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Memorie del tempo degli stenti
Memorie del tempo degli stenti
Memorie del tempo degli stenti
E-book223 pagine3 ore

Memorie del tempo degli stenti

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Info su questo ebook

Memorie del tempo degli stenti è la piccola grande storia, che copre più di nove decenni, di una famiglia di carbonai, che affronta una vita di sacrifici e stenti per assicurare a figli e nipoti un più sereno avvenire.
Una decina di racconti, strettamente legati tra loro, come i capitoli di un romanzo, delinea il mondo contadino e bracciantile della pianura pisana, lasciandone intravedere i costumi, le idee, il tenore di vita, le speranze e il suo incontro con le inquietudini politiche e sociali dei reduci della Prima guerra mondiale. In essi si ricostruiscono le parole, il lessico, gli aneddoti delle persone care scomparse, cercando di sollecitare la memoria mediante il recupero dei suoni del loro linguaggio, il rumore degli arnesi che usavano, gli odori, i profumi del loro ambiente, dei loro cibi.
Sono brevi bozzetti di piccola storia familiare che improvvisamente viene investita dalla Grande Storia, la Seconda guerra mondiale, lasciando anche nella memoria dei più piccoli indelebili cicatrici. Così a fianco di molti episodi che riproducono il giocoso mondo dei bambini delle famiglie contadine nel periodo prebellico, fanno seguito quelli più drammatici filtrati attraverso gli occhi degli adulti.
LinguaItaliano
Data di uscita1 nov 2019
ISBN9788832925685
Memorie del tempo degli stenti

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    Anteprima del libro

    Memorie del tempo degli stenti - Rolando Guerriero

    vita.

    La pupina

    Sul versante modenese il clima era un po’ diverso. La neve rimaneva ancora su molte cime, specialmente nelle parti in ombra; un ventarello freddo scendeva dal Cimone e, spazzando tutta la valle dello Scoltenna, penetrava nelle ossa di quel solitario viandante che a passo veloce scendeva dal valico delle Radici verso l’Imbrancamento.

    Era un uomo sulla trentina, non alto, ma dalle spalle larghe e robuste e dal passo fermo e vigoroso. Aveva calcato in testa un cappello dalle larghe tese, un po’ sformato e malridotto, che recava infilato nel nastro di raso nero il biglietto della ferrovia Pisa-Ponte a Moriano. Portava dietro le spalle, a mo’ di zaino, un sacco di iuta dentro il quale trovavano ampio spazio tutte le sue ricchezze: una borraccia d’acqua, un grosso pane, un sacchetto di farina gialla, un pezzo di lardo. Avvolti in un’altra balletta, c’erano lì dentro anche i suoi strumenti di lavoro: l’accettino, il pennato, la roncola e la pietra-cote per affilare le lame.

    Fortuna che aveva indossato quel vestito di pilor, consunto, macchiato, con qualche toppa, ma ancora buono a proteggere dal freddo! pensava tra sé e sé, ricordando il clima mite e già primaverile che godeva un paio di giorni prima nella macchia di Tombolo. Lui se ne stava in maniche di camicia, dopo aver abbattuto una pianta marcata dal guardia, quando erano venuti a cercarlo, a cavallo, per dirgli che c’era un telegramma per lui.

    Si era sentito andare il sangue in acqua: i telegrammi si sa portano sempre brutte notizie. Aveva lasciato a casa, sull’Appennino, la moglie che aveva appena partorito una bella pupina, insieme agli altri due bambini: Oliva di cinque anni e Angiolo di due. Non era un donnone Chiara, anzi era una bella donnina bionda, piccola, ma forte e risoluta, lavoradora, come dicevano loro in dialetto, capace di dar le paghe nel lavoro dei campi a tante ragazzone di pianura. Era lei che gli aveva detto di andare tranquillo, anche se era incinta: avrebbe badato lei a quel pezzetto di terra e alle bestie che i vecchi avevano lasciato a lui, a suo fratello Giuseppe e alle due donne. Praticamente però era sola, perché le sorelle di lui erano entrambe a servizio in città e la moglie del fratello, una forésta corsa, che il fratello, già vedovo, aveva conosciuto durante una campagna di taglio in Corsica, si era rivelata poco adatta alla vita dura e solitaria di montagna.

