Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Lo stadio
Lo stadio
Lo stadio
E-book259 pagine3 ore

Lo stadio

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

11 maggio 2003, Codegono (LO).
Giornata pesante per il terzino Andrea Foppa Pedretti. In novanta minuti ha dovuto fare in modo che la sua squadra, la Codegonese, vincesse l’ultima partita di campionato di serie D che le avrebbe consentito l’immediata promozione in C2, ha dovuto fingere con il corrotto direttore sportivo Carlo Vismara di essere disposto a vendersi in cambio di una bustarella e ha scoperto grazie a quest’ultimo che Luigi Filippini, il presidente della società sportiva, aveva deciso di acquistare la squadra e di portarla tra i professionisti solo per poter concludere una grossa speculazione. Infatti, se la società fosse arrivata in C2, la giunta comunale sarebbe stata costretta a costruire uno stadio più grande per far fronte agli obblighi imposti dalla federazione. L’appalto sarebbe stato pilotato con la complicità del sindaco in favore di un consorzio edile amico che avrebbe elargito una cospicua somma per il favore. Un piano perfetto, ma è stato proprio Vittorio Invernizzi, uno dei soci del consorzio, a cercare di boicottarlo. Infatti i debiti che Filippini aveva contratto per la squadra, rendevano la sua azienda appetibile per essere inglobata con pochi soldi. Invernizzi aveva un solo problema: nessun altro socio del consorzio avrebbe dovuto sapere del suo inganno.
Dopo la partita Carlo, durante un colloquio con Invernizzi e Andrea, scopre che in realtà il difensore è stato reclutato da Filippini per mettere le mani sui responsabili della cospirazione.
Il presidente, giunto sul posto, rivela la prova che incastra Vittorio: una delle banconote ritirate dalla banca cittadina e firmate dal direttore Gucci con cui Andrea è stato corrotto durante il match. Adesso il presidente può permettersi di ottenere vantaggi da Invernizzi se questi non vorrà che ai suoi soci giunga all’orecchio il suo tentativo di togliere loro un lucroso affare.
LinguaItaliano
Data di uscita19 ott 2019
ISBN9788833283494
Lo stadio

Correlato a Lo stadio

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Lo stadio

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Lo stadio - Marco Fedele

    1

    Le fotografie dell’anno buono

    La grande popolarità del gioco del calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza, in ogni angolo del mondo c’è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi.

    Zdenek Zeman

    La cosa che assomiglia di più alla vita? Un campo di calcio. Lì ci sono tutti i personaggi.

    Renato Cesarini

    da Zona Cesarini, di Luca Pagliari

    Codegono, ore 15:35

    Domenica 11 maggio 2003 era stata una giornata difficile, inquietante, addirittura sgradevole, ma memorabile: la Codegonese aveva rivaleggiato con gli ospiti del Fiorenzuola a viso aperto. In seguito, per quanto la stampa avesse elogiato il vigore agonistico della squadra di casa, si erano visti undici giocatori logorati da tensioni e polemiche.

    La verità sul nuovo stadio non sarà mai riportata sulle pagine dei giornali o nei servizi televisivi, però qualcosa è trapelato e ha permesso agli intrallazzatori di fare alcune ipotesi sull’esito dell’incontro in campo e fuori, sino a portare all’esasperazione addirittura gli spettatori occasionali. In provincia, quando qualcuno non è contento del risultato di una partita, straparla e tende a polemizzare, confondendo la realtà con la fantasia, infatti i mille spettatori presenti allo stadio ritoccarono i fatti raccontandoli a modo loro, e chi non c’era ne parlò come se fosse stato lì, in prima fila.

    Ancora oggi qualcuno ricorda l’Ernesto Biraghi mezzo ciucco mimare agli altri del club Codegono Calcio le fasi salienti della partita, il nasone rosso e gli occhiacci vitrei e schiumare di rabbia nel dire peste e corna di questo e di quello.

    I nodi della questione sono stati sciolti lontano dalla società. Lo sport non c’entra nulla, tantomeno l’accesa tifoseria, che ha ricoperto l’ingrato ruolo di pedina in mano ad acuti strateghi. Dietro al campionato della Codegonese ci sono stati i giochi di potere di un gruppo di affaristi della domenica che si credono Briatore o Berlusconi, capaci solo di combinare dei pasticci dai quali è stato difficile uscire.

