Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Papà Gambalunga: Ediz. integrale illustrata
Papà Gambalunga: Ediz. integrale illustrata
Papà Gambalunga: Ediz. integrale illustrata
E-book174 pagine2 ore

Papà Gambalunga: Ediz. integrale illustrata

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Con le illustrazioni dell'autrice.

"Papà Gambalunga" (Daddy-Long-Legs) è un emozionante romanzo epistolare scritto da Jean Webster nel 1912. Narra la storia di Jerusha “Judy” Abbott, una giovane orfana che ha l’opportunità di ricevere un’istruzione grazie a un benefattore misterioso che lei chiama proprio "Papà Gambalunga". Judy non lo conosce e di lui ricorda soltanto la fugace e romantica visione della sua ombra allungata contro un muro dell’orfanotrofio. L’uomo chiede in cambio soltanto di essere tenuto aggiornato periodicamente, ed è proprio attraverso una serie di lettere affascinanti e divertenti che il lettore entra nel mondo di Judy e, insieme a lei, si avventura in un percorso di crescita, affrontando le numerose sfide di una giovane e vivace ragazza e affiancandola nella ricerca di una voce autentica e matura che possa farla diventare una grande scrittrice. Ma, soprattutto, scoprendo insieme a lei il vero amore. "Papà Gambalunga" è una storia commovente e tenera che cattura il cuore dei lettori di tutte le età e che ha avuto nel tempo numerosi adattamenti, dal teatro al cinema fino al famoso cartone animato.
LinguaItaliano
EditoreCrescere
Data di uscita3 nov 2023
ISBN9791254540169
Papà Gambalunga: Ediz. integrale illustrata
Autore

Jean Webster

Jean Webster (1876-1916) was a pseudonym for Alice Jane Chandler Webster, an American author of books that contained humorous and likeable young female protagonists. Her works include Daddy-Long-Legs, Dear Enemy, and When Patty Went to College. Politically and socially active, she often included issues of socio-political interest in her novels.

Correlato a Papà Gambalunga

Titoli di questa serie (51)

Visualizza altri

Ebook correlati

Classici per bambini per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Papà Gambalunga

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Papà Gambalunga - Jean Webster

    Quel terribile mercoledì

    Il primo mercoledì di ogni mese era un giorno davvero orrendo, uno di quelli da attendere con timore, da sopportare con coraggio e da dimenticare subito. Tutti i pavimenti dovevano essere puliti senza lasciare una sola macchia, tutte le sedie pulite dalla polvere e ogni letto rifatto perfettamente. Novantasette orfanelli andavano ripuliti, pettinati e vestiti dei loro abiti di cotone inamidati; e a tutti novantasette si doveva ricordare come ci si comporta, come si deve rispondere in modo educato con Sissignore e No, signore nel caso in cui una delle autorità avesse rivolto loro la parola.

    Era, insomma, una giornata molto impegnativa, e lo era più di tutti per la povera Jerusha Abbott che, in quanto orfanella più grande, ne doveva sopportare il peso maggiore.

    Ma, come tutti i mercoledì precedenti, anche questo in cui comincia la nostra storia, la giornata arrivò alla fine, e Jerusha poté fuggire dalla dispensa – dove per ore era rimasta a guarnire le tartine per i direttori dell’istituto – e tornarsene al piano superiore per dedicarsi alle mansioni di tutti i giorni.

    A lei spettava la cura della stanza F, dove undici bambini tra i quattro e i sette anni occupavano undici piccoli letti, uno di fianco all’altro. Jerusha raggruppò i bimbi intorno a sé, sistemò i loro grembiuli disordinati e strofinò i loro nasini; dopo, messi in una fila indiana bella ordinata, li accompagnò al refettorio dove li lasciò, per una serena mezz’ora, con pane, latte e torta di prugne.

