Voli ascensionali
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Letizia Rocchi (Roma, 1927) scultrice e pittrice autodidatta, insegnante, sempre attiva nell’ambito del volontariato. Vive in Svizzera circondata dai suoi affetti.
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Anteprima del libro
Voli ascensionali - Letizia Rocchi
Letizia Rocchi
Voli ascensionali
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-5743-4
I edizione novembre 2022
Finito di stampare nel mese di novembre 2022
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
Voli ascensionali
Questi racconti sono di fantasia ma i riferimenti a persone, luoghi ed avvenimenti non sono per nulla casuali. Ringrazio mia figlia che mi ha fatto da dattilografa e incoraggiandomi, ha permesso la stesura di questi racconti; Fabio Fiore che da figlio acquisito è stato il mio primo lettore e Rosanna Troncarelli che mi ha sempre dimostrato la sua fiducia ed il suo affetto. Indimenticabile rimarrà sempre la mia sorella di elezione, Rita Alban, che nonostante la grave malattia mi ha sempre sostenuta con i suoi giudizi fino alla fine dei suoi giorni.
Ai miei affetti più cari.
Maggio 2019
Vivere ardendo e non sentire il male.
(Gaspara Stampa)
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: «Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov».
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Introduzione
Il sogno
È il sogno che svela la realtà della vita - Psicologia di un sogno - 08/09/2021
Tutti la consideravano una creatura libera di svolazzare nell’ambiente in cui viveva. In fondo avrebbe dovuto bastarle, anche se lo spazio era limitato e chiuso. Inoltre era impensabile che quel luogo potesse mai venire alluvionato. Quindi? Cosa si può volere di più?! Un luogo sicuro, tranquillo. Un tetto c’era, non si doveva temere nulla. Dunque, vivi e lascia vivere! E soprattutto: «Cavolo! Non rompere…».
Così, l’uccellina si era adeguata ai limiti di quell’ambiente, ingombro di residui e rifiuti di un passato che altri dall’esterno avevano contribuito ad accumulare e non intendevano far nulla per sgombrarlo e lei, da sola, di certo non poteva riuscirvi.
Però, non è che l’uccellina non potesse gettare uno sguardo fuori da quelle mura. Da un’ampia vetrata si poteva osservare, col variare delle stagioni nonostante i mutamenti climatici e il passare degli anni, quanto comunque la natura continuava ad offrire generosa. Malgrado la vetrata non potesse esser aperta, le capitava di percepire suoni e rumori, profumi e cattivi odori, di quel che avveniva al di fuori. Questo le consentiva di gioire o soffrire delle vicissitudini dell’umanità intera che esisteva oltre la sua gabbia.
Nel chiuso di quella prigione, dopo aver messo al mondo e cresciuto i suoi piccoli, non ritenendo esaurito il compito assegnatole venendo alla vita, iniziò a creare e cantare racconti, che potessero esprimere i sentimenti e le emozioni vissute, a beneficio di chi ne avesse bisogno per chiarirsi le idee.
Poiché nulla di quel che accadeva fuori la lasciava indifferente, non poteva di certo chiudere gli occhi e le orecchie solo perché, molte di quelle, la facevano soffrire. Non poteva eluderle solo per non farsene contaminare. Voleva fare la sua parte con quel che aveva a disposizione: l’empatia, un dono da valorizzare. E lo fece fino all’ultimo, malgrado i limiti sempre maggiori e i contatti sociali sempre minori.
Però, un’aria nuova un giorno entrò nella sua prigione portata da una giovane uccellina che la rallegrava col suo cinguettio e il suo canto, facendole recuperare la gioia di vivere e nutrendo sempre più in lei la consapevolezza di poter dare ancora tanto al mondo bisognoso d’aiuto. Non facendole mancare, con una continua presenza, nutrimento e premure, avrebbe voluto trattenerla il più a lungo possibile con lei, perché giorno dopo giorno, avvertiva di non poter fare più a meno di lei.
Ciò nonostante, la vecchia uccellina giunse all’incapacità di volare, così un mattino sfinita, non rispose più al richiamo della giovane. Nascosto il capino sotto un’ala, piegate le zampine, s’addormentò per sempre per intraprendere finalmente il suo ultimo volo, libero verso gli spazi aperti del cielo.
