Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

INDACO: Saga Terra Rossa
INDACO: Saga Terra Rossa
INDACO: Saga Terra Rossa
E-book525 pagine7 ore

INDACO: Saga Terra Rossa

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Cento inverni sono passati dall’ultima sanguinosa guerra che ha scosso la Terra Rossa, costringendo gli uomini a bandire la magia, ma la pace sta per essere infranta nuovamente. Un temibile Cavaliere e il suo drago nero, alla guida di un esercito di troll, hanno invaso e distrutto la fiorente cittadina di Quonosk, dando vita a nuove ostilità. Elden, giovane dall’animo puro, e il suo migliore amico Gaur rincorrono un sogno, diventare Cavalieri dell’Ordine dei Draghi, protettori della Terra Rossa, ignari tuttavia dell’inaspettata sorpresa che li attende. Eyka, sorella di Elden, si ritrova tra le mani un ciondolo magico, il cui destino sembra essere legato alla battaglia ventura. Ramasil, elfo dai lunghi capelli viola, unico Cavaliere di Drago della sua razza rimasto accanto agli umani, deciso a salvare la Terra Rossa dall’alone che la sta oscurando. Torvash, fratello di Gaur, portatore del fardello del Dono degli Occhi, che suo malgrado si ritroverà a dover rinunciare a tutto per sconfiggere i propri demoni e sopravvivere. Due magnifici ma pericolosi oggetti magici, il Pugnale di Fuoco e la Coppa di Ghiaccio, su cui tutti cercano disperatamente di posare le mani, giocano un ruolo importante nell’equilibrio tra le forze del bene e del male. Amicizie che nascono, altre che appassiscono, grandi litigi, amori proibiti, gelosie, battaglie politiche e lo scontro con l’inevitabile morte guideranno i passi di decine di vite, unite da un comune filo rosso, costringendo i protagonisti ad effettuare delle scelte che cambieranno le sorti dell’intera Terra Rossa.
LinguaItaliano
EditoreElisa
Data di uscita8 set 2017
ISBN9788822896551
INDACO: Saga Terra Rossa

Leggi altro di Elisa Baiocchi

Correlato a INDACO

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su INDACO

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    INDACO - Elisa Baiocchi

    Ringraziamenti

    INDACO

    LIBRO I

    SAGA TERRA ROSSA

    PARTE PRIMA

    What makes Earth feel like hell is our expectation that it should feel like heaven.

    Se la Terra ci sembra un inferno è soltanto perché siamo convinti debba essere un paradiso.

    Chuck Palahniuk

    Prologo

    Obscuria

    Corvino e silenzioso, minacciosa ombra notturna, un drago volava tra le nubi, accompagnato dall’inconfondibile sussurro prodotto dal battito delle sue ali. Tenebroso appariva il Cavaliere seduto sul suo dorso, incappucciato e stretto in un logoro mantello, intento a scrutare la terra sottostante. Di tanto in tanto si voltava, corrucciato, per assicurarsi che nessuno lo stesse seguendo. Era quasi certo che da quando aveva valicato le Porte della Terra Rossa gli Spettri Guardiani non fossero più sulle sue tracce. Tuttavia, l’efferato gesto da lui compiuto nelle Terre Oscure lo rendeva cauto e prudente, più di quanto non fosse mai stato. Sentiva nella bocca, sulla lingua, formarsi gocce di uno strano sapore, un misto di superbia e soddisfazione; la consapevolezza dell'assurdità dell'impresa compiuta nelle Terre Oscure e delle ripercussioni che essa avrebbe comportato, contribuiva a farlo sentire in quel modo. Un atto folle ma necessario, per sé e per suo figlio. Per la loro salvezza.

    Scosse il capo, scrollandosi di dosso quella fastidiosa sensazione e drappeggiò con cura il mantello, facendolo ricadere morbido sulla schiena. Si accomodò meglio sul dorso del drago nero Obscuria, sua fedele compagna, desideroso di gustare il panorama che quel volo offriva, rivedendo i luoghi della sua infanzia, troppo a lungo dimenticati. Inspirò profondamente e trattenne il fiato per un tempo indefinito, espirando poi con energia per scacciare la tensione accumulata; si sentì meglio, la mente più leggera. Con la mano inguantata, irrigidita dal freddo, tastò la sacca appesa alla cintura, facendo scorrere le dita sulla superficie resa irregolare da due oggetti riposti all’interno e sorrise, volgendo gli occhi alla luna che bagnava il cielo: la sottile lama argentata, appena emersa da dietro un cespuglio di nubi, pareva fissarlo.

    Quella notte aveva deciso di volare a bassa quota essendo ormai prossimo alla Terra dei Kuzki, il Regno della Nebbia Eterna, le cui creature erano ormai abituate alla sua presenza. Un'improvvisa fitta alla schiena lo costrinse a cambiare posizione; si sentiva spossato, reduce da un viaggio, intrapreso molti decenni prima, che lo aveva condotto nei luoghi più bizzarri, dove aveva gustato la compagnia di creature fantastiche, inebriando il proprio spirito con esperienze nuove ed eccitanti. L’impellente desiderio di riposare dominava in lui, più di ogni altro, ora che il suo vagare pareva essersi concluso, ora che la meta era vicina. Penetrare nelle Terre Oscure gli era costato un enorme sforzo e gran parte delle sue energie si era esaurita grazie all’incantesimo che gli aveva permesso il ritorno alla Terra Rossa con il tanto agognato bottino. L’idea di farsi un sonno in un soffice letto, senza la minaccia che qualcuno o qualcosa stesse per attaccarlo, appariva un miraggio anche per lui, benché di dormire non avesse in realtà ormai tanto bisogno.

