Storie della terra di Velkemberg: Le leggendarie imprese di un cavaliere senza ventura
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Info su questo ebook
Il romanzo racconta le imprese di Ulrico Velkemberg, generoso avventuriero, attore mancato, stratega visionario, appassionato condottiero che con baldanzosa furia incrocia ben due guerre mondiali.
Nei suoi molteplici vagabondaggi, accompagnato da un mulo saggio e da un intelligente mastino, si imbatte in personaggi storici e letterari, vivendo intrighi spionistici e sentimentali, avventure fantastiche, magiche, epiche, irreali. Egli cerca, con scarsa fortuna, di porre rimedio alle numerose carenze e ottusità insite nel carattere dei suoi compatrioti, guidato comunque da una speranza, che l’Umanità si svegli un giorno, un poco migliore e in pace. Nonostante i suoi sforzi, però, non riesce a evitare i disastri: la disfatta di Gebrochenkopft, la caduta della città di Montenervoso, il trionfo del borioso Crapapelada, e del suo alleato, il crudele Baffetto Irto. Il suo sogno è vano: le sue imprese saranno dimenticate da tutti, anche dai libri di storia. Le dure lezioni della realtà finiranno tuttavia per trasformare l’aristocratico avventuriero in un altro uomo, più vicino all’assurdo popolo di Badilonia.
Un’esplosione di fantasia, personaggi e satira. Rolando Guerriero ci fa ridere e sorridere, ci fa pensare e ci restituisce un po’ di leggerezza d’animo.
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Anteprima del libro
Storie della terra di Velkemberg - Rolando Guerriero
2017
Premessa
Sono numerose le narrazioni orali o scritte, in lingua badilana o in analoghe lingue indoeuropee, che raccontano le imprese del cosiddetto condottiero di Velkemberg, vissuto sicuramente nella prima metà del secolo scorso. Alcune di esse sono da ritenersi a lui coeve, altre scaturite e tramandate in epoche successive, con eventuali aggiunte apocrife di Velkemberg stesso o di testimoni o seguaci, come sembrano dimostrare le differenze di linguaggio o di stile.
Mentre ci rammarichiamo che finora alcuno serio studioso abbia condotto approfondite ricerche allo scopo di giungere a un unico rigoroso corpo canonico, riportiamo qui di seguito, senza ulteriori commenti, il materiale finora raccolto, non in ordine cronologico, ma piuttosto in un arbitrario e soggettivo ordine di pubblica diffusione, lasciando al lettore e agli appassionati la responsabilità di una più perfetta collocazione cronologica e stilistica dei differenti corpi. La veridicità di queste storie è attestata, ove ce ne fosse bisogno, dalla continua citazione di molti numerosi nomi, appartenenti a personaggi incontrati dal nostro eroe nel corso di ben due lunghe guerre mondiali, nomi ben noti a un attento lettore che abbia praticato, con una certa frequenza, giornali, tomi e trattati di argomento storico, politico, scientifico e letterario. Eventuali leggere discrepanze nella grafia dei nomi e cognomi dei personaggi potrebbero essere attribuite alla infelice traduzione dalle altre lingue oppure alla scarsa memoria del lettore.
Per i lettori deboli in geografia, oltre che in memoria, i quali, strada facendo avessero dimenticato i rapporti tra gli avvenimenti o i personaggi incontrati nei diversi capitoli, è stata approntata una efficace tabella chiarificatrice, raccomandandone la consultazione solo in corso di lettura, in quanto indigesta se ingerita a stomaco vuoto.
Personaggi e Luoghi
ACCADUESSE oppure H2ESSE
cane di razza mastiff regalato da Baffetto Irto a Crapapelada
ANDERS ULRICH
tenente dell’esercito codecano, alias Robert Musil, nome ben noto ai frequentatori di libri pesanti
ARRI..DOGE/ARRI.DUCE
mulo longevo, nostalgico e fedele, dalla prodigiosa memoria e ammirevole sensibilità
BADILO CALVO
maresciallo dell’aria badilano, rivale di Crapapelada
BADILONIA
patria di Velkemberg e di tanti altri disperati sognatori
BAFFETTO IRTO
caporale codecano, poi Dittatore di Ostrogozia
BEMBO
bambino prodigio, nano, già garzoncello in Zipponia
BURIANA
piccolo paese alleato della Codecania, confinante con Badilonia
BUZZIRITTI
fanatici seguaci di Baffetto Irto
CACCIAMUKKY
seguace di Velkemberg a Montenervoso
CACIARI
abitanti del Regno di Caciaria, alleato della Codecania
CAMICIE LERCE
fanatici seguaci di Crapapelada
CECATANO
popolo conteso tra l’Impero codecano e quello ostrogoto
CIARKAVIANI
popolo compresso tra la Buriana e la Badilonia
CIUKKENSNIAPP
sergente polizia sborniatico, una specie di barilotto
CODECANIA
impero e regno confinante con Badilonia, detto anche dai suoi sudditi Kakania
CRAPAPELADA PELITO
giornalista, fondatore del P.N.A., capo delle Camicie Lerce, Duce di Badilonia
DOLLARONIA
potente Unione di Stati d’Oltreoceano, adoratrice del Dollaro
DOVIZIA
piccola, ma ricca confederazione di Stati a nord della Badilonia, famosa per orologi e cioccolata
ECHISSANDOVER
generale dollaricano capo dell’Esercito Alleato
ELISABETTA MACDONALDS
collaboratrice di Velkemberg (alias Marlene Apfelgrau)
FRANCO FRANCHIC
generale che si impadronì del potere in Torilandia
FRA TACCHIONE
povero diavolo analfabeta in stage
GALLICANI
popolo della costa atlantica da sempre ostile agli ostrogoti, amante della bella vita e della belle époque
GATTICANI
popoli perennemente in lotta tra loro, alle frontiere orientali della Badilonia
GEBROCHENEKOPF
storica rotta dell’esercito badilonese
GEORGE MACDONALDS
alias Ulrico Velkemberg.
