L'uomo di Pilato
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In un mondo in cui è imperante il narcisismo, Gesù emerge come antitetico all’uomo di oggi, mostrando un uomo libero, vale a dire che non teme il potere né compiace i potenti. Oggi, più che in qualunque altro tempo, la sua figura incute timore e insegna che cosa sia un uomo.
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Anteprima del libro
L'uomo di Pilato - Rocco Quaglia
Quaranta
Abbreviazioni dei libri biblici
Ap Apocalisse
At Atti degli Apostoli
Col Lettera ai Colossesi
1-2Cor Prima e seconda lettera ai Corinzi
Dn Daniele
Ct Cantico dei Cantici
Dt Deuteronomio
Eb Lettera agli Ebrei
Ef Lettera agli Efesini
Es Esodo
Ez Ezechiele
Fil Lettera ai Filippesi
Gal Lettera ai Gàlati
Gb Giobbe
Gc Lettera di Giacomo
Gd Lettera di Giuda
Gen Genesi
Ger Geremia
Gs Giosuè
Gv Vangelo di Giovanni
1Gv Prima lettera di Giovanni
Is Isaia
Lc Vangelo di Luca
Lam Lamentazioni
Lev Levitico
Mc Vangelo di Marco
Mi Michea
Mt Vangelo di Matteo
Ne Nehemia
Nm Numeri
Os Osea
1 Pt Prima lettera di Pietro
Pr Proverbi
Qo Qoèlet
Rom Lettera ai Romani
Sal Salmi
Sof Sofonia
1-2Sam Primo e secondo libro di Samuele
1Tm Prima lettera a Timòteo
1Ts Prima lettera ai Tessalonicesi
Zac Zaccaria
Il testo biblico di riferimento è la terza edizione a cura della Conferenza Episcopale Italiana (2007).
Prefazione
Dio infatti ha tanto amato il mondo,
che ha dato il Figlio unigenito,
affinché chiunque crede in lui non perisca,
ma abbia la vita eterna (Gv 3,16)
Gesù fu l’uomo retto secondo il progetto di Dio (Qo 7,29): questo vuole dire che i suoi comportamenti manifestavano i suoi pensieri, e i suoi pensieri erano conseguenti al suo sentimento, e il suo sentimento procedeva da Dio. Egli fu vero in ogni momento e con tutti, con gli ultimi come con i primi tra gli uomini.
Egli è la pietra di paragone con la quale ogni individuo può misurare il livello della propria personalità e umanità; egli è l’immagine compiuta dell’uomo.
Ancora oggi, incontrare Gesù significa divenire consapevoli di quale divario si sia prodotto nella nostra esistenza tra l’uomo che, per natura, dovremmo essere, e l’uomo che, per cultura, siamo diventati.
La verità di ogni uomo emerge nei momenti più critici dell’esistenza, quando si è impotenti in una situazione che non dà scampo. Gli aspetti celati e più indesiderabili della personalità prendono allora il sopravvento e mostrano i lati peggiori dell’essere umano. Gesù ci comunica, invece, l’ideale altezza dell’uomo proprio nei momenti più oscuri e terribili della sua avventura umana. Di fronte ai grandi della Terra, niente di quanto avviene sembra coglierlo impreparato, nessuna paura lo sorprende, nessun bisogno di compiacere ispira i suoi comportamenti. Di fronte agli insulti è sereno; dalle minacce non si lascia intimorire; ignora ogni compromesso. Egli può scandalizzare per la sua fine considerata poco onorevole, ma non riesce a deludere chi in lui ha posto la propria speranza. Nessuno spavento riesce a scalfire la sua composta personalità, facendone emergere inediti aspetti di scortesia; al contrario, l’indole della sua persona si manifesta in ogni occasione in tutta la sua meravigliosa e sorprendente verità.
Agli antipodi dell’uomo Gesù troviamo gli uomini del potere. Con costoro Gesù non ha realizzato nessuna forma di comprensione, né di comunicazione, né d’intesa.