    Volare rasente alle acque in quel luogo, il Regno di Aur, era per lui, Lord Irek, fonte di grande benessere: poteva inebriarsi liberamente, a pieni polmoni, del profumo dei porti e dei pescherecci, un odore familiare, di mare, che da piccolo, quando tutto era ancora semplice e l’odio e la sofferenza non erano entrati a far parte della sua esistenza, lo aveva cullato. Allora era un bambino qualunque, uno tra i tanti che forse avrebbe potuto continuare a condurre la vita normale di tutti i suoi coetanei: sarebbe cresciuto, avrebbe costruito una barca sua, comprato una casa, si sarebbe sposato; una moglie e dei figli ad attenderlo ogni sera sarebbero stati il suo intimo desiderio. Sarebbe invecchiato e morto lì, nella sua terra, tra aromi e suoni noti, i sorrisi e l’affetto dei nipoti. Così suo padre gli aveva predetto sarebbe stata la sua vita, come quella di qualsiasi abitante di quello spensierato villaggio del Regno di Aur. E invece era arrivato, come un freddo colpo di mannaia, il giorno in cui per lui tutto era cambiato. Nonostante fossero trascorsi innumerevoli decenni, ricordava ogni cosa nitidamente, un’agghiacciante limpidità che aveva il potere di annullare tutti i ricordi, ogni emozione.

    Fu una maledetta notte d’estate quella in cui suo padre si imbarcò su un peschereccio per non fare più ritorno, disperso nelle torbide acque e tra i venti tumultuosi di una tempesta. La stessa notte in cui sua madre venne uccisa brutalmente dinanzi ai suoi occhi, da un balordo infiltratosi per rubare in casa loro. A quel tempo aveva solo nove anni e il suo nome non era Lord Irek, ma Erik, come quello del nonno, ed Erik il pescatore sarebbe diventato, se l’immagine del sangue color cremisi che si spargeva lentamente sul pavimento, gli occhi vitrei e vuoti della madre riversa a terra, non avessero preso a scavare la sua anima, iniziandolo alla trasformazione. Fu in quell'istante che il potere racchiuso nella Pietra della Notte si liberò del proprio involucro ed esplose nella mente del giovane, divorando, giorno dopo giorno, ogni briciolo della sua umanità. Quella bellissima pietra, liscia e perfetta, simile a un oceano di luce oscura incastonata in un ciondolo d'argento, che egli custodiva gelosamente da quando, al compimento del settimo anno, suo padre, ignaro dell’oscuro potere che quell’oggetto custodiva, gliene aveva fatto dono. Da generazioni essa passava da padre a figlio, come cimelio di famiglia, portatore di fortuna e speranza, sebbene nessuno fosse consapevole del tremendo segreto racchiuso in essa.

    Né la fortuna, né la speranza, però, furono alleate del giovane Erik. Gli eventi sanguinosi che parevano rincorrerlo senza tregua ovunque si recasse logorarono i suoi ricordi più dolci e preziosi, mentre la sua purezza d’animo, scemando poco a poco, lasciò spazio solo al dolore e ad un abisso di tenebre.

    Lord Irek e Obscuria accarezzarono come un respiro il porto di quel paesino dove, annidati tra i camini delle case e le botti di Rog, la birra del Regno di Aur, vaghi ricordi gli riportarono alla mente chi egli fosse stato un tempo. Una calda lacrima rossa scivolò sulla sua pelle lunare. Osservava le numerose barchette da pesca ormeggiate lungo la passerella del porto, fatte di assi color terra, appesantite dalla salsedine del mare, chiedendosi quali sogni e speranze fossero in esse celati. Giungeva alle sue narici il profumo dei pescherecci e udiva lo scricchiolio arrogante di quel legno sospinto dalle onde, che accompagnava come una melodia il suo passaggio. Rallentò, permettendosi il lusso di godere quanto più a lungo possibile di quella piacevole sensazione di intimità. Benché fosse notte inoltrata, gli sembrava di udire le voci dei marinai impegnati nella battute di pesca levarsi fino a lui, accompagnate dal canto dei gabbiani desiderosi di cibo; ebbe l'immagine fuggevole di una giornata radiosa e fu colpito dal ricordo dell’odore di pulito dei panni stesi al sole, delle arance mature, del grano, dei raggi dorati premuti contro la terra; quasi l’essenza del Regno di Aur.

    La luna scavava uno spiraglio tra le nuvole, riversando la sua tenue luce sopra le acque increspate, sfumandone il blu oltremare in toni più chiari; per un istante, a quella vista, lo spirito di Erik bambino riemerse dalla profondità. Quanti anni erano trascorsi? Parevano secoli ormai. Lord Irek, Il Torturatore, appellativo guadagnato a suon di atrocità nel corso del suo lungo viaggio, ebbe un moto di irritazione, ripensando all’ingenuità di quel bimbo, alla sua primitiva debolezza. La consapevolezza che per lui non c’era più posto in quei luoghi, lo riportò alla realtà. L’unico pensiero che gli dava pace era che un giorno, ormai non lontano, avrebbe distrutto quella terra, che non lo aveva amato. Ora possedeva i mezzi per farlo. Il prezzo pagato con anni di lontananza da suo figlio, l’unica persona che per lui ormai contasse, gli aveva donato ciò che bramava: le armi che gli avrebbero permesso di vendicare tutto il dolore, tutta la sofferenza patita.

    La vista del porticciolo lasciò bruscamente il passo a quella della costa rocciosa e frastagliata e Lord Irek spronò Obscuria. Il drago continuò a fluire guardingo e maestoso nella densa aria notturna, assaporando il profumo delle nubi, che, avvolgendola come un manto, ne nascondeva la presenza agli ignari abitanti delle terre sottostanti. Le nuvole scure opponevano il minimo attrito e la quasi mancanza di vento rese il resto del volo ancora più piacevole.

