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La stirpe dei Wass
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La stirpe dei Wass
E-book207 pagine2 ore

La stirpe dei Wass

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Weird - romanzo (149 pagine) - Il mondo reale e ordinario cela sempre porte invisibili e sconosciute.


Il mondo reale e ordinario cela sempre porte invisibili e sconosciute. Alcuni individui, nascono per stirpe, con poteri soprannaturali e sono destinati poi a sconvolgere l'ordine universale attraverso i loro doni.

Il loro destino è segnato da un potere ancestrale, le loro vite sono scandite da oscuri presagi e la loro lotta per contrastarli li porterà a compiere delle scelte decisive. Agiranno sempre seguendo i loro istinti più profondi o saranno ammaliati dalle forze buie dell’oscurità?


Jessica Beduschi nasce a Mantova nel 1980. Fin da piccola sviluppa la passione per la scrittura divertendosi a creare i suoi personaggi di fantasia. Con il tempo mette a frutto le sue inclinazioni con lo studio, laureandosi alla facoltà di Lettere e Filosofia presso l’università di Verona e coltivando maggiormente il piacere della lettura e della scrittura di genere fantasy. Attualmente svolge il lavoro di insegnante presso istituti di scuola secondaria di secondo grado.

LinguaItaliano
Data di uscita16 nov 2021
ISBN9788825418200
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    Anteprima del libro

    La stirpe dei Wass - Jessica Beduschi

    Dedica

    Ognuno di noi ha bisogno di evadere dalla realtà ordinaria e spesso si ritaglia un piccolo spazio isolato nella propria abitazione, in un giardino, nella propria camera da letto o in qualsivoglia luogo. Ciò accade anche quando si ascolta musica o si rispolvera dalla vecchia libreria qualche saggio o testo che in passato è stato riposto nel dimenticatoio.

    È proprio in quel momento, quando tutto il mondo frenetico della nostra società è impegnato con le consuete faccende quotidiane, che la nostra mente e il nostro spirito necessitano di una pausa, di uno stacco dalla solita routine.

    La vita, infatti, non è composta solo da doveri ed impegni, la vera vita ha bisogno di evasione, di viaggiare metaforicamente in quel mondo irreale, popolato da esseri e circostanze immaginarie, che tutti noi chiamiamo con il termine – fantasia.

    La fantasia e l’immaginazione creativa hanno sempre accompagnato l’uomo nelle sue opere più favolose, hanno permesso a centinaia di individui nel corso dei secoli di immergersi totalmente in quei contesti, di immedesimarsi con i personaggi descritti e rappresentati e di essere proiettati in dimensioni totalmente non ordinarie. Dedico questo mio testo a tutti coloro che non hanno perso la stupenda – facoltà di immaginare.

    Parte prima

    Rivelazioni

    1. La famiglia Abott

    Era la fine dell'estate del 1974 e la natura con tutti i suoi elementi si apprestava al riposo, al sonno.

    Anche a Saint Luise infervoravano i preparativi per la stagione fredda, le strade assumevano quel caratteristico colorito grigiastro, i camini delle case si affrettavano ad indossare il loro vestito di fumo, gli alberi delle viottole e dei grandiosi giardini perdevano a mano a mano, come una tenda sbiadita dal troppo sole estivo, il loro colorito sgargiante e le persone annunciavano il mutare del loro spirito allegro e vacanziero in doveroso senso di rassegnazione.

    Marge Abott, con i suoi ottant'anni suonati, si stava preparando, come tutti i martedì mattina del mese, alla sua consueta passeggiata verso il viale alberato che portava al negozio di fiori – Daffodils – della sua cara amica Elen. Appena entrata fu invasa dal tiepido tepore dell'ambiente che lentamente le invadeva il corpo rendendo le sue guance intirizzite dal freddo di un bel colorito roseo. Non fece così in tempo a levarsi la cuffia di lana blu che sentì la voce squillante di Elen provenire dal retrobottega.

    – Oh! Sei tu Marge? Sempre attiva e sveglia come tua abitudine! – squittì la cara e vecchia Elen.