    Solo in quel momento Jerusha riuscì a sedersi sulla panca sotto la finestra, appoggiando le tempie che pulsavano sui freddi vetri: era in piedi dalle cinque del mattino, sommersa dagli ordini che le giungevano da tutte le parti, scossa e tirata da una parte all’altra da una direttrice nervosa. La signora Lippett, infatti, lontano dai membri del consiglio e dalle dame in visita, non manteneva sempre quella calma e quella solenne dignità che rispettava davanti a loro. La ragazza guardò fuori, lasciando correre lo sguardo per tutta la distesa del prato ghiacciato, poi oltre l’alta cancellata di ferro che segnava il confine dell’orfanotrofio e poi ancora lungo le collinette punteggiate da case di campagna, fino ai tetti del villaggio che s’intravedevano attraverso le cime degli alberi spogli.

    La giornata era terminata e, tutto sommato, terminata anche abbastanza bene, secondo lei: le autorità e i membri del consiglio avevano fatto la loro ispezione, letto le loro relazioni e bevuto il tè, e in quel momento se ne stavano tornando in fretta nelle loro case, a sedersi accanto a un caminetto col fuoco acceso e liberi di dimenticare per un altro mese le piccole noiose scocciature riguardanti l’orfanotrofio.

    Con il naso contro i vetri, Jerusha seguiva curiosa (e con un pizzico d’invidia) le auto e le carrozze che passavano dal cancello dell’istituto per andarsene. Con la fantasia seguiva il loro tragitto fino alle grandi case sparse qua e là sui pendii delle colline. Immaginava se stessa abbandonata sui cuscini, vestita con una pelliccia e con un cappello di velluto ornato di piume che diceva all’autista: Torniamo a casa!.

    Ma, una volta giunta con la mente sulla porta delle abitazioni, la scena si offuscava.

    Eppure a Jerusha l’immaginazione non mancava di certo: la signora Lippett le ripeteva spesso che ne aveva così tanta che doveva stare attenta se non voleva, un giorno, finire in qualche guaio. Ma per quanto vivida fosse la sua fantasia, non lo era abbastanza per farla andare oltre la porta d’ingresso delle case in cui avrebbe tanto voluto entrare. La povera, piccola sognatrice, in nessuno dei suoi diciassette anni di vita, era mai riuscita a varcare la soglia di una casa normale, e per questo non riusciva nemmeno a immaginarsi come potesse essere la vita di tutti giorni di quelle persone che non si prendono cura degli orfanelli.

    Je-ru-sha Ab-bot,

    sei desiderata in di-reee-zioooneee!

    Secondo me,

    È meglio che tu faccia in fretta!

    A parlare era Tommy Dillon che, cantando spesso nel coro, mentre saliva le scale e poi procedeva lungo il corridoio per comunicare il messaggio, imitava i canti di chiesa. La sua voce aumentava man mano che si avvicinava alla stanza F. Jerusha si scosse e si si allontanò dalla finestra: era costretta a tornare alle difficoltà della vita.

    «Chi mi vuole?» domandò senza riuscire a nascondere una certa ansia e interrompendo la cantilena di Tommy.

    La direttrice ti attende,

    e i nervi non nasconde!

    Aaaamen!

    Il canto di Tommy aveva un tono solenne, ma non proprio malizioso. Anche il più discolo degli orfani avrebbe provato pena per una compagna fatta chiamare dall’arcigna direttrice. Tommy, inoltre, voleva bene a Jerusha, nonostante lei lo avesse tirato per il braccio diverse volte e gli avesse quasi staccato il naso per pulirglielo bene.

    Jerusha si avviò senza dire nulla, la fronte solcata da due piccole rughe. Cos’è andato male? si chiedeva preoccupata. "Le tartine non erano abbastanza sottili? È rimasto qualche pezzetto di guscio nelle torte di noci? Una visitatrice ha forse notato il buco nelle calze di Susie Hawthorn? Oppure, peggio del peggio, uno degli angelici orfanelli del dormitorio F ha risposto in modo maleducato a qualcuno?

