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La radice del rubino
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E-book426 pagine5 ore

La radice del rubino

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Info su questo ebook

Euno è l'unico che può salvare le Città Millenarie dall'ascesa del regno di Petreia, ma di lui si è persa ogni traccia da diciotto anni per volere di suo padre, il re dell'Ovest, che ha deciso di allontanarlo ancora bambino dalla sua terra. Servirà un uomo fidato per riportarlo a casa, attraverso una foresta senza luce, da Pentapoli l'operosa ad Alchemia la ricca, mentre il nemico è già sulle sue tracce. Quest'uomo è Manfredi, cacciatore di taglie costretto ogni notte a lottare contro una terribile maledizione, che controvoglia conduce con sé Duccio ed Eco, rispettivamente quasimastro e mezzamaga, il tenero micrandro Cino, la battagliera Tamiri e i gemelli Filostrato e Filocolo, che condividono ben più di quanto vorrebbero. E così le vicende di perfetti estranei si trovano legate dai fili invisibili di una profezia e minacciate dai passi silenziosi di un traditore misterioso, in un mondo in cui un rubino ha meno valore della sua radice impura.
LinguaItaliano
Data di uscita21 apr 2014
ISBN9788898585113
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    Anteprima del libro

    La radice del rubino - Gloria Scaioli

    Gloria Scaioli

    La radice del rubino

    Euno è un rubino senza imperfezioni. Per questo il mondo lo ha rifiutato, perché tutti noi, noi con le nostre impurità, le nostre meschine trame, la nostra opacità d’animo, noi che siamo fatti della radice del rubino, non possiamo accettare la luce che emana il culmine della pietra, la sua vetta di perfezione limpida.

    (Dal diario della nutrice)

    Prologo

    Non c’era una via di mezzo, le scelte erano due; la giusta e la sbagliata. Eupatro si chiese come mai fosse così difficile distinguere l’una dall’altra. Colei che vedeva i fili aveva pronunciato la profezia e aveva evidenziato il futuro; il figlio avrebbe annientato l’esercito del padre. Un figlio di cui lui era il padre. Il mondo di un giovane re era caduto il giorno della profezia, senza che neppure una pietra delle solide mura del suo regno fosse scalfita dalla mano decisa di un nemico, senza che uno solo dei suoi soldati assaporasse il gusto amaro di una sconfitta sul campo. Da quel giorno Eupatro avrebbe calcato i numerosi sentieri del mondo, sentendosi solo un’ombra senza importanza, accompagnato dal grave peso della sua scelta. Oppure il tempo avrebbe sanato la ferita e la sua vita inglobato il dolore, relegandolo a una piccola cicatrice in fondo all’anima; poco più del ricordo di un sogno. L’atto sarebbe rimasto mero gesto, svincolato da chi lo aveva compiuto, come un fardello pesante, da trascinare con una corda sempre più lunga, finché il contenuto lontano non fosse dimenticato.

    I sentimenti si accalcavano sui fatti, offuscavano la visione dell’insieme, tentavano di rimandare la scelta di una delle opzioni che continuavano a essere due. Euno, suo figlio, poteva vivere oppure doveva morire. Una delle due scelte era giusta, l’altra sbagliata e in mezzo stava lui, Eupatro, colui che avrebbe deciso.

    Sosigene il mago entrò nella stanza. Era più vecchio del re ed Eupatro aveva sperato in un suo consiglio salvifico che lo sollevasse dalla necessità di scelta. Ma Sosigene non consigliava. Insinuava, tesseva trame, muoveva pedine, ma era difficile capire cosa fosse reale frutto di riflessione e cosa abile menzogna.

    Aspettano voi disse. Lui non aveva rammarichi, nessun rimorso, solo la lucida attenzione al proprio tornaconto. Tipico dei maghi. Eppure era tradizione che i Re dell’Ovest fossero affiancati da un mago e, ogni volta che gli interessi del consigliere erano stati coincidenti con quelli del regno, il sodalizio era stato fruttuoso.

    Eupatro si mosse dall’angolo in cui aveva cercato il conforto del buio. Stava per imboccare la terza via, quella rischiosa, quella che avrebbe trasformato i restanti anni della sua vita in una continua, martellante domanda. Come la spada del Damocle del mito, Euno sarebbe stato il suo rischio, il suo azzardo, la vita preservata che poteva causare la rovina di tutto il resto.