La pretesa
di Gesù, persona senza titoli, non nobile, e debole all’apparenza, è un insulto per Caifa, un divertimento per Erode, una seccatura per Pilato.
Gesù si misura con questi personaggi, o, meglio, con il potere religioso, con il potere politico e con il potere militare. Di fronte al sommo sacerdote Caifa, l’uomo più santo in Israele, il Figlio dell’uomo è un peccatore; di fronte alla regalità di Erode, il Figlio di Davide diviene il folle; di fronte al razionale Pilato, il Figlio di Dio rappresenta un pericolo: per tutti loro, Gesù è il nemico.
Gesù fu per gli uomini del suo tempo un mistero; con le sue parole creava disorientamento, con le sue azioni inquietava, con i suoi miracoli sconcertava. Un individuo come lui si poteva accettare oppure rigettare, poiché non offriva un’alternativa. La situazione non è cambiata nel tempo, la sua persona e il suo messaggio si presentano, oggi come ieri, intatti: ogni uomo può scegliere se diffidare dell’uomo venuto da Nazareth, oppure se credere chi egli dice di essere. Noi possiamo, con Caifa, considerarlo un impostore; oppure, con Erode, un pazzo; o ancora, con Pilato, un sognatore e un idealista. D’altronde, anche il credo di quanti si definiscono cristiani non va oltre una semplice credenza
mentale. Noi non siamo diversi dai suoi discepoli, che lo seguirono finché sperarono in un regno terreno e di poter sedere chi alla sua destra, chi alla sua sinistra. Anche le folle di oggi, come già quelle della Galilea e della Giudea, vanno dietro ai miracoli, alle opere potenti, alle voci che su di lui corrono, e non dietro alla sua persona. La sua mansuetudine disorienta, in un tempo così violento; la sua umiltà non è desiderabile, in un mondo di prepotenze. Siamo affascinati dai miracoli e dai prodigi da lui compiuti, ma quanto poco riusciamo a scorgere la sua severa bellezza di uomo e la solenne nobiltà del suo carattere. Questo accade perché è duro credere, senza alcuna riserva, che Gesù sia veramente «l’Unigenito Dio» (Gv 1,18).
Gesù è Dio, l’unico nato Dio (monogenès theòs), cioè il solo Dio che sia mai nato da una donna nel mondo dei secoli, e, poiché nato, è «figlio dell’uomo» (Mc 14,41). Una tale verità chi può sopportarla? Quando Gesù rivelò la propria identità, Caifa, violando la Legge (Lev 10,6), si stracciò le vesti; Erode rise, e lo rivestì con la veste dei dissennati; Pilato ebbe paura, e non volle più saperne di lui.
Se non comprendiamo la verità dell’Unigenito Dio, la passione di Gesù diventa il racconto di un lontano evento, che, per un momento, avvince e commuove. Gesù si presenta come colui che è Verità (Gv 8,14), ma è una verità che la ragione umana rigetta: è, infatti, incomprensibile per la mente umana; è pensiero inaccettabile, idea inconcepibile. Noi siamo creature del tempo e le nostre verità cambiano, si trasformano, si consumano. La verità di Gesù è estranea a una realtà tridimensionale. In più, nessuno è più straniero nel mondo di un Dio che si proclama Dio di tutti gli uomini; nessuno è più clandestino di un Dio che non ha patria nel mondo; nessuno è più nemico di un Dio che è amico di tutti. Accoglierlo vuole dire uscire dalla propria terra, dalla propria famiglia, dalla propria casa (Gen 12,1); vuole dire rinunciare alla propria identità, ai propri affetti, alla propria individualità con le proprie qualità, la propria personalità, e tutte le proprie ricchezze.