    Ben presto i due si inoltrarono nel cuore del Regno della Nebbia Eterna, dove distinguere il giorno dalla notte divenne praticamente impossibile. Il viaggio volgeva ormai al termine. Ancora pochi giorni e il cammino si sarebbe concluso.

    In lontananza Obscuria scorse per prima il castello, dimora di qualche antica casata nobiliare, quando ancora la nebbia non dominava quei luoghi: se ne stava là, altezzoso rapace, dove lo aveva lasciato, quando circa cento inverni prima era partita assieme al suo compagno. I confini sfumati, la luna stagliata sullo sfondo, davano risalto a quel quadro sbiadito, così ben impresso nei suoi ricordi. Distingueva fumosi fili di luce dai riflessi indaco affacciarsi dai pertugi del maniero, segno inequivocabile che la magia teneva ancora vivo quel posto, ed ebbe un brivido di eccitazione: anelava a ricongiungersi con colui che, costretta dagli eventi, aveva dovuto abbandonare.

    Lord Irek percepiva la gioia della sua compagna e, sapendo di essere vicino, si interrogava su quale potesse essere l'aspetto di suo figlio, ora che cento inverni si frapponevano al loro ultimo incontro. Sicuramente lo avrebbe trovato invecchiato, diverso. Sorrise a quel pensiero: il ragazzo, come lui, una volta raggiunta l’età della maturità aveva indubbiamente smesso di invecchiare, grazie al potere della Pietra della Notte che gli aveva donato.

    Obscuria atterrò dinanzi all'antico portone e una zaffata di legno marcio li aggredì. Lord Irek accarezzò il muso della Nera Meraviglia, massaggiandone con cura ogni increspatura; gli occhi della creatura lampeggiarono di piacere, illuminandosi ed esaltando quel blu elettrico, il colore che lo aveva fatto innamorare di lei fin dal primo istante.

    Osservò il castello, così inospitale, ergersi nella Terra dei Kuzki a ridosso dei Monti del Non-Oltre, luogo in cui nessun essere umano avrebbe mai trovato la forza di inoltrarsi, un nascondiglio inaccessibile, occultato dalla nebbia e protetto dall'alone di paura che la superstizione aveva generato negli abitanti della Terra Rossa. La porta scricchiolò sotto la spinta della sua poderosa mano riparata da un guanto coperto di borchie acuminate e nel varcare la soglia fu investito dall’odore familiare degli incensi che, da sempre, suo figlio amava accendere. Percorse un corridoio privo di illuminazione e, in men che non si dica, si ritrovò al centro di un immenso salone, rischiarato da un intenso bagliore stellare, che lo obbligò a socchiudere gli occhi. Quando finalmente fu in grado di aprirli scorse il figlio: al centro di una pozza di luce, seduto su un trono di legno, circondato da cuscini del colore della notte, era avvolto in un mantello rosso cardinale, contro il quale la pelle lunare e i lunghi capelli corvini risaltavano vistosamente; teneva le mani protese innanzi a sé, circondando una sfera di potere, intento nell’esecuzione di un incantesimo. Le sue mani tremavano leggermente e Lord Irek poteva scorgere, sotto la sua pelle, le vene oscillare ad ogni movimento. Tutto attorno turbinavano lingue di fuoco, che, fondendosi con il chiarore delle torce, modellavano ombre sinuose ed ammalianti.

    D'un tratto, la magia cessò e Tyll spalancò gli occhi, lasciando l'uomo senza fiato, perso nell’incredibile bellezza di quello sguardo. Di un mozza fiatante color zaffiro, spiccava sulla pelle diafana come un solitario gioiello su un abito da sposa.

    - Padre - sussurrò meravigliato, mentre le braccia gli crollavano lungo i fianchi e il mantello lo avvolgeva come avesse vita propria.

    Lord Irek si sorprese di quanto assomigliasse a lui da giovane. La stessa pelle, i capelli nerissimi e quegli occhi, due pozzi di luce seducente che fiammeggiava, oscurando quella delle torce.

    - Padre - si limitò a ripetere Tyll, senza sapere cosa fare.

    - Temevo di non essere il benvenuto – rispose l'uomo in tono scostante, tentando di nascondere quanto avesse bramato quell’incontro.

    - Non pensatelo nemmeno. Il vostro ritorno mi riempie di gioia. -

    - La tua accoglienza suscita in me altri pensieri. -

    - Sapete che non è così. -

    Seguì un lungo silenzio.

    - Cento inverni sono abbastanza per dimenticare un padre. -

    - Nemmeno mille avrebbero potuto farmi dimenticare di voi. -

    Entrambi sapevano che quella era soltanto una commedia, un freddo scambio di battute per dirsi quanto in realtà si fossero mancati. La sola cosa che Lord Irek si aspettava da quell'incontro, del resto, era di poter rivedere il figlio ancora una volta.

    - Credevo che ci sarebbe stata almeno una tavola imbandita ad attendermi, dolci frutti da assaporare - lo stuzzicò.

    Gli occhi di Tyll si accesero.

    - Potrei sorprendevi. Potrei schioccare le dita e far preparare tutto ciò che desiderate; ma dubito che dell’agnello arrosto e del buon vino speziato sazierebbero il vostro appetito e la vostra sete. Nulla servirebbe a placare la vostra fame. -

    Il suo volto si scurì: - I vostri capelli, li avete tagliati - mormorò alzando una mano, quasi volesse a toccarli - E... la vostra barba. -

    Istintivamente il padre si portò una mano al volto, solleticandosi la barba che durante il viaggio aveva lasciato crescere selvaggiamente e i capelli che sfioravano a malapena il mento.

    - E’ stato necessario - ribadì laconico.

