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Il lupo della notte. Storia di un segreto
Il lupo della notte. Storia di un segreto
Il lupo della notte. Storia di un segreto
E-book1.016 pagine14 ore

Il lupo della notte. Storia di un segreto

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Info su questo ebook

Isabelle e Hunter si incontrano il primo giorno di scuola. Lei è timida, introversa, romantica. Lui è schivo, silenzioso, gelido come la neve. Chissà come, in presenza di quella piccola ragazza, Hunter abbandona le difese, sentendo crollare gli scudi difensivi che da sempre ha eretto tra lui e il mondo. Eppure tenta ugualmente di restarle lontano. Isabelle sente che Hunter nasconde qualcosa. Una paura inconfessabile, un terribile segreto che se portato alla luce può creare danni. Testarda, però, cerca di avvicinare l'inquieto ragazzo, desiderando essergli amica. Hunter è sempre più provato, a pezzi. Come può lasciar trapelare la colpa di essere un lupo, solitario per natura e imprevedibile? Un lupo maledetto da una strega, un ragazzo che non sa più chi o cosa è, spaventato da se stesso e da ciò che può fare, senza le catene del giorno a serrarlo nelle loro spire. Forse, però, la paura è inutile e fuggire dal destino è impossibile. Potrà la dolcezza di Isabelle salvarlo, o sarà anche lei condotta nell'oscurità, un'altra anima dannata e maledetta senza redenzione?
LinguaItaliano
Data di uscita6 gen 2021
ISBN9791220246057
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    Anteprima del libro

    Il lupo della notte. Storia di un segreto - Francesca Forte

    angeli.

    Giorno 1

    «Isabelle, svegliati. Devi andare a scuola.» le gridò qualcuno dal piano di sotto.

    La voce di sua madre la strappò ai dolci sogni che la cullavano gentilmente. Sbuffando, diede un calcio alle coperte, scostando il caldo plaid arrotolato in disordine insieme al lenzuolo. La temperatura d’altronde non era ancora abbastanza rigida da richiedere piumoni.

    Alzatasi, si stiracchiò, godendo della morbidezza del tappeto che le solleticava i piedi nudi. Pigramente guardò la luce soffusa che filtrava dalle persiane chiuse e attraverso le tende sottili non completamente tirate. Pareva annunciarsi una splendida giornata, ricca di sorprese e novità. Non sapeva perché, ma aveva la sensazione che avrebbe vissuto avventure fantastiche. Anche se forse consistevano solo in compiti fino a tardi e ricerche tra decine di libri dalla grandezza considerevole, le avrebbe accolte ugualmente con un sorriso intenerito come si fa con amici di vecchia data. Guardò la sveglia a forma di gatto sul comodino, placidamente seduto accanto alla abat-jour colorata e al libro posato lì la sera prima. Libro che, puntualmente, cambiava spesso, al ritmo furioso della sua lettura rapida e concentrata. Spalancò gli occhi leggendo l’ora. Freneticamente corse al suo armadio, ben quattro ante di vestiti e lo aprì. Scorse le maglie e i pantaloni, i vestiti e le gonne, tra cui aveva dimenticato di scegliere la sera prima e scese dalla gruccetta una camicetta azzurra, semplice ma carina ed elegante. Vi abbinò una gonna blu plissettata, combinandole con un leggero foulard tipo cravattina. Lei solitamente era abituata a maglie e pantaloni, comodi e pratici, ma il primo giorno di scuola è sempre speciale, e lei aveva tutta l’intenzione di viverlo al meglio!

    Gettò di fretta il pigiama sul letto e indossò i vestiti, saltellando su un piede solo e poi sull’altro cercando di mettersi le calze. Sistemò la stanza, indossò le scarpe e prese lo zaino posato sulla sedia della scrivania. Ormai sulla porta, lanciò uno sguardo indietro. A sinistra della porta, sul lato lungo della stanza, poggiato contro la parete color crema, era collocato il suo letto. Una trapunta rosa e dorata, dai disegni antichi, ricopriva il materasso, le coperte e il cuscino. Il comodino era posto vicino il letto. Sulla parete corta una libreria di noce chiara, colma di libri, occupava un po’ più di metà parete, compreso lo spazio dietro il letto, un angolo residuo ma non troppo stretto. Di fronte il letto, la scrivania occupava l’altro lato maggiore. Una lampada era sistemata lì per illuminare le tante notti passate a studiare, segreti sussurrati e compiti di storia prolungati ma piacevoli. Una mini libreria svettava sopra il tavolo. La sedia era leggermente scostata dalla scrivania, ma andava bene così. Adorava lo stile finto disordine. Un pratico portapenne si trovava, semi pieno di tutto ciò che le poteva occorrere, accanto alla lampada. La finestra, invece, era collocata dinanzi la porta e dava sul giardino di fronte la casa. Era a tre vetrate con una forma semi-esagonale ed una panchina di marmo, ricoperta da cuscini, sotto di essa. Isabelle adorava leggere seduta su quel divanetto, specialmente nei giorni di pioggia, osservando le gocce che scivolavano quiete sui vetri, il mondo assorbito da nuvole scure e un’atmosfera cupa che regnava ovunque.

    Le tende leggere e semi trasparenti davano un tocco semplice ma d’intimità alla stanza. L’altro angolo corto era occupato per intero dall’armadio. Tra quest’ultimo e la finestra, lo specchio ovale mostrava un riflesso esatto della stanza ancora avvolta dalla penombra. Un lampadario a quattro bracci, con fiori di vetro e farfalle colorate disfaceva la luce, che ogni giorno invadeva la camera, in mille scintille diverse e arcobaleni.

    Sorrise e a passo lieve si diresse alla finestra. Aprì la maniglia e spinse dolcemente le persiane, che chiudeva raramente, verso l’esterno. Si concesse il lusso di lasciar vagare lo sguardo sullo sconfinato oceano di case che le si presentava, vantando tetti colorati e prati curati da cui svettavano alberi imponenti.

    Poteva vedere la sua scuola che, da lì a poco, l’avrebbe accolta felice. Sfiorò i camini che parevano allungarsi per toccare il cielo. Al di là di essi, alla sua destra, si apriva un bosco vastissimo ed oscuro.

    La sua casa, al limite della tranquilla cittadella, pareva segnare il confine tra i due mondi. Era circondata per metà, a sinistra, da altre umili case mentre dalla parte opposta gli alberi nascevano appena varcato il cancello. Scheletri scuri ma sempre regali di querce ed abeti, pini e larici, annunciavano l’inverno. Sembrava quasi che la Natura e la Civiltà si dividessero il dominio del territorio e mettessero di fronte ad una scelta gli inquilini di quell’abitazione ogni giorno che uscivano di casa.

    Inspirò profondamente l’aria frizzante del mattino. Il sole allungò verso lei i suoi raggi dorati. La foschia si stava alzando, sostituita da una temperatura piuttosto mite, sotto un cielo limpido e sereno. Il mare, in lontananza, era una sottile linea azzurro ghiaccio, appena accennata.

    Sorrise dolcemente poi, lentamente, si allontanò dalla finestra, staccando a malincuore la mano dal davanzale. L’albero in giardino, l’ultimo particolare su cui posò gli occhi, svettava sicuro e con rami prorompenti fino al tetto che scendeva giù dalla sua finestra, salutandola con alcuni rami tesi come braccia amiche. Si affrettò fuori dalla stanza e giù dalle scale. Superata di qualche passo la cucina, i genitori la chiamarono.

    «Isabelle?»

    La fanciulla tornò indietro e si affacciò, sprizzando felicità e facendo ondeggiare i lunghi capelli.

    «Qualcuno mi chiama?»

    «Non mangi niente, cara?» chiese sua madre, rispondendo con un’altra domanda, mentre posava una tazzina sul tavolo.

    «No, vi ringrazio. O forse sì.» si avvicinò al tavolo e volteggiando prese una tazza di caffè-latte e stampò un bacio sulla guancia del padre. Egli sorrise.

    Vestito con una candida camicia bianca, un pantalone scuro ed una cravatta elegante, la guardò mentre salutava sua madre che, con i ricci capelli biondi, corti fino alle spalle, indossava una vestaglia a fiori sul pigiama blu, leggero.

    «Sei molto carina, sai?» le disse.

    «Concordo.» annuì la donna.

    La ragazza sorrise estasiata.

    «Grazie.» fece un inchino «Ora è meglio che vada. Sono in leggero ritardo. Dove sono Juliette e Mark?» domandò, bevendo qualche sorso della bevanda tiepida e posando la tazza sul tavolo.

    «Tua sorella dorme ancora. E tuo fratello idem. Tra poco, però, la sguinzaglierò nella sua camera. Ci penserà lei a buttarlo giù dal letto.» Isabelle rise. Tipico comportamento da famiglia unita e confusionaria.

    «Io vado.» annunciò.

    «Buona giornata.» le augurarono in coro.