    Il Re seguì il mago senza rispondergli. Sosigene non chiese nulla, non dava affetto, né fiducia e non ne aspettava in cambio. Lui, nella stessa situazione, non avrebbe esitato e avrebbe ucciso il figlio. Chi aveva impiegato lunghi anni per impossessarsi della Disciplina che controlla la magia considerava se stesso troppo importante e prezioso per mettersi in pericolo.

    Eupatro discese le scale della torre. Nonostante le grandi pietre con cui era costruita, spifferi impertinenti soffiavano all’interno risatine gelide. Nessuna torre è senza spiragli e il re sentiva quelle punture fredde trapassare anche il suo corpo e arrivare a pungergli l’animo.

    Alla base c’erano tre persone, tre sagome diverse, tre parti della vita di Eupatro che si sarebbero sbriciolate quella sera. La terza soluzione.

    Il re si fermò prima dell’ultima rampa di scale, così da restare più in alto del gruppo. Il mago capì l’intenzione e una smorfia che forse intendeva essere un sorriso di scherno gli comparve sulle linee della faccia.

    Le tre sagome erano in partenza, avrebbero presto montato due cavalli impazienti nella sera che sopraggiungeva. I viveri sulla terza bestia indicavano che il viaggio sarebbe stato molto lungo e di sola andata.

    Menenio ha perso un figlio, sai? disse Eupatro, di sfuggita.

    Che distratto rispose il mago.

    Il re lo guardò senza allegria.

    È la scelta sbagliata disse poi, distogliendo nuovamente lo sguardo.

    Certo che è la scelta sbagliata. Sono tutte ugualmente sbagliate e tutte ugualmente giuste

    Sai che non è vero

    Il principe partiva, condotto lontano, ai confini del mondo conosciuto. Là esisteva una prigione, dentro uno spazio governato dalla magia, una torre lontana, residuo di un’epoca remota, un tempo in cui i Quattro Regni erano potenti e i maghi li rispettavano, un tempo prima dell’egemonia federale delle Città Millenarie.

    L’uomo che si chiamava Menenio stava preparando i cavalli, controllava ancora una volta che i finimenti fossero sicuri; era solo un modo per ritardare la partenza. Ma ormai la decisione era presa. Si volse e piantò il suo sguardo di soldato negli occhi del re, che ebbe un fremito, ma resistette alla tentazione di ritrarsi, dall’alto della sua posizione di favore. La donna attirò la sua attenzione. Era anziana, era stata la balia di Eupatro e si era occupata del figlio di lui, Euno, fin dal giorno della sua nascita. Non alzava lo sguardo verso il re, ma non per biasimo, soltanto non voleva fissare il suo volto, per lei così dolcemente familiare, in un istante che, sapeva, sarebbe stato l’ultimo. Preferiva affidare le fattezze del re al ricordo di tempi migliori, perché da lì in avanti la sua vita sarebbe stata misera.

    La donna abbracciò quel bambino non suo che aveva sempre amato e rispettato, ma che ora la condannava a seguirlo in un triste destino. Lo issò sul cavallo. Il principe Euno cercò un equilibrio sul dorso dell’animale paziente. Dove andiamo, Menenio? chiese all’uomo.

    Lontano, principe, ma non dovete preoccuparvi, noi saremo con voi

    Capisco. Euno aveva capelli del biondo vivido della luna nelle notti più scure. Quando era nato, il colore era marcatamente castano, ma poi, lungo il corso dei suoi cinque anni, il tono era scivolato via, scolorendo senza sbiadire.

    Menenio si preoccupò ancora una volta dei finimenti e la voce di Euno gli giunse come lontana nel tempo e nello spazio: non tornerò più, vero?

    Il soldato non seppe cosa rispondere.

    La regina sola dovrà sapere disse piano Eupatro a Sosigene, per tutti oggi il principe è caduto in un crepaccio.

    Siete ancora in tempo perché questa affermazione si avveri.

    Eupatro rimase qualche istante in silenzio.

    Non preoccuparti, Menenio riprese Euno prometto di non lamentarmi durante il viaggio gli dedicò un sorriso e l’uomo pensò a suo figlio, che riposava in eterno, le spoglie lievi sotto un lieve soffio di terra.