RACCONTI
Spazio espanso
In Svizzera, durante i periodi invernali, e di certo anche in altre parti del mondo, c’è l’abitudine di non far mancare il cibo necessario a uccelli e a piccoli e grandi animali selvatici che abitano i boschi di pianure, colline e montagne.
Si verifica quindi che nel perdurare dell’inverno, molti spazi all’aperto, ancorché piccoli, offrano, con agganci opportuni su rami di alberi o su treppiedi, mangiatoie differenti per forme e grandezze, fornite di opportuni appoggi affinché i piccoli volatili stanziali e di passaggio, possano trovare cibo del quale alimentarsi.
Gaia, pesantemente invalida, conduceva nella sua abitazione una vita molto solitaria, interrotta piacevolmente di tanto in tanto dalle visite, più o meno lunghe, di affettuosi e premurosi amici.
Ridotte le sue uscite di casa a quelle indispensabili, inerenti la salute, Gaia trascorreva ormai le ore delle sue giornate all’interno delle mura domestiche.
All’esterno il verde che la circondava era ricco di prato, di arbusti e di alberi che stagionalmente donavano differenti frutti ai numerosi insetti e uccelli, i quali, alloggiando lungo la siepe del giardino, mangiavano a chilometro zero.
Della vista delle varie piante, belle, variopinte, ombrose e profumate, la donna ormai non poteva più godere, per il disagio che le impediva di addentrarsi nello spazio verde che circondava l’abitazione, dove il terreno non garantiva sempre, con le sue asperità, sicurezza al suo incerto passo. Così il giardino, prima spazio aperto e libero, finì per delineare il suo limite ambientale.
Non volendo indugiare a compiangersi per l’amato e arioso spazio smeraldo perduto, ella volle colmare la sua personale esigenza di ameno ambito verdeggiante, creando un contatto con la natura negli ambienti domestici.
Sempre per non sentirsi estranea all’ambiente esterno sovrastato dal cielo, in uno spiazzo pavimentato, antistante la porta-finestra della sala da pranzo, circondato da un’alta siepe verde, ella pose una grande mangiatoia per uccelli collocandola su una elevata e robusta base triangolare.
Trascorrendo molte ore del suo tempo seduta alla tavola da pranzo, ove svolgeva normalmente alcune delle sue residue attività, l’anziana non avvertiva separazione dalla vita varia e vivace che si svolgeva all’aperto, agevolata dalla grande parete di vetro che la rendeva così partecipe di quella libera forma di vita.
All’interno, la casa finì con esser ricca di piante rigogliose con foglie di carnosità diverse e differenti sfumature di verde, forme e dimensioni.
Nelle fioriere piante grasse, che sviluppavano le loro particolari e originali forme verso l’alto, si alternavano ad altre dai rami ricadenti, mentre la vegetazione dei vasi accostati alle pareti le tappezzava come arazzi animati nel variare del fogliame che crescendo ne mutava, articolava e arricchiva continuamente i nuovi rami.
Laddove le piante si arrampicavano sulla parete tondeggiante che circondava la scala interna della casa, un corteo di anatre sagomava differentemente la sommità tronca del muro. Coppie di qualità, dimensioni e colori diversi e di differenti materiali: legno, ceramica, porcellana o paglia, sembravano osservare silenziose e indiscrete la ridotta vita che si svolgeva nella casa.
Dove non vivevano piante verdi o fiorite, ne supplivano la presenza romantiche composizioni di fiori secchi disposte in vasi o su ripiani. Una varietà di fiori colorava senza interruzione gli ambienti.
Gaia era felice di aver dato loro una seconda opportunità di vita, mentre le sollecitavano lieti ricordi di graditi omaggi floreali di persone che l’avevano amata.
Gli spazi bianchi delle pareti, accogliendo quadretti con fiori ricamati dai vividi colori, facevano continuità con le piante circostanti. Grandi quadri ad olio ed altri ad acquarello riempivano i restanti spazi vuoti, con rose dal portamento ardito e languide ricadenti peonie che sporgevano con ricchezza di morbidi petali dal trasparente vaso che le accoglieva. Tre anatre curiose, dalla sommità di un antico pianoforte verticale, inclinando i loro lunghi colli, ammiravano pianisti occasionali alla tastiera dello strumento che la donna aveva amato suonare. Delicati centrini color pastello, eseguiti dalle allora giovani mani di Gaia, illeggiadrivano i piani di antichi mobili.