    Fin che non aveva avuto tra le mani quel pezzo di carta aveva fatto i più neri pensieri, poi quelle poche parole, anche se coercitive, lo avevano un po’ tranquillizzato: Vieni subito stop Bimba malata stop Firmato: Chiara

    Non potevano essere parole della moglie. Erano parole da toschi. Forse qualche compaesano le aveva dettate all’ufficiale postale di Castelnuovo. La moglie non sapeva scrivere, lui aveva imparato a leggere e scrivere sul Regolamento durante il servizio militare, a Piacenza.

    Quando, dopo la nascita della terzogenita, la piccola Caterina, era partito, a malincuore, per raggiungere gli altri carbonai nei boschi della tenuta di Tombolo, le donne gli avevano detto di non preoccuparsi. Chiara era una donna forte e poi, per qualsiasi consiglio, poteva sempre rivolgersi a Menica, la vecchia che abitava alle case del Ponte e aveva visto nascere e seguito la crescita di tutti loro e conosceva i nomi e i segreti di tutte le erbe.

    E adesso invece, meno di due mesi dopo, quell’invito di correre a casa.

    Arrivato all’Imbrancamento il carbonaio avrebbe voluto tirare diritto: ormai era vicino a casa, ma i suoi piedi rallentarono quasi indipendentemente dalla sua volontà e qualcuno si fece sulla porta del locale che fungeva sia da mescita, da vendita di generi da appalto e da ricovero per i viandanti.

    Ah, siete voi Pigo! disse l’omaccione che, a gambe larghe, occupava tutto l’ingresso dell’appalto.

    Pigo si fermò di colpo e alzò il viso verso gli occhi del suo interlocutore: Salute, Bati, sapete qualcosa di casa mia? chiese con voce tremante, vergognandosi di dover parlare di cose proprie in un locale pubblico.

    Venite dentro, Pigo, e prendete due dita di vino! rispose il bottegaio retrocedendo verso l’interno del locale. Mi han detto che la vostra sposa ha perso il latte!

    "No, grazie non ho voglia di bere. Prenderò un cartoccino di zuccherini per i me’ guarsetti e magari dei fulminanti per il fuoco! Sapete forse se qui dintorno ci sono balie o donne che stanno allattando?"

    L’oste rimase un po’ sopra pensiero, quindi concluse: No. Le balie sono tutte scese in città. È roba da figli di signori quella. E a quel che so qua vicino non ci sono donne che stiano allattando. Posso comunque chiedere a mia moglie.

    Pigo mise alcune monete sul bancone e uscì. Non voleva rimanere ingabbiato nella melassa di chiacchiere della donna. La strada era in discesa: nonostante la fatica che cominciava a farsi sentire, accelerò il passo, facendosi velocemente il segno della croce quando transitò dinanzi all’immaginetta della Madonna posta da un lato della strada. Era lì da tanto tempo, appoggiata al tronco di un faggio, che adesso, nel crescere, tendeva a inglobarla sotto la sua corteccia. Si ricordò che la madre, nei momenti difficili, era solita rivolgere le sue richieste proprio a quella Madonnina. Avrebbe voluto dire tante cose, ma le sole parole che gli salirono alle labbra furono: Madre Santa prega per noi!

    Si sentiva già come se fosse arrivato: ogni curva della strada gli riportava alla mente qualche episodio della sua vita passata. L’abbeveratoio dove si fermava con il fratello per riempire la borraccia. Ecco adesso era arrivato all’inserimento della vecchia via Vandelli, quella che una volta collegava Modena alla Toscana.

    Si portò sull’orlo sinistro della strada e scendendo cominciò a guardare giù lungo il pendio. Tra non molto avrebbe potuto vedere il tetto della sua casa, più alto a est, dove era la facciata, e digradante sul retro fino a raggiungere il livello del prato. Era accaduto talvolta che una vaccherella fosse salita sul tetto a brucare l’erba che cresceva sopra le lastre di ardesia che loro chiamavano chiagne.