    «Ci vediamo più tardi. Ciao.» salutò, volando fuori dalla cucina.

    Prese una giacca al volo e la legò allo zaino.

    La frescura della mattina la accolse con un venticello fresco. Percorse il vialetto di casa, oltrepassò il cancelletto e svoltò a sinistra, passeggiando sul marciapiede. La città doveva ancora svegliarsi. La calma e il silenzio avvolgevano ogni dimora e ogni luogo apparentemente disabitato, in attesa del risveglio degli abitanti indaffarati e assonnati che si sarebbero affaccendati di lì a poco.

    Attraversò la strada, ancora poco trafficata a quell’ora del mattino ed entrò in un negozio. Dietro il bancone, la donna dai capelli scuri agghindati in uno chignon alzò lo sguardo, sorridendole da dietro gli occhiali rotondi.

    «Buongiorno, signora.» salutò la donna.

    «Ciao, cara.» rispose amabilmente la paffuta cassiera.

    «Maggie è già scesa?» chiese.

    «Oh, no. Molto probabilmente si sarà riaddormentata. Anzi, ora salgo sopra e la bagno con un secchio di acqua gelata. In ritardo il primo giorno di scuola!» borbottò ridendo.

    «Allora io inizio ad andare.»

    «Vai tranquilla. Ti raggiungerà dopo. Sempre che riesca a svegliarla! È proprio una pigrona. Salvati almeno tu, cara.» le urlò a metà salita. La ragazza sorrise.

    «Arrivederci signora.»

    «Buona giornata.» rispose salendo le scale, diretta verso il primo piano, facendo echeggiare la voce amichevole.

    Il Negozio di Nancy era il più vecchio edificio del paese. Inizialmente un piccolo fabbricato, si era poi ingrandito, riempiendo gli scaffali di ogni cosa potesse servire, compresi dolci buonissimi fatti in casa e accessori di ogni genere, ospitando inoltre l’abitazione dei padroni del negozio: Nancy, la donna paffuta e dalla risata contagiosa, come quella della figlia; Maggie, una peperina dai capelli rossi e ricci, sempre allegra; e Steve, il padre della sua migliore amica.

    Chiudendo la porta a vetri, lo scaccia spiriti sopra la porta trillò, allegro.

    «Oh, guarda chi si vede?» la voce velenosa alle sue spalle le fece gelare il sangue. Si volse costretta, poiché era tardi per nascondersi. Bell’incontro a prima mattina!

    «Ciao, Lizzie.» salutò a denti stretti, fingendo allegria. Lizzie, la super-antipatica dell’intera città, e forse dello Stato, credeva di essere sempre la migliore. Seguita, naturalmente, da altre due ragazze che erano la sua ombra e non parlavano se non interpellate da lei. O ripetendo le sue parole come pappagalli. Persino nell’aspetto cercavano di assomigliare a lei. Molto probabilmente non avevano alcuna autostima o rispetto per se stesse.

    «Non lo sapevi che il blu è passato di moda? Ora va il giallo, come il sole.» affermò, piroettando su se stessa, sfoggiando un completino giallo limone dai risvolti arancioni che mostrò orgogliosa, facendo danzare le onde dorate vaporose e perfette.

    «Certo, il giallo.» indicò la ragazza castana alla destra della bionda, sfiorandosi l’abito.

    «Non lo sapevi?» cinguettò l’altra.

    «Hmm, no, non lo sapevo. Ma vi ringrazio dell’informazione. Ora scusate, ma devo andare.» salutò in fretta Lizzie. Non sapeva perché, ma quella ragazza non la sopportava. E faceva di tutto per ricordarglielo! Isabelle, timida e studiosa com’era, non vedeva di buon occhio incrociare la sua via, perché significava guai. Attraversò la strada di getto, senza guardare. Meglio cambiare zona piuttosto che restare con Lizzie e le sue amichette!

    Ebbe appena il tempo di sentire un clacson strombazzare furiosamente e di voltarsi, spaventata, che il suo corpo si paralizzò dalla paura. In quei secondi che si tesero elasticamente come normalmente non sarebbe possibile, tentò con tutte le sue forze di ordinarsi di muoversi o di agire in fretta, ma i suoi muscoli non ne vollero sapere di svegliarsi dal torpore in cui erano caduti. E così non poteva fare altro che restarsene immobile al centro della strada mentre due fari crudeli avanzavano verso di lei ad un ritmo folle, osservandola minacciosi. Una forza improvvisa giunse a cancellare la sua immobilità, raggiungendola come un lampo di luce. Due forti braccia la strinsero, portandola al sicuro e spingendola fuori dalla traiettoria dell’incidente. Rotolò sull’asfalto, lontana dal pericolo e abbandonando la vettura che si perse in lontananza, fermando la propria fuga sul marciapiede. L’impatto non fu brusco perché qualcuno le attutì la caduta. Aprì gli occhi, stordita. Il mondo girava furiosamente e lei non riusciva a stargli dietro. Un corpo la teneva stretta a sé, con fare possessivo.

    L’istinto di aiutarla era stato più forte di qualunque buon senso ed era per quello che il ragazzo la stringeva in quel modo, anche lui rapito dagli eventi e senza possibilità di decisione. Un attimo prima era lì, che passeggiava per i fatti suoi e l’istante dopo si trovava disteso sull’altro lato della strada…immischiato in faccende che normalmente non avrebbero dovuto riguardarlo. Anche se lui sentiva di farne ugualmente parte.

    Percepiva il suo braccio proteggerle la testa, con la mano sulla propria spalla, il suo respiro scivolarle tra le ciocche ondulate e morbide, scaldandola dolcemente. Il giovane alzò il viso, fino a poco prima stretto ai suoi capelli per ripararla dall’urto. Le parve di sprofondare in un prato immenso, placidamente avvolto da un cielo sereno, con nubi grigie di tempesta all’orizzonte. Due occhi verdi, screziati di azzurro e argento, la fissavano, irrequieti. Ancora le pareva assurda la situazione. Era distesa sul marciapiede tra le braccia di uno sconosciuto, comparso all’improvviso da chissà dove?! E stava capitando…a lei? Batté le palpebre più volte, ma le illusioni non sparirono.

    Allora…è tutto vero pensò sempre più confusa. Sembrava la scena di un film, non una situazione da vita reale.

    «Stai bene?» le domandò. Quella voce, decisa, reale, profonda, la riscosse.

    «S-sì. Credo di sì.» balbettò.

    L’intervento del misterioso ragazzo era stato così fulmineo che la gente non si era accorta quasi di niente. Questo le permise di mantenersi lontana dall’attenzione della folla, come aveva sempre fatto.

    Il giovane si alzò e le tese le mani. Ella vi pose le proprie e lui la aiutò ad alzarsi. Il ragazzo aveva un’espressione seria, assorta. Lo sguardo profondo la studiava senza ombra di esitazioni.

    La ragazza dal volto dolcissimo strinse gli occhi, toccandosi la fronte, improvvisamente debole.

    La lasciò appoggiare alla parete dell’edificio lì vicino, accanto alle ringhiere delle scale appartenenti all’abitazione che si affacciava sulla strada. Strinse la balaustra di ottone; il fresco la risvegliò. Il giovane continuò a tenerle la mano per la sicurezza di sorreggerla.

    Quando Isabelle aprì gli occhi…non c’era più nessuno con lei. La sua mano stringeva il vuoto. Flesse le dita, rilassandole dalla posizione insolita, specie se a sorreggerti non c’era nessuno. Si guardò intorno. Il misterioso salvatore era sparito, corso via chissà dove. Come se non fosse mai esistito! E chissà se non era davvero così.

    Non ebbe il tempo di porsi domande, perché qualcuno stava già correndo a perdifiato nella sua direzione. Tagliando la via a tutti e a tutto!

    «Isabelle come stai?» un tornado dai voluminosi e ribelli capelli rossi si abbatté su di lei, con tutta l’esuberanza di cui era capace.

    «Tranquilla Maggie, sto bene. Non ti agitare.» le disse gentilmente.

    «Sei tu che non devi agitarti, dopo quello che hai appena passato! Mi hai fatto morire di paura.» sbuffò «Appena ti ho vista in mezzo alla strada…uff!» s’interruppe, cercando di riprendere fiato, poggiandosi accanto all’amica.

    «Sembra quasi che sei tu quella che stava per essere investita e non io.» la canzonò, osservando i ricci che le ricadevano scomposti sul viso. Cercava di darsi un contegno, ma era ancora molto scossa.

    «Non scherzare, sai! Sto ancora tremando.» le intimò, seria.

    «Senti, hai mica visto chi mi ha salvato? Chi era con me? Tipo…un ragazzo?» buttò lì la frase come non avesse alcuna importanza. Mascherando il fatto che ce l’aveva benissimo, invece.

    «No. Ero affacciata alla finestra e non appena ti ho vista dinanzi il camioncino sono corsa giù. E non c’era nessuno con te.»