    I fatti ebbero inizio con Andrea Foppa Pedretti seduto in penombra con un album fotografico sulle ginocchia, alla luce fioca che penetrava dalle sbarre di una piccola finestra. Ore: poco dopo le tre e mezza. Luogo: lo spogliatoio, illuminato quanto bastava per scorgere in controluce il pulviscolo proveniente dalle panche spolverate male e dal pavimento lavato peggio.

    Il sole a strisce ricordava una galera, ma la scelta dell’inferriata non aveva suscitato critiche, poiché, tempo addietro, durante un allenamento, ignoti avevano razziato portafogli e orologi dopo aver sfondato il vetro.

    Chi era Andrea Foppa Pedretti? Un atleta schivo: a parte i giorni di gara o quelli in cui i seggi erano aperti, lui e la città di Codegono s’ignoravano a vicenda. La sua prima volta in campo era stata accompagnata da parecchie aggressioni verbali: l’atteggiamento freddo, sprezzante e sostenuto, confermato anche dai compagni di gioco, aveva scatenato alcune antipatie: «Ehi, divetta! Il tuo défilé è altrove», aveva esclamato qualche tifoso dalla gradinata, ma quando si scoprirono le sue capacità di terzino la tribù degli spalti imparò perlomeno a non odiarlo.

    Domenica 11 maggio 2003 alle tre e mezza Andrea era un’altra persona: nonostante il caldo venne investito da un’ondata di brividi che, come un abbraccio gelato, ne cinse le spalle, con lo stomaco che gli ribolliva e sparava succhi gastrici in bocca.

    Fino ad allora il suo era stato un gran brutto anno: da gennaio aveva dato solo due esami all’università, i genitori e la sua ragazza si alternavano a rompergli le scatole e la Codegonese, con i suoi sotterfugi e la rivalità fra i giocatori, gli regalava solo guai.

    Se avesse dato retta al suo istinto sarebbe andato al mare, ma il dovere di un calciatore perfetto è di rimanere e di contribuire a dare unità e forza alla squadra, a dispetto di un girone di ritorno in cui la pazienza della tifoseria continuava a esser messa a dura prova; perciò Andrea si spogliò dei cattivi pensieri e aprì l’album alla pagina contenente la foto più bella. Ogni foto un capitolo, ogni capitolo una storia.

    Prima foto

    La società con il presidente Filippini e l’allenatore Lupo.

    Settembre 2002, il giorno prima dell’inizio del girone A del campionato di serie D.

    Tre file di giocatori in tuta bianca in mezzo al campo, per la maggior parte con un sorriso radioso stampato in volto: il fotografo ufficiale della squadra aveva sgobbato non poco per disciplinare quei ragazzotti impazienti e Ludovico, il fratello minore di Cristian Bernacca, aveva atteso in disparte che i giocatori si fermassero giusto il tempo per lo scatto, poi gli si era affiancato e, con la Nikon del padre, aveva fatto un’istantanea da manuale, migliore di quelle della collezione del presidente. Di tutta la famiglia il giovane era l’unico a interessarsi all’attività sportiva di Cristian, il quale era lieto di portarlo con sé ogni domenica come sostegno e reporter delle sue imprese. Oltretutto quello era l’anno buono per la squadra: la promozione in serie C2 non era più un miraggio e la si poteva quasi toccare.

    Il capitano Paolo Rebughini voleva esserci e aveva rinviato il suo ritiro dall’attività, ma era incappato nell’ira della moglie, che lo avrebbe preferito architetto in comune e gli aveva detto: «Non sei più giovane. Hai un figlio. E se ti spezzano una gamba? Non mi piace stare con mia madre ogni domenica.»

    Paolo non aveva bisogno di simili discorsi, poiché i soldi che guadagnava da calciatore facevano sì comodo alla famiglia ma, dopo dodici stagioni da difensore e paciere in mezzo alle baruffe che scoppiavano in campo, avrebbe accettato volentieri un lavoro da impiegato.

    Per Andrea, invece, quello era un campionato prestigioso. Pensando alla sua carriera nascente, tratteneva a stento l’emozione: era tra i grandi dal 2000, aveva compiuto diciotto anni e la sua qualifica era cambiata da giovane dilettante a non professionista; inoltre l’allenatore Guarducci gli aveva offerto il ruolo di terzino senza riporre troppe speranze nel futuro.