La donna aveva trasformato il suo spazio abitativo in una romantica, delicata e profumata serra immersa nel verde esterno che si saldava a quello interno attraverso la trasparenza dei vetri di ampie finestre di cui la sua abitazione era ricca.
Ben posizionate le sue orchidee fiorivano e rifiorivano incessantemente in una varietà di fiori dai colori vivaci di forme e grandezze diverse per la felicità della donna.
Ma tutto questo, non soddisfacendo completamente il suo bisogno di un maggior contatto con la natura, tanto desiderato per una vita, la rendeva attenta alle variazioni stagionali degli spazi aperti.
Durante l’autunno le folte chiome già verdi di alberi e arbusti assumevano prima di staccarsi dai rami, sfumature di colore che andavano dal giallo al rosso fiammeggiante, raggiungendo infine il prato sottostante per disegnare un mosaico continuamente variante.
Nell’inverno, le nevicate descrivevano il paesaggio circostante come suggestive antiche fotografie in bianco e nero. Gaia ammirava come le sagome degli alberi ammantate di candida neve mutassero d’aspetto, mentre il gelo merlettava di fantastiche trine e frange rami spogli, recinzioni e tegole rendendo il paesaggio fiabesco.
Con il ritorno della primavera, ella attendeva ansiosa al crepuscolo, d’intravedere le sagome tondeggianti e paffutelle dei ricci che dalle tane, dopo il sonno invernale, tornassero a popolare il suo giardino. Con un patto non scritto con Gaia, gli spinosetti
si occupavano di disinfestarlo dagli insetti nocivi e dalle pericolose voraci lumache che insidiavano e a volte assassinavano, le giovani piante aromatiche. L’anziana li ricompensava lasciando al suolo, a loro disposizione, tanto i semi scartati dagli uccelli che si nutrivano nella mangiatoia, quanto i saporiti frutti di bosco che, non più da lei raccolti, raggiungevano inesorabilmente il prato dopo aver curvato rami e sommità sotto il peso dei loro succulenti prodotti, visitati da api e vespe festeggianti l’abbondanza dello zuccherino coloratissimo nettare.
Contravvenendo all’abitudine locale di sostentare gli uccelli solo nel periodo invernale, Gaia assicurava loro, lungo il corso dell’anno, il cibo necessario ad una varietà di volatili che le restituivano gioia e allegria con l’intreccio dei loro voli e la melodia delle loro note. Ella amava gustare l’armonia del coro che le voci dei differenti volatili diffondevano piacevolmente per elevarsi nel cielo.
Nel tempo che precedeva le prime ore del mattino, il suono della sveglia era reso superfluo dal canto melodioso dei pettirossi e da quello più deciso, seppur gentile, dei merli che inseguendosi con i loro dolci e suadenti canti, le facevano dischiudere gli occhi per accogliere grata il sorgere del nuovo giorno mentre riceveva il loro singolare buongiorno.
Gaia, segregata in casa da inabilità e malattie dell’età, estremamente limitata da una allarmante e crescente cecità, riusciva ad evaderne per volare alto, grazie a tutto quel che la circondava per raggiungere nuovi spazi pur senz’ali.
Gli uccelletti la riconoscevano e attendevano di vederla, certi che ciò significasse cibo nella mangiatoia per tutta la giornata. Cibo vario destinato alle differenti frequentazioni di specie diverse. I pettirossi sembravano gradire semini piccoli e tondi, le cinciallegre invece nel selezionare quelli a loro graditi, gettavano fuori dalla mangiatoia i restanti, questi infine venivano raccolti ordinatamente dai passeri che spesso affollavano il terreno sottostante, continuamente ondeggiante come un mare di spighe di grano sospinto dal vento.
La vita non era sempre paradisiaca perché molte minacce provenienti dall’alto e dal basso insidiavano i suoi amati volatili. Ella nulla poteva contro la presenza silente e minacciosa di falchi che si aggiravano con voli circolari al disopra del raduno. Le gazze ladre e i merli spaventavano gli altri uccelletti che si allontanavano svolazzando disordinatamente, mentre le bianche tortore erano riuscite a stabilire un buon rapporto con gli uccelli di taglia più piccola. Il picchio lo si sentiva cesellare indomito il tronco degli alberi, ma si rifocillava altrove. Le cornacchie e i corvi rappresentavano un saltuario pericolo soprattutto quando erano maturi i frutti di bosco dei quali erano ghiotti.