    Nel lungo atrio al pianterreno non erano ancora state accese le luci, e mentre Jerusha si affrettava giù per le scale notò un ultimo consigliere che si attardava sulla soglia del portone che dava sulla corte esterna. Jerusha lo vide appena ed ebbe l’impressione che si trattasse di un uomo alto, che stava facendo un cenno verso un’automobile ferma sulla curva del viale.

    Quando il motore fu avviato e il veicolo cominciò ad avvicinarsi, la luce abbagliante dei fari proiettò l’ombra del consigliere sul muro interno dell’atrio: una figura bizzarra, con gambe e braccia lunghissime, che correva sul pavimento e poi saliva lungo le pareti del corridoio. Le sembrava un grosso ragno che si dondolava sulle zampe lunghe e sottili, proprio quello che i ragazzini chiamano " papà gambalunga ".

    L’ansia di Jerusha si sciolse di colpo in una breve risata. Lei, in fondo, era una creatura solare, pronta a cogliere i lati comici del mondo e soprattutto delle situazioni intorno a lei.

    Ci si può divertire anche osservando un consigliere! pensò. Rasserenata da quel piccolo episodio, entrò nell’ufficio della signora Lippett ancora col sorriso. Con una certa sorpresa notò che la pomposa signora aveva un’aria forse non proprio sorridente, però quasi amichevole: aveva la stessa espressione compiaciuta del pomeriggio quando c’erano i visitatori.

    «Siediti, Jerusha, ho qualcosa da dirti» esordì.

    Jerusha ubbidì e si accomodò sulla sedia più vicina mentre le aumentava un leggero batticuore. Un’automobile passò veloce davanti alla finestra e la signora Lippett la seguì con lo sguardo. «Hai notato il signore che è appena andato via?»

    «L’ho visto solo di spalle».

    «È uno dei nostri consiglieri più ricchi e ha sempre contribuito con importanti somme di denaro alle necessità del nostro orfanotrofio. Mi è stato proibito di fare il suo nome; è stata una sua precisa condizione quella di rimanere sconosciuto».

    Jerusha spalancò gli occhi; non era abituata a essere convocata in direzione per parlare con la signora Lippett delle stranezze dei consiglieri.

    «Questo signore si è interessato a molti dei nostri ragazzi. Ti ricordi di Charles Benton e Henry Freize? Sono stati mandati all’università a spese del signor... sì, insomma, del signor consigliere. Ed entrambi hanno ripagato tanta generosità studiando con molto impegno, e ottenendo ottimi risultati. Questo signore non desidera altro che questo in cambio. Fino ad oggi la sua filantropia era diretta soltanto ai maschi; non sono mai riuscita a destare la sua curiosità per alcuna ragazza del nostro istituto, per quanto meritevoli potessero essere. La mia opinione è che le ragazze non lo interessano molto».

    «Capisco, signora» mormorò Jerusha percependo che, a quel punto, era richiesto qualche commento da parte sua.

    «Oggi, durante la nostra riunione mensile, è stata affrontata la questione del tuo futuro». La signora Lippett restò in silenzio un paio di secondi, poi riprese con il suo tipico tono di voce lento e pacato ma snervante.

    «Saprai bene che, di solito, gli orfani non rimangono da noi dopo i sedici anni, ma nel tuo caso è stata fatta un’eccezione. A quattordici avevi finito la scuola, e con ottimi risultati, anche se non si può dire lo stesso della condotta, purtroppo. Il consiglio, quindi, aveva deciso all’unanimità di farti frequentare le scuole superiori in paese. Ora stai quasi per finire anche quelle, ma è chiaro che l’istituto non può continuare a mantenerti. Hai già avuto due anni in più rispetto agli altri».