    I cavalli si incamminarono, con il loro carico umano e tutto il sottinteso invisibile sulle spalle possenti. Eupatro li accompagnò con lo sguardo finché gli fu possibile.

    Ti dono la speranza, figlio mio, possa seguire il tuo corteo e stabilirsi presso di te, perché da questo mio cuore oggi essa parte, per non farvi mai più ritorno.

    Capitolo primo

    Dove tutto comincia

    Si racconta che un tempo sulla terra ci fossero solo pochi uomini e che essi fossero eroi. Nessuno sapeva da dove venissero, ma l’epoca in cui vivevano veniva chiamata inizio di tutto, perché non c’era essere vivente che ricordasse cosa ci fosse prima. Il tutto era cresciuto negli anni ed era diventato, da giovane germoglio, la Grande Federazione, ma, come in ogni situazione, la crescita aveva richiesto sacrifici, vittime, dolore.

    Gli eroi partirono in varie direzioni a piccoli gruppi, radunati sotto la guida di un capo valoroso iniziò a raccontare il magister al gruppo di giovani allievi del suo paese, che viveva della gloria riflessa della grande capitale Pentapoli avevano camminato, faticato e sofferto e alcuni si erano persi, inghiottiti dalle insidie del mondo. Altri, invece, erano stati assistiti e benedetti dal destino e da Dio ed erano arrivati in un luogo accogliente che avevano iniziato a chiamare accampamento e avevano finto per chiamare casa. I germogli erano cresciuti e l’operoso lavoro dei nuclei trasformò le case in città: oggi sono conosciute come Città Millenarie". Pentapoli la ricca, Alchemia la preziosa, Megalopoli, che morì e rinacque in Nova Urbs, Finis la remota, Xilos la verde e le altre fino al numero di dieci.

    Quando ogni conglomerato si sentì abbastanza forte da potersi presentare agli altri, tra i nuclei si manifestò la volontà di scambiarsi le primizie della terra o i prodotti degli abili artigiani e così una fitta rete ristabilì i contatti perduti con la diaspora, diramando i fili del commercio fra i discendenti degli antichi eroi. Pentapoli, la città fondata da Penteo, fu la migliore e la più abile. I suoi abitanti divennero i più scaltri fra i mercanti.

    Poi però le città scoprirono che esisteva una minaccia nei territori inesplorati, dei pericoli che premevano sui confini del mondo dominato dagli uomini. Il tempo cancellò la descrizione precisa di questi pericoli, ma l’effetto fu morte, distruzione e saccheggio. Le città avevano patito la mancanza di protezione, le mura sottili, la fiducia nella possibilità di una vita senza lotte".

    I bambini trattennero il fiato, mentre il magister continuava. La buona stagione permetteva di raccontare la storia degli antenati fuori dai muri della scuola e i dintorni di Pentapoli non avevano problemi a fornire spazi accoglienti e comodi borghi da colonizzare.

    Manfredi il cacciatore di taglie restava dal lato opposto della strada, nascosto dall’ombra di uno spigolo di città; aspettava che il vecchio mago entrasse nella taverna dove avevano appuntamento. I bambini seduti sui gradini vicino all’entrata ascoltavano la storia delle origini, perché un giorno sarebbe toccato a loro raccontarla ad altri.

    Per difendersi dal grande pericolo e dagli ignoti stranieri le città decisero di organizzarsi e di imparare a combattere. Ma non riuscivano a stabilire chi sarebbe stata la loro guida. Giunse infine uno straniero, arrivato da lontano.

    I bambini, lo sguardo rivolto verso il magister, rinunciarono alla posizione penzolante delle loro labbra per articolare, colorandola di varie sfumature, la parola l’imperatore.

    "L’imperatore fece costruire la sua torre, nel centro delle ramificazioni del mondo delle città, radunò un esercito e sconfisse i nemici. Poi, affinché le città non fossero più distrutte, stabilì che ai quattro punti cardinali fossero fondati quattro regni, il Regno dell’Ovest, il più vicino a noi, il lontano Regno dell’Est, il Regno del Nord e il Regno del Sud.