    – Buongiorno Elen, non sai che questo tempo dà energia anche a chi, come me, non può più vantare uno splendore esteriore – disse Marge saggiamente.

    – Sì cara so cosa vuol dire – rispose amaramente la donna.

    – Hai bisogno di qualche orchidea? Me ne sono arrivate certe di una bellezza inaudita – replicò frettolosamente la donna. Marge diede un'occhiata distratta alla scansia dove la fiorista teneva di consueto i fiori di nuovo arrivo, ma si accorse ben presto che non corrispondevano alle sue aspettative. – Senti Elen, non avresti qualche specialità per me? Lo sai che di quelle comuni ne ho già abbastanza.

    Marge sapeva che lei era una vecchia volpe e che per certo avrebbe preferito svendere prima le altre.

    – Sì aspetta un secondo, avrei proprio quella che fa per te… torno in un attimo – disse Elen con una smorfia di seccatura.

    Marge diede un'occhiata all'orologio, comprò il fiore e uscita dal negozio si diresse a tutta velocità verso casa, era già l'ora di preparare la colazione a Dafne.

    In fondo alla via del quartiere vecchio vi era una casa antica, contornata da un rigoglioso giardino. Se un passante si fosse fermato, avrebbe potuto notare quanto l'abitazione avesse la forma di una casa colonica dei primi decenni del Novecento, con curiose, ampie ed imponenti colonne di granito rosa sormontate da uno strano capitello a forma di candelabro. Il tetto era poi ricoperto da un invadente muschio ingiallito e la parete frontale aveva un numero non trascurabile di finestrelle che nel loro insieme apparivano come tante piccole vetrate coperte da centinaia di festoni a forma di edera variegata.

    Marge entrò frettolosamente, si tolse il pastrano e iniziò a preparare il tè con i biscotti al limone per sua nipote Dafne. Lei era la figlia di Amy, avuta dal matrimonio con Robert, un ragazzino che aveva conosciuto durante gli anni di scuola. Amy era una ragazza dai tratti finissimi, portava lunghi capelli rossi, aveva un viso ovale ma delicato e i suoi occhi erano colore del cielo, mentre Robert era un ragazzo alto e magro dal colorito olivastro con un viso particolare ma bello. Appena sposati, dopo due anni di fidanzamento, nacque una splendida bambina dai capelli rosso rame e con gli occhi di sua madre.

    Dafne, in quell’autunno così rigido, si apprestava a frequentare l'ultimo anno scolastico con tutta la vivacità e l'entusiasmo dei suoi diciassette anni.

    All'improvviso un rumore sottile di ciabattine felpate ruppe il pesante silenzio della casa.

    – Nonna, sono in ritardo! – gridò Dafne scivolando per le scale, tentando il più velocemente possibile di infilarsi il complicato maglione di lana a scacchi.

    – Tesoro… – esordì Marge con tono leggero.

    – La tua celerità è paragonabile a quella di una lumaca che attraversa una strada.

    – Lo so nonna… scusami – replicò Dafne.

    – Dai sbrigati è tutto pronto! – rispose impazientemente Marge.

    Dafne trangugiò il tiepido tè e s'infilò nella tasca della giacca di fustagno i biscotti al limone della nonna e in un batter d'ali se ne andò.