    Il tono grave col quale rispose manifestava tutta la fatica e la sofferenza che aveva dovuto affrontare. Colmo di quella nuova consapevolezza, Tyll annullò la distanza tra loro e abbracciò Lord Irek, rimanendo a lungo in silenzio ad assaporare il calore della stretta. Ora capiva: niente era stato facile e niente lo sarebbe stato, ma il loro legame rimaneva solido come quello di un tempo.

    - Ho un dono per voi, padre - annunciò, mentre gli occhi scintillavano felini sotto la luce delle torce magiche. Ombre oltremare danzavano attorno a loro.

    Lord Irek schioccò la lingua, desideroso di sapere cosa potesse entusiasmare tanto il figlio.

    - Sapevo che stavate per arrivare, lo sentivo. Ho percepito la vostra presenza fin da quando avete varcato i confini della Terra Rossa, su a Nortengaar. E ho capito che i tempi erano maturi – ghignò, soddisfatto.

    Lord Irek si morse la lingua: non aveva avuto il minimo sentore di essere osservato. I poteri di suo figlio erano decisamente aumentati, mentre i suoi … stava invecchiando. Quel viaggio lo aveva incanutito; se ne era reso conto affacciandosi su uno specchio d’acqua al rientro nella Terra Rossa. Qualche ruga che non ricordava scavava ora il suo volto e gli occhi, stanchi e bordati di occhiaie, erano molto diversi da quelli di Tyll, che adesso lo ammirava pieno di orgoglio.

    - La forza della vostra magia, nel momento in cui avete penetrato la barriera della Terra Rossa, ha rischiarato il cielo. -

    Lord Irek sapeva che parlava di una luce metaforica, la stessa che accompagnava ogni incantesimo, e si sorprese a chiedersi se non fosse stato forse poco prudente, se qualcuno di sufficientemente potente nella Terra Rossa avesse potuto vederlo, intercettarlo.

    Quasi che avesse percepito il suo stato d’animo Tyll si affrettò a rassicurarlo:

    - Non temete padre; nessuno tranne me può avervi visto. Nessuno, ne sono certo. La magia, in questa Terra, è ormai materia per pochi. Nell’ultimo secolo una meravigliosa caccia alle streghe ha intrattenuto questi sciocchi umani. -

    Fu allora che Lord Irek lesse negli occhi del figlio una determinazione e una convinzione tali da spaventarlo e comprese: il potere della Pietra della Notte si era oramai quasi completamente trasferito da lui a suo figlio.

    - Non credevo di aver fatto un tal frastuono nel riemergere delle Terre Oscure - ironizzò, spostandosi sotto la luce di una torcia, sfiorandone le fiamme con le punte delle dita.

    Lord Tyll non rispose, limitandosi a drappeggiare indolente il mantello sulle spalle.

    - Hai parlato di un dono - gli ricordò Irek, conscio che se non avesse dimostrata tutta la sua curiosità, quello sarebbe rimasto lì per tutta la notte, senza mai rivelargli nulla; se immortali, talvolta, si tende a perdere la cognizione del tempo, tutto rallenta e ci si può permettere il lusso di fermarsi a pensare e giocare col ticchettio dell’orologio.

    Lord Tyll mostrò una fila di denti perfettamente bianchi.

    - E’ un dono inaspettato per voi, qualcosa di intangibile, ma estremamente … utile - spiegò. - Sono riuscito a trovare il portatore della Pietra di Luce, adesso è sotto il mio controllo. E presto subirà lo stesso destino anche il portatore della Pietra di Sangue. Non sarà difficile condurre il gioco una volta che entrambi saranno alla mia mercé. -

    Il cuore di Lord Irek ebbe un sussulto. Possibile che Tyll fosse riuscito in un’impresa tanto ardua? Quale sconfinato limite aveva oltrepassato il suo potere? Era stato capace di scovare un Demone Dormiente, obiettivo che a lui era sempre sfuggito. Un tempo l’irritazione sarebbe stata padrona del suo cuore, mentre ora svaniva, spazzata via da una ventata di ammirazione. Lord Tyll si mosse, lasciando scivolare il mantello a terra quasi fosse liquido, mentre i capelli, lunghi fino alle caviglie, danzavano flessuosi attorno al suo corpo. Il volto di Lord Irek si contrasse in una smorfia allorquando il suo sguardo incrociò la lunga cicatrice che solcava il corpo del figlio, la stessa che lui, tanti anni prima, gli aveva inflitto nel tentativo di togliergli la vita, per non condannarlo alla sua medesima sorte.

    - Perdonatemi, indosserò subito una camicia, come desiderate - disse Tyll voltandosi. Da anni non ne indossava; la sensazione del vento sul petto lo faceva sentire così libero che aveva imparato a fare a meno di quello scomodo indumento. Tuttavia vedere quell’espressione dolente sul volto del padre gli causò una fitta al petto.

    - Tyll - lo interruppe Lord Irek prima che iniziasse a muoversi. - Non ha più importanza ormai. Lascia che io guardi, che ricordi, che affronti la verità. -

    Incredulo, il ragazzo ubbidì, osservando con aria di inaspettata meraviglia il padre cercare con lo sguardo la cicatrice, tendere una mano verso di essa, percorrendone tutta la superficie, disegnando con le dita un minuscolo circolo alle due estremità. Riflessi di luce e ombre danzavano sul petto nudo. I due si scambiarono un’occhiata d’intesa; era tempo di dimenticare, un radioso futuro li attendeva.

    Apocalypto, il drago nero di Lord Tyll, figlio di Obscuria, si fece avanti, schivando le colonne della sala. Aveva raggiunto la grandezza massima, la sua apertura d’ali superava di molto quella della madre, per non parlare della zampe, molto più larghe e affollate di irte punte. Lord Tyll gli accarezzò il muso, mentre l'animale, sbuffava getti di aria calda alla volta di Lord Irek, lieto di rivederlo.