    «Allora come ti spieghi il fatto che ora sono qui, al sicuro, e non lì » indicò il centro della strada «come una frittella?»

    «Non lo so, ma sono contenta che sia la prima opzione quella reale. La seconda non mi ispira più di tanto.»

    «A chi lo dici!»

    «Anche se le frittelle mi piacciono.» Isabelle la spinse. Lei rise «Riesci a camminare?» tornò seria.

    «Sì, non preoccuparti. Andiamo a scuola prima di far tardi.»

    «Non dovresti andare a farti visitare all’ospedale?» chiese premurosa.

    «No, no. Ti ringrazio, ma preferisco evitare » minimizzò, quasi dimenticando l’accaduto «Sto bene, su andiamo.» e, presa l’amica sotto braccio, si diresse verso l’edificio.

    «Vorrei essere io a poter saltare la scuola così e tu invece…sempre la solita perfettina!» si lamentò.

    «Allora vacci tu a farti traforare il braccio.» disse, conoscendo la sua avversione per le cose appuntite e i medicinali, i camici bianchi e le apparecchiature simili a quelle delle navicelle spaziali.

    «Noooo » risero « per essere stata in serio pericolo ti sei ripresa sin troppo bene direi, dato che hai anche la sfrontatezza di prendermi in giro.» la giovane le fece gli occhi dolci per ammansirla e Maggie sorrise, arresa.

    Giunte nel giardino della scuola, varcati i maestosi cancelli, notarono che molti alunni si aggiravano senza meta, in attesa del suono della campanella d’entrata. Era ancora piuttosto presto. Una ventina di minuti le separava dall’inizio delle lezioni e dell’anno scolastico, ma loro preferivano essere in anticipo di modo da non arrivare tardi davvero.

    «Allora» si sedettero su una deliziosa panchina, all’ombra di un salice piangente «mi dicevi che sei stata salvata da un principe misterioso.» la guardò con le palpebre teatralmente semi abbassate.

    «Non so se era un principe, ma un giovane misterioso sì. Non lo avevo mai visto da queste parti. Se così fosse, me lo ricorderei. Anche se, forse, me lo sono immaginata.» corrugò gli occhi, indecisa.

    «Io non ho visto nessuno, però non è da escludere che…»

    «Signorina Stuart! » una voce imperiosa le richiamò sull’attenti e la ragazza scattò in piedi.

    «Sì…Professoressa?» deglutì Maggie, guardando nervosamente la donna che si avvicinava a passo di carica nella loro direzione.

    «Vorreste gentilmente seguirmi? Desidererei discutere con lei del suo rendimento scolastico.» la donna la guardò severa, con gli occhiali scesi sulla punta del naso e lo chignon che rendeva ancora più austera la gracile figura.

    La giovane fece un passo, titubante.

    «L’anno scolastico non è ancora iniziato e già mi chiama?» sussurrò perplessa e seccata.

    «Non vorrà dirti niente di preoccupante.» la rassicurò.

    «Ma…non posso lasciarti sola.» obiettò.

    «Vai tranquilla. Non ho bisogno di assistenza.»

    «Ma hai un trauma cranico!»

    «Ma che dici? » la spinse debolmente «Su, vai.»

    Maggie le sorrise, scusandosi, e seguì la professoressa di Storia lungo il viale, fino alla scalinata di entrata. Varcarono le porte e scomparvero alla vista. Isabelle sospirò. Effettivamente odiava ammetterlo e non lo avrebbe mai confessato alla sua migliore amica, ma si sentiva ancora piuttosto scossa dall’avvenimento. Lo relegò in un angolo della sua mente, come faceva sempre per non abbattersi e concentrarsi sul presente, e si lasciò scaldare dalla tiepida temperatura che le sfiorava la pelle con tocchi leggeri. Alzò la testa ed osservò le foglie danzare al ritmo del placido vento, e il sole filtrare tra le fronde, luccicando.

    Abbassò lo sguardo, vagliando distrattamente i ragazzi e le ragazze sparsi qua e là, riuniti in gruppi o solitari, seduti sul prato o intenti a passeggiare allegramente. Spostò lo sguardo verso destra, maggiormente di fronte a lei…e lo vide. Il ragazzo che le aveva salvato la vita! Lo aveva veduto per poco e in stato confusionale, ma era proprio lui! Il giovane incrociò lo sguardo della ragazza poi si volse, passarono alcuni giovani scherzando tra di loro nel suo campo visivo e quando si allontanarono…lui era scomparso. Isabelle prese il proprio zaino, se lo poggiò su una spalla e si affrettò a raggiungere la zona dove prima c’era lui. Giunta lì, accanto alla scalinata, si guardò intorno ma anche quella volta era svanito nel nulla. Sospirò di delusione. Era una pessima investigatrice, pensò, a differenza di come aveva sempre creduto. Sondò la zona con occhi attenti, ma non era da nessuna parte.

    Vinta, si andò a sedere sugli scalini di pietra, sfiorando le ringhiere, accanto al bordo delle scale che finivano in un muretto diritto abbracciato da una piccola aiuola e radi cespugli.

    Sospirò. Tirò fuori il libro di Letteratura e iniziò a sfogliarlo distrattamene.

    Allora non ho immaginato niente? Era lì, di fronte a me. Ancora una volta. E per la seconda volta è fuggito via. Forse sono solo stanca. O forse sto solo impazzendo ragionò, mentre le lettere e le figure stampate le passavano davanti agli occhi senza essere guardate realmente.

    La fanciulla non sapeva che il giovane si era nascosto proprio lì, con le spalle alla parete che scendeva dagli scalini d’entrata. Era più vicino di quanto lei potesse immaginare e di quanto lui avesse desiderato. Il ragazzo alzò lo sguardo: non poteva vederla ma riusciva a sentire il suo soave profumo giungere sino a lì, prepotentemente, e udire lo sfogliare del libro, incessante. Un libro che lei non stava leggendo davvero, perduta com’era nei suoi pensieri. Lo intuiva dal frusciare continuo delle pagine. Non un’esitazione, non una parola catturata né un concetto compreso. Solo un fiume infinito senza freni o argini a contenerlo. Proprio come la sua anima irrequieta che si agitava anche adesso, in quell’attimo apparentemente sereno.

    Saltò il Romanticismo in blocco, non degnando di uno sguardo le poesie dai toni delicati ed altisonanti che a lei tanto piacevano.

    Trillò la campanella, facendo spaventare entrambi. Isabelle prese lo zaino, se lo gettò in spalla alzandosi ed entrò precedendo la folla che si sarebbe accalcata di lì a poco. Il giovane sospirò guardando il sole, in quel momento coperto da una nuvola passeggera. Non osava immaginare le difficoltà che lo avrebbero atteso di lì in poi.

    L’aula era ampia e spaziosa, più lunga che larga. Varcata la soglia che si apriva sul lato lungo accanto alla lavagna, a destra dei tavolini singoli completi di sedie, Isabelle occupò il terzo banco dalla cattedra, sistemato nella prima fila dalle finestre. Alla ragazza piaceva essere attenta alle lezioni, ma la timidezza le impediva sempre di occupare il primo posto. O il secondo. Troppo in vista, per i suoi gusti. Si sarebbe sentita a disagio, lo sapeva.

    Con i vetri aperti, le tre finestre lasciavano entrare sole e vento in quantità per addolcire la giornata che attendeva gli studenti. Non sarebbe stata molto impegnativa, perché era solo il primo giorno di scuola, ma ugualmente pesante perché ricominciare dopo tre mesi di vacanza non era mai leggero.

    La lavagna, ancora linda e pulita, senza segni di gessetto bianco ad intaccare il nero compatto, sembrava un insegnante inflessibile ma benevolo che era lì per darle il benvenuto.

    L’aula si riempì lentamente, mentre i ragazzi sciamavano nella classe attraverso la porta troppo stretta per la ressa che si creava.

    Maggie, come al solito, si fece largo tra gli alunni e le giovani ragazze per arrivare con il fiatone accanto al banco dell’amica e gettarsi allegramente sulla sedia, prendendo possesso del posto, sfidando chiunque a dire il contrario.

    «Ah, anche quest’anno sono io seduta vicino a te.» annunciò trionfante.

    «La solita esagerata.» rispose, ridendo della bellicosità della compagna.

    «Assolutamente no! Sono solo la prima.» aggiunse fiera.

    «Ma ci sono tre posti intorno a me.»

    «Quello che occupo io è il più vicino. Poi c’è quello dietro, ma non posso guardarti in viso e non mi ci troverei. Quello davanti è fuori discussione, mi sembrerebbe di fare la spocchiosa. E poi…ti sei mai chiesta come farei a superare tutti i compiti?» alzò un sopracciglio, con espressione di intensa furbizia.

    «Ah, è solo per interesse! Bell’amica.» alzò la testa, fingendosi offesa.

    «No. Anche perché sei simpatica.» le tirò una pallina di carta e Maggie rise.

