Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Buddha, Maometto, Gesù: L’Illuminato, il Profeta, il Messia
Buddha, Maometto, Gesù: L’Illuminato, il Profeta, il Messia
Buddha, Maometto, Gesù: L’Illuminato, il Profeta, il Messia
E-book224 pagine3 ore

Buddha, Maometto, Gesù: L’Illuminato, il Profeta, il Messia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un viaggio alle origini di tre grandi movimenti religiosi che hanno ispirato la storia e informato le coscienze di molti popoli: Buddismo, Islam, Cristianesimo.
Il volume e articolato in tre sezioni, ognuna delle quali tenta un ritratto psicologico dei rispettivi fondatori, vale a dire delle persone di Siddhārta, di Maometto e di Gesu.
Di ognuno di questi personaggi si racconta la vita, si riferisce la dottrina, si esaminano le ultime parole consegnate ai discepoli come testamento spirituale.
LinguaItaliano
Data di uscita17 dic 2020
ISBN9788865127377
Buddha, Maometto, Gesù: L’Illuminato, il Profeta, il Messia

Leggi altro di Rocco Quaglia

Correlato a Buddha, Maometto, Gesù

Ebook correlati

Religione e spiritualità per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Buddha, Maometto, Gesù

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Buddha, Maometto, Gesù - Rocco Quaglia

    Rocco Quaglia

    Buddha, Maometto, Gesù

    L’Illuminato, il Profeta, il Messia

    © 2020, Marcianum Press, Venezia

    Marcianum Press

    Edizioni Studium S.r.l.

    Dorsoduro 1 - 30123 Venezia

    Tel. 041 27.43.914 - Fax 041 27.43.971

    marcianumpress@edizionistudium.it

    www.marcianumpress.it

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Marcianum Press – Edizioni Studium sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Impaginazione e grafica: Massimiliano Vio

    ISBN 978-88-6512-737-7

    ISBN: 9788865127377

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Abbreviazioni bibliche

    Premessa

    Introduzione

    BUDDHA, L'ILLUMINATO

    Il Buddha storico

    Le Quattro Nobili Verità

    Il Sentiero

    Le ultime parole del Buddha

    MAOMETTO, IL PROFETA

    La vita

    La dottrina

    Il carattere dell’Islām

    Corano e Sacre Scritture

    Il discorso dell’addio (Khuṭba)

    GESÙ, IL MESSIA

    Gesù, l’uomo del dolore

    Il concepimento di Gesù

    La vita

    La dottrina

    L’ultima preghiera di Gesù

    Conclusione

    Appendice: Dio è onnipotente?

    Abbreviazioni bibliche

    Ap Apocalisse

    At Libro degli Atti

    Col Lettera ai Colossesi

    1,2Cor Prima e seconda lettera ai Corinzi

    1Cron Primo libro delle Cronache

    Ct Cantico dei cantici

    Dt Deuteronomio

    Dan Daniele

    Eb Lettera agli Ebrei

    Ef Lettera agli Efesini

    Es Esodo

    Ez Ezechiele

    Fil Lettera ai Filippesi

    Gal Lettera ai Galati

    Gc Lettera di Giacomo

    Gen Genesi

    Ger Geremia

    Gio Giosuè

    Giu Lettera di Giuda

    Giud Giudici

    Gv Vangelo di Giovanni

    1Gv Prima lettera di Giovanni

    Is Isaia

    Lc Vangelo di Luca

    Lev Levitico

    Mal Malachia

    Mc Vangelo di Marco

    Mt Vangelo di Matteo

    Neh Nehemia

    Num Numeri

    1,2Pt Prima e seconda lettera di Pietro

    Pr Proverbi

    Qo Qohelèt

    Rom Lettera ai Romani

    Sal Salmi

    1,2Sam Primo e secondo libro di Samuele

    Tb Tobia

    1Tess Prima lettera ai Tessalonicesi

    1,2Tim Prima e seconda lettera a Timoteo

    Ti Lettera a Tito

    Zac Zaccaria

    Nota. Riguardo le citazioni bibliche, le traduzioni sono dell’autore. Per il testo del Corano (abbreviato Cor) si è fatto riferimento al testo curato da Gabriele Mandel, utet Torino 2006.