    La signora Lippett non pensò minimamente che durante quegli ultimi anni Jerusha aveva lavorato per mantenersi, e che l’istituto era sempre venuto prima della sua educazione; infatti, in giorni come quello appena trascorso, veniva sempre tenuta a casa per le pulizie.

    «Insomma, come ti ho appena detto, abbiamo parlato del tuo futuro studiando bene la tua cartella personale».

    La signora Lippett puntò uno sguardo accusatore su di lei, quasi fosse una detenuta al banco degli imputati (e la detenuta, di conseguenza, assunse un’aria colpevole, perché questo era quello che ci si aspettava da lei) e lo puntò non certo perché dovesse andare a ripescare nella memoria qualche pagina particolarmente nera del suo passato.

    «Naturalmente il destino normale di una ragazza come te sarebbe quello di essere avviata a una professione, ma tu hai ottenuto dei risultati eccellenti in alcune materie; i tuoi lavori in inglese scritto pare siano stati addirittura brillanti. La signorina Pritchard, che fa parte del comitato dei visitatori, è anche un membro del consiglio scolastico; è stata lei a parlare con i tuoi insegnanti, mettendo una buona parola per te. Ha perfino letto ad alta voce un tuo tema che s’intitolava Quel terribile mercoledì.

    Questa volta Jerusha non fece alcuna fatica ad assumere un’espressione colpevole.

    «Personalmente penso che tu abbia mostrato molta poca gratitudine nel mettere così in ridicolo l’istituzione che si è presa tanto cura di te. Se tu non avessi scritto quel tema con l’idea di far ridere, dubito fortemente che saresti stata perdonata. Ma sei stata fortunata perché il signor... sì, ecco... il gentiluomo che è appena andato via sembra che abbia un grande senso dell’umorismo. E grazie a quel tuo scritto irriverente si è offerto di mandarti all’università».

    «All’università?» disse Jerusha sbarrando gli occhi.

    La signora Lippett annuì. «Sì, ed è per questo che si è fermato. Abbiamo discusso le condizioni e devo dire che sono piuttosto singolari. Quel signore, diciamo così, è un poco stravagante. Crede che tu abbia idee originali e vuole darti un’istruzione affinché tu possa diventare una scrittrice».

    «Una scrittrice?» disse ancora Jerusha, con la mente sempre più annebbiata. Riusciva soltanto a ripetere le parole della signora Lippett.

    «Questo, almeno, è il suo desiderio. Se ne verrà fuori qualcosa, lo sapremo soltanto nel prossimo futuro. Ti offre persino una cifra mensile molto generosa; anzi, per una ragazza come te, senza alcuna esperienza a gestire i soldi, è fin troppo cospicua. Nonostante ciò ha pianificato tutto nei minimi dettagli e io non me la sono sentita di dare consigli. Detto ciò, passerai qui l’estate e la signorina Pritchard si è gentilmente offerta di sovrintendere alla tua preparazione. Le spese per i corsi e il convitto saranno pagate direttamente all’università e tu riceverai, durante quei quattro anni, una somma di trentacinque dollari al mese. Una cifra che ti permetterà di essere alla pari delle altre studentesse. Riceverai il denaro mensilmente e te lo invierà il segretario personale di quel signore. In cambio tu dovrai spedirgli una lettera al mese. In realtà non è necessario che lo ringrazi per i soldi, anzi, a lui non interessa proprio che gliene parli. Dovrai, invece, raccontargli i tuoi progressi negli studi e descrivergli la quotidianità, proprio come se stessi scrivendo ai tuoi genitori... se fossero vivi, ovviamente. Indirizzerai queste lettere al signor John Smith e le invierai all’attenzione del suo segretario. Il nome del gentiluomo non è John Smith, ma lui preferisce rimanere anonimo. Per te, lui sarà sempre e solo il signor John Smith. Il motivo per cui chiede che tu gli scriva è che, secondo lui, nulla migliora la capacità di scrivere più che...

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1