    La classe, nel frattempo, si riempì di voci e mormorii; mille discorsi diversi le cui parole si mischiavano senza sosta.

    «Cosa ti ha detto la Prof?»

    «Oh, non mi ha ancora mangiato. Anche se ne è fortemente attratta. Ha detto solo che si aspetta che m’impegni di più, quest’anno.»

    «Ha ragione » sentenziò « a volte sei scansafatiche.»

    «Sono profondamente offesa!» si mise una mano sul petto, fingendo delusione, come un’attrice famosa e viziata «Io m’impegno sempre.»

    «Sempre…quando vuoi.» sorrise.

    «Buongiorno ragazzi.» la Professoressa di Grammatica, Antologia e Letteratura li salutò cordialmente entrando.

    «Buongiorno, Professoressa Stone.» risposero in coro.

    La donna posò il registro e la valigetta personale sulla cattedra e si volse verso i suoi alunni, osservandoli.

    «Quest’anno sarà impegnativo, ma non spaventatevi. Sarà pieno di novità. E sorprese. La prima è quella che vi dirò adesso.» annunciò, come al solito sbrigativa, completa di sintesi massima ed eloquenza veloce. Fin troppo veloce.

    Gli alunni si concentrarono sulle parole dell’insegnante, curiosi.

    «Avete un nuovo compagno, trasferitosi da poco.» con la mano aperta invitò qualcuno ad entrare, fermo oltre la porta, invisibile alla loro vista.

    Non appena la persona che ella indicava fece il suo ingresso, con passo e sguardo fermi, Isabelle ebbe un tuffo al cuore. Sembrava che fosse destino, ormai. Il martellare incessante dei suoi battiti divenne così insistente e pressante da far pensare alla ragazza che lo potessero udire anche i suoi compagni. Cosa, naturalmente, impossibile. Il giovane squadrò i presenti in maniera neutra. I suoi occhi meravigliosi ebbero solo un impercettibile guizzo quando si posarono su di lei.

    «Buongiorno.» salutò quasi freddamente.

    «Salve.»

    «Ciao.»

    «Benvenuto.» si susseguirono i saluti, amichevoli e calorosi.

    «Prego, va a sederti dove vuoi.» lo invitò l’insegnante, iniziando a mettere in ordine i noiosissimi fogli del registro contenente i nomi degli studenti. Diversi banchi erano ancora vuoti, maggiormente stipati in fondo all’aula, in attesa di nuovi alunni o destinati a restare così per la maggior parte dell’anno, aspettando una classe più numerosa l’anno dopo.

    Il ragazzo si diresse tranquillamente verso di lei. La sua sicurezza la lasciava spiazzata. Lei, al suo posto, sarebbe inciampata mille volte, desiderando solo nascondersi nel suo banco, invisibile. La timidezza era totalmente padrona della sua vita e di ogni più piccolo gesto. Quel giovane, invece, sembrava il Gelo in persona, controllato e perfettamente padrone di sé. Il suo esatto quanto preciso opposto. Una cartella posata accanto alla gamba di un tavolo scivolò, andando a posarsi ai piedi del ragazzo. Sarebbe sicuramente inciampato. Devo avvisarlo pensò. Ma un attimo prima che lei parlasse e una frazione di secondo prima di incontrare l’ostacolo, il giovane allungò il passo evitando la cartella. Come se nulla fosse! E non aveva mai chinato lo sguardo, fisso dinanzi a lui! Isabelle ne era colpita. E le labbra socchiuse di Maggie, insieme all’occhiata sorpresa che le lanciò, le fecero intuire che il gesto non era passato inosservato. Anche se apparentemente semplice, era sorprendentemente incredibile.

    Si fermò di fronte al suo banco. Isabelle scattò in piedi, con le guance rosee per l’imbarazzo.

    Oh no, ed ora cosa gli dico? pensò nel panico, colpita dalle mille insicurezze che la tormentavano ogni giorno. Per fortuna fu lui a parlare per primo, cosa che le diede l’ancora cui aggrapparsi per essere un po’ più sicura.

    «Ciao.» le sussurrò.

    «Ciao.» non capiva perché la stesse salutando come fosse un’amica ritrovata. Non si conoscevano neanche, dopotutto.

    Catturò ogni suo particolare in una frazione di attimo. I capelli castano scuro, le ciocche splendidamente disordinate. Quegli occhi così profondi da potersi perdere senza ritegno e senza dubbio alcuno. Così speciali da togliere il fiato. Il corpo asciutto, atletico ma non troppo palestrato come certi energumeni che si vedevano in televisione. La camicia bianca e i pantaloni scuri; elegante e classico. Una mano sulla bretella dello zaino posato in spalla con leggerezza, l’altra mano nascosta nella tasca dei pantaloni. Affascinante. Misterioso. Il classico ragazzo desiderato e considerato ideale dalla maggior parte delle ragazze. Lei, però, non era sicura di essere così folle da discostarsi da quel pensiero, dato che lo stava appena formulando! Era sempre stata diversa in molte cose, anzi in tutto, dalle sue coetanee, ma aveva appena trovato qualcosa che le accomunava. Eppure non aveva mai pensato che esistesse un punto di contatto tra loro. Si era sbagliata, a quanto pareva. Esisteva ed era anche una ragione ottima per unirsi a loro!

    Il viso semplice, ben disegnato, perfettamente cesellato da mano artistica sublime, lo squadrava con timidezza ed attenzione, senza voler però risultare sfacciato. I lunghi capelli morbidi erano ondulati e terminavano in boccoli appena più decisi. Il corpo delicato e ben proporzionato la rendeva incredibilmente carina, con quell’aria leggermente spaesata e le mani che non smettevano di torturarsi, le braccia ferme lungo i fianchi e le dita sottili che si flettevano indecise. Gli occhi delicati, le labbra rosee e sottili ma non troppo, il naso ben proporzionato, era la perfezione personificata. Era di una semplicità unica e ciò le donava la bellezza naturale che mancava a tutte le altre, nascoste dietro trucchi vistosi e abiti costosi. Qualcuno poteva pensarla una mancanza da parte della ragazza prepararsi poco o evitare vestiti vistosi, ma quello era un pensiero solo femminile. La maggior parte dei ragazzi, invece, adorava vedere realmente con chi avevano a che fare, preferendo guardare il viso spontaneo delle giovani con cui conversavano, senza tentare di comprendere la loro reale personalità dietro facciate fittizie e troppo lunghe da creare…e da sciogliere.

    «È libero il banco dietro di te?» le chiese. Lei sgranò gli occhi, colta alla sprovvista.

    «C-certo.» rispose, confusa, riprendendosi appena.

    In quel momento, gli occhi persi nei suoi cupi e misteriosi, concentrati solo su di loro, sembrava che il resto della classe, della scuola, del mondo, non esistesse al di fuori di loro due. Dimentichi di tutto il resto, poteva sembrare che i due giovani si stessero dicendo qualcosa di molto più personale che non solo parlando di un banco. Avanzò di due passi e passandole vicino le sfiorò distrattamente il gomito. Isabelle s’irrigidì, sentendo una dolce scarica elettrica partirle dal braccio, da quel minuscolo puntino di contatto, per poi propagarsi in tutto il resto del corpo, lasciandola spaesata e senza fiato.

    Il ragazzo, apparentemente ignaro dello sconvolgimento della giovane, posò lo zaino per terra e si accomodò sulla sedia di legno, mentre la fanciulla si risiedeva lentamente, come se fosse sotto la mira di un cecchino qualificato.

    «Bene, iniziamo.» l’insegnante, totalmente all’oscuro di quei minuti che parevano essere stati ore intere, prese il libro e iniziò a spiegare come si potevano analizzare alcune frasi non di facile comprensione e che se ci si soffermava maggiormente si poteva notare come apparivano molto elaborate solo all’esterno.

    «Perché solo tentando di capire ciò che non si comprende, possiamo creare delle soluzioni.»

    Primo giorno di scuola e già ci spiega i metodi di analisi? Uff! pensò Maggie distratta. Lasciò vagare lo sguardo per l’aula e si accorse che pochi erano gli attenti, anche se la Professoressa, come sempre, non aveva notato nulla. Era una brava insegnante, ma piuttosto distratta. E questa sua caratteristica la rendeva facile agli scherzi di ragazzi alquanto crudeli. Coloro che non ascoltavano erano notevolmente in maggioranza. Chi fissava il libro, pensieroso, chi scarabocchiava. E rimase molto stupita nel trovare tra i distratti anche Isabelle, la sua migliore amica. Miss studiosa. Lady perfetta fin da piccola. La giovane aveva gli occhi persi nel vuoto e muoveva la matita sul foglio, volando su di esso. E non stava prendendo appunti! Cosa assai strana, per lei.

    Osservò alle sue spalle. Il nuovo studente fissava diritto di fronte a sé e solo qualche volta seguiva il discorso della Professoressa. Guardava Isabelle!