    Quando l’imperatore morì la terra fu così triste che intorno alla sua torre nacque un deserto e il suo esercito si mutò in cera, permanente guardia della sua tomba dorata. Oggi noi chiamiamo quel deserto il Deserto del Diapason, perché al suo interno è in perenne vibrazione uno strumento. Si dice che la voce dell’erede dell’imperatore possa fermare il diapason, riportando in vita il suo esercito. Da quel giorno, molti sono stati coloro che hanno tentato di dominare un impero solo in virtù delle proprie qualità vocali".

    Il magister tendeva a essere enfatico e i bambini non capivano tutte le parole. Però ascoltavano attenti.

    Il mago giunse alla taverna. Manfredi lo guardò salire le scale. L’età aveva acuito il sospetto nel volto che il cacciatore di taglie ricordava di aver visto tempo prima, quando era un ragazzo poco più grande degli ascoltatori avidi del racconto del magister. Non era cambiato molto, il colore aveva abbandonato in larga parte i suoi capelli sbiaditi, ma uno sguardo malevolo rivolto ai bambini mostrò che la compassione non era aumentata in lui, nonostante gli anni trascorsi dal loro ultimo incontro. Gli anni degli incubi e delle lotte.

    Manfredi sfiorò con la mente il veglia-sonno che portava al collo, sotto la lorica di cuoio.

    Le città divennero una Federazione, protetta dalle quattro marche dei Regni e, lentamente, quello che era stato distrutto fu ricostruito, le ferite sanate, i morti sostituiti da nuove nascite. Poi, un giorno, il Re del Sud iniziò a desiderare il potere. Espanse il suo dominio fino al Mare, sconfiggendo i nemici e conquistando i loro territori. Così, arrivato a quel confine, non ebbe più la possibilità di avanzare e si rivolse indietro. Provò la sua voce sulle vibrazioni del diapason, ma non era lui l’erede dell’imperatore e così, ricominciò la guerra. Gli altri tre regni si allearono e riuscirono ad arginare l’impeto del ribelle, che pose fine alla sua vita, gettandosi in mare da un’alta rupe. Il suo popolo fu esiliato, oltre il confine Ovest e là, radunati attorno al figlio superstite del re, fondarono una città, quella che oggi chiamiamo Petreia, perché sorge in una terra infeconda e arida, fatta di sangue, sudore e pietra. Oggi Petreia è un regno, i cui confini lambiscono quelli del Regno dell’Ovest, ma noi non abbiamo paura, vero?

    I bambini risposero un nocorale.

    E perché non abbiamo paura? .

    Uno dei più grandicelli si prese la responsabilità della risposta:

    Perché re Eupatro del Regno dell’Ovest difende Pentapoli, che è la nostra capitale, e anche tutte le altre città.

    Manfredi guardò il gruppo che cresceva imparando e ripensò a se stesso e al giorno in cui aveva incontrato il mago. Non sapeva neanche il suo nome e non era mai stato in grado di trovarlo, nonostante gli sforzi; i lineamenti erano rimasti incollati alla sua memoria così carichi di sensazioni, ma privi di una identità. Finché non era stato il mago stesso a rintracciarlo e a sollecitare un incontro. All’epoca Manfredi era solo un ragazzino e non aveva potuto difendersi, ma ora era un uomo e poteva permettersi di farlo attendere.

    Eppure la sua storia, confrontata con i grandi eventi raccontati dal magister, che tanto stupivano gli allievi, era solo la piccola sofferenza di un singolo e non poteva competere con tutto il sangue e il dolore che avevano plasmato il mondo.