    L'anziana donna si sedette sulla polverosa poltrona del salotto damascato e iniziò a pensare a quanti anni erano passati da quando, da sola, dovette crescere una bambina di tre anni. La sua adorata figlia e Robert erano misteriosamente scomparsi in una sera d'inverno, durante una burrascosa tormenta di neve, come se un'enigmatica folata di vento li avesse trasportati lontano. Nonostante tutte le difficoltà, la nipote era cresciuta bene, in salute e decisamente felice, per quanto la felicità si potesse misurare. Erano trascorsi lunghi anni bui nei quali la bambina cresceva rapidamente e sviluppava un certo senso di curiosità per gli accadimenti del passato. Nonna Marge teneva deliberatamente allo scuro la piccola, perché quelle poche informazioni che erano trapelate dai giornali locali non potevano che provocare sconforto e sofferenza. Sul quotidiano di zona erano ad un certo punto comparse notizie alquanto inquietanti di certi ritrovamenti avvenuti in un parco a pochi chilometri dalla loro abitazione. Un giornalista aveva scattato delle istantanee in quel luogo che immortalavano uno strano oggetto in equilibrio su di un ramo di faggio. Incuriosito, si avvicinò e notò con stupore che lo strano manufatto non erano altro che un paio di scarpe da donna color violetto. Tutto attorno alberi completamente ricoperti da una strana coltre di neve, come se spuntassero spade di ghiaccio affilate dalla cima di ogni ramo. Si disse che il povero malcapitato fosse rimasto in preda alla follia diversi anni, prima di poter raccontare quella storia. Di ciò rimase traccia solo una fotografia che per burocrazia, come accade in questi casi, fu esaminata dalla polizia e per altre coincidenze finì nelle mani della signora Marge Abott, madre della presunta vittima.

    Un giorno un poliziotto, deciso ad indagare su quel caso, bussò alla porta di Marge per estrapolarle spiegazioni.

    – Signora Abott sono Frank, ispettore capo della polizia. Mi farebbe la cortesia di aprirmi? Le devo fare urgentemente qualche domanda – intonò Frank.

    – Mi scusi signor Frank ma in questo momento sono impegnata con mia nipote – replicò frettolosamente Marge.

    – Signora devo insistere! Mi apra subito la porta! Si tratta del caso a cui sto lavorando da mesi, della scomparsa di sua figlia e di suo genero… – insistette il poliziotto.

    – Come le ripeto, non ho tempo in questo momento. La saluto – rispose seccamente la donna, poi chiuse la porta. Dall'interno della sua abitazione non si udì nessun rumore di schiamazzi, di ciabattine felpate o di altri segni della presenza della nipote. Marge era sola, come in uno stato confusionale, inebetita e allo stesso tempo attratta da un qualcosa di sinistro che bisbigliava dal cassetto della vecchia cassapanca di legno di mogano. Quasi tremolante si fece forza e prima con l'indice poi con il resto della mano destra afferrò la maniglia del mobile e ne fece una fessura. Infilò esitante il resto del braccio allungandosi come meglio poteva e arrotolò di scatto quella cosa che sussurrava in lontananza parole incomprensibili da giorni e giorni. Solo per qualche secondo smise di ululare e Marge, raccolto tutto il coraggio possibile, la osservò tenendo gli occhi socchiusi dal ribrezzo che ne provava. Era la foto, quella scattata quel giorno dal malcapitato giornalista. Essa continuava a mutare impressione e si aggiungevano a mano a mano oggetti che non esistevano quando fu scattata. Una cascata infinita di foglie rinsecchite, una sciarpa verde che fluttuava leggera come una piuma, una tormenta di neve che offuscava tutta l'immagine, uno sciame di api che si posavano su un fiume di rose rosse, una fontana di pietra dall'aspetto semi umano che sgorgava gocce di latte. Marge impietrita da quelle scene, salì tutta la rampa a chiocciola delle scale e si diresse in soffitta. Rovistò tra gli oggetti impolverati e infilò l'immagine in un luogo ben nascosto così da perdersi nel tempo ogni traccia.

    Trascorsi alcuni mesi, l'episodio tanto agghiacciante sembrò cadere nel dimenticatoio fino ad un giorno durante il quale le due protagoniste incrociarono la figura del detective Frank.

    – Nonna… – chiese la piccola Dafne incuriosita.

    – Chi è quel signore anziano che alza il suo bastone verso di noi?

    – Cara, non lo conosco. Bisogna trattare gli anziani con rispetto, probabilmente ha perso un po' di memoria – replicò nonna Marge prontamente.

    Mentre le due donne si allontanavano lungo il viale che portava verso la parrocchia, una signora vestita con un abito pittoresco, stava accompagnando l'uomo e prontamente lo rimproverò.