Pilato ci presenta l’uomo (Gv 19,5), un uomo solo, abbandonato, sofferente: chi può riconoscere in lui quel Dio che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre»? (2Cor 4,6). Soltanto un pazzo! Vi è una follia della mente, e vi è una follia del cuore, che si chiama amore (agape). Chi non è disposto a uscire fuori di senno (At 26,24), non potrà vedere, nella propria follia, la follia di un amore che, in Cristo, diventa «potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,24).
Introduzione
«Lo stesso Dio della pace vi renda interamente santi e in modo irreprensibile integro il vostro spirito, e la mente (o l’anima) e il corpo, sia conservato per la venuta del nostro Signore Gesù Cristo. Fedele è chi vi chiama, il quale farà anche questo» (1Tess 5,23).
Gesù è nato per vivere l’ultimo giorno della sua vita. Certo, egli doveva fare l’espiazione per il peccato, riscattare l’uomo dalla legge della carne
, ed emanciparlo dalla signoria del principe di questo mondo. Tuttavia, ci chiediamo: era necessario che soffrisse così tanto? Qual è il senso della sua umiliazione? Che cosa comporta per noi sapere quello che ha dovuto subire e sopportare?
Per rispondere devo illustrare quali principi o, meglio, quali motivazioni profonde agiscano nell’essere umano, che è un’unità, un uno composito. L’uomo, infatti, è corpo (soma), mente (psiche), e spirito (pneuma); quest’ultimo aspetto comprende l’area del sentimento (sensitivity), ovvero della mente che sente. Il corpo è la dimensione della nostra vita biologica, o vita carnale
, ed è governato dal principio di piacere; la mente che pensa ha come motivazione centrale il bisogno di conoscenza; lo spirito, infine, cioè la dimensione del sentimento, ha nella relazione la sua motivazione fondamentale. Piacere, conoscenza, relazione sono le tre motivazioni di base che dettano tutti i comportamenti dell’uomo, e che l’apostolo Paolo considera in una visione di integrazione.
Dalla separazione dell’uomo da Dio, fondata sulla fiducia, deriva la separazione tra gli uomini, e tra l’uomo e la natura (Gen 3). Un senso di diffidenza, infatti, permea tutte le relazioni umane, e il suo livello di gravità caratterizza negativamente la qualità dei rapporti tra gli esseri umani. Ogni relazione, infatti, coinvolge l’area del sentimento, che si esprime a diversi valori di passione
dal semplice interesse fino all’innamoramento. In assenza del sentimento, viene meno la relazione, stabilendosi un contatto di pura conoscenza, o di solo piacere.
Sano è l’uomo in grado di innamorarsi e di amare, integrando alla gioia per l’altro, la conoscenza dell’altro e l’intimità fisica con l’altro, in un rapporto di reciproca parità. Malato, invece, è l’individuo incapace di amare l’altro di un amore adulto, cioè non narcisistico e non di dipendenza. Un amore malato fagocita l’altro, domina e controlla l’altro, sentito non come altro da sé, ma come un possesso personale.
L’uomo nasce con il desiderio di amare, poiché è a immagine di Dio, ma fin dalla nascita è esposto a un ambiente in cui regna l’ansia, l’affanno, la paura, il male, in una parola la diffidenza. Non esiste madre o padre che possa dire di aver vissuto il proprio rapporto con un figlio libero da apprensioni, timori, agitazioni. Siamo tutti molto lontani dall’esortazione di Gesù: «Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?» (Mt 6,25).
L’uomo soltanto in minima parte, a tratti, e per breve tempo, riesce a soddisfare il suo desiderio di amare l’altro da sé con un amore maturo, generoso, altruistico. La nostra disponibilità ad amare dipende dalle esperienze fatte nella nostra infanzia con i nostri genitori. La condizione per esprimere il bisogno di amare del bambino dipende dalla qualità dell’amore ricevuto. Una madre che sappia amare il suo bambino, infondendogli fiducia e sicurezza, sarà ben presto ricambiata da un amore segnato dalla serenità e dalla gioia. Un bambino che mostra un attaccamento sicuro
è prima di tutto un bambino sereno e gioioso. In caso contrario, vale a dire qualora il bambino viva in un ambiente non rassicurante e non rispondente, il desiderio di amare può trasformarsi in lui in fame rabbiosa d’amore, o in paura di un rapporto d’amore ravvicinato. Nel primo caso, potrebbe svilupparsi una personalità avidamente insaziabile di potere, o di ricchezze, o di esperienze nei vari campi dell’esistenza, compreso quello sessuale. Nel secondo caso, potrebbe invece svilupparsi una personalità inibita, incapace di socializzare, dominato dal sospetto.