    Il giorno in cui il destino di Manfredi era venuto a incrociarsi con quello del mago, il giovane era al servizio di un centauro di nome Chirone. Il termine servizio significava che Manfredi doveva ubbidire all’ibrido, che lo sfruttava, insieme ad altri due allievi, come combattente nei tornei. La sua specialità era la spada. Dei tornei Manfredi odiava l’esibizionismo, la folla, la confusione. Ne odiava l’odore, la polvere, le grida. Molti uomini scommettevano, alcuni vincevano, altri no, ma tutti ricominciavano a scommettere, rimettendo in circolo un denaro sporco di sangue che viveva di sofferenza. Il ragazzo sopportava, considerandolo un allenamento che un giorno gli sarebbe stato utile. Dei tre non era il migliore, lo superava Gherardo, esperto nel tiro con l’arco, il prediletto del maestro. La rivalità interessava però solo Gherardo, dato che l’unica priorità di Manfredi era sopravvivere, possibilmente restando intero. Il suo collega, invece, amava moltissimo il plauso della folla; era forte e sapeva di esserlo. Il terzo allievo si chiamava Galasso ed era decisamente l’anello debole, almeno nell’arena. Fuori, invece, era incline alla risata ed estremamente rumoroso. Sebbene a fine giornata il cibo fosse sempre scarso, Galasso gustava la sua porzione come fosse il banchetto di un re, dividendola in bocconi piccolissimi che deglutiva solo dopo che avevano perduto tutto il loro sapore. Diceva che, per lui, il cibo era una filosofia di vita, ma solo perché si vergognava di avere sempre fame. Gli allievi erano proprietà del maestro e finché non si fossero affrancati o col denaro o con un atto di forza, il loro destino seguiva un sentiero forzato.

    Ma la vita è strana e non si può domare a lungo la sorte altrui; le loro strade si divisero in maniera burrascosa, un giorno di tempesta.

    Quella sera Manfredi e Galasso stavano vicino a un fuoco morente, su cui avevano bollito la zuppa che Galasso ancora stava cercando di aspirare dalle crepe infinitesime della ciotola. Chirone e Gherardo, in una radura poco oltre, li avevano preceduti per l’allenamento del pomeriggio.

    Questa zuppa era proprio buona, peccato che fosse poca.

    Manfredi era perso nei suoi pensieri.

    Mi ascolti o no? chiese lanciandogli, tanto per attirare l’attenzione, un piccolo ciottolo.

    Sì. Scusami, stavo pensando

    L’hai notato anche tu, vero? L’uomo cavallo è nervoso, oggi non ha voluto andare in paese anche se c’era un torneo. Gli sfidanti erano tutti ragazzini debolucci, te lo dico io, abbiamo rinunciato a soldi facili. Non è proprio da lui, afferrò quindi con una mano il piatto sperando in un miracolo e riprese a leccarlo. Credo che sia colpa di quel mago, quello che credevamo morto, e invece l’altro giorno… senti, posso leccare anche il tuo piatto? Grazie… l’altro giorno abbiamo scoperto che non solo è vivo, ma si trova anche non troppo lontano. Forse è per questo che abbiamo deviato dalla strada principale.

    A Manfredi non piaceva sprecare le parole e non gli piaceva l’atteggiamento di Galasso che a volte pareva il suo migliore amico, altre era pronto a tradirlo per un piatto di minestra.

    Questa volta, però, era d’accordo con lui. Non conosceva il nome del mago, né perché fosse l’antagonista di Chirone, ma non voleva trovarsi tra loro quando si sarebbero scontrati. Aveva appreso, dai discordi fruscianti del centauro che il suo avversario era un mago dell’acqua. Aveva pensato che fosse quello il motivo per cui non avevano raggiunto il villaggio guadando il fiume. I maghi dell’acqua erano capaci di sussurrare ai flutti arcani incantesimi e il centauro non era abile nel nuoto.

    D’un tratto qualcosa di freddo gli cadde su una mano. Poi subito la sensazione si ripeté e poi ancora di nuovo. Iniziava a piovere. Galasso dormiva rumorosamente, probabilmente sognava la zuppa. Manfredi si passò la mano sugli occhi per non cadere nel suadente richiamo del sonno. Decise di raggiungere Chirone e Gherardo. Si mosse facendosi largo tra le foglie bagnate degli alberi, mentre la pioggia lo bersagliava con le sue minuscole frecce.

    Qualcosa nell’aria si opponeva al languore umido della pioggia, come se una scossa di elettricità palpabile si irradiasse dal punto verso cui Manfredi si muoveva. Quando giunse alla radura non si rese conto immediatamente di quello che stava accadendo. Un uomo stava in piedi solenne, come le statue portate in processione nelle chiassose sagre paesane, immuni dal rumore esterno. Chirone con le ginocchia equine piegate per un dolore non fisico reggeva un’arma nella mano destra, con l’espressione di un sonnambulo che si accorge che l’incubo da cui è reduce non è stato solo un sogno.