    – Smettila Frank! Sono stanca delle tue allucinazioni! Prendi il mio braccio che ritorniamo a casa, inizia a fare freddo.

    2. Il nuovo arrivato

    Dafne era sempre molto elettrizzata il primo giorno dell'anno scolastico, avrebbe rivisto i suoi vecchi compagni di scuola, sarebbe stata impegnata per mesi nello studio delle sue materie preferite.

    Questa prospettiva, che a tratti le andava a genio, le avrebbe permesso di distrarsi dagli strani e cupi pensieri che da un po' di tempo le invadevano la mente.

    Non aveva voluto dire nulla alla nonna, ma da qualche notte, non riusciva più ad addormentarsi in breve tempo, infatti quando si apprestava a spegnere la luce sentiva il cuore batterle all'impazzata e una sensazione di stordimento le faceva paura. Spesso non sapeva se quell'ombra che sentiva presente fosse frutto della sua immaginazione o se fosse solo il residuo di qualche incubo.

    Alle otto e trenta della mattina, di quella mattina felice, non le importava proprio niente delle sue allucinazioni, perché il pensiero e l'emozione di rivedere lui (non osava mai pronunciare il suo nome ad alta voce in mezzo alle compagne), il ragazzo più affascinante dell'istituto, le faceva dimenticare all'istante ogni turbamento.

    Brian Spencer, era il classico bulletto di scuola, il suo portamento sembrava regale, attento alla moda e curato in ogni dove, era l'invidia di tutti gli altri ragazzi e il sogno ad occhi aperti delle giovani fanciulle. Come ogni leader che si rispetti, Brian era circondato dal gruppo dei suoi fedeli amici che per ogni circostanza erano pronti al sacrificio per lui. La gente del paese vociferava poi che questi insoliti soggetti vagavano durante la notte attorno alle abitazioni in cerca dell'occasione giusta per intrufolarsi nei giardini alla scoperta di oggetti da trafugare. Altri insistevano nel dire che il gruppetto di amici si rifugiava nei boschi durante le giornate di pioggia, quando le persone non avrebbero pagato neanche un soldo per mettere il naso fuori di casa. Per il resto era tutto un mistero, la sola faccenda degna di nota era che Dafne provava un’insana e costante attrazione per il capo di quella banda.

    Quello stesso giorno, mentre lei si stava avviando velocemente verso la scuola, una sagoma all'apparenza famigliare, si fece sempre più nitida davanti ai suoi occhi. Brian le sferzò davanti all'improvviso come fanno i soldati cinesi e le rivolse inaspettatamente la parola.

    – Ciao Dafne, tu mi conosci. Mi chiedevo se ti andasse di uscire con me dopo le lezioni. Se sei d'accordo ti aspetto all'angolo di fronte alla fermata del bus – disse Brian con un tono convincente.

    Dafne rimase senza parole, il suo cuore le batteva a mille all'ora e nella confusione più totale non riuscì ad accennare neanche un timido sorriso e in un baleno si ritrovò a varcare la soglia dell'ingresso scolastico. A causa di quella sua reazione repentina non riuscì a pensare ad altro, era diventata una sciocca e se lo rimproverò per il resto delle ore.

    Mentre si crogiolava in quei pensieri, l'insegnante di matematica presentò alla classe il nuovo arrivato. Un ragazzo non molto alto e piuttosto magro incedeva in modo goffo tra cartelle, libri e quant'altro, gli occhi di tutti si posarono su di lui come se stessero osservando un animale raro e prezioso; lui per contro appoggiò il suo zaino a terra e non osò alzare lo sguardo su nessuno. Daniel in quel modo si ritrovava a rivivere ancora una volta quella tragica e sgradevole sensazione di estraniamento. Morti o scomparsi i suoi genitori biologici, era stato affidato ad una coppia di svitati, l'uno peggiore dell'altra, sempre alle prese con baruffe e voli di bottiglie.

    La situazione in seguito peggiorò, quando il padre adottivo fu cacciato dalla moglie per aver dilapidato tutto il loro conto in banca, così Daniel

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