    Hmm…interessante. Si conoscono da poco e già c’è un legame speciale sorrise tra sé ha fatto miracoli alla mia cara Isabelle. Credevo che nulla sarebbe mai riuscito a distrarla dallo studio.

    «Pss.» cercò di catturare l’attenzione dell’amica. Ella si voltò.

    «Il nuovo alunno non ti ha tolto gli occhi di dosso da quando è entrato.» fece in tono cospiratorio. Si chinò verso di lei. L’insegnante continuò a scrivere sulla lavagna. Attirò l’attenzione di alcuni alunni, che poi si voltarono non dando importanza alla cosa che una ragazza non ascoltasse la lezione. Situazione totalmente normale, poco ma sicuro.

    Isabelle arrossì. Sussurrò, cercando di non farsi sentire da altri.

    «Ma che dici?»

    «È vero! Lo hai conquistato.»

    «Non dire sciocchezze! Guarda davanti a sé, ascoltando la lezione. Che poi di fronte a lui ci sono io, non c’entra.»

    «Hmm, e tu allora a cosa pensi?» chiese furba. L’altra arrossì.

    «Nulla. Sono solo un po’ stanca.»

    «Non me la racconti giusta. Non puoi non credermi. Vedo le cose e traggo le mie conclusioni. Tu gli piaci!» insistette.

    «Sì, certo, come no? Sei visionaria.»

    «No, è vero.»

    «Come quando credevi che il capitano della squadra di basket si fosse innamorato di me. Per fortuna non sono una che se la crede, altrimenti sarei rimasta molto delusa quando si è messo con quell’altra ragazza.»

    «Era davvero invaghito di te, solo che la sua vanità lo ha fatto cadere ai piedi di quella cheerleader.»

    «Per fortuna ho imparato a non crederti.»

    «Ti ricrederai.» rispose Maggie testarda.

    Isabelle si risedette composta. Soffiò all’insù, ma notò di non aver ricevuto risultato. Si scansò rapidamente una ciocca di capelli dalla fronte. Il gomito cozzò contro la penna, che cadde inevitabilmente. Si sporse per prenderla. La sua mano si scontrò con quella di qualcun altro. Rimase con le dita immobili sulla penna, intrecciate a quelle curate e delicate dell’altra persona. Alzò lo sguardo e i suoi occhi incrociarono alcuni profondi come foreste e belli come la luna.

    Il ragazzo che sedeva dietro di lei la osservava, chino su quella penna che voleva ridare alla ragazza timida ed impacciata come poche, ma bella come nessuna.

    Lei tolse la mano di scatto. Il giovane strinse l’oggetto che, chissà come, era già nella sua mano, come se avesse avuto la prontezza di riflessi di afferrarlo al volo, si alzò e glielo porse. Isabelle prese la penna, riluttante.

    «Grazie.» sussurrò, sorridendogli timida. Si volse lentamente, con gli occhi di lui che non la lasciavano mai. Suonò il cambio d’ora di lezione prima di quanto si aspettassero. Fu il Professore di Matematica, il Signor Mitchell, a sostituire la prima materia. Entrò salutando, posò gli occhiali sulla cattedra e li guardò attentamente. Era un giovane dai capelli corti, neri, e il viso semplice, squadrato, piacente, cui andavano dietro la maggior parte delle alunne. Iniziò ad illustrare il programma di quell’anno. Cancellò le scritte della lezione precedente mentre parlava.

    «Studieremo le frazioni algebriche. E in seguito tratteremo i monomi.»

    «Mi scusi, Professore?» Isabelle saltò al suono di quella voce, forte e sicura. Si volse. Il nuovo compagno aveva gli occhi fissi sull’insegnante.

    «Sì?»

    «Non dovremo studiare i monomi prima delle frazioni algebriche? Senza i monomi, l’argomento seguente non avrebbe senso.» il Professore lo guardò, accigliato.

    «Sì, ha ragione » disse lentamente, riflettendo «mi sono sbagliato. Ho invertito le lezioni, mi dispiace. Complimenti.» rispose allegramente. L’alunno sorrise serio.

    «Non mi pare di avervi mai visto prima, in questa scuola.»

    «No, infatti. Mi sono trasferito da poco.»

    «Ah, certo. Siete il nuovo studente. Bé, direi che come primo incontro è ottimo. Mi avete dimostrato di sapervi difendere.» inforcò gli occhiali, compiaciuto. Forse poteva non disperarsi come gli altri anni in quella scuola d’ignoranti della matematica!

    «Oh, certo. Me la cavo. A difendermi.»

    Il discorso tra i due fu seguito attentamente da tutta la classe. È un ragazzo molto intelligente. Sono argomenti che ancora non conosciamo e già sa che sono collegati e importanti l’uno per l’altro pensò Isabelle, ammirata. Appena suonò la campana che annunciava la pausa dalle lezioni, i ragazzi si alzarono per uscire dalla classe e svagarsi tra i corridoi e i giardini. Si volse appena…e il nuovo studente non era più lì!

    Ma come ha fatto? È stato velocissimo. Non me ne sono proprio accorta. E dire che doveva passare accanto a me! ragionò. Maggie le si avvicinò veloce, scattando dal suo posto.

    «Visto? È anche molto sveglio. Per me la matematica è arabo.» sentenziò.

    «Sì, è vero.»

    «Dunque è un buon partito.» fece con tono ammiccante, elettrizzata.

    «Guarda che non siamo nel Medioevo. Ed io non sono una dama in cerca di un fidanzato facoltoso.»

    «Hmm, può darsi.» commentò, poco convinta.

    «Scusa, devo uscire un attimo.» disse, celermente.

    «Va pure. Io sto ancora dormendo. Resto qui.» salutò l’amica, appollaiandosi nel suo banco, incrociando le braccia sul tavolo e poggiandocisi sopra come fossero un cuscino. 

    Isabelle, cercando di apparire tranquilla e controllata, uscì dall’aula. Attraversò il corridoio, scese le scale e volò fuori della scuola. Si guardò intorno. Eccolo pensò, vedendo le sue ampie spalle girare l’angolo, diretto verso il retro dell’edificio.

    Lo seguì. I passi delicati sul selciato non produssero alcun suono mentre svoltava in quella via. Lo vide scomparire al termine dello stretto corridoio che passava tra la scuola e un’alta parete di pietre naturali. Affrettò il passo, svoltò l’angolo…e trovò il giardino. Vuoto. Si girò intorno, incredula. Non è possibile pensò. Avanzò lentamente, ragionando e cercandolo. Le aiuole curate e gli alberi eleganti frusciavano nel silenzio. Il giardino non aveva vie di uscita. Lo si raggiungeva solo tramite la strada che aveva percorso. La palestra, al momento deserta, dava su quello spiazzo, ma le porte da cui si accedeva erano chiuse. I giganti benevoli di legno proiettavano le ombre delle foglie, lasciando passare i raggi del sole. L’alta parete divisoria che circondava l’edificio scolastico e il muro della scuola stessa facevano da confine al giardino.

    «Ma…dov’è?» sussurrò Isabelle, vagando inquieta.

    «Non mi piace essere seguito.» si volse di scatto e lo vide. In piedi su uno dei rami più bassi dell’albero più vicino a lei, a circa cinque metri, stava appoggiato al tronco in maniera rilassata, le mani nascoste perennemente nelle tasche, le caviglie incrociate in un atteggiamento che mostrava quanto fosse sicuro di sé. In una posizione del genere, chiunque sarebbe stato per lo meno spaventato o in bilico. Tutti, tranne lui.

    Rimase senza parole, non sapendo cosa dire.

    Il giovane scese agilmente dall’albero, come se usasse delle semplici scale invece che contorti rami sottili a volte o più robusti in altre, lasciandola ancor più basita. Si avvicinò a lei, lentamente.

    «S-scusa, non volevo farti sentire…» non sapeva come dirlo «braccato.»

    Il giovane rise appena, inarcando le labbra in un sorriso serio, obliquo.

    «Sì, è la parola giusta » poi aggiunse a voce bassa « lo immagino.»

    «Io…ecco, volevo solo dirti…»

    «Non dirmi niente.» la avvisò, gentile. Nel frattempo le si era avvicinato sempre di più. La giovane indietreggiò, fino a trovarsi con le spalle alla parete della scuola. Il ragazzo non fermò il suo avanzare.

    Posò una mano accanto al suo viso, guardandola attentamente, a pochi centimetri di distanza. La mano destra sempre in tasca, era tranquillo, sicuro di sé. Affascinante. Pericoloso.

    «Ho già capito.» aggiunse, sussurrando. Sapeva di fresco, di buono. Isabelle ne fu incantata.

    «Grazie per avermi salvata, questa mattina.» sussurrò.

    «Sei testarda.» rispose, inclinando la testa, sorridendole affascinante.

    Isabelle sinceramente non credeva che si comportasse così appositamente per farla intimidire. Semplicemente era lui.