    Premessa

    Una tensione alimentata da un senso di insoddisfazione, fin dalla nascita, ci spinge verso l’ altro, il diverso da noi, ignoto e sconosciuto ma da sempre presente. Il primo altro è sicuramente il padre biologico, ma progressivamente diventa l’altro più distante, fino all’assolutamente Altro. Ognuno di noi ha bisogno di una ragione per vivere: da qui viene l’urgenza di qualcuno da ammirare e che nel contempo segni il fine di un percorso e la meta di un cammino. Difficilmente riusciamo a trovare qualcuno con tutte le risposte della vita, poiché nasciamo tutti figli. Generalmente la ricerca del Padre dura per l’intera esistenza umana, e pochi sono coloro che arrivano a Lui. Tra costoro ve ne sono stati alcuni, e precisamente i fondatori delle tre più indicative religioni dell’umanità: Siddhārta, Maometto e Gesù. Sia pure in contesti culturali differenti, tutti e tre sembrano spinti da uno stesso spirito a superare i limiti dell’esistenza umana per raggiungere la fonte originaria della vita, quella che precede l’ingresso nell’utero materno. La ricerca del Padre non è al di qua ma di là della madre. Certo siamo tutti, in quanto figli, alla ricerca di una esistenza che non si limiti alla sola mater-ia; tuttavia, i tre protagonisti del libro sembrano aver trovato la sorgente primordiale dove s’anima la vita.

    La mia trattazione, pertanto, non è propriamente storica, e quel che di storico è riferito serve a fornire una cornice per meglio comprendere quella particolarità della personalità che ha saputo rendere questi personaggi punti di richiamo per tanti, di generazione in generazione; non solo, ma che li avrebbe anche motivati ad assumersi la responsabilità di decidere del destino di milioni di individui.

    Per correttezza devo precisare che non è stata condotta alcuna analisi psicologica di queste figure; qualunque analisi sarebbe impossibile e risulterebbe grossolana. In ognuno di queste personalità, infatti, è presente un dato non annodabile a qualche spiegazione razionale; una forza che sfugge a ogni intelligenza sembra agire in loro. In costoro follia e saggezza sfociano una nell’altra e insieme cooperano a formare un disegno pari a quello di un grande Artista.

    Che cosa ha dunque animato gli animi di queste persone? Difficile da dire. Io mi sono limitato a descrivere quel che mi è sembrato importante cogliere della loro indole, lasciando il lettore libero di fronte a queste figure genitoriali, perché ognuno trovi il proprio Padre. Siddhārta ha trovato il suo e offre un metodo perché ognuno possa a propria volta trovarlo nel suo Sé; Maometto ha trovato il suo, e un libro è stato scritto affinché ognuno possa udirne le parole; Gesù lo ha direttamente portato dal cielo sulla terra, affinché ognuno potesse conoscerlo per esperienza. L’opera di questi uomini è oltre ogni ragione umana: avvicinarsi ad essa con le proprie cognizioni può comportare un rischio, mentre ignorarla equivarrebbe a lasciarsi derubare del più grande tesoro.

    Questo libro, dunque, per metà narrazione e per metà relazione, è il frutto di un percorso personale di ricerca che mi ha condotto a considerare i grandi maestri e guide dello spirito. Siddhārta, Maometto e Gesù hanno parlato, hanno diviso il tempo in un prima e in un dopo, hanno formato moltitudini di individui, hanno trasmesso il pensiero dell’eternità, sono diventati gli interpreti di un lontanissimo messaggio. Sono tre uomini diventati padri di molte nazioni, ma ognuno presentando una Divinità, in cui è impresso il segno della propria personalità.

    Introduzione

    Dio è l’unica ragione possibile dell’esistenza dell’uomo sulla terra: senza Dio domande e risposte vengono meno. C’è una domanda, tuttavia, che persiste: il perché del male e del dolore. Dal rapporto che noi, uomini, stabiliamo con il dolore e dal significato che gli attribuiamo dipende la nostra concezione di Dio. Da qualche parte è scritto: «Coloro che cercano Dio comprendono ogni cosa» (Pr 28,5). La comprensione dunque è per tutti, poiché tutti siamo alla ricerca.