Se vogliamo aiutare un bambino a soddisfare il suo più grande bisogno, cioè quello di amare, è dunque necessario che in lui la fiducia prevalga sulla diffidenza. In uno sviluppo ideale, il bambino s’innamora della madre di un amore che sa di bene e di bello; più tardi s’innamora del padre di un amore distinto dall’ammirazione e dall’entusiasmo; nell’adolescenza, s’innamora di una persona coetanea di un amore erotico e appassionante; nell’età adulta s’innamora del figlio di un amore vissuto come in un sogno. La qualità dell’amore per la madre condiziona dunque tutte le successive forme di amore. Tuttavia, oltre questi quattro incontri d’amore, un quinto incontro è previsto nella vita dell’uomo, l’incontro con Dio, fonte dell’amore.
Poiché l’uomo è nell’impossibilità a esprimere in modo soddisfacente il suo bisogno di amare, ereditando e trasmettendo i problemi filiali di ogni generazione, Dio gli offre l’opportunità di intraprendere con Lui una terapia
di liberazione, di guarigione, e di salvezza. Nella persona di Gesù, Dio diventa il nostro maestro di vita.
Quando in un individuo la fiducia è diventata soltanto un’aspirazione e la diffidenza vigila su tutte le sue relazioni umane, per ricuperarlo in un rapporto di reciproca confidenza, portandolo a fidarsi di sé, degli altri, della vita, le manifestazioni d’affetto vero, d’interesse sincero, di amicizia autentica devono necessariamente moltiplicarsi nei suoi confronti fino al punto in cui egli è costretto ad arrendersi e a fidarsi di chi gli è accanto con tutta la sua disponibilità.
Gesù è l’uomo che si pone accanto a ognuno di noi con tutto il suo amore. Il suo non è un amore di parole ma è un amore tradotto nei fatti dei suoi comportamenti e delle sue scelte.
L’amore richiede prove d’amore per diventare credibile, e una prova d’amore è vera se comporta un costo. Un regalo prezioso dato alla persona amata trasmette amore soltanto se chi lo regala è povero e ha dovuto fare molti sacrifici per procurarselo. Misura dell’amore è il sacrificio. L’amore che sentiamo si concretizza, infatti, nel dolore del sacrificio compiuto. Quando si ama l’altro si sacrifica il proprio tempo libero per stare con l’altro, si sacrificano i propri desideri per appagare quelli dell’altro, si sacrifica quanto si possiede per aiutare l’altro, si sacrifica la propria persona per la persona dell’altro, si sacrifica la propria vita per la vita dell’altro. L’amore vive se vive l’altro; l’amore non è mai solo, non può amare di più, né smettere di amare. Ora, Gesù, per renderci concreto il suo amore, è letteralmente salito sull’altare dei sacrifici, in un’offerta completa di sé. Leggere le pagine relative alla sua passione acquista così il valore di una testimonianza di un amore che vince ogni diffidenza nei confronti della sua persona, facendo esclamare: «Tu sei il mio Signore, tu sei il mio Dio» (Gv 20,28). L’amore di Dio entra in noi nella misura in cui noi entriamo nelle sue sofferenze fisiche, morali e spirituali. C’è tuttavia una sofferenza di Gesù che non potremo mai comprendere: non poterci dare una prova d’amore più grande di quella di una morte in croce.
Gesù davanti ad Anna
«Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: È conveniente che un uomo solo muoia per il popolo»