    A pochi passi, riverso, giaceva il cadavere di Gherardo con una freccia piantata tra le costole; destino amaro per un arciere. Tutto attorno a loro la pioggia era inverosimilmente fitta e sembrava quasi una nuvola che avesse disertato il cielo, preferendo la terra.

    Manfredi si accorse con orrore di essere in una posizione scoperta e che l’uomo in piedi lo stava guardando attraverso la cortina d’acqua. Gli parve che le sue labbra declinassero piano delle parole.

    Senza pensare si mise a correre scompostamente dentro la foresta, con la forza irrazionale che solo un quindicenne spaventato possiede. Quando si fermò non sapeva più dov’era, né quanto fosse durata la sua folle fuga. Si appoggiò a un albero constatando con sollievo che nessuno lo aveva seguito. L’aria umida non soddisfaceva il suo avido respiro. Camminò finché le gambe lo ressero, poi, stremato, cadde e si addormentò. Da quel giorno erano iniziati gli incubi.

    Le forza del ragazzo era divenuta vigore nell’uomo, ma gli incubi nati dalla maledizione del giorno in cui il suo maestro-padrone era stato sconfitto erano rimasti ed erano cresciuti con lui. Non aveva mai più incontrato Chirone, né il mago, fino a quel giorno.

    Si mosse distaccandosi dal muro, mentre il gruppo dei bambini abbandonava la scala e spariva, vociante, all’interno di un porticato. Sulla porta un ubriaco appoggiato a uno stipite tentava di capire dove finisse il suo corpo e dove iniziasse il pavimento, mentre una nuvola di moscerini compiva una danza rituale attorno alla sua aura alcolica. Manfredi salì i gradini e, superato l’ubriaco che parlava col vuoto, fu dentro.

    La locanda era stata scelta dal mago perché nessuno dei due aveva voluto incontrare l’altro in territorio sfavorevole. La presenza degli avventori doveva scoraggiare mosse o tentativi di vendetta. Manfredi studiò rapidamente gli ospiti, gente abituata a non intromettersi nelle questioni altrui, a meno di un possibile guadagno. Nessuno comunque aveva voglia di incrociare lo sguardo con un cacciatore di taglie. Solo un bambino che stava giocando con un cane nero dal pelo selvaggio lo fissò intensamente, forte della sua coscienza pulita, incantato dalla lucente spada. Ma l’attenzione dei bambini è incostante come il vento, infatti il piccolo curioso trovò molto più divertente legare sulla testa del cane un fazzoletto bianco che lo rendeva estremamente buffo, mentre l’animale sopportava benevolo.

    Il mago sedeva nell’ombra. Aveva scelto una posizione in cui poteva controllare l’intera stanza, mentre un muro complice gli proteggeva le spalle e una porta si prestava a un’eventuale ritirata.

    Manfredi aveva immaginato di trovare insieme con lui, magari nascosti fra gli avventori, degli armati che lo proteggessero, ma un rapido controllo sembrò contraddire la supposizione; l’uomo era teso e anche lui si guardava dagli altri che, evidentemente, temeva come un pericolo.

    Il cacciatore di taglie sedette, lasciando inalterato il silenzio, calcolò rapidamente l’età del mago e raggiunse un numero di qualche anno oltre i sessanta.

    Il mio nome è Sosigene, tu sei Manfredi, vero? lo sguardo era attento, ma la preoccupazione minava il suo animo. Sei cresciuto dall’ultima volta, ghignò nel vuoto di voce che era subentrato alla sua domanda.

    Sono sopravvissuto, tutto il resto viene di conseguenza. Non credo che tu ti aspetti che abbia voglia di parlare con te, a meno che tu non abbia qualcosa di interessante da dirmi.

    Rimase serio, negli anni aveva cercato il mago del suo ricordo, aveva applicato la sua fisionomia a tanti volti, senza mai trovare perfetta corrispondenza. Il mago era stato abile e aveva offuscato la sua scia, in virtù del suo potere di illusione. Ironia della sorte Sosigene era l’unico uomo che il cacciatore di taglie non poteva in alcun modo rintracciare. Ora, di fronte a lui, si proponeva non come bellicoso avversario, ma come guardingo cliente.

