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La città delle anime
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E-book145 pagine2 ore

La città delle anime

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Info su questo ebook

Un uomo non ricorda più il suo passato. Ma sa il suo nome, Marc Rainer,  e che è morto. Si ritrova in un luogo ordinato, simmetrico, le case uguali, i prati tagliati a fresco: vi coesistono tutti i credi, le religioni, le fedi. Il problema è che, a parte le anime dei morti, non si è mai visto nessun altro. Ma un giorno Dio stesso si presenta a loro. E, mentre sta per svelare a tutti la verità suprema, il senso delle cose, compare all'improvviso una pistola nelle mani di Marc Rainer. Che, per puro caso, lo uccide. Ma davvero uccidere Dio è un caso?  Così Marc fugge, per scoprire che cosa ci sia dietro, forse il segreto della vita e della morte. E alla fine della sua corsa si accorge che niente è come appare. Che lui stesso è chi non si sarebbe mai aspettato di essere. E che l'aldilà è diverso da ogni mondo mai immaginato. Danilo Cicilloni, originario di Sassari, vive a Bologna. Ha pubblicato il romanzo I ladri del tempo (Lettere Animate 2018) e due sillogi di poesie: A quest’ora della notte (Edizioni della rosa 1994) e L’attimo e il dolore (Ibiskos, 1995).

Versione cartacea: La città della anime. Danilo Cicilloni, Nulla Die, Isbn: 978-88-6915-235-1
LinguaItaliano
EditoreNulla Die
Data di uscita30 ago 2019
ISBN9788869152375
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    Anteprima del libro

    La città delle anime - Danilo Cicilloni

    fine

    Prologo

    Qualcosa che raschia nella pietra. Un rumore fastidioso. Insopportabile. E poi un odore pungente e acre, un lampo nella testa, tutto gira, ti vien da vomitare.

    La maggior parte di noi fa fatica ad abituarsi, ci vuole sempre un po’ di tempo, e non è nemmeno che ci sia da chiedere troppe spiegazioni, perché non ce ne sono. Accade e basta.

    Monte Mare è una città strana. Badate, non c’è né un monte, né tantomeno un mare. Non avrei mai pensato che potesse essere così. C’è il cielo, la luna, il sole, piove perfino, qualche pallida stella, dei lampi e dei tuoni che fanno paura. Eh già, nonostante tutto, proviamo ancora paura. Sembra che le nostre esigenze siano rimaste le stesse, le pulsioni, la fame. Eppure, siamo morti. Tutti noi di Monte Mare. Ognuno ricorda bene quel momento. Uno schianto, una pallottola nel cuore, una brutta malattia, un vaso di fiori che cade da un balcone e ti spiaccica la testa. A me è accaduto in modo un pochettino differente. Un giorno mi sono alzato e il cielo era di un rosso acceso. Erano le prime ore del mattino. Poi un’ondata di calore eccezionale, il fuoco. Non so, il mio corpo si deve essere dissolto in un istante. Un’esplosione? Una bomba nucleare? Qualcuno ci ha attaccato? Non ne ho idea. Forse quando sono morto io sono morti proprio tutti. L’intera umanità.

    Così, un giorno, mi sono risvegliato qui. Non so quanto tempo sia passato da quando il cielo si è tinto di rosso ed è finita la mia vita. Non credo nemmeno che il concetto di tempo qui abbia un senso. Vaghiamo come anime perse per le strade della città. Sappiamo solo che siamo morti. E che la nostra condizione non cambierà. Davvero? Questo pensavo, qualche giorno prima di quel maledetto istante che avrebbe sconvolto la mia vita, o forse dovrei dire la mia morte. Come potevo immaginarlo?

    È vero, è capitato. Che ho ucciso Dio. Ma non volevo. Davvero, è stato solo un incidente.

    Io

    È così. Ora posso dirlo. Ho ucciso Dio.