    - Va, Obscuria ti attende - sussurrò Lord Tyll. Il drago spalancò le fauci ed emise un suono gutturale, manifestando ai due uomini la propria riconoscenza. Poi indietreggiò agilmente di qualche passo e spiccò il volo.

    Adesso fu il tempo di Lord Tyll di attendere risposte.

    - Ditemi padre, come è andata la vostra missione? Ho atteso a lungo il vostro ritorno, con l’angoscia che mi attanagliava le viscere giorno dopo giorno. -

    L'uomo allargò la bocca in un ampio sorriso sfilando da sotto il mantello una sacca. Il tempo sembrò fermarsi. Mai in vita sua Lord Tyll aveva veduto qualcosa di simile: il colore della sacca mutava in continuazione, un rincorrersi di toni dal ceruleo all’oltremare, dal cobalto al turchese; un fantastico quadro in movimento, che ricordava il mare d’inverno.

    Cosa può essere? si chiese perplesso, convinto com'era che fosse altro ciò che il padre gli avrebbe mostrato.

    - E’ una sacca donatami dagli Spiriti dei Mari, - spiegò Lord Irek, senza attendere le domande del figlio - affinché dalle Terre Oscure potessi portare questi oggetti fino a qui. -

    Senza indugiare oltre, ne estrasse uno: un pugnale con la lama di puro fuoco, le cui spire serpeggiavano inseguendosi. L'impugnatura, un meraviglioso quadro di rune intrecciate e sovrapposte, mostrava un mistico disegno, da cui emanava un calore misterioso.

    - Il Pugnale di Fuoco - trasecolò Lord Tyll, allungando una mano a sfiorare la fiamma, mentre un'energia intensa e inaspettatamente potente attraversava il suo corpo - Quale meraviglia! -

    Trattenendo il fiato per l'emozione, l’uomo estraesse allora il secondo oggetto dalla sacca: una coppa, abbastanza grande da dover essere tenuta con due mani, interamente fatta di ghiaccio, pietre violacee a delinearne il bordo superiore. Come per incanto l'aria si fece gelida tutt'intorno.

    - La Coppa di Ghiaccio Eterno - spiegò.

    Padre e figlio si guardarono mentre una scintilla rosso fuoco dardeggiava nel blu zaffiro dei loro occhi, così simili. Due risate liberatorie si levarono alte, echeggiando tra le mura del castello. La vendetta nei confronti della Terra Rossa e di tutti i suoi abitanti si sarebbe presto compiuta. Una nuova Era stava per avere inizio.

    1

    Una tiepida alba di primavera, sgranchendosi indolentemente le gambe, diffondeva nell’aria un delicato profumo di fiori e un senso di pacifico benessere, di rinnovata armonia, dopo il passaggio del rigido inverno. Un timido sole, guardiano dei cieli diurni, aveva da poco fatto capolino da dietro i monti, accarezzando con le sue affusolate dita infuocate le cime imbiancate. In quella stagione le vette delle montagne ricordavano le teste degli anziani, coperte da un manto soffice e candido che, inesorabilmente, cedeva spazio alla rocciosa pelle. I ghiacci avevano cominciato a sciogliersi, liberando le loro acque azzurro cristalline in torrenti impetuosi che sembravano galoppare impazziti lungo le rughe della terra, cercando di accarezzare e sfiorare quanti più posti possibili, come le dita di un cieco sul volto di uno sconosciuto. Quelle acque, nel loro tortuoso viaggio, visitando paesi, villaggi, cittadine, serpeggiando tra luoghi incontaminati, giungevano infine nel Mare degli Dei; raramente sembravano trovar pace in qualche valle, plasmando laghetti, oasi sulle quali sponde pullulavano animaletti di ogni specie, desiderosi di rifocillarsi dopo una lunga nottata di caccia e dove creature diurne assaporavano un pacato risveglio. E proprio su quelle rive, per un magico palpito, il cerbiatto smetteva di essere preda e il lupo cacciatore per divenire un'unica creatura che ammirava ogni mattino, con rinnovato stupore, l’immobilità di quell’istante perfetto. Poi la vita riprendeva il suo corso, il lupo tornava a cacciare per sfamare i cuccioli e il cerbiatto a scappare per saziare il desiderio di vivere. L’effluvio dei fiori, a volte dolce, a volte selvatico, con un tocco di muschio, o un’essenza di pino, dotato delle più sorprendenti venature e tonalità di odore si espandeva nell’aria. Il torpore che dominava le gelide fugaci giornate invernali si svincolava dalla terra, dai muri delle case, dai campi, nascondendosi in un luogo remoto, indefinito. Il grigio inverno, il cielo perennemente offuscato da un velo bianco neve, l’odore della legna arsa nei camini delle case, sembravano ormai essere solo ricordi sbiaditi.

    Era in una stretta e pacifica valle nella Terra Rossa, situata nella Contea di Tarion a ridosso del Regno di Guibinea, che sorgeva il villaggio di Keryren, con i suoi pochi abitanti e le modeste ma accoglienti case costruite con pietra e legno. Il Tarion, il monte più alto della Terra Rossa, talmente elevato che nessuno, si diceva, fosse mai riuscito a raggiungerne le vette ultime, si ergeva solenne sopra tutto, come un guardiano severo scrutando fiero la Terra Rossa. Alcune vecchie leggende narravano che tale monte non avesse una cima ma che, su in alto, oltre le creste e gli aspri picchi, vi fosse la dimora degli Dei e che la sua scalata conducesse alla morte. Candide nevi perenni imbandivano la sua schiena, nell’arroganza di non sciogliersi sotto il sole e il monte Tarion, per molti, era divenuto luogo di mistero e terrore: numerose belve selvatiche e piante rare, quanto letali, dimoravano indisturbate le sue alture. Tutto intorno una muraglia di monti più bassi formavano una corona irregolare di protezione al Tarion stesso, quasi che volessero impedire a chiunque di avvicinarsi al gigante dormiente. E proprio questo insieme di dentellati monti e valli costituiva la Contea di Tarion, la Contea delle Montagne.