    Siddhārtha Gautama, il Buddha storico, è stato l’uomo che ha conosciuto quel che di Dio si può, con le proprie forze, conoscere. Per lui, il Dio creatore e causa di tutte le cose era incomprensibile, mentre un Dio non creatore era inconcepibile. Il male, dunque, avrebbe nella stessa creazione la propria causa, vale a dire che eventi e fenomeni avrebbero cause specifiche e sarebbero tra loro interdipendenti e transitori. Ora un Dio eterno e immutabile non può essere causa di un creato in divenire. Si esclude così una causa spirituale del dolore e della sofferenza dell’uomo. La salvezza dal dolore non dipenderebbe, pertanto, da un Dio ma dalla dedizione dell’uomo a neutralizzare le cause e le condizioni che provocano sofferenza. Allora chi è il Dio del Buddhismo? Anche se l’essere umano non può intendere l’Assoluto, pure, secondo l’insegnamento del Buddha storico, esisterebbe in lui un aspetto o una qualità divina che deve emergere: condizione – questa – necessaria per sfuggire al ciclo delle rinascite e attualizzare l’immersione in quell’Assoluto incomprensibile al pari della vita stessa, al pari del male e al pari della sofferenza. Un’esistenza slegata da un principio diventa incomprensibile.

    Siddhārtha impegnò sé stesso, il suo corpo, la sua mente, il suo spirito nella ricerca della cessazione del dolore. Per molti aspetti possiamo avvicinare la meditazione ascetica del Buddha alla corrente filosofica e religiosa dello stoicismo, sorta nel terzo secolo a.C. in Grecia.

    Nell’una come nell’altra il fine è raggiungere uno stato di imperturbabilità o apatia mediante il distacco dalle cose del mondo e il dominio delle passioni, fino a raggiungere rispettivamente il nirvana e la liberazione dal dolore, oppure la saggezza e la forza di sopportare il dramma della vita. La riuscita dipenderebbe dalla determinazione, dalla volontà di emanciparsi dai propri sensi, dalle proprie idee e dai propri condizionamenti, tutte cose che inducono a una illusoria interpretazione della realtà. Per raggiungere la realtà nella sua oggettività, vale a dire priva di forma e di ogni attributo, è necessario sospendere le funzioni della mente. In questo si attualizzerebbe il vero e originale stato naturale dell’uomo che coinciderebbe con la stessa divinità. La reintegrazione dell’uomo nel suo stato naturale gli fa sperimentare una unità che lo trascenderebbe in quanto individuo. A caratterizzare il buddhismo è dunque l’acquisizione di una visione oggettiva dei fenomeni, che porterebbe ad abbandonare l’illusorietà del mondo ( sams ā ra) e ad anticipare la condizione della beatitudine ( Nirvana).

    Il problema del dolore è centrale nella vita dell’uomo poiché le toglie significato e valore. La prima domanda che spontaneamente sorge è: «Quando una vita si può dire vera?». Siddhārta ha compreso che vera può essere soltanto una vita permanente, cioè eterna.

    La seconda domanda è: «Se esiste come realizzarla?». Il Buddha storico l’ha realizzata; ha trovato il modo di calmare il mare turbato della propria esistenza e di attraversarlo con animo pacificato.

    Il Buddhismo è una religione con un Dio lontano dall’uomo, che non partecipa alle vicende umane, proprio perché è un Dio che non soffre, non ama, non odia. Si tratta di un Dio purissimo, impalpabile, trasparente. L’uomo non può raggiungerlo ma può trasformarsi morendo in Lui.

    Se, dunque, la vita è un momento privo di scopo ed è un tempo di sofferenza, segue che non c’è altra liberazione se non quella dalla vita stessa. Colpe e meriti, pene e premi si pagano o si conseguono in questo mondo, e soltanto l’uomo può salvare sé stesso estinguendosi in una divina inesistenza, ovvero, come dicono i mistici Ebrei, in quella forza o energia di coscienza cosmica indicata come Ein Sof, cioè l’Infinito, il Senza fine.