    La squadra di allora della Codegonese era ben distante dalla società che era stata capace di disputare otto stagioni nel campionato interregionale, un traguardo notevole per un gruppo dalle limitate capacità economiche, infatti nel 1990 un’attenta analisi dei costi aveva costretto la dirigenza a fare dei tagli che l’avevano fatta scivolare in Promozione. Andrea si era scontrato con avversari della provincia, sui volti dei quali si potevano scrutare la stessa attrazione e la stessa scarsa motivazione dei suoi compagni di classe al liceo durante l’ora di ginnastica.

    A quei tempi lo stadio era come una tela bianca su cui risaltavano macchie di genitori e amici, oltre a un minuscolo gruppo di fanatici dediti allo schiamazzo. C’era più entusiasmo nei tornei di calcetto sponsorizzati dall’oratorio San Matteo o dalla pizzeria Il Pioppo, presto però ci sarebbe stata una novità: il presidente Luigi Filippini.

    In quanto a tattica e moduli di gioco l’uomo lasciava alquanto a desiderare, poiché non era mai stato un atleta e a dimostrarlo era il canotto che gli ballava sopra la cintura, ma con lui i soldi si moltiplicavano come i pani e i pesci: il nuovo presidente era proprietario di uno stabilimento siderurgico e assiduo frequentatore di Piazza Affari. In pochi si sarebbero sorpresi di una sua candidatura alla carica di sindaco di Codegono, né qualcuno l’avrebbe osteggiata, grazie ai successi della squadra e agli assessori che erano già roba sua.

    L’amministratore arrivò nel 2001 e pose una condizione alla vecchia dirigenza per disfarsi di quel fardello calcistico a buon prezzo: il passaggio alla serie superiore, che gli avrebbe permesso di disfarsi di quel fardello calcistico a buon prezzo. La squadra fu promossa per un pelo in eccellenza, lui promise la C2 in due anni e assunse un nuovo allenatore, Giancarlo Lupo.

    Triestino dal temperamento sanguigno, aveva calcato i campi della serie A con la maglia del Lanerossi Vicenza. Nel 1971 era stata discussa la sua cessione, mai avvenuta, alla Juventus. Nel ‘74 era andato al Brescia e nel ‘77 al Treviso. L’età e l’artrite reumatoide lo avevano costretto a stare in panchina con le stampelle, ma manteneva intatte l’abilità di tecnico e la forza d’animo per farsi rispettare. Il mister aveva compreso la necessità di dare fiducia ai piedi di qualche novellino e di ignorare le ingerenze dei consiglieri nella scelta dei titolari. Il suo apporto fu determinante per la conquista della serie D a spese del Pergocrema, anche se la vecchia guardia della squadra non lo prese mai in simpatia e quelli che ne facevano parte avevano il loro peso.

    Seconda foto

    Quattro ragazzi sottobraccio: Luca Boriani e la vecchia guardia

    Abitavano nello stesso quartiere di Codegono e si conoscevano fin da bambini. Avevano giocato nei parchi pubblici, in via Dante o in via Monti, e come pali per le porte usavano gli alberi o una pila di soprabiti e cartelle.

    Luca Boriani e Marco Malabarba erano stati compagni di classe alle elementari e, insieme a Ivan Bertolazzi, il mediano figlio dei proprietari del bar La Contea, dopo la gavetta nella leva giovanile avevano tenuto la squadra incollata in Promozione.

    Vivevano per i complimenti dei dirimpettai dopo una domenica vittoriosa e per l’ebbrezza che si prova nel leggere il proprio nome nelle cronache di paese. La città era nel loro sangue, c’erano nati e ci sarebbero morti. Oltre a loro è bene menzionare Fabio Felisi.

    Quand’era in prima media Andrea aveva chiesto dei gessi per la lavagna a una stanga dal corpo maturo con la sigaretta in bocca, ma un calcione nel culo gli aveva insegnato a non ripetere l’errore. Felisi infatti non era il bidello, ma un alunno di terza incline a bullizzare i più piccoli e a rispondere ai professori in modo sgarbato. Dopo l’ultima bocciatura il ragazzo aveva iniziato a trascorrere le mattine a scuola e i pomeriggi facendo il fattorino per il negozio di alimentari di famiglia. Il padre era stato categorico: niente licenza, niente allenamenti, così il treno dei campioni in erba era partito senza di lui; una delusione troppo dura da sopportare quando spostava fusti e casse in magazzino.

    Per Andrea, Felisi valeva poco sia come giocatore sia come uomo. La sua sorte nel mondo del pallone non sarebbe stata diversa con un genitore più indulgente, però altri, per il terrore di diventare delle riserve, ne avevano appoggiato le idee: una sera di giugno, nel bar di Bertolazzi, tra un sorso di Guinness e l’altro, Fabio arringò i suoi discepoli sull’incompetenza con la quale la dirigenza si era venduta a dei ciarlatani. Il giocatore gestiva la fascia sinistra da sempre e non aveva sopportato la scelta societaria di cederla a un novellino raccomandato dal triestino storpio.

