluzione industriale si sentiva forte l’esigenza di produrre energia che si estraeva quasi esclusivamente dal carbonfossile di cui le terre della lega anseatica erano ricche.
Simone dedicava tutto il suo impegno a questa attività era soddisfatto del suo ruolo di cui valutava l’importanza.
Le loro stesse navi usufruivano del prodotto che importavano ed era una collaborazione vantaggiosa una proficua simbiosi nonostante la pericolosità delle rotte sulle quali viaggiavano in cui oltre ai mari tempestosi si sviluppavano violenti scontri armati tra le nazioni del Nord che tentavano di accaparrarsi questo o quel territorio con relative acque territoriali.
Fino al 1895, anno in cui fu aperto il canale di Kiel che facilitò gli scambi tra il mare del Nord ed il mar Baltico.
Successivamente con l’entrata in funzione dei pozzi petroliferi e l’estrazione del medesimo lo scenario commerciale mutò completamente.
In quel preciso quadro sociale si svilupparono gli eventi che dettero vita alla storia della famiglia D’Auria.
Dai normanni avevano ereditato gli occhi freddi e blu come il mare del Nord, dagli ottomani il fisico robusto, slanciato quanto basta.
Le caratteristiche morfologiche che si combinavano del DNA avevano prodotto un tipo d’uomo dalla pelle scura, abbiamo già detto che si assomigliavano nell’aspetto, nel portamento e nel carattere.
Erano uomini fieri, orgogliosi ed arroganti ed infidi.
Erano uomini che piacevano alle donne i fratelli D’Auria anche se non erano belli secondo canoni acclarati.
Ma ai fratelli D’Auria che donne piacevano? Le prostitute, le popolane un po’ grevi.
Tuttavia Simone che fu il primo a sposarsi, scelse la sua donna nella piccola borghesia di fine secolo.
Sapeva d’essere in contraddizione con il suo passato più recente tant’è…
Si chiamava Antonia Sidoti e non portava chiari i segni delle razze che si incrociano potenziandosi, anzi la sua gracilità fisica e la sua fragilità emotiva sottendevano l’anello vulnerabile delle razze che non rinnovando la linfa con gli incroci si perpetuano in una ripetizione di geni sempre più deboli.
Tuttavia la sua bellezza diafana era senza ombra. Quasi una sfida alla estrema gracilità fisica.
Simone ne rimase affascinato.
Lui che aveva avuto solo donne di bordello, conoscendola gli parve di aver trovato un tesoro di inestimabile valore.
Antonia era bella, con una chioma fluente e morbidamente ondulata, occhi scuri e profondi che sembrava nascondessero inespressi ed inesprimibili pensieri, labbra tumide e pelle trasparente e perlacea che ad un attento medico sarebbe apparsa come un chiaro monito di una salute non proprio perfetta.
Era timida ed introversa ma la giovane età le donava quel tanto di entusiasmo tipico dell’adolescenza.
Simone ne era ammaliato ed Antonia appena diciassettenne si trastullava con quel potere ipnotico che scopriva di possedere.
All’inizio fu come un gioco un po’ sadico un po’ perverso, ma ben presto divenne una storia importante e nessuno più osò parlarne poiché il carattere di Simone non era di quelli che permetteva ingerenze più o meno bonarie.
Antonia era stata attratta dall’aspetto e dalla fama che precedeva quell’uomo particolare, di cui si raccontavano aneddoti più o meno credibili ma sempre tali da suscitare curiosità, e che divenne ben presto il suo fidanzato.
Ne fu talmente soggiogata da non riuscire più a controllare le sue pulsioni.
Si ritrovò morbosamente innamorata, gelosa e così vulnerabile che alla fine, l’occasione propizia, li trascinò fuori dalle regole a consumare quel rapporto prima che fosse benedetto da Santa Madre Chiesa.
Panico e sensi di colpa fecero precipitare gli eventi e nel giro di qualche settimana il matrimonio fu celebrato con lo sfarzo che la posizione sociale e le