    La scelta dell’uomo è dunque tra svanire nel nulla oppure immergersi nel tutto. Siddhārta Gautama, di fronte al dolore, ha scelto non di tollerare la sofferenza fino alla propria estinzione, ma di cercare la via che porta all’estinzione del dolore stesso. D’altronde, l’uomo è libero unicamente nell’atto della scelta, poiché qualunque sia la scelta compiuta, sarà da questa condizionato.

    Nondimeno, prima di diventare il futuro Buddha, Siddhārta ha attualizzato un’altra verità, quella della propria mortalità. Nulla dura poiché tutto muore. Chi non fa esperienza della propria morte, non come cessazione di funzioni ma come assenza di sé a sé, non potrà mai esercitare la libertà della scelta.

    Qual è il limite del pensiero del Buddha storico? Egli ha visto il male nella malattia, nella vecchiaia, nella morte. Quel che forse non ha visto è il bene nascosto in tali eventi, la malattia potrebbe essere un antidoto all’onnipotenza del pensiero dell’uomo; la vecchiaia potrebbe essere l’antidoto al narcisismo dell’uomo; la morte potrebbe essere un espediente per sottrarre l’uomo alla malattia e a una vecchiaia senza fine. Quel che forse non ha visto è il male che dimora nel cuore dell’uomo che è molto più penoso di tutte le perdite che si possono subire.

    Buddha non ha detto nulla di Dio, perciò il male ha solo cause, non ha finalità, non ha significato, e non ha giustificazioni.

    Per l’uomo arabo, invece, il dolore è parte della vita. Per il nomade come per il carovaniere ogni cosa può cambiare da un momento all’altro. Il male è in agguato dietro ogni duna del deserto. Tutto è imprevedibile. Gli dèi tribali non rassicuravano i loro adoratori, e i jinn se pur meno potenti degli dèi erano violenti e crudeli, aggredivano e uccidevano quanti si avventuravano nel deserto; in molti casi portavano gli sventurati alla pazzia, o invasavano i poeti costringendoli a profetizzare e a declamare versi.

    L’arabo imparava fin da giovane a sopportare e a dar prova di grande forza nelle avversità. Scontri tra le diverse tribù erano continui, come le razzie delle carovane, o le violenze da parte dei predoni esercitate ai danni dei viandanti e dei pellegrini. Per consentire il pellegrinaggio e anche il commercio a Mecca, le tribù avevano istituito un periodo di tempo, detto Tregua di Dio, in cui tutti si impegnavano a non operare aggressioni, ma le violazioni erano frequenti. Senza i mesi della Tregua, durante i quali si godeva di una certa immunità, non si sarebbero potuto svolgere né fiere nelle città più importanti né pellegrinaggi a Mecca. L’individuo che non apparteneva a un clan forte, in grado di vendicare un torto subito, non aveva modo di ottenere soddisfazione. Anche per questo motivo le guerre tra gruppi diversi erano continue, sia perché un torto fatto a un membro del clan coinvolgeva tutti gli altri membri, sia perché colpevole non era mai considerato l’individuo direttamente responsabile, bensì l’intero clan. L’arabo non poteva sopravvivere come individuo separato dagli altri, ma soltanto se inserito in un organismo sociale. Con l’assenza di agenti di polizia, di magistrati e di tribunali, il male non arginato diventa una realtà ineliminabile dell’esistenza umana.

    Nel Corano non si parla mai del dolore che l’esistenza stessa comporta. Il male non è concepito come punizione, e neppure in chiave salvifica, cioè di purificazione o di santificazione. Il dolore in sé non è né meritorio né biasimevole. I teologi Islāmici tuttavia lo considerano positivamente in quanto favorente una maggiore maturità dell’essere umano. Inoltre, assolverebbe l’importante compito di rendere l’uomo umile di fronte alla vita e paziente nelle avversità. Le prove del dolore e della sofferenza sarebbero pertanto una dimostrazione della fede del credente in Allāh. Il credente musulmano, infatti, deve superare la prova della sua sottomissione alla volontà di Allāh. D’altronde, per il musulmano l’intera esistenza dell’uomo, compreso il dolore, è una prova, qualunque siano le vicissitudini della vita. La realtà del dolore necessariamente è legata all’esistenza del male [1] , una presenza inquietante che condiziona il rapporto dell’uomo con Dio e di conseguenza dell’uomo con l’uomo.