Ma le insidie pericolose ed insospettate venivano ai suoi uccelli anche dal basso, dai gatti che circolavano liberi tra i vari giardini. Gaia pur amandoli era costretta a cercare di allontanarli quando era chiaro che appollaiandosi fra la vegetazione, camuffando la loro presenza, erano pronti a spiccare un salto verticale al momento opportuno per agguantare una preda quando i volatili che si nutrivano alla mangiatoia erano più vulnerabili. Pur comprendendo la logica esistenziale dei felini, ella sentiva che non riusciva a proteggere i suoi amati uccelli a sufficienza e ne soffriva. Allora aperta piano una porta-finestra, si affacciava sull’uscio distogliendo il predatore di turno dalla sua vittima. Il suo amore per i pennuti era tanto grande che per impedire loro pericolosi e violenti scontri con i vetri che delimitavano lo spazio libero, Gaia li ornò di ciuffi di fili di raffia colorati. Questi scivolavano con le loro spirali verso il basso come fossero variopinte stelle filanti.
Nottetempo le volpi amavano percorrere i giardini in cerca di prede non turbando i suoi amici che pernottavano lungo la distesa siepe e sui rami degli alberi.
Gaia era stata pittrice, scultrice, miniaturista, insegnante, attiva nel volontariato e dai frutti del suo giardino aveva realizzato marmellate, salse, oli, aceti aromatici ed erbe per infusi. Da fogli di carta nera aveva intagliato e fatto risaltare, con le punte di piccole forbici, foreste fiabesche ricche di flora e fauna. Ma ora, quasi del tutto cieca, aveva trasformato la soddisfazione delle sue esigenze intellettive con l’ascolto di radio e tv, nutrendosi di musica e tematiche diverse. Dove non poteva più il corpo poteva l’anima e la sua mente continuava a spaziare libera in alto nel cielo con i suoi uccelli ad alimentare il suo spirito, con il pensiero ai suoi affetti presenti e perduti, le considerazioni filosofiche, con la creazione di poesie e racconti che rendevano libera la donna chiusa in casa disintegrando gli ostacoli e le inabilità.
Cicogna sbadata
È alta un metro e un kiwi e pesa come uno scricciolo. Fabio pesa ottantacinque chili ed è alto un metro e ottanta. È suo figlio ma non lo aveva partorito lei. È nato dall’amore reciproco. Gioia aveva adottato lui e lui aveva adottato Gioia a pieno.
Era stato un collega di sua figlia minore che ora è lontana. Lui invece è sempre presente.
La giovane viene ad abbracciarla da oltre oceano ogni mese, la maggiore l’ha persa in battaglia. Una battaglia che la donna non è riuscita a vincere.
Gioia dischiuse lentamente gli occhi. Il riposo era stato breve ma sufficiente ad allontanarla dalla realtà che l’aveva condotta lì. Il bianco asettico di pareti ed armadietti dominava l’ambiente.
Accanto al suo letto, Gioia ritrovò Fabio seduto vicino a sé, in silenzio quasi a spiarne e vegliarne il riposo. Erano trascorse già alcune ore. Era giunto presto al mattino e col suo aiuto lei aveva pranzato. Dopo aver un poco conversato, per non disturbare il sonno della vicina di letto, Fabio e Gioia ridussero il loro parlare dal sottovoce al silenzio stringendosi la mano. Sopraffatta dalla stanchezza, Gioia teneva le palpebre chiuse. Sì, chi le era accanto era proprio suo figlio
, un figlio che era cresciuto mentre cresceva il loro reciproco rapporto d’affetto. Tutto lo confermava. Diversamente quali motivi avrebbe avuto per sacrificare tante ore del suo tempo per assisterla e non lasciarla sola?
In ospedale, la malata, che non aveva dimestichezza con la lingua del posto, doveva affrontare grandi difficoltà nei rapporti con medici e paramedici. Questi parlavano una lingua di cui lei udiva solo i suoni. Le difficoltà visive accrescevano la sua ansia e il suo disagio. Ma Fabio era lì,