Le avventure di Dorotea nel regno dei sogni
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Anteprima del libro
Le avventure di Dorotea nel regno dei sogni - Lisa Vagnozzi
Lisa Vagnozzi
Le avventure di Dorotea nel regno dei sogni
UUID: a1ecedb2-f0e0-11e9-a37a-1166c27e52f1
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
A Vittoria e Linda, le mie dolcissime e inconsapevoli muse
Nota dell'autrice
Le avventure di Dorotea comprende due racconti pubblicati separatamente nel 2013 e nel 2014: Dorotea e l’incantesimo del cancello e Dorotea e la montagna di fuoco . Mi è capitato di rileggerli a distanza di alcuni anni e ho pensato di proporli in un'edizione unitaria, dopo aver apportato qua e là qualche piccola modifica, aggiornando (ma non rivoluzionando!) i testi.
Approfitto di questo spazio anche per ringraziare Valentina Cicioni, che ha realizzato per me l'illustrazione di copertina.
Buona lettura!
L.V
Dorotea e l'incantesimo del cancello
Prologo
La neve scendeva copiosa sul villaggio, imbiancando tetti, cortili e stradine, come non accadeva ormai da molti anni. I bambini se ne stavano alle finestre a osservare con stupore ed entusiasmo i piccoli fiocchi che, fitti e leggeri, si posavano incessantemente l’uno sull’altro. Quello - ne erano certi - sarebbe stato un Natale straordinario!
Il fuoco crepitava nel grande camino di mattoncini rossi, mentre la madre e le figlie maggiori si affaccendavano nei preparativi per la cena della Vigilia e per il ricco pranzo dell’indomani. Dopo pochi minuti, il padre rientrò in casa con un ceppo di legno da ardere, seguito dal dottor Morfeo, vicino di casa e amico di famiglia.
Si è scatenata una vera tormenta!
commentò l’anziano ospite tutto infreddolito, mentre si spogliava del cappello e del pesante mantello scuro, scoprendo la fronte rugosa e i capelli ormai radi e bianchi.
Il dottor Morfeo viveva da solo e amava molto trascorrere del tempo con i suoi vicini, in quella grande casa piena di vita e di calore, trovando molta gioia nell’osservare i giochi spensierati dei bambini e nel raccontare loro storie esotiche ed avventurose. C’erano ben otto figli nella famiglia - due ragazze già adolescenti e sei chiassosi e vivaci maschietti tra i tre e i dodici anni - e in loro compagnia non c’era mai spazio per noia o malinconia.
Anche quella sera cenarono tutti insieme, chiacchierando in modo gioviale, commentando l’inattesa e incantevole nevicata e facendo previsioni scherzose sulla durata del lauto pranzo che la padrona di casa stava preparando per il giorno di Natale.
Concluso il pasto, la figlia maggiore, Dorotea, salì come di consueto al piano superiore per preparare i fratellini per la notte. I piccoli dormivano in tre stanze contigue, che si affacciavano lungo il corridoio principale. Tra risa, scherzi e qualche capriccio, i fratellini indossarono i pigiami e si radunarono in una delle tre camerette per ascoltare dalla voce calda e rassicurante della sorella maggiore una storia della buonanotte.
Nelle loro fiabe predilette c’erano cavalieri, draghi e animali parlanti, e ogni sera Dorotea si sforzava di aggiungere ai suoi racconti qualche dettaglio che potesse attirare la loro attenzione e solleticare la loro fantasia. Poi, intonando una ninnananna, la ragazza accompagnava ciascuno dei fratelli al proprio letto, gli rimboccava le coperte e schioccava sulla sua fronte un bacio affettuoso.
Quella sera i piccoli erano così eccitati dallo spettacolo della neve e dall’imminenza del Natale che Dorotea fece molta fatica a convincerli ad addormentarsi. Raccontò loro due storie avventurose, in una delle quali riuscì a far comparire un’improvvisa nevicata notturna, e cantò diversi stornelli e ninnenanne: ma, nonostante i suoi sforzi, la sua pazienza e la sua buona volontà, ci volle quasi un’ora perché tutti si assopissero.
Quando anche il più riluttante dei fratellini si lasciò finalmente cadere in un sonno sereno e profondo, Dorotea chiuse con cura le porte delle tre camerette e percorse il lungo corridoio a passo svelto e leggero, cercando di non far scricchiolare le assi di legno e di raggiungere la scalinata senza svegliare nessuno. Non c’erano candele a illuminare il suo percorso, solo il riverbero delle luci che brillavano nella grande sala al piano inferiore. Per questo, Dorotea non si accorse subito della presenza del dottor Morfeo, che la attendeva in piedi, in cima alla scalinata. La ragazza era stupita: sapeva che il dottore amava molto sentirla cantare, lui stesso glielo aveva detto più volte. Che fosse salito ad ascoltarla?