    Aveva anche raccolto le confidenze di chi giurava che Filippini stesse ribaltando la Lombardia alla ricerca di nuovi elementi.

    «Noi che cosa dobbiamo fare? Capire che è ora di andarcene? Io non ho problemi, non ho mai avuto problemi a trovare un’altra squadra. Se sono ancora qui è perché avevo ricevuto delle promesse dalla direzione. Chi crede di essere, Filippini, per permettersi di non rispettare gli impegni? È facile dire "grazie di tutto e addio" e bla, bla, bla.»

    Quelle del mediano erano farneticazioni e invettive basate su un fondamento debole, poiché a fargli rischiare quello straccio di carriera era il regolamento: al contrario di quanto avviene nell’Eccellenza, la serie D impone che sul campo ci siano almeno un diciottenne, due diciannovenni e un ventenne, da sostituire con rimpiazzi di pari età, quindi per Felisi e la sua combriccola erano quattro i posti in meno a cui ambire, mentre per il presidente si trattava di ruoli da far ricoprire a persone all’altezza.

    Mentre Max Pezzali continuava a cantargli La dura legge del gol nella testa, Marco Malabarba annuiva in modo meccanico a ogni sillaba di Fabio, che si sentiva vittima di una congiura organizzata da quegli stronzi universitari di Andrea e Cristian Bernacca, che erano bravi ad anticiparlo in difesa. Ivan Bertolazzi era succube dell’amico, che aveva già provocato una scazzottata nel locale e sarebbe stato al suo fianco anche per organizzare una protesta violenta, invece Luca Boriani era tranquillo: con le basette alla Elvis e il ciuffo arruffato aveva poggiato le Nike sulla sedia di fronte. Gli altri erano i suoi utili e divertenti tirapiedi.

    Bertolazzi pagava i beveraggi. La sua bettola era sulla lista nera dell’ufficio d’igiene, intrisa com’era di nicotina e di avventori emarginati dalla vecchiaia e dall’etilismo. Il bar era il loro regno perché lì potevano parlare senza avere intorno ragazze annoiate o amatori in cerca di pareri sulla continuazione del campionato. In passato anche il capitano Paolo Rebughini e il portiere Federico Cremascoli avevano condiviso con i ragazzi qualche bevuta.

    Malabarba era un idiota attaccabrighe e patito di motori. Il suo curriculum era pieno di gavettoni lanciati dalla bicicletta, stereo a tutto volume, taccheggio e sassaiole contro la polizia durante le manifestazioni; a ogni cattiveria fatta sghignazzava. Aveva il ruolo di spia e di giullare, riferiva agli amici tutti i pettegolezzi e li ornava con elementi da romanziere. Ad accomunare Felisi e Luca era una totale avversione per l’umanità: adoravano giocare al gatto e al topo con le persone ed erano sempre loro due a combinare scherzi alle nuove leve o a provocare battibecchi. Fabio, segaligno, stempiato e trasandato, proponeva i bersagli da prendere di mira e Luca, con il suo metro e ottantacinque d’altezza e il fisico palestrato, era un pugile temibile e un despota assoluto, intoccabile e irraggiungibile. Negli ultimi due campionati aveva dominato la classifica dei cannonieri con venticinque centri.

    «Faccio quasi paura», esclamava tutto gasato dopo ogni rete, ma era inaffidabile: in campo esigeva che tutti fossero alle sue dipendenze, inoltre non accettava di pressare e di rientrare in difesa e si occupava del pallone solo se era nella sua zona del campo. Non faceva mistero di ritenersi sprecato in quella squadra ed era convinto che avrebbe ricevuto da un momento all’altro la telefonata dei dirigenti di una società prestigiosa.

    Durante un’intervista per la rubrica sportiva di Teleadda aveva dichiarato di sentirsi come una perla in pasto ai porci e accusato tutti, dirigenza compresa, di scarso impegno. Aveva aggiunto che alcuni compagni di gioco, rosi per l’invidia, non lo servivano a dovere e si intestardivano a costruire azioni senza risultato concreto.