    Ma aspettate che prima io vi spieghi. E mi presenti. Io mi chiamavo, sulla terra, Marc Rainer. Ma questa, alla fine, è l’unica cosa che ricordi della mia vecchia vita. E l’esplosione, certo. Quel chiarore che si diffonde come lava nel cielo fino a investirmi. E poi il niente. O meglio, poi Monte Mare. Non so cosa ci sia che blocchi la mia memoria. Quasi tutti si ricordano del loro passato. Io no. E quindi non so che tipo di persona io sia stato, i miei interessi, le mie passioni, le mie donne. Mi sarò mai sposato? Avrò avuto figli? Chissà. Per il resto ricordo tutto della storia dell’umanità. Di sicuro quella che ho vissuto e che ho studiato. Già, devo aver studiato, e questo può essere un indizio, ma non so se mi porterà lontano. Perché ho ucciso Dio. Non è una cosa di tutti giorni uccidere qualcuno di così importante. L’essere supremo addirittura. Ma è successo. Come? Ecco, adesso cercherò di ripercorrere i miei pensieri senza perdermi in un labirinto senza uscita.

    Quindi, l’ondata di calore, il fuoco. Tutta la mia vita, un grande buco. La mia morte, anche. Perché tutti gli altri hanno sentito dopo la loro dipartita il pianto dei loro cari, gli insulti dei nemici, i canti e le preghiere, le cerimonie, i lamenti delle prefiche, il fuoco dei roghi funebri. Io no. Semplicemente ho aperto gli occhi ed ero qui.

    È strana questa mia nuova condizione. Vedo la mia immagine nelle superfici lucide o nei riflessi dell’acqua. Sembra il mio vecchio corpo. Come lo ricordo pochi istanti prima di morire. Ho due grandi occhi verdi. I capelli lisci e lunghi, potrei farmici una coda. Sono magro, secco, una lunga cicatrice che corre lungo il collo. Chissà come me la sono fatta. Chissà come sono arrivato a essere così.

    Eppure, so, lo sento, che questo non è proprio un corpo. È una parvenza, come un’ombra, eterea. Non ha una consistenza. Ma un po’ sì, è questo che mi turba. E poi ci sono le pulsioni. Fame, sete, le funzioni corporali, la sessualità. C’è una tipa a Monte Mare che mi fa uscire di testa. Per qualche motivo anche lei prova qualcosa per me. Non parliamo molto. Ci guardiamo. E sorridiamo. Due adolescenti al primo appuntamento. Abbiamo anche tentato di baciarci, ma poi è calato il buio. Non sappiamo cosa sia successo. Eravamo lì, le labbra tese a cercarsi, poi niente. Ognuno di noi si è ritrovato a casa sua. In un attimo. Non ne abbiamo più parlato. Karen Must si chiamava in vita. Dovreste vederla, alta, statuaria, lunghi capelli castani scintillanti, due occhi dolci, un corpo davvero perfetto, insomma, una Dea. Detto da me, però, non suona bene. Ora che Dio è morto per mia mano. Per un colpo di pistola.

    Dicevo, sembra un corpo questo, ha le sue sensazioni, le sue emozioni, le necessità. Ma è tutto sfumato. Come se non fossimo ancora passati di stato. Ma quale stato? Oppure l’aldilà è così? Paradiso? Inferno? Concetti che qui a Monte Mare non esistono.

    È così, non ricordo il mio passato. Perché, alla fine, io sia finito qua. È questione di meriti, demeriti, peccati, gloria, vanagloria, mancanza di fede o, al contrario, troppa fede? C’è qualcosa in me che mi suggerisce che non sia stato proprio una brava persona. Altro invece mi dice che una parte di me odora di santità. La santità ha quindi un odore? Io non lo sento. Ci sono pochi profumi in questo posto, anche una leggera puzza che ogni tanto aleggia nell’aria e poi scompare. Tutto sempre tenue, lieve. Eppure, ho la percezione che io sia qua per un motivo preciso. Che tutto questo non sia dovuto al caso.

    Siamo morti, ma non abbiamo capito il senso di questa morte. Non abbiamo visto nessuno oltre a noi. Nessun angelo, nessun demone, messaggero, annunciatore divino. Insomma, non conosciamo il nostro scopo qua. L’organigramma celeste. Un po’ come succedeva quando eravamo in vita. Monte Mare stessa è un mistero. Ognuno di noi l’ha girata in lungo e in largo, ma non è mai riuscito a trovare una periferia, un confine. Nessuno di noi sa qual è il proprio significato, il suo obiettivo. E quello di Dio. Di questa città. Ecco, questa città. Monte Mare.