JANINE BELLEPOULE
vedi Spallatonda Giannino
JANEZ KRASKA
sferico ricciuto portiere di notte del Kaiserliche Royal Hotel
KALANI
popolo errabondo, malvoluto da tutti
LOMMER
ufficiale ostrogoto, futura faina del deserto e Gran Maresciallo di Ostrogozia
LO ZIONE RODOLFO
fanatico seguace di Crapapelada, rifondatore delle Camicie Lerce
LUKAS
tenente, universalmente noto grazie alle imprese del bravo soldato Scveik
LUNGAFAME
magro, lungo, canuto aiutante di Velkemberg
MARLENE APFELGRAU
ragazza sud-pirolina di letteraria memoria, femme de chambre
MINNA JACQUELINE URSULA GRETA VON RUDKI
alias Ulrico Velkemberg in Buriana
MONTENERVOSO
città portuale contesa tra Badilonia e Gatticania
NONNA NESTORINA
nonna del Re di Badilonia
OCOLESI
sudditi della potente isola di Grande Ocolandia
ORSOBRUTTO
dittatore degli Orsomanni, la cui venuta molti invocavano, ma che in realtà nessuno voleva
OSTROGOZIA
grande Stato a nord della Codecania e della Badilonia, celebrato dal noto inno Ostroland uber alles
ORSOMANNI
abitanti della Orsomannia, potente impero orientale
PANEOGLIO
generale badilano, futuro Gran Maresciallo di Badilonia
POEMICO
abitante della Poemia, terra famosa per i cristalli e per le sanguinose dispute religiose e defenestrazioni
POLLONESE
abitante della Pollonia, terra da sempre contesa tra Ostrogoti e Orsomanni
RE NANO
re di Badilonia, famoso più che altro per la statura
ROMPISVELTO
famoso presidente degli Stati Uniti di Dollaronia
ROSASPINA
bellissima cagna maremmana
SANIPRESTY
gigantesco sborniatico
SBORNIA
stato a sud della Codecania, sempre in ballo
SCOZZENI (von) FREYA CONTESSA
alias Bombolotto Scozzeni sciagurato liberatore di Crapapelada
SCVEIK
famosissimo bravo soldato cecatano
SPACCALORSO IGNAZIO
zio del pastore, ex combattente e prigioniero della Lunga Guerra
SPACCALORSO PINO
giovane e sfortunato pastore abruzzese
SPALLATONDA GIANNINO
valido aiutante di Velkemberg in più occasioni
STUFFENBERG (von)
colonnello ostrogoto in viaggio verso il rifugio di Baffetto Irto, ben noto agli studiosi di Storia
SVAROWSKY
informatore della polizia codecana
TADEUS WALESA (don)
alias Ulrico Velkemberg
TORILANDIA
grande paese famoso per la passione per le corride
TUMUSTUFI
paziente e intelligentissimo cavallo di Velkemberg
URSULA ZIPPENSTEIN
principessa di Zipponia, infelice madre di Bembo
VELKEMBERG ULRICO
avventuriero sventurato, condottiero dubbioso, poeta incompreso, impareggiabile attore
ZIMBER
crudele zio di Bembo
ZIPPONIA
staterello troppo vicino all’Ostrogozia, patria di Bembo
1
L’eroe
Velkemberg sta seduto sulla sua scomoda seggetta e guarda fuori dall’altana i monti azzurrini, la vallata ancora verde e il profilo oscuro del villaggio sulla collina di fronte. La calma luce della sera non lo rasserena: è inquieto. Sembra che il mondo si sia dimenticato di lui. Nessuno ricorda le sue imprese gloriose, il suo contributo alle recenti vittorie. Così è il mondo!