    Sentiva crescere dentro di sé l’impazienza. Le parole dell’oste non lo avevano tranquillizzato: perché non gli aveva dato altre notizie della moglie? Non appena vide sotto strada a un centinaio di metri il tetto della casa scavalcò la staccionata in legno e prese a scendere attraverso il prato, dalla cui terra umida cominciava ad apparire l’erba nuova. L’imboccatura della stradetta fiancheggiata da faggi e cespugli di roselline selvatiche si trovava qualche centinaio di metri più a valle, rivolta verso Sant’Anna.

    C’era una figuretta piccola, infagottata in un maglione di lana più grande di lei, che si muoveva di fianco alla casa, dove la stradetta si allargava. Notò che la bambina era spettinata e calzava un grosso paio di zoccoli, molto più grandi del suo piede.

    Alzò un braccio e cominciò a chiamare: Oliva! Oliva!

    La bambina si accorse di lui, ma invece di andargli incontro corse in casa. Dopo un po’ riapparve seguita da una donna anziana, bassa e grassa, vestita di nero, che si muoveva faticosamente appoggiandosi a un bastone.

    Meno male che siete arrivato, Pigo! furono le prime parole che disse non appena l’uomo le ebbe raggiunte. C’era proprio bisogno di voi! E della benedizione del prete!

    Pellegro aveva preso in braccio la figlioletta e la stava baciando sulle guance rosee, incurante delle proteste della bambina, che, soffrendo il solletico dei lunghi baffi neri, cercava di allontanare il suo viso da quello del babbo. Due lunghi candelotti di muco bianco le scendevano dal nasino arrossato.

    Cosa sta succedendo quassù, Menica? Perché mi avete richiamato da Pisa? Chi è malato?

    La vecchia alzò gli occhi al cielo e si segnò con la mano che teneva tra le dita un rosario: Cosa vi posso dire io, Pellegro? L’unica creatura sana in questa casa è quella che tenete tra le braccia. Giulin ha avuto una febbre cattiva da cui non si è più rimesso. Piange, si lamenta, non mangia! La povera Chiarina le ha tentate di tutte, gli è stata dietro giorno e notte, ha chiamato anche il dottore da Pieve. Niente da fare. La febbre è scesa, ma il bimbo non è più quello di prima.

    Gli occhi della vecchia cominciarono a riempirsi di lacrime.

    "Chiara ha accusato il colpo. Dice che Dio l’ha punita perché era troppo orgogliosa di aver partorito un maschietto, quello che vi avrebbe aiutato nel lavoro. Se ne sta seduta tutto il giorno a piangere, ha smesso di mangiare e non ha più latte per quella povera creatura di due mesi, la pupina!"

    Pellegro posò la piccola Oliva per terra e avvertì che tutta d’un colpo la stanchezza di quel lungo viaggio gli era piombata addosso e gli stava stroncando le gambe. Si lasciò cadere su di un grosso tronco, che sul fronte della casa fungeva da panchina.

    "Anime Sante del Purgatorio pregate per noi! Ma non c’è nessuno che possa allattare, almeno per qualche altro mese la pupina? Magari anche pagando? Sono disposto anche a fare dei debiti!"

    Le domande si affollavano come nuvole, una sull’altra, nella mente e sulle labbra del poveruomo.

    Ma non c’è qualche erba che faccia tornare il latte? Non potete farci niente voi? E il dottore cosa ha detto di Angiolino? E Chiara come sta adesso? O Dio mio, perché questa mazzata?

    Non c’è erba che tenga. Si è seccata la fonte del latte, quella che sta nel cervello delle donne. Lo dico contro il mio stesso interesse. Qualcuno dice che vi abbiano fatto una malia, magari qualche donna invidiosa!

    "Sapete bene che io a queste frottole non ci credo: maghi, streghe, incantamenti, malocchi. Credo piuttosto che siano prove a cui Dio ci sottopone. Così come facevano i nostri genitori, quando fin da guarsetti ci caricavano di qualche lavoro difficile o pesante, per insegnarci che la vita è dura e per vedere come ce la saremmo cavata."