    Sono stupito, sai? Quando scagliai la maledizione contro un ragazzetto audace, solo per la soddisfazione di colpire il suo maestro Chirone, non credevo che un giorno il suo vigore avrebbe superato il mio. Mai avrei pensato di rincontrarlo uomo. E invece, eccoti qui. Eppure la mia forza era massima, sia perché la sconfitta del nemico accresce in proporzione l’aumento di potenza del mago, sia perché quel giorno pioveva e, come sai, il mio elemento magico è l’acqua

    E il tuo secondo potere sono le illusioni, mago, mi stai facendo perdere tempo. Sai qual è la moneta che può interessarmi e sai, come so anch’io, che cosa si richiede in cambio.

    I maghi non nascevano con abilità particolari, le apprendevano. Ogni mago sfruttava uno dei quattro elementi naturali e poi sceglieva un’abilità particolare in cui specializzarsi; illusioni, cambio di forma, manipolazione della mente e altre abilità tramandate con cura da maestro ad allievo nei segreti meandri della loro arte, chiamata Disciplina.

    Sosigene ghignò, perché sapeva di avere in mano una carta allettante.

    Affinché io rimuova la maledizione che pesa sul tuo capo, tu dovrai fare qualcosa per me

    E immagino che questo sia il motivo per cui tu, ora, rischi che l’ira maturata negli anni non sia più tenuta a freno e si trasformi in azione

    Esatto gioì Sosigene, ma l’altro non cambiò espressione.

    Chi vuoi che recuperi?

    Il mago restò interdetto, stordito dalla voce dura del suo interlocutore, così Manfredi aggiunse:

    Sono un cacciatore di taglie, mago, di mestiere recupero la gente, chi desideri sia condotto davanti a te?

    L’altro prese qualche istante

    Il principe Euno disse infine.

    Manfredi sorrise, sollevando il sopracciglio spaccato, ricordo di una lama audace.

    Spiacente, non posso portare indietro qualcuno dal regno dei morti

    Il mago attese qualche istante, in silenzio, poi proseguì:

    Euno non è morto. Un giorno lontano il re dovette prendere una decisione, per la vita o per la morte. Scelse una via di mezzo; il principe fu relegato in una torre lontana, oltre il confine orientale, condotto esule dalla nutrice del re e dal suo miglior soldato

    È passato molto tempo

    Diciotto anni

    Manfredi attese il seguito, mentre controllava nel riflesso incerto di uno specchio alcuni giocatori di dadi radunati a un tavolo.

    Eupatro ci proteggerà hai sentito il magister e i bambini. Eupatro è debole, mentre Petreia si rafforza. Attaccheranno e non so come potremo fronteggiare un impeto ben condotto"

    Eupatro ha un altro figlio, il principe Eurialo

    Un altro figlio… il mago sorrise, rigirando in bocca il sapore del segreto. Eupatro ha un solo figlio, solo Eurialo ha il suo sangue nelle vene. Euno no, la regina Ermengarda gli fu infedele e il bambino è la conseguenza del tradimento. Un primogenito di un altro uomo avrebe regnato sul trono del Regno dell’Ovest. Ma il destino segue sentieri non lineari e ha rimescolato le carte. Quando il re consultò Sibella, colei che vede i legami del futuro, lei disse che Euno avrebbe distrutto l’esercito di suo padre

    Capisco

    Povero Eupatro, non sapendo dell’infedeltà di Ermengarda si sentì perduto e piuttosto che uccidere quello che credeva un figlio lo allontanò dal suo regno, decidendo per lui una vita da recluso. Fu un debole, ma la sua debolezza di allora potrebbe essere la salvezza del nostro presente.

    Perché mi racconti tutto questo?

    Voglio il tuo impegno completo per questa impresa e mi hanno detto che sei piuttosto selettivo in fatto di commissioni

    Ti hanno informato male, mago, io lavoro per chi mi paga meglio

    Fatto sta che ora Euno deve ritornare

    Se vive, tornerà, accompagnato o costretto, per me non c’è differenza. Ma non è un po' rischioso non sapere chi sia il padre?

    Diciamo che sono stato fortunato e ho raccolto le parole sconnesse di una regina morente, parole che rivelavano chi era il padre del bambino

    Manfredi sollevò il sopracciglio con la cicatrice, la scena che si manifestava nello specchio opaco restava un corollario del suo dialogo, ma lui continuava a prestare attenzione; il mago, invece, si distraeva, veniva assorbito nelle parole. Se Eupatro era debole, lui era disattento ed entrambe non erano qualità positive.