    «No, sono tranquilla.» alzò appena le spalle, bloccata dai suoi occhi e dalle labbra troppo vicine.

    «Un agnellino.»

    «Mi stai prendendo in giro?» chiese senza rabbia, solo per curiosità.

    «No, dico solo una verità palese.»

    Isabelle si stava abituando alla sua calda vicinanza, ma lui si scostò troppo in fretta.

    «È stato un piacere » le disse. Si volse e fece per allontanarsi, ripensandoci si fermò e le parlò senza guardarla. «Stai lontana da quelli come me » s’interruppe «sono lupi famelici.» volse il viso di profilo.

    «Ma…»

    «Li riconoscerai, non temere.» poi si allontanò, camminando piano, le mani perennemente nascoste. Un fruscio attirò la sua attenzione. Si volse, poi si girò verso lui…ed era sparito.  Non era da nessuna parte.

    Com’è possibile? È scomparso di nuovo! È un’abitudine, allora.

    Sospirò, decidendo di tornare in aula. Volevo ringraziarlo e sono riuscita nel mio intento eppure, chissà come mai, si sentiva emozionata e delusa. Come se avesse sperato che lui restasse. Ma cosa mi viene in mente, adesso? non si riconosceva.

    «Vai da qualche parte, carina?» una voce sconosciuta alle sue spalle la terrorizzò. Non aveva la forza rassicurante e calda del ragazzo misterioso. Si girò. Tre giovani dall’aria poco raccomandabile la guardavano, sorridendo malignamente.

    «Hmm, sì, devo tornare in classe.» disse impaurita, i muscoli rigidi.

    «Stavi qui tutta sola e non vuoi compagnia?» chiese quello più alto con voce melensa. Avevano tutte camicie aperte su maglie colorate. Quello al centro, il più alto, aveva una maglia azzurra e una spiga di grano tra le labbra, con cui giocava svogliatamente. Quello basso e grassottello alla sua destra aveva la maglia verde sotto la camicia e quello smilzo e di media altezza, a sinistra, rossa.

    «No, ero in compagnia di una mia amica. Che…se n’è dovuta andare. Ed ora…mi aspetta.» spiegò tremando. Uno di loro le andò alle spalle per fermarla dall’indietreggiare. Si volse spaventata, sentendo la minacciosa presenza. Temendo di essere bloccata da uno di loro, li fronteggiò.

    Avanzarono spavaldi e lei indietreggiò ancora, fino a trovarsi con le spalle contro la parete. Di nuovo. Solo che adesso, a differenza di prima, si sentiva in pericolo. Il suo cuore si riempì di paura, capendo di non avere via di scampo.

    «Vi prego, lasciatemi andare.» implorò in preda al panico.

    «Certo. Noi vogliamo solo fare amicizia.» disse quello più alto, probabilmente il capo, con fare innocente, alzando un sopracciglio.

    Con un movimento fulmineo si frappose tra loro e la preda terrorizzata e indifesa.

    «Avete sentito cosa ha detto la ragazza?»

    «E tu chi sei?» chiesero, saltando di un passo indietro, stupiti.

    «Non ha importanza. Diciamo solo che sono il suo protettore.» rispose austero, gli occhi semicoperti dai capelli e il volto leggermente chino.

    «T’insegneremo noi a non immischiarti dei fatti nostri.» s’infuriarono.

    «Scappa appena puoi.» le sussurrò, voltandosi impercettibilmente verso di lei.

    «Non ti lascio solo.» obiettò coraggiosamente a dispetto della paura.

    «Non sarò solo, ma voglio che tu vada.» rispose inflessibile ma gentile, sorpreso dalla sua audacia.

    I bulli si scagliarono contro il giovane. Si piegò sulle gambe, in posizione di difesa, gli occhi vigili. Con il braccio teso, come una barriera rigida e protettrice, spostò Isabelle lontana dal centro di battaglia. Lei indietreggiò, inorridita e impotente, fermandosi vicino le scale che davano sulla palestra.

    Il capo della banda afferrò il braccio del ragazzo e glielo girò dietro la schiena, facendolo voltare e spingendolo contro la parete. Il giovane, diversamente dalle aspettative dei tre prepotenti, non rimase minimamente spaventato o intimidito dall’aggressività dell’altro.

    «Non puoi pensare di essere più forte di noi.» gli sussurrò, minaccioso. Il ragazzo piroettò su se stesso torcendo il braccio all’aggressore nella posizione in cui aveva messo lui. Il bullo si divincolò ma l’altro intensificò la stretta. Lui combatteva con serietà e intelligenza, mentre gli altri solo con superbia, scalciando come animali furibondi che si mordano a vicenda, confusi e sempre più rabbiosi. Doveva ammettere che era sin troppo facile una lotta così, però quasi semplice, banale.

    «Non credere di essere invincibile.» lo minacciò, sempre più iracondo.

    Vedendo l’amico in difficoltà, i ragazzi intervennero in sua difesa contro chi aveva avuto l’ardire di affrontarli.

    Lo bloccarono, afferrandolo per le braccia e tirandolo indietro, mentre il capo, offeso ed irato, gli si parò di fronte, serrando i pugni. Isabelle, senza riflettere neanche un secondo, si gettò su quello, fermandogli il braccio.

    «Smettetela. Lasciatelo stare.» ordinò, cercando di imprimere nel tono tutta la determinazione di cui era capace.

    «È inutile che provi a fermarmi. Il tuo amico deve pagare per ciò che ha fatto.» le disse. Spostò il braccio di scatto, spingendola via, liberandosi di lei. Cadde sulla ghiaia che segnava le vie tra le aiuole. I capelli le coprirono il volto, chino per terra.

    Gli occhi del giovane, calmi fino ad allora, fiammeggiarono di una forza repressa inimmaginabile. Sbilanciò quello davanti, colpendogli la caviglia lateralmente, respingendo la sua offesa. Poi strinse le braccia, facendo scontrare i due aggressori. A passo fermo gli andò incontro e afferrò il capo del gruppo per il colletto. Isabelle si volse a guardarlo, stupita.

    «Non ti permettere mai più di toccarla!» sembrò più un ringhio che una frase. Lo lasciò cadere a terra terrorizzato dal repentino cambiamento e si avvicinò a lei, aiutandola a rialzarsi. Passò dalla dolcezza alla furia in una frazione di secondo.

    «Tutto bene?» lei annuì, ancora un po’ tremante.

    Tornò verso il bullo e lo sospinse al muro, irato. Non vi era più traccia ora, sul suo volto, dell’espressione ansiosa che aveva rivolto a lei.

    «Voglio che lasci perdere tutti, ma specialmente lei. Non dovrai sfiorarla neanche con il pensiero. Sono stato chiaro? Se non cambierai atteggiamento, verrò a cercarti e allora…non sarà piacevole, te lo assicuro » vedendo che i compagni erano scappati aggiunse «vedi? I tuoi amici hanno seguito il mio consiglio. Ti conviene ascoltarmi. Credimi.» terminò freddamente. Lo lasciò andare e quello scappò, tremante. Cadde, inciampando per la fretta, poi lo guardò e frettolosamente fuggì via. Di nuovo soli, la calma tornò a regnare in quel luogo armonioso.

    «Come stai?» le chiese premuroso, voltandosi verso di lei.

    «Bene, grazie. Mi hai salvata. Di nuovo.» disse sorpresa.

    Il suo sorriso di gratitudine valeva più di mille parole. Il ragazzo alzò le spalle con semplicità.

    «Dovresti rientrare. Anzi, dovremo entrambi andare in classe.»

    Uno strappo sulla camicia immacolata, all’altezza della spalla, catturò la sua attenzione.

    «Ma…tu sei ferito!» il giovane si accorse del taglio solo in quel momento, seguendo il suo sguardo.

    «Ah, non è niente.» commentò con noncuranza, incamminandosi verso l’ingresso.

    «Come non è niente? Devi essere curato.» lo rincorse, testarda. Attraversarono lo spiazzo deserto di fronte l’edificio, varcarono le porte della scuola e salirono gli scalini, diretti verso la classe.

    «No, non ce n’è bisogno. Passerà da sola.» minimizzò.

    «Deve essere disinfettata» tentò di convincerlo « ma quando è successo?» ragionò a voce alta.

    «Deve essere accaduto quando quel tipo mi ha spinto contro la parete. Avrò sfregato contro la pittura grezza. Tutto qui.»

    Quando il giovane fece per girare verso la loro aula, Isabelle lo sospinse in avanti, attraverso i corridoi deserti.

    «Ti dico che non è niente.» insistette. Provò ad opporre resistenza ma la ragazza caparbiamente entrò nella stanza che recava l’insegna Infermeria, in fondo al corridoio. Stranamente la trovarono vuota.