    In breve, il musulmano non valuta il dolore né come promotore né come ostacolo alla vita spirituale, ma piuttosto come un’occasione per abbandonarsi alla misericordia di Dio con una incondizionata resa alla sua volontà. In questo modo il musulmano rinuncia al proprio giudizio, rimettendosi, in ogni circostanza per quanto sfavorevole, a Colui che è il solo a distinguere il bene e il male. Dio soltanto guarda oltre l’apparenza delle cose; Lui soltanto conosce la verità. Da questa consapevolezza di un male incomprensibile e non giudicabile nascerebbe la piena accettazione della divina volontà.

    Maometto, fin da giovane, ha ben conosciuto il male da parte dei suoi concittadini, e ciò lo ha portato a sviluppare una grande pazienza. Egli si è docilmente sottomesso alle umilianti esperienze cui lo sottoponevano i Meccani senza mai ribellarsi e senza mai nutrire pensieri di vendetta. Si sottomise alla volontà di Dio, continuando a sforzarsi sulla via del suo Allāh, cioè a impegnarsi per la diffusione del messaggio ricevuto.

    Per il musulmano quel che accade al credente è poco importante, importante è l’impegno a difendere l’Islām. L’uomo deve soltanto ubbidire a ciò che Dio ha rivelato nel Corano. Esiste un solo vero male, essere un perdente, vale a dire un miscredente e finire nell’inferno per l’eternità [2] .

    Da segnalare che nella concezione islamica, Allāh è di là sia del bene sia del male. Allāh, nella sua onnipotenza, ispira misericordia o durezza. «Muḥammad è Profeta di Dio. I suoi compagni sono duri con gli empi, compassionevoli fra loro» (Cor 48:29). Allāh aveva scelto Adamo come suo vicario (califfo) sulla terra, ma Satana si era opposto alla libera scelta di Allāh. Allo stesso modo uno dei due figli di Adamo, Caino, si oppose alla libera scelta che Allāh fece, accogliendo il sacrificio del fratello, perciò disse nel suo cuore: «Ti ucciderò, certo» (Cor 5:27).

    Dio è onnipotente e gode di assoluta arbitrarietà, da Lui tutto viene e tutto dipende, «Dio fa ciò che vuole» (Cor 3:40). Il male è dunque nell’essere l’uomo una creatura o nella sua libera scelta? In un caso non ci sarebbe responsabilità, nell’altro caso la libertà dell’uomo metterebbe in discussione l’onnipotenza di Dio. Molte sono state le soluzioni offerte per superare questo dilemma. Tuttavia, Dio, per un atto di misericordia, concede ad Adamo, cioè all’uomo, di ubbidire alla Sua voce guidandolo alla verità e al bene. Scrive Ida Zilio-Grandi: «Solo il nuovo ascolto della voce divina può impedire che il primo uomo e la sua compagna permangano nella tradizione iniziata da Satana; per ripristinare il loro stato gli uomini necessitano di essere guidati ancora, hanno ancora bisogno della Voce: «Se verrà da Me una guida, chi seguirà la Mia guida non devierà, non sarà infelice" (20:123)» [3] . L’uomo dunque non può essere né buono né cattivo, ma musulmano o non musulmano. Ne segue che l’uomo non può relazionarsi con Dio, assolutamente trascendente; quel che può fare è accettare e ascoltare quel che procede da Dio mediante il Suo Messaggero.

    In breve, tutto quello che Dio esige dagli uomini è che Gli siano sottomessi, cioè siano Musulmani, e siano fedeli a tutto quello che è scritto nel Corano.

    Nel Cristianesimo la concezione del dolore è centrale, poiché i figli di Adamo sono stati generati nel peccato (Sal 51,5). L’ebreo e, di conseguenza, il cristiano nascono in una condizione di colpa. Questo non vuol dire che il male sia costitutivo dell’uomo, in quanto creato malvagio da Dio, e neppure la malvagità è conseguenza di una deliberata scelta. Il male è un’eredità. La scelta responsabile dell’uomo si pone pertanto tra restare nella sua condizione o accogliere la salvezza operata da Dio stesso. Il male dunque non è nella natura dell’uomo, Dio fece

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1