    E costui, dunque, chi è?

    Sosigene fu investito da una soddisfazione che diminuì ancora le sue armi di difesa; eppure lui, diciotto anni prima, avrebbe deciso per Euno un destino di morte.

    Iempsale, detto il Bello, vanesio secondogenito del re di Petreia l’entusiasmo si smorzò, mentre aggiungeva: Avevamo in mano l’arma per porre fine alla guerra da vincitori e l’abbiamo allontanata da noi. Le Città Millenarie e la loro organizzazione federale hanno sempre sottovalutato il problema di Petreia, trattando con sufficienza i monarchi del Regno dell’Ovest e il loro scudo difensivo, abituate ai lunghi anni di pace. Ma l’abitudine è la migliore amica della pigrizia e un popolo pigro morirà di morte violenta

    Sosigene fu assorbito dalla sua ultima affermazione e così uno dei giocatori di dadi dello specchio capì che era il momento di rivelare la sua natura di sicario, avvicinandosi rapido e silenzioso al tavolo del mago, con il riflesso pericoloso di una lama a potenziare il suo braccio esperto. Manfredi, però, era pronto: afferrò lo specchio e lo voltò dalla parte posteriore, di solido frassino, parando il colpo. Sfruttando lo smarrimento che aveva colto l’assassino, il cui coltello aveva incontrato la tenace resistenza del legno, Manfredi lo colpì alla mascella e lo fece vacillare. Sosigene, riavutosi dallo stupore, bloccò il braccio del cacciatore di taglie, che stava per sferrare un secondo colpo e disse:

    Un mago sa difendersi da solo.

    Bagnò l’uomo con il contenuto liquido di una caraffa panciuta e mosse le mani sicure, pronunciando parole silenziose. Il sicario si contorse, perché la sua mente manipolata iniziò a materializzare incubi terribili, improvvisi, incontrollabili. Guadagnò l’uscita, urtando l’ubriaco, mentre il bambino con il cane batteva le mani eccitato.

    Qualcuno ti vuole morto, mago commentò Manfredi. I compagni di gioco dell’uomo si erano vaporizzati silenziosi.

    La vita scorre incerta, Manfredi, e i nemici sono sempre più accaniti degli alleati

    Per il lavoro voglio essere pagato.

    Sosigene rimase interdetto.

    Ti libererò dagli incubi

    Come vedi gli incubi non mi hanno ancora ucciso. Liberarmente sarà una piacevole aggiunta al mio salario e magari ti farà risparmiare qualcosa, ma voglio 500 idriai a lavoro finito, più una somma per le spese del viaggio che dovrai farmi avere subito… diciamo 15 olpi. Non offro lavoro in cambio di niente.

    Il mago si concesse qualche istante per valutare l’affermazione, mentre il volto impallidiva lievemente.

    Non ho denaro con me

    Ed è giusto che sia così. Mi fornirai il necessario per il viaggio e metà della somma domani, alla prima alba, sulla via per Pentapoli, all’incrocio del grande albero, un luogo aperto, dove saremo soli

    Come posso sapere che non mi stai mentendo? chiese tormentandosi le mani, stropicciando l’una nello spasmo dell’altra.

    Semplice, io non sono te e la mia parola ha sempre avuto valore. Come trovo Euno? L’Est è davvero vaga come meta.

    Sosigene deglutì, guardava nervoso per terra. Aveva pensato di poter gestire l’incontro come voleva, di ottenere il suo scopo in maniera veloce e indolore, dominando la situazione, invece ora Manfredi lo stava spingendo nella direzione a lui meno favorevole, con la compatta resistenza della sua determinazione. Euno gli serviva. Quando il ragazzo, se ancora viveva, fosse giunto nel Regno dell’Ovest, allora lui avrebbe avuto in mano un’arma potente, per superare con la forza la debolezza del suo essere. Il tempo era poco, però, perché, chissà come, anche un altro mago aveva saputo dell’esistenza del principe e della profezia, un mago giovane e pericoloso. Il suo nome era Sinone, il suo elemento la terra, il suo potere la metamorfosi e la sua devozione, per il momento, era rivolta al Re di Petreia. Forse era stato Sinone a mandare il sicario contro di lui e forse era già in viaggio

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