Tocco Cuore
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Anteprima del libro
Tocco Cuore - Antonia Certo
ricordi.
IL PROFUMO DELLE GIUGGIOLE
Sublimo nel sogno il dolore.
Ritorno sui passi,
scorrendo a ritroso
i rintocchi nel tempo sornione.
Nel sogno sublimo l'amore.
Quando fu davanti alla soglia, si fermò un attimo a guardare. Il portone era sbiadito e piccole crepe avevano creato disegni strani, intrecci di linee, solchi profondi. Passò leggera la mano e guardò verso il punto in cui avrebbe dovuto trovare il campanello.
Era sempre lì, in alto a destra, fissato sul marmo bianco, ma senza il nome.
Suonare o no? Avrebbe trovato qualcuno? E chi? Il cuore le prese a battere forte ed ebbe la tentazione di tornare indietro. Avrebbe rifatto la strada di corsa, sarebbe arrivata a casa in un lampo per poi pentirsene. Lo sapeva, l'avrebbe presa di nuovo quella angoscia che da qualche giorno non l'abbandonava neanche in sogno.
La strada, solitaria, non era più la stessa.
Dove erano andate a finire le piante di basilico sulla finestra della canonica?
E i gradini, anche prima erano così smussati?
Le storie, che insieme ad altri bambini aveva ascoltato, seduta su quella pietra, volteggiavano, inascoltate ormai, ma non arrivavano fino a lei; il suo sguardo era un muro che le bloccava e le faceva indietreggiare.
Bugie
. E i suoi occhi divennero piccoli e cattivi.
Se già allora le avessero detto che era tutta un'invenzione, sarebbe crollato un mondo.
Così, invece, era andata a cercarlo, fino ad accorgersi che tutti i protagonisti avevano chiuso bottega e si erano dati alla fuga.
Volse uno sguardo vago verso la piazza che si profilava in fondo e lasciava intravedere le montagne lontane.
Autunno.
Sempre.
Sempre l'autunno.
Perché mai, quando arrivava, era presa dalla voglia di respirarlo tutto?
Dall'erba che cresceva fitta con le prime piogge, all'odore di uva e di caldarroste.
L'autunno era tutto suo. Soltanto suo. Con suo padre che tornava, piccolo sotto l'ombrello, reggendo buste di spesa fatta al mercato; con l'acqua delle grondaie della chiesa, che oltrepassava il marciapiede largo; con le noci stese al sole e collane di sorbe in soffitta.
L'autunno dei suoi ricordi, della sua vita, delle fiabe, degli affetti. La zuppa di latte sul tavolo e la campanella della scuola che continuava a suonare.
Si volse a destra, verso la strada che portava alla villa e, attraverso una scalinata ripida e storta, conduceva verso la parte più bassa del paese.
Una figura passò frettolosa, senza girarsi, in direzione della torre dell'orologio, e scomparve dietro i muri della chiesa.
Suonare il campanello oppure no?
Non c'era neanche il nome.
Il suono chissà come sarebbe stato.
E prima com'era?
Salì sul gradino di marmo e premette il dito sul quadratino di plastica trasparente.
Nessun suono.
Premette con più forza, con rabbia e paura.
Niente. Ma la pressione dell'altra mano spinse la porta, che si aprì facilmente.
I cardini non cigolarono e lei non chiuse. Accostò soltanto, come aveva fatto spesso in passato.
Nella penombra, prima non vide nulla, poi una figura prese forma e lei poté distinguere il volto incorniciato dai riccioli. Rimase ferma a fissare il volto, la stanza, il vecchio che ritornava, la sua mente dentro quel ritorno e una se stessa che cercava di farsi riconoscere perché il suo viaggio non si rivelasse inutile. Indugiò prima di avvicinarsi, poi respirò il dolore e lo riconobbe nei suoi connotati nuovi e volle toccarlo. Allora si avvicinò. Sua sorella era lì, seduta al tavolo, e la guardava con un sorriso.
- Sei venuta finalmente!
- Mi stavi aspettando?
- Sono anni che ti aspetto.
- Tutto questo tempo, qui, da sola.
- È stato breve, sai?
Si lisciò i capelli con una mano. I gomiti al tavolo, il mento appoggiato sulle mani a coppa, e stette per un po' a guardarla come in contemplazione. Il viso sembrava irradiare luce.
- È stato breve.
- Breve? Com'è possibile? Perché chiami breve un tempo che a me è sembrato interminabile?
- Perché chi ama non è mai solo.
- A me però è sembrato lungo.
- Forse perché non hai creduto, non hai sperato.
Le tese la mano.
- Non ti avvicini, non vuoi sederti con me, non vuoi parlare?
- Sì.
La camicia a piccoli quadri azzurri sussultò.
- Siediti qui, allora; ci faremo compagnia.
Lei tirò verso di sé la sedia pesante, dopo aver passato volutamente le palme all'interno e all'esterno della spalliera in legno. Un cuscino sottile copriva ancora l'intreccio dello spago. Lo prese e lo girò dall'altro lato, come aveva sempre fatto, come faceva sua madre. Si staccò da sé, si vide in lei, e in quel momento sentì di esserlo, di toccare il corpo, di ascoltare le parole. Si vide nella figlia e nella madre, nella bambina che s'avvicina e chiede quando ti alzi?
Per essere sicura che quel malessere passeggero che ha costretto la madre a stare a letto, non si prolunghi tanto da farla sentire sola. Si vide nella figura che protegge e rassicura. Sì, tra poco mi alzo
, perché ha letto nei pensieri della figlia. Si vide nella bambina che corre a giocare, rassicurata dalle parole, e nelle parole che sollevano. In quella casa lei ora era figlia e madre.
Si girò istintivamente a guardare la poltrona in similpelle, dove l'aveva vista per anni seduta, a soffocare la sofferenza del corpo, a sorridere piano per evitare che la tosse la incalzasse e le togliesse il respiro. Strinse gli occhi per poterla immaginare lì, col viso rivolto alla finestra, i capelli ricresciuti da poco, brizzolati e ricci, le gambe gonfie, una mano lunga e sottile poggiata sul bracciolo.
- Non c'è più.
- Lo so.
Sua sorella l'aveva osservata e ora scuoteva il capo; poi la guardò da sotto in su imbronciata.
- Cosa pensavi di trovare? Le cose cambiano. Tutti cambiano e tu non vuoi ancora capirlo.
- Perché?
- Non c'è un motivo. È così e basta.
- Tu però hai aspettato il mio ritorno.
- Sapevo che saresti venuta. Tante volte avrei voluto raccontarti anche le cose più stupide e tu non c'eri. Allora me le tenevo per me e dicevo: Prima o poi verrà
. Adesso, invece, ti ho visto e non ricordo più nulla. C'è solo questo momento.
- Quanto tempo buttato via!
Dai vetri opachi della credenza si scorgeva appena la pila dei piatti in porcellana, il servizio buono a piccoli fiori azzurri, mai usato.
- I bambini...
- Non sono più bambini.
- Sì, lo so. Stanno