    Inutile dire che il terremoto fu immediato, soprattutto perché le esternazioni dell’attaccante erano esplose due settimane dopo la festa di chiusura della stagione, celebrata nella villa del presidente Filippini. Frasi come tradimento, coltellata alla schiena e vigliaccata cominciarono a circolare insieme a varie tesi sui facili costumi della madre; invece Andrea ipotizzò che il goleador desse un’importanza eccessiva al calcio. Un’amica di famiglia, collega del signor Boriani, raccontò del voto risicato che Luca aveva preso alla maturità e del lavoro in un’azienda di materie plastiche. I vertiginosi ritmi di lavoro, lo stipendio basso, le strigliate dei superiori e l’essere considerato uno dei tanti non lo incentivavano a restare, così lo sport aveva finito per rappresentare per lui una risorsa e una scappatoia, anche se ormai aveva ventiquattro anni e il telefono avrebbe dovuto squillare già da un pezzo.

    Fabio Felisi era sicuro che, al pari degli altri, l’amico sarebbe stato investito dalla rivoluzione che Filippini aveva intenzione di mettere in atto per rimpiazzare i vecchi giocatori e nel frattempo gli aveva messo una pulce nell’orecchio. In effetti Boriani sarebbe stato impanato e fritto molto presto, ma non prima che Jorge Navarro arrivasse nel periodo degli ingaggi.

    Nei corridoi del potere si decise di non rimproverare l’attaccante e, ceduti Vedova, Idda, Nardi, Boetto, Starace, Galimberti, Morazzoni e Ricci, vennero acquistati due professionisti. Luca sarebbe stato contento: le sue lamentele erano state prese in considerazione, ma c’era una complicazione: il nuovo acquisto avrebbe dovuto superare le doti di centravanti di Luca.

    Jorge Navarro era venuto in Italia causa la grave crisi economica dell’Argentina; dormiva in una stanza nell’alloggio di sua sorella e lavorava come cameriere in una pizzeria di Mairago. A luglio mostrò a Lupo e al direttore sportivo Carlo Vismara la tessera della squadra per cui aveva giocato durante il campionato di Primera D, parlò della sua venerazione per il calcio italiano e diede la sua disponibilità per una società seria come la Codegonese.

    Durante la selezione Andrea e la difesa subirono un’atroce umiliazione, dribblati senza pietà da quel mancino sconosciuto e raggiante; sembrava non esserci nessuno in grado di stopparlo senza ricorrere al fallo, correva come un razzo e aveva una resistenza straordinaria. Il presidente Filippini raccomandò di minimizzare l’accaduto e di testare ancora il gioiello, ma Marco Malabarba aveva già spifferato ogni dettaglio a Boriani: «Lo sai che ti stanno fregando con un pulcino?» Luca replicò con la solita compostezza: «Non sei il primo a dirmi che è stato preso Del Piero. Magari lo fanno giocare al tuo posto.»

    Il bomber aveva dalla sua l’età e il fatto di essere il capo cannoniere e si persuase che avrebbero messo una volpe come Navarro ad accudirlo e a trasmettergli i trucchetti del mestiere, ecco perché nella foto che Andrea stava guardando appariva come un divo indispettito dall’insistenza degli ammiratori. Se avesse osservato il volto di Luigi Filippini, sornione e compassato, forse qualche dubbio gli sarebbe balenato in mente, comunque non dovette aspettare molto per la resa dei conti.

    Andrea voltò pagina e si sorprese a sospirare, quindi accarezzò la foto come avrebbe fatto con la guancia delicata di una bella ragazza.

    Terza foto

    Primo piano di Jorge Navarro all’esordio: il declino della vecchia guardia.

    Era l’8 settembre 2002, Codegonese contro Palazzolo ovvero l’avvio del campionato di serie D. Giancarlo Lupo si era spremuto le meningi per l’attacco: Boriani doveva stare in panchina per un lieve infortunio, oltre che come punizione per l’intervista; non c’erano sostituti all’altezza e ad aggravare la posizione dell’allenatore si aggiungeva il fiasco rimediato nella Coppa Italia dilettanti.

    La U.S.O. Calcio, che avrebbe gareggiato nella finale, aveva eliminato la squadra al primo turno, quando gli attaccanti si erano trovati in difficoltà e gli altri erano stati lenti e prevedibili. Navarro era fresco e pimpante e avrebbe gradito omaggiare la sua nuova città con un’esibizione da giocoliere, però non aveva mai combattuto in una partita ufficiale piena di avversari fallosi. L’idea del mister era di farlo entrare nella ripresa o verso la fine, a vittoria in tasca.

    Ci

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1