Dormono tutti?
le chiese con un sorriso gentile. La sua voce era appena un sussurro.
Dorotea annuì, intimidita da quell’incontro inatteso.
Ho una cosa per te.
le disse allora il dottore. E, con un rapido gesto della mano rugosa, estrasse dalla tasca un fagotto e, con delicatezza e circospezione, glielo porse.
Dorotea lo prese tra le mani, esitante e, nello stesso tempo, incuriosita. Avvolto in un panno nero c’era uno specchio di legno scuro, con un piccolo ovale dai riflessi azzurri e un lungo manico finemente intagliato.
Non è un oggetto di valore, ma appartiene alla mia famiglia da molti anni.
spiegò il dottore con modestia. A Dorotea sembrava di percepire una nota ansiosa nella sua voce, un vago timore. Sarei felice che lo avessi tu. Domani, in fondo, è Natale.
Poi, reclinando lievemente il capo, aggiunse, quasi con imbarazzo: Ho approfittato di questo momento per dartelo perché ti sapevo sola… Non volevo deludere i tuoi fratelli: non ho doni per loro.
Dorotea lo ringraziò e gli rivolse un sorriso timido ma riconoscente. Il dottore si avviò in silenzio giù per la scalinata, mentre la ragazza riavvolgeva lo specchio nel panno e andava a riporlo nella propria stanza.
Poco dopo il dottor Morfeo se ne andò, non prima però di aver promesso alla padrona di casa che sarebbe stato presente al fastoso pranzo dell’indomani.
Continuava a nevicare e la strada si intravvedeva appena ma, mentre percorreva faticosamente i pochi metri che lo separavano dalla porta della propria casa avvolto nel suo pesante mantello scuro, il dottore non poteva fare a meno di sorridere. Un sorriso enigmatico, ma pieno di speranza.
Pian piano, tutte le luci della grande casa si spensero. Il pendolo del salotto batteva le ventitré. Da quasi un’ora Dorotea si era rifugiata sotto le coperte, ma non riusciva ad assopirsi: i tanti pensieri che affollavano la sua mente sembravano aver scacciato il sonno.
Nel letto accanto, Matilde dormiva già, mentre il fagotto scuro sul comodino le ricordava lo strano incontro con il dottor Morfeo. Sapeva che l’anziano vicino aveva una predilezione per lei, ma non si aspettava certo un dono! E poi… quel piccolo specchio ovale l’aveva molto colpita, così tanto che sentì il bisogno di prenderlo nuovamente tra le mani.
Aprì il fagotto e accarezzò il legno scuro, riccamente lavorato, e il piccolo ovale che, nonostante l’oscurità, sembrava brillare di una luce azzurrina: una luce flebile, eppure incantevole, da cui Dorotea non riusciva più a distogliere lo sguardo. La fissava, rapita da quel misterioso baluginio, al punto da dimenticare ogni altro pensiero. Finché d’un tratto la superficie dello specchio si increspò, si fece scura, oltrepassò la cornice di legno e crebbe, crebbe, crebbe a dismisura, fino ad avvolgere la fanciulla e a risucchiarla in una sorta di vortice. Dorotea ebbe la sensazione di cadere nel vuoto: una caduta lunga, interminabile, nel buio e nel silenzio.
E poi più nulla.
I
Dorotea si svegliò su un prato, nel mezzo di una radura. Sembrava fosse giorno, anche se i rami frondosi degli alberi le impedivano di scorgere il cielo. Aveva i piedi nudi e indossava ancora la veste da camera bianca con cui si era coricata. Ma della sua casa e del suo borgo, così come dell’insolita bufera di neve che aveva segnato la giornata della Vigilia, sembrava non esservi più traccia.
Dove sono? Che posto è mai questo?
si chiese alzandosi da terra e guardandosi intorno con incredulità e stupore. Solo allora si accorse del possente cancello grigio che si ergeva a pochi passi da lei: un varco gigantesco, di dimensioni che a Dorotea parvero spropositate e che stridevano con gli spazi aperti e liberi della foresta.
Si avvicinò piano, fino a toccarlo: era freddo, di un metallo apparentemente molto solido. Mentre lo sfiorava con le lunghe dita, Dorotea sentì un vento leggero accarezzarle la pelle, lieve come un sussurro, e le parve di udire una voce, a malapena percettibile eppure familiare, che la invitava a varcarlo.
Apri il cancello, aprilo!
sembrava ripeterle.
Istintivamente, Dorotea spinse il metallo con la mano: con sua grande