    Keryren era un villaggio come tanti, il principale luogo di ritrovo era la piazza, dove si affacciava l’unica chiesa, centro di culto e di pettegolezzi. Tutto intorno si snodavano polverose vie sulle quali si stagliavano vecchie case, qualche bottega di fabbri ed artigiani, un sarto e perfino un paio d’osterie. Verso la periferia del villaggio s’incontravano invece solo abitazioni, alcune dotate di porticati, altre di ampi giardini, tutte corredate di orto, dove si intravedevano piante da frutto e ortaggi di stagione. Due sole strade permettevano l’accesso al villaggio, una a norten e una a solen, dove, anni addietro, qualcuno si era preso la briga di piantare delle insegne di legno, ormai rese marce e logore dalle intemperie, che riportavano la scritta Keryren . A solen del villaggio la vallata si ampliava per offrire un generoso spazio ai campi, che i contadini zelanti coltivavano. A norten il bosco aveva la meglio sul paesaggio ed era tra quegli alberi e quelle selvagge salite che gli abitanti del villaggio andavano a rifornirsi di carne e pellame.

    A Keryren le stagioni, anno dopo anno ciclicamente, riproponevano lo stesso spettacolo, che tuttavia ogni volta sorprendeva per la sua inimmaginabile bellezza: l’estate, dama floreale con il suo alito caldo e occhi giallo oro, come il colore del grano; l’autunno, distinto signore nel suo cappotto color biscotto, con le svenevoli foglie e le deliziose castagne. L’inverno, seducente uomo dal mantello ghiacciato; la primavera, ballerina aggraziata e snella, con le sue fontane di colori e profumi.

    Ed era a Keryren che, in una delle case più periferiche, circondata da una staccionata e da alcuni alberi di pesco, filtrando da una finestra un raggio di sole andò ad accarezzare il viso paffuto di una quindicenne. I suoi occhi verde smeraldo, si socchiusero, costringendola a scostare con una mano una ciocca di capelli rame ricaduta sul viso. Inspirò fino a quando le narici le si riempirono completamente del fragrante e appetitoso profumo del pane appena sfornato. Un sorriso spontaneo affiorò sulle sue labbra ciliegia fino a quando il pavimento, duro e freddo, si sostituì al morbido e confortante calore delle coperte e una voce allegra scalzò gli ultimi residui dei suoi sogni:

    - Alzati Eyka, lo so che sei sveglia. -

    Eyka si limitò a rispondere con un grugnito sommesso, borbottando frasi sconnesse. La risata divertita di suo fratello, Elden, riuscito ancora una volta a buttarla giù dal letto e il rumore dei passi frenetici giù per le scale, la riportarono di colpo alla realtà.

    Al mattino, solitamente, si sentiva allegra e spensierata ed era il momento della giornata che la giovane fanciulla preferiva per lasciare libera la mente di esplorare le sue fantasie; invece quel giorno tutto era diverso: l’ansia e un senso di disastro imminente la raggiunsero in un baleno e lei provò l’irrefrenabile impulso di rimettersi a dormire e fare finta che quella giornata non fosse mai sopraggiunta.

    Rumori di scodelle salirono birichini dalla cucina, la colazione doveva essere quasi pronta, pensò, stropicciandosi gli occhi. Si mise svogliatamente in piedi, sbrogliandosi la coperta di dosso, e si vestì distrattamente. Contemplò nello specchio dagli angoli sbeccati il suo riflesso: i fianchi poco pronunciati, il seno inesistente e le gote paffute le conferivano ancora l’aspetto di una bambina e si ritrovò per l’ennesima volta a domandarsi se sarebbe mai cresciuta.

    Un’ondata di panico la avvolse, contrariandola, quando, uscendo dalla stanza da letto, il cigolio dei cardini della porta la salutò come ogni mattina. Solo che quella non era una mattina qualunque, era la mattina che per lune intere aveva pregato non arrivasse mai. Quello era il giorno in cui Elden sarebbe partito per affrontare la selezione per divenire un Cavaliere di Drago.

    La selezione per entrare a far parte dell’Ordine dei Cavalieri di Drago era un momento delicato che coinvolgeva tutti i Regni e le Contee della Terra Rossa: ogni cinque anni attirava centinaia di uomini sotto i quarantacinque inverni di età che affrontavano delle estenuanti, quanto segrete prove, al termine delle quali a due di essi veniva concessa la possibilità di entrare a far parte dell’Ordine.

    In cuor suo Eyka anelava ardentemente veder realizzato quel sogno per cui fin da piccolo il fratello si era allenato duramente, spesso rinunciando a condurre una vita normale come i suoi coetanei. Ciononostante avevano trascorso talmente tanti bei momenti insieme che le sembrava quasi impossibile che ci fosse la possibilità di non vedere il fratello per tanti anni, se non addirittura per sempre.

    Varcò la soglia della cucina e venne accolta da un gradevole tepore. Suo padre e suo fratello erano già seduti a tavola, intenti a mangiare pane e marmellata.

    - Buongiorno - mormorò ostentando imperturbabilità, baciando sulla guancia i genitori e il fratello. Già sentiva un nodo alla gola e un amarulento sapore in bocca distoglierla da lieti pensieri. Elden le rivolse un sorriso entusiasta, continuando a trangugiare la colazione, come se nulla fosse. Era così bello vederlo gaio e lei gli sorrise di ricambio, tentando di nascondere la propria infelicità. L’ultima cosa che voleva era che lui la vedesse piangere ma nonostante si sforzasse di indossare una maschera di indifferenza e celare i suoi veri sentimenti, quella mattina non riuscì a mangiare molto. Il suo mondo stava per cambiare radicalmente.