    Parlate bene voi, ma il peso più grosso del basto ce l’hanno sul collo le donne! Vedete anch’io darei volentieri una mano alla Chiarina, ma ho da pensare alla mia famiglia e ai miei vecchi.

    Grazie, Menica, Iddio ve ne renda merito di tutto quello che avete fatto! Avete ragione, ora son qua io e mi caricherò di questa soma.

    Presa per mano la bambina, l’uomo spinse il battente della porta, mettendo dentro la testa in quanto non riusciva a passare, con lo zaino sulle spalle, neppure mettendosi di fianco.

    Chiara, sono arrivato! Dove state?

    Intanto volgeva gli occhi all’interno della buia cucina cercando di scorgere la figura della moglie. Una zaffata acre gli investì le narici: odore acre di rinchiuso, di focarile, di piscio.

    L’unica sonora risposta che ebbe dall’interno fu il levarsi, o il riprendere vigore, di un insieme straziante di strilli, pianti e singhiozzi. La finestrella che dava a levante illuminava malamente un angolo della grande stanza e il fuoco morente nel grande camino non forniva un aiuto alla visione delle persone e delle cose. Finalmente Pellegro, toltosi l’ingombro dalle spalle, si infilò nella stanza e scorse una forma raggomitolata su di una sedia con la testa appoggiata al tavolo. I singhiozzi venivano da lì.

    Chiara! Chiara, che fate? disse e nello stesso tempo carezzò delicatamente i capelli biondi, scomposti della moglie.

    " Lassateme perde, lassateme stare. Sono una bona da gnente. Vi ho portato in casa il malocchio!"

    Pellegro tirò a sé la donna piangente e la abbracciò con fermezza. Ma cosa dite mai, Chiara? Voi siete la mia donnina. Fatevi forza, ora sono qua io: metteremo tutte le cose a posto e vi porterò con me alla macchia, con tutti i nostri figli. Non rimarrete più sola!

    Poi sostenendola per la vita, si diresse verso il camino, da cui provenivano gli strilli e i pianti più forti. Su di un giaciglio di fortuna si agitava un bambino di un paio di anni, la cui parte inferiore del corpo era avvolta alla meglio da bende, fasce, pezzi di lenzuoli. Nel vedere avvicinarsi la coppia il bambino aveva preso ad agitare le braccia e a gridare pa’, mama, pa’, mama! mentre i grandi occhi scuri brillavano nel piccolo visino bianco ed emaciato.

    ’Giulin, Angiolino mio, sono arrivato!

    L’uomo prese su risolutamente il bambino dal suo giaciglio e lo sollevò in alto: nel fare così si accorse che le gambette del bambino, gracili e bianchicce, uscendo dalla massa di fasce che ricoprivano il busto, pendevano inerti, come prive di vita.

    Nostro figlio non vi potrà mai aiutare nel vostro lavoro! Vedete, Pellegro, sarà sempre un povero infelice! gridò la donna, in mezzo ai singhiozzi, strappando il figlio dalle mani del padre.

    Tacete, Chiara, tacete. Adesso sistemiamo tutto! Vi porterò con me, tutti alla macchia, a Pisa. E farò visitare Angiolino dai più bravi professori dell’Università. Troveranno un rimedio. Si potrà pur fare qualcosa!

    Ma cosa volete farci, pazzo che non siete altro! Angiolino è perso dalla vita in giù. Non solo non cammina, ma si fa ancora tutto addosso. È la punizione per la mia superbia!

    "Chiara, non perdiamoci di coraggio. Dio ci sta mettendo alla prova. Cambiate un po’ questo guarsetto. Vedrete che da pulito starà meglio! E dov’è la me’ pupina, la Caterina?"

    In una cesta di vimini un bambolotto di due mesi, rosso in volto, avvolto in larghe fasce giallognole, con in testa una cuffietta di lana ricamata parzialmente, cercava affannosamente di portarsi alla bocca i lembi del lenzuolo che lo copriva strettamente, commentando i suoi insuccessi con strilli strappacuore.