    La porta si apriva sul lato lungo. Il letto sul lato corto, a sinistra, troneggiava al centro della stanza, poggiato contro la parete dal verso della testiera. Le ampie finestre a vetrate dinanzi la porta illuminavano la scrivania. I mobiletti colmi di oggetti vari erano sull’altro lato corto, a destra dell’entrata.

    «Non c’è nessuno qui.» osservò delusa.

    «Vedi? Anche la Dottoressa sa che non ho bisogno di essere curato.»

    Proprio in quel momento la Signorina Mary entrò, trafelata.

    «Scusate ragazzi, dovrete avere un po’ di pazienza.» non li guardò neanche, affrettandosi all’armadietto dei medicinali. Lo aprì per prenderne qualche fialetta che strinse tra le braccia. Andò al tavolo accanto alla doppia finestra e scelse un rotolo di garze tra le altre che affollavano il piano.

    «Ci sono tre studenti che dicono di essere stati attaccati da un mostro enorme. Io, personalmente, non ci credo, ma devo medicarli comunque. Specialmente svegliarli, visto che sono svenuti!»

    Il giovane trattenne un risolino, fingendo di tossire.

    «Infermiera?» Isabelle la fermò. La donna la guardò dalla soglia.

    «Che c’è, cara?»

    «Il mio amico si è graffiato, dovrebbe essere curato. O almeno bisognerebbe disinfettare la ferita prima che si aggravi.» parlò con voce esperta. Si stupì di ciò che aveva detto…ma ormai era fatta. Chissà come l’avrebbe presa lui. All’apparenza si guardava intorno con aria distratta, ignorando il nervosismo che lei era ben lungi dal credere suo. Mai si sarebbe immaginata che anche lui fosse toccato da sentimenti quali paura o incertezza.

    «Puoi farlo tu, tesoro?» chiese, sinceramente dispiaciuta di non poterli aiutare.

    «Certo.» acconsentì felice, con semplicità. Il ragazzo si volse di scatto verso la sua compagna, smarrito. L’infermiera le rivolse un largo sorriso.

    «Bene. Prendi pure tutto quello di cui hai bisogno.» detto questo sparì nel corridoio chiudendo la porta dietro di sé, isolandoli. Isabelle si diede subito da fare, aprendo lo sportello in cui aveva scorto i medicinali e cercando l’acqua ossigenata. Il giovane seguì i suoi movimenti, notando come ella si alzava sulle punte per arrivare a vedere il fondo dell’armadietto, troppo altro per lei. Sospirò.

    «Non possiamo lasciar perdere?» tentò.

    «No. Assolutamente.» la sua voce lo raggiunse leggermente più cupa perché giunta dall’interno delle ante, mentre lei allungava il collo, notando la boccetta bianca che le serviva. Scosse la testa e le si avvicinò. Isabelle percepì la sua presenza e si volse. Spalancò gli occhi, vedendolo così vicino. Allungò una mano nell’armadietto con fare disinvolto. Le mani di lei, posate sul bordo del mobiletto, furono sfiorate dalla camicia di lui. Ritrasse il braccio e le porse il medicinale. Indietreggiò appena e lo prese, fingendo tranquillità. Prima che notasse il rossore che presto sarebbe comparso sulle sue guance, si affrettò ad andare a cercare le bende sul tavolino di metallo asettico, che si trovava accanto al lettino, dalla parte della finestra.

    «Siediti, intanto.» gli disse, tremante.

    «Come debbo dirtelo che non devo essere curato?» sospirò.

    «Non lo so.» alzò le spalle.

    Lui sorrise spontaneamente, colpito dalla sua determinazione, senza riuscire a mascherare quanto lo sorprendesse la testardaggine di quella piccola ragazza. Sedette sul letto, con una gamba che scendeva dal bordo e toccava il pavimento lucido mentre la gamba destra penzolava nel vuoto. Le braccia stese in grembo, rilassate. Lo sguardo fisso sulla parete e sul nulla. La mente un covo di pensieri. Non ricordava l’ultima volta che qualcuno si era preoccupato di curare una sua ferita.

    «Se vuoi aiutarmi, potresti liberare…la parte lesionata.» terminò debolmente.

    «E se ti dicessi di no?»

    «Sarò costretta ad aspettare l’infermiera. E staremo più tempo qui, assenti dalle lezioni.» rispose candidamente, cercando di convincerlo con argomenti sensati e reali, mentre sceglieva la benda adatta. Non era sul tavolino, ma nel mobile sotto l’armadietto dei medicinali.

    Fece come gli era stato detto, aprendo i bottoni, in balia di una caparbia tempesta che, seppur lenta, lo dondolava vicino gli scogli.

    Si volse serena e si bloccò, all’improvviso sorpresa e smarrita. Anche se non la stava guardando, dandole le spalle, comunque vederlo la metteva a disagio. Aveva sceso il tessuto sul braccio, lasciando quest’ultimo scoperto, tenendo la camicia indosso solo su una spalla. Virile, solido, dalla pelle sottile e marmorea che fasciava con difficoltà i muscoli sodi, tirandosi sulla forza prorompente e che difficilmente si lasciava piegare alla necessità di essere celata. Era un nobile cavaliere che indossava il mantello elegante in maniera spavalda e affascinante durante una giostra medioevale, deciso, autoritario e misterioso. Inspirò e drizzò le spalle, poi si avvicinò a lui, tentando di non pensare. Cosa più facile a dirsi che a farsi!

    Posò sul letto l’occorrente che si era procurata e toccò con timidezza la pelle della sua spalla. Era liscia, calda, delicata. Morbida eppure solida. Spalle forti e virili. Toccarlo era anche peggio che immaginarlo. Tutto era più…reale, coinvolgente, quasi spaventoso da quanto risultava corrompente. Prima di soccombere a quella miriade di sensazioni e timidezze, colpi al cuore e tuffi nello stomaco, ritrasse la mano, vedendo la ferita sanguinare appena. Era solo un graffio, lui aveva ragione, ma dopo tutto quello che aveva fatto per lei, curarlo era il minimo. Imbevendo un batuffolo di garza con l’acqua ossigenata, notò quanto lo sguardo di lui fosse inflessibile. Bello, ma freddo. Sarebbe stato ancora più bello se lo avesse visto sorridere.

    Mantenne gli occhi fissi sulla parete mentre la ragazza gli sfiorava il taglio con il medicinale.

    «Spero che non faccia male.»

    «No, non brucia per niente.» disse inflessibile. A dispetto delle sue parole, lo vide stringere la coperta sotto di sé, nella mano chiusa a pugno. Tentò di essere il più delicata possibile. Le parve che la ferita fosse già più piccola, quasi rimarginata. Sicuramente era un effetto ottico.

    La ragazza non poteva immaginare che non fosse per resistere al dolore che lui si fece sbiancare le nocche, soffocando il lenzuolo con forza poderosa.

    Non aveva mai curato le ferite a qualcuno, non aveva mai visto un giovane senza maglia e cosa più importante non era mai stata così vicina ad un ragazzo. Suo fratello non contava, lui era suo fratello! Ma quel ragazzo? In pochi attimi con lui aveva vissuto più avventure che nell’arco di una vita.

    Diciamo che fino a quel momento era stata sempre simile ad una suora o giù di lì! Timida, riservata, impacciata. Sorrise al pensiero, prendendosi in giro con autoironia.

    Il suo fresco profumo di pini la avvolse, prepotentemente ma dolcemente. Notò che aveva un taglio sul collo che prima non aveva notato, di cui, adesso, rimaneva solo una cicatrice e un blando ricordo, rosa chiaro. Dunque non era accaduto quel giorno e non era causata dai giovani poco affidabili incontrati nel giardino. Probabilmente il ragazzo copriva intelligentemente l’antica ferita con il colletto della camicia. Si sentiva a disagio, più timida che mai. E la sua freddezza nonché controllata serietà le fecero pensare che, forse, a dispetto della sua gentilezza, lei non gli era così simpatica come aveva creduto.

    «Perché mi odi?» chiese di getto, per la prima volta comandata da qualcosa di inaspettato e sfacciato, che non si limitava a chiedere il permesso alla sua timidezza, infrangendo e spalancando le sue difese. Si era comportato sempre cortesemente con lei, ma adesso appariva insensibile. Dal sangue gelato. Come se la stesse ignorando volutamente!

    «Odiarti?» si volse di scatto, sfiorandola con i suoi occhi d’ombra, profondi come il mare, sorpreso dalla domanda, incrociando il suo sguardo timido «Ah!» esclamò subito dopo, guardandosi la spalla e trasalendo. Lei si ritrasse, impaurita. Poi tornò a medicargli la ferita con dolcezza.

    «Scusa, non volevo.» sussurrò. Non sapeva se parlava per ciò che gli aveva detto o per il male che gli aveva procurato. Forse per entrambi. La osservò, studiando la sua espressione. Sentendosi gli occhi di lui addosso, non alzò i propri, fingendo di non accorgersene.

    «Perché dovrei odiarti?» non le era mai sembrato così vulnerabile come in quel momento.