    Suo padre Vyil stette, inusualmente, durante tutto il pasto in silenzio; di solito era un gran chiacchierone, amava raccontare storie e intrattenere chiunque si fosse ritrovato ad ascoltarlo. Il suo sorriso e gli occhi azzurro fiordaliso sarebbero stati in grado di sciogliere la più gelida delle anime con il contagioso buon umore. Quella mattina invece era taciturno, gli stivali inzaccherati di terra visto che per lui la giornata era già cominciata al sopraggiungere della prima luce diurna nell’orto. Indossava una vecchia camicia logora a scacchi, le maniche arrotolate intorno ai gomiti lasciavano scoperti gli avambracci abbronzati, muscolosi e ricoperti di una sottile peluria bionda, come i capelli che portava legati in una coda che gli arrivava sotto le spalle. Anni di duro lavoro avevano reso i muscoli di quell’uomo assai resistenti e guizzanti, ma ormai anche per lui l’età iniziava a farsi sentire e qualche ruga scalfiva la sua pelle.

    La madre, Meridia, non faceva mai colazione con loro poiché a quell’ora era sempre intenta a sfornare gli ultimi tozzi di pane, che poi avrebbe rivenduto nella piazza centrale del villaggio. Era sempre stata una donna molto introversa e taciturna, non amava parlare, lo faceva solo se costretta, perennemente immersa in un mondo tutto suo, in grado di vedere cose che nessuno di loro era in grado di cogliere. Al villaggio era molto ben voluta, ma solamente perché il suo pane aveva un sapore squisito, croccante e salato al punto giusto. Il migliore di tutta la Contea di Tarion. Aveva la carnagione molto chiara e i capelli, setosi boccoli mogano che parevano dipinti, per contrasto, apparivano scurissimi; era solo un paio di anni più giovane del marito, ma il tempo per lei sembrava essersi fermato molto prima. Aveva l’abitudine di bere un intruglio maleodorante di erbe che giurava essere tanto gustoso quanto nutriente e che riteneva prevenisse l’invecchiamento. Eyka, come il resto della famiglia, sapeva che la madre nascondeva un importante segreto: era una maga

    Eyka scrutò con malinconia i propri familiari, riuniti nell’accogliente cucina, interpellandosi se quella sarebbe stata l’ultima colazione che avrebbero consumato tutti assieme, seduti attorno a quel tavolino.

    2

    Eyka ed Elden erano entrambi nati a Keryren, lui diciassette anni prima, lei due anni più tardi. Profondamente legati fin dalla nascita della secondogenita, si erano sempre protetti a vicenda e nonostante stessero crescendo, l’affetto che li univa non accennava a scemare.

    Elden aveva i tratti tipici degli uomini della Contea di Tarion ed era considerato il ragazzo più bello dalle compaesane: i capelli biondo oro, come quelli del padre, tenuti sempre raccolti in una coda di cavallo, oscillavano morbidi sulla schiena sfiorandogli le natiche. Aveva gli occhi dello stesso colore del padre, l’iride nera che sfumava in un azzurro fiordaliso, con delle venature ghiaccio. Quegli occhi erano estremamente gentili e simpatici, specchio della sua anima. Nel villaggio era ben voluto da tutti e le ragazze facevano la fila per essere testimoni di un suo sorriso. Eyka, occhi smeraldo e capelli ramati, tratti atipici per la Contea di Tarion, rammentava di aver avuto fin da sempre, accanto a sé, la presenza amorevole e protettiva del fratello maggiore, pronto ad aiutarla e incoraggiarla nei momenti più difficili.

    Abituati ad alzarsi alla buon ora la mattina, dopo una luculliana colazione a base di pane caldo o focacce con marmellata, uova e salsicce arrostite, Eyka aiutava la madre a portare il pane nella piazza del paese, dove veniva venduto in cambio di qualche moneta; Elden invece si dedicava ad attività più faticose come aiutare il padre in piccole opere di riparazione della casa, coltivare la striscia di terreno che donava alla famiglia ortaggi e frutti o recarsi a caccia. Il pomeriggio la famiglia si riuniva nel cortile e iniziava la parte più impegnativa della giornata, la più emozionante per i due giovani: l’addestramento di Elden di preparazione alla selezione per entrare nell’Ordine dei Cavalieri di Drago, al quale partecipava anche Eyka, in veste di aiutante. Il padre li istruiva principalmente nell’arte della spada, ma anche ad usare l’arco, i pugnali da lancio e la lotta corpo a corpo, la preferita di Eyka. Era un gran maestro, leale e retto; gli rammentava durante ogni scontro quanto fosse importante non perdere mai di vista il concetto che dinanzi ai propri occhi vi fosse una persona, proprio come loro, con delle speranze, dei sogni; uccidere qualcuno durante un combattimento non doveva essere motivo di orgoglio, ma l’unica via per salvarsi la vita.

    La fanciulla adorava quei pomeriggi: le piaceva allenarsi, maneggiare la spada come un ragazzo. La mandava in fibrillazione quella sensazione di forza che le infondeva l’addestramento, l’adrenalina che il combattere le elargiva la faceva sentire invincibile.