    Gli avete dato qualcosa? chiese Pellegro rivolgendosi alla vecchia che, nel frattempo, zoppicando si era fatta avanti.

    "Ho inzuppato una becca di una pezzuola nel latte di vacca. Ma è come prorogarne l’agonia. Se non si trova qualcuno che le faccia da balia, questa povera pupina non ce la può fare!" rispose la donna.

    "D’accordo, Menica, alla me’ Cat’rina ghe pensi mi. Voi, se potete, riavviate il fogo, che poi femo una bella polenta di formenton!"

    Io faccio quello che posso, Pellegro, ma vedete voi come sono messa. Qua manca tutto: legna, acqua, per i cristiani e per le bestie, e anche il fieno deve essere buttato giù dal soppalco. Sentite come si lamentano quelle povere bestie: debbono essere governate e munte!

    Vediamo di fare tutte queste cose a modo! rispose Pellegro e, dopo aver appeso il pesante giaccone a un piolo, uscì diretto alla legnaia per tornare poco dopo con una grossa bracciata di legni stagionati.

    Oliva, disse rientrando, "prova un po’ a ninnare la pupina. Può darsi che si calmi un po’!"

    Uscì di nuovo con due grossi secchi per raggiungere la cannella dell’acqua, dove l’estate precedente avevano incanalato una sorgente che affiorava nel bosco vicino. Ma il getto d’acqua della cannella era limitato e così l’uomo, impaziente, corse nella stalla e, salito nel soppalco, cominciò con un forcone a buttar giù il fieno secco e profumato, riempiendone la mangiatoia.

    Le due misere vaccherelle, intuendo che qualcuno tornava a occuparsi di loro, presero ad agitarsi e a muggire, battendo le corna nella mangiatoia di legno.

    Appena un secchio fu pieno Pellegro lo portò in cucina e lo issò sopra l’acquaio di pietra. Con la coda dell’occhio notò che la moglie aveva tolto le fasce a Angiolino e gli stava porgendo una catinellina smaltata, perché vi versasse un goccio di acqua per lavarlo. L’odore delle deiezioni del bambino adesso era particolarmente forte, ma le donne sembravano non farci caso. Menica aveva posto il paiolo sul fuoco, appendendolo a una catena e vi guardava dentro aspettando che l’acqua bollisse.

    Pellegro si ricordò allora di avere sete: attinse l’acqua dal secchio mediante un ramaiolo di rame e bevve avidamente. Come era buona l’acqua di cà de’ Pìttoro. Solo adesso gli tornava alla mente il sapore di quell’acqua fresca e leggera, inconfondibile in mezzo a mille altre. Tornò rapidamente alla fontanella, l’acqua traboccava adesso dal capace secchio di bandone, spandendosi tutto attorno tra le erbe del prato.

    Quando la polenta fumante fu rovesciata sul tavolo, Menica, Oliva e anche Chiara, con in braccio Angiolino si posero attorno a quella collinetta gialla nel silenzio più assoluto. Soltanto la pupina continuava a strillare disperata.

    Cominciate a mangiare! disse Pellegro dopo aver tracciato sulla polenta un segno di croce.

    Gli parve che quel segno sacro, più che concludere una parte della giornata, gli aprisse il cuore alla speranza: con la forza della disperazione staccò con un coltello di legno una fetta di polenta, vi alitò sopra, cercando di raffreddarla il più possibile e quindi la spinse dentro una ciotola di legno in cui aveva versato due dita di latte. Aveva preso la sua decisione: doveva rischiare il tutto per tutto, nutrire la piccola con gli alimenti di cui disponeva: polenta e latte vaccino. Portò la polenta intrisa di latte alla bocchina spalancata della piccola, che avendo capito che finalmente qualcuno si accingeva a nutrirla aveva cessato il pianto. Ma fu un attimo, non appena la lattante avvertì sulle labbra il sapore sconosciuto, riprese a piangere disperata.

    Anche Pellegro piangeva: le lacrime gli scorrevano sulla faccia abbronzata e finivano in mezzo ai baffi neri, ma qualcuna cadeva nel piatto del latte.

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