    «Non so. Sei sempre stato gentile, con me » si affrettò a dire «ma…sembra che io ti dia fastidio.»

    Sospirò allontanando il suo sguardo da lei e tornando a fissare la parete.

    «Non potrei odiarti. Sono solo…» sospirò ancora « scusa » le disse «non volevo darti questa impressione. Sono solo serio.» anche un po’ insofferente al mondo, a dir la verità pensò tra sé.

    «E un po’ timido.» aggiunse lei. Lui avvampò appena.

    «Sì. Un po’. E molto riservato » s’interruppe «ti chiedo perdono.»

    «Non c’è bisogno che ti scusi. L’importante è che io non abbia fatto niente per arrecarmi la tua avversione.» affermò sollevata. Lui sorrise di getto, chiudendo gli occhi, incredulo della sua spontanea risposta. Nessuno era mai stato così sincero e si stupiva di tutte le caratteristiche che lei incarnava e che lui credeva sparite da tempo dal mondo crudele e gelido che li circondava.

    Quando finì di medicarlo, gli bendò la spalla. Lui non proferì parola, lasciandosi guidare. Spostava il braccio quando pensava che lei avesse bisogno di spazio per passargli il tessuto intorno alla pelle o per allentare la garza o stringerla qui e lì.

    Era dolce, una ragazza sensibile come nessuna incontrata fino ad allora. Era delicata…e tanto fragile. Sapeva di rose e le sue mani leggere non smettevano di torturargli la pelle, parte sempre più calda e sensibile a causa sua. Quando legò la benda per non farla scivolare via e si allontanò, solo allora il ragazzo si accorse di aver trattenuto il respiro, in tensione. Si alzò, coprendo la fasciatura con il tessuto e si abbottonò la camicia. La ragazza ripose con cura ogni cosa al suo posto, sentendo i nodi alla gola allentarsi lentamente. Lasciò sulla scrivania un biglietto di ringraziamento per la Signorina Mary, scrivendo anche il proprio nome e l’aula, giusto per essere sicura che sapesse chi era. Ne avrebbe avuto bisogno qualora i Professori fossero andati a chiederle conferma alla versione che Isabelle era decisa a dirgli. Cioè la verità. Quando si alzò dal tavolo su cui si era chinata e si volse per allontanarsi, trovò il giovane dietro di sé. Ancora una volta non lo aveva sentito spostarsi.

    Stettero a guardarsi per un tempo indescrivibile. Lui era più alto, ma la guardava senza arroganza, dai suoi dodici centimetri almeno in più.

    Fusero i respiri, troppo vicini. Il ragazzo avrebbe voluto indietreggiare, ma avrebbe finito col sentirsi in trappola toccando la finestra dietro di sé. Cercò di regolare i propri battiti, mentre notava che anche lei era irrequieta. I suoi occhi saettavano dal pavimento, alla camicia, al suo viso, alla spalla. Era così delicata, specialmente vederla spaurita in quel modo gli procurava fitte di tenerezza.

    «Grazie.» le sussurrò. Lei gli rivolse un sorriso dolcissimo, contenta che non ce l’avesse con lei.

    «Figurati. Sono io che devo ringraziarti…» lui le posò un dito sulle labbra, istintivamente. Lo tolse subito, accorgendosi di ciò che aveva fatto con leggerezza. Ma oramai era tardi. Il suo calore si era già impresso su quelle labbra morbide. E il giovane non avrebbe mai potuto dimenticare la sua candida delicatezza, senza perdere almeno metà delle sue facoltà.

    «Non so neanche come ti chiami.» mormorò la ragazza.

    «Hunter » rispose « neppure io conosco il tuo nome.» sorrise.

    «Isabelle.»

    Le tese la mano. Lo guardò indecisa e gliela strinse.

    «Piacere di conoscerti.» gli disse.

    «Il piacere è tutto mio » rispose con voce profonda «possiamo ricominciare, se vuoi.» continuò, serio. Non sapeva se la loro conoscenza fino a quel momento andasse bene oppure se fosse stato meglio fare finta che era quello il loro primo incontro.

    «No. Va bene così…ciò che abbiamo vissuto finora.» sorrise.

    «Ora dovremo proprio correre in classe.» ricordò ad un tratto.

    «Oddio, è vero! »

    Riluttante le lasciò la mano e la anticipò, scattando e aprendole la porta. Corsero fuori mentre suonava la campanella che annunciava la fine della lezione. Accelerarono e giunsero dinanzi l’aula proprio mentre usciva il Professore di Matematica. Li guardò preoccupato.

    «Isabelle! Cos’è successo? Non vi ho visto a lezione.»

    «Lo so…Professore » tentò di riprendere fiato « è solo che…»

    «È colpa mia, Professor Mitchell.»

    Cosa? pensò la ragazza. Cosa stava dicendo? Perché s’incolpava?

    «Non è vero » si intromise lei, posandogli la mano sul braccio senza pensare «siamo stati attaccati da alcuni bulli. E Hunter mi ha difesa!» usò un tono eccessivamente difensivo e pronunciò il suo nome in un secondo. Tutto insieme! Troppe novità per la timida e riservata Isabelle. Eppure riuscì ugualmente a fronteggiarle, seppur con una certa ansia che si manifestava con battiti incontrollati e frenetici, adattandosi alla situazione senza porsi troppo domande o cercare risposte a quesiti che non ne avevano. Molto spesso si modifica modo di pensare e di agire a seconda della novità che si presenti davanti, pur senza pensarci troppo su. Ed è esattamente quello che stava accadendo ai due giovani.

    «È così, dunque » comprese «mi dispiace per quello che avete dovuto passare, ragazzi. Provvederò a dirlo anche agli altri insegnanti » posò la mano sulla spalla di Hunter «bravo ragazzo. Se esistessero altri giovani come te, il mondo sarebbe un posto migliore.» lo lodò.

    Lui sorrise imbarazzato.

    «Entrate in classe » li invitò cordiale « tra poco inizierà l’ultima lezione della giornata.» sorrise e li salutò. Quando entrarono, Maggie li guardò pensierosa. Hunter aspettò gentilmente che lei occupasse il suo posto, poi le passò davanti, accomodandosi al proprio banco. Non appena Isabelle prese un quaderno per la nuova ora, Maggie la tempestò di domande.

    «Che è successo? Dov’eri? Mi hai fatto morire di paura! Come primo giorno, spero che non sia un preludio per quello che mi farai passare tutto l’anno!» commentò accigliata.

    Isabelle le fece un sorriso rassicurante. Entrata la Professoressa di Storia, la Signora Landry, però, terminò la loro opportunità di parlare. Ma non di comunicare! Le scrisse un biglietto riassuntivo e glielo posò sul banco senza darle il tempo di capire. Isabelle che scriveva bigliettini?! Hmm, c’era sotto qualcosa di incomprensibile in atto.

    Volevo ringraziarlo per avermi aiutata stamattina

    È lui il tuo principe?!

    Se intendi ‘colui che mi ha salvata’ allora sì

    O - mio - Dio. È un eroe da urlo!

    Ha ha. Sei sempre la solita

    E cosa ci facevate soli, eh? °,°

    Nulla! Volevo solo ringraziarlo. Poi siamo stati attaccati da alcuni bulli, perciò abbiamo tardato

    E poi?

    Anche stavolta mi ha salvata. E si è ferito

    Sembra la trama di un romanzo! E poi? ^^

    La smetti di dire e poi? Comunque non è un romanzo! L’ho costretto ad andare in infermeria per farsi medicare. L’infermiera non c’era

    E tu hai fatto la crocerossina. Adoro le fiabe! Anche se sembra più una storia da Guerra e Amore ̴

    Ma la vuoi finire? Non ti racconto più nulla, sai?

    Ok, ok. Anche se il tuo essere così permalosa mi suggerisce quanto io sia vicina alla realtà

    Ok scusa. Continua

    Gli ho medicato la ferita. E mi ha ringraziato

    Il bacio quando arriva?

    MAGGIE!

    Hem…e poi?

    Siamo tornati in classe

    Vi siete presentati almeno?

    Certo, per chi ci hai preso?

    E...?

    E cosa?

    E come si chiama?

    Hunter

    Wow. Prima ti caccia e poi ti salva. Sembrate Cappuccetto Rosso e il Lupo

    Veramente è il contrario, prima mi salva poi mi insegue, cacciandomi. Oh, cosa mi fai dire?!

    Vedi che, in fondo, lo pensi anche tu? ^^

    Io penso solo che guardi troppi film, tu

    No no. E se io ne vedo troppi, tu invece pochi le fece la linguaccia in silenzio.

    Arrivò un altro biglietto.

    Cosa dicevate? un tuffo al cuore seguì le parole che si formarono nella sua mente, leggendo. Le parve di udire il tono serio ma gentile chiederle cosa dicevano, invece di vederlo scritto. Si apprestò a rispondere.

    "Era solo preoccupata

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