    Eyka ed Elden passavano interi pomeriggi impegnati a confrontarsi con le spade di legno che il padre aveva intagliato per loro. Vyil li guidava, gli insegnava le mosse facendogliele ripetere all’infinito, correggendoli severamente ogni qualvolta commettevano un errore o una mossa avventata, soprattutto Elden, a cui riservava ragguardevoli attenzioni e contro il quale duellava lui stesso. Il biondo aveva acquisito un‘ottima padronanza nell’uso della spada e da poco il padre gliene aveva regalata una vera, fatta forgiare appositamente per lui. Ad Eyka non era permesso toccarla.

    Meridia invece insegnava ad entrambi le arti magiche, impartendo lezioni finalizzate a fargli apprendere le basi per eseguire incantesimi, inizialmente semplici, come inviare messaggi su pergamene o accendere un fuoco; con il passare del tempo iniziò a dedicare la sua attenzione a sortilegi più complessi, che richiedevano molta concentrazione e dispendio di energie. Ad Eyka ed Elden era sempre stato proibito parlare o tanto meno provare ad usare la magia al di fuori delle mura domestiche, essendo da molti anni ormai, non più vista di buon occhio dalla popolazione della Terra Rossa e resa una pratica illegale. Troppe nefandezze erano accadute a causa della scelleratezza nell’uso di antiche formule proibite. L’odore della morte si era annidato in ogni anfratto, rivoltando perfino i defunti nelle loro tombe e facendo riemergere gli incubi più spaventosi dalle viscere della terra. La magia era stata dunque proibita, in qualsiasi sua forma da ormai quasi cento inverni, pena, per chi fosse stato sorpreso a praticarla, la morte. Talvolta capitava che la madre tirasse fuori dagli scaffali della piccolissima libreria che avevano in casa qualche vecchio e polveroso libro di geografia, matematica, storia e delle più svariate discipline. Ogni occasione per la donna appariva buona per sottolineare l’importanza che avesse una buona cultura personale, qualunque fosse il mestiere o il destino ad ognuno riservato. Malgrado i numerosi argomenti toccati dai libri, Eyka si riscopriva ogni volta affascinata dalle mappe geografiche: si divertiva con le dita a scorrere i confini delle terre e immaginare, chiedendosi come fossero, le persone che popolavano i paesi lontani dal suo.

    Negli ultimi tempi, quelli che avevano preceduto la partenza di Elden, il pomeriggio Eyka rimaneva soventemente in casa con la madre o andava in giro a scuriosare per il paese mentre il padre e il fratello si esercitavano in estenuanti ed entusiasmanti duelli, ai quali a lei non era permesso assistere. Gli allenamenti, al contrario delle lezioni di magia, non erano un segreto, anzi, motivo di grande orgoglio nella vita di paese, testimonianza che un giorno Elden avrebbe partecipato alla selezione per diventare un Cavaliere di Drago, guardiano e protettore della Terra Rossa.

    Alle volte capitava che Gaur e suo fratello minore Torvash si unissero a loro nell’allenamento. Gaur era un anno più grande confronto ad Elden, Torvash sedicenne; entrambi erano stati costretti fin da piccolissimi dal padre, lo Jarl del Villaggio, l’uomo più crudele di tutta la Contea, ad allenarsi per prepararsi alla selezione. Gaur ne andava fiero, si esercitava ogni giorno con minuziosa diligenza, inseguendo il sogno di cavalcare un drago al contrario del minore che non aspirava affatto a diventare un Cavaliere.

    Durante estate Eyka, Elden, Torvash e Gaur si divertivano ad andare al laghetto per gustare qualche pesce arrostito che riuscivano, prima goffamente, poi sempre più abilmente, a pescare; dopo essersi abbuffati passavano le ore a confidarsi i loro piccoli segreti, a schizzarsi, prendersi in giro e farsi i dispetti più impensati. Per Eyka quelli erano i momenti più fantastici dell’anno: poteva godere della compagnia del suo migliore ed inseparabile amico Torvash e soprattutto di Gaur; in quei rari attimi in cui lui sembrava accorgersi della sua presenza.

    Nel periodo precedente la partenza, Elden e Gaur presero l’abitudine di uscire sempre più spesso da soli, senza coinvolgere Eyka o Torvash; era evidente che stavano crescendo e tanto più si avvicinava il momento delle selezione tanto più i due sembravano maturare. Eyka sentiva il fratello rincasare tardi la sera e alle volte lo udiva ridere e scherzare con gli amici fino a notte inoltrata. Per lei era strano, era come se lui stesse cambiando a vista d’occhio mentre lei, statica, rimaneva piccola. Era frustante, ma nel medesimo tempo cercava di non dare a vedere troppo ad Elden questo suo turbamento d’animo, speranzosa che un giorno tutto sarebbe tornato alla normalità. Per fortuna c’era Torvash al suo fianco: si era sempre sentita molto legata a quel ragazzo che la natura aveva dotato di un corpo da combattente rude ma di un’anima di farfalla dalle fragili e delicate ali. Lui era alto, quasi quanto Gaur, di corporatura robusta, la carnagione scura e boccoli di capelli castani adornavano le sue muscolose spalle. Pareva che un loro bisnonno avesse sposato una donna del Regno di Aur, motivo per il quale entrambi non erano biondi con occhi azzurri, come buona parte degli abitanti della Contea. Il dettaglio che, da sempre, aveva colpito Eyka era la profondità del suo sguardo: gli occhi nocciola erano due pozzi che nascondevano un mondo fatto di tanta dolcezza, ma anche infinita amarezza e incomprensione. Torvash odiava andare a caccia e avrebbe tanto voluto fare a meno di mangiare carne ottenuta con la morte di creature innocenti; preferiva dedicarsi anima e corpo alla scrittura di poesie. Coglieva in ogni creatura una bellezza che sfuggiva alle altre persone, i suoi occhi si andavano a poggiare oltre le apparenze, era come se riuscisse a vedere l’essenza, l’anima di piante ed animali, ne percepiva la vitalità.

    Quando il padre

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1