    Monte Mare

    Non si può dire che Monte Mare sia una brutta città. Forse non è nemmeno una città, per quanto ne sappiamo potrebbe essere invece il mondo intero, una distesa senza fine di edifici, piazze, parchi, strade, file e file di lampioni, ponti, fiumi, laghi, animali che corrono, strisciano, volano, nuotano. Sembra tutto così bello, ma non è sempre così. Ci sono volte in cui i tramonti riempiono il cuore di inquietudine e di precarietà. Come sia possibile non so. Credo di aver sempre pensato che quando si muore si diventi solo puro spirito, anime vaganti, tra coretti celesti, angeli e piume a non finire, morbide nuvole, pace infinita. Oppure immersi nel fuoco dell’inferno, che non oso neanche immaginare. Mi vengono in mente solo le scene di qualche dipinto, anime corporee torturate da forconi, divorate da diavoli e tanto dolore.

    E invece Monte Mare non è niente di tutto questo. Qui sono rappresentati tutti i credi del mondo. La città per la maggior parte è suddivisa in quartieri a tema. Ci sono quelli dei musulmani con le loro moschee, i loro minareti, i muezzin, i mercati, il ramadan, i tappeti colorati, le vesti bianche, le barbe lunghe, c’è tutto. E, al suo interno, ogni quartiere è suddiviso in microzone, tante quante sono le diramazioni di quella religione. Anche nel quartiere dei cristiani c’è la zona ortodossa, la zona evangelica, l’anglicana, la cattolica etc. Poi ci sono i quartieri ebraici, quelli animisti, i buddisti, gli induisti, insomma non ci manca proprio niente. In una vasta area, che sembra in tutto un parco giochi, con scivoli, altalene, enormi gonfiabili scoloriti, negozi di caramelle che hanno vissuto tempi migliori, c’è il quartiere dei bambini. Ce ne sono tanti a Monte Mare. Se non stanno nel loro parco scorrazzano sulle strade tirando calci a una palla, oppure zigzagando su uno skate o su una bicicletta. Alcuni sono arrivati con i genitori, e questo è un qualcosa di accettabile, perché quando vedi invece dei bimbi soli, che dondolano lentamente su un’altalena, guardando fisso in terra, allora ti viene una sorta di tristezza, di malinconia, che qui non dovresti invece avere.

    E poi ci sono gli atei che si guardano smarriti e si chiedono il perché di tante cose. Tentano di darsi spiegazioni, ma non ci riescono. Li riconosci perché osservano tutto come bimbi e scuotono la testa. Girano in piccoli gruppetti, e alcuni si avvicinano ad altri quartieri per cercare di capire, loro che non hanno mai creduto in niente nella vita, da chi invece ha sempre avuto fede in qualche cosa. Ma in che cosa? Qui, ribadisco, non c’è nessuno che ci spieghi, ci dica cosa sia successo e cosa succederà. Anche qui il futuro è incerto. Nessuno sa chi alla fine abbia ragione. Gli ebrei? I cristiani? I musulmani? Gli induisti? O forse gli atei? Perché la fine della vita è solo Monte Mare e non c’è nient’altro, solo un passeggiare per le strade a chiedersi perché. Ma è solo questione di tempo. Perché purtroppo, invece, qualcosa la scopriremo presto. E sarà la mia fine.

    Nel tempo in cui sono rimasto a Monte Mare, come tutti, anch’io ho girovagato per la città. Vivo nel quartiere degli agnostici, probabilmente Marc Rainer, come mi chiamavo prima, non sapeva se credere o non credere. Durante il giorno attendo alle mie cose. Non deve essere cambiato molto in fondo da quando ero vivo, o almeno credo. Mi sveglio, sto a rigirarmi un po’ tra lenzuola che vorrei più morbide, poi mi faccio una colazione sciapa, con un caffè tremendo, che non sa proprio di caffè, e dei biscotti che paiono di plastica o cartone. Non è che qui tutto sia così comodo e tranquillo come si potrebbe pensare. Qualche giorno fa ci sono stati degli attriti tra il quartiere musulmano e quello ebraico. Un diverbio triste causato dalle presunte affermazioni di un imam sulla superiorità del loro Dio. Scaramucce che finiscono alla sera, quando gli animi sembrano spegnersi di colpo e le passioni paiono sopirsi, in questo corpo vago che contiene tutto quanto siamo stati. Nulla ancora c’è di quello che saremo.

    Ci si trascina dietro millenni di storia anche qui. Non riusciamo a lasciarci dietro ciò che è

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