L’eroe guarda sospirando il suo cimiero, abbandonato negletto in un angolo tra la polvere. L’elmo che protesse il cranio, più calvo che spelacchiato, da tanti colpi di daga e di sventura. Con una mano carezza le magre guance del volto allungato, raggiungendo la barbetta caprigna che gli ricopre il mento aguzzo, mentre strizza gli occhi grigiastri e aspira sonoramente dal naso prominente e grifagno per impedire che una goccia involontariamente ne discenda. Era la faccia in più versi solcata da cicatrici e rughe, siccome una pergamena antica da topografici sentieri, frutto degli anni e delle molte e logoranti imprese. Così è il mondo verso i generosi!
I suoi molteplici talenti, la sua capacità di immedesimarsi nell’animo di persone tanto diverse, di coglierne e ripeterne i piccoli tic, di cambiare a suo piacimento il timbro della voce, la plasticità del viso, avrebbero potuto fare di lui un grande attore, capace di portare sui palcoscenici di tutto il mondo i testi di Shakespeare, Pirandello, Moliere, Calderon de la Barca, Schiller, anche nelle lingue di origine. Infatti Ulrico di Velkemberg era perfettamente padrone di sei o sette lingue e in esse riusciva a esprimere in modo raffinato pensieri molto complessi e sottili battute di spirito. Forse più che attore avrebbe potuto fare il diplomatico e tessere complesse reti di relazioni internazionali, grazie anche al suo sangue freddo e al fascino magnetico che scaturiva dal suo sguardo. Ma era intervenuta la guerra...
E Velkemberg, da buon patriota, aveva silenziosamente messo a disposizione della sua Patria il suo ingegno, la sua arte, il suo braccio, le sue fatiche, le sue ricchezze, in cambio di una vacua fama e di continui improperi.
Era un artista che non aveva mai avuto i trionfi che meritava, che aveva dovuto fare a meno degli applausi, sempre in tensione per evitare che gli altri si accorgessero della sua recita, che mai aveva potuto abbassare la maschera, abbandonarsi ai sentimenti, concedersi un attimo di tregua. Molti dei suoi trionfi erano sconosciuti al gran pubblico. Alcune vittorie, celebrate da tutti nascondevano invece l’amarezza di imprese fallite per un granellino di sabbia finito tra gli ingranaggi...
E la Storia, inesorabile, aveva continuato a celebrare sempre gli stessi, a raccontare le sue favole, dimentica di chi tanto si era adoperato per raddrizzarla un pochettino.
Velkemberg stringe nervosamente i braccioli della seggetta con le lunghe dita delle mani ossute e posa gli occhi inquieti sulle lunghe gambe e sui piedi calzati negli stivali sporchi e sdruciti, pigramente appoggiati al muretto che limita l’altana. Ricorda quella volta che da solo, in occasione della famigerata rotta di Gebrochenekopf, fermò la carica di uno squadrone di ulani lanciati all’inseguimento delle stremate e tremanti fanterie badilane.
Lui solo, dritto con in mano un forcone bidente, in piedi sopra un grosso carro carico di profumato fieno quartirolo, sistemato in mezzo a uno di quei ponticelli stretti e diroccati posti sopra il torrente Schiavone. Gli ulani, non potendo guadare il torrente, a causa della ripidezza delle rive e delle mugghianti acque spumeggianti tra i massi, si lanciarono come un solo cavallo verso l’imboccatura del ponte, spronando a sangue i poveri destrieri, stanchi per il gran correre e ancor più affamati per il lungo digiuno. Erano ore e ore infatti che quei diavolacci cavalcavano ventre a terra, senza un attimo di respiro, sempre alle calcagna dei poveri fantaccini badilani, le cui calcagna avevano consumato il fondo dei loro pantaloni.
Velkemberg dalla cima del gran mucchio di fieno, sprezzante delle grida e degli improperi degli ufficiali codecani, stava appoggiato al suo forcone, immobile come una statua di gesso.
Sparate, sparate!
gridavano gli ufficiali, inutilmente, poiché tutti gli ulani erano armati solo di stocchi, spiedi, schidioni, sciabole e scimitarre, ma non avevano con sé armi da fuoco. I pochi che le recavano seco non avevano avuto tempo di ricaricarle durante la precipitosa offensiva che più volte aveva rischiato di portare le punte avanzate dell’esercito codecano, come ad esempio gli squadroni di cavalleria, davanti alle retroguardie dell’esercito badilano in fuga. E questo sarebbe stato un gran male, in quanto le leggi di guerra non prevedevano una simile confusione tra gli eserciti, sia pure nel corso di una grande manovra strategica, quale quella che aveva avuto inizio con la rotta di Gebrochenekopf.
L’eroico Velkemberg, accortosi dell’impaccio degli sciabolatori nemici, che non potevano raggiungerlo con i loro stocchi, per irrisione aveva preso a minacciarli con il forcone, gettando per spregio mannelli di profumato fieno quartirolo contro i musi bramosi dei ronzini codecani. Questi, insensibili ai colpi di sprone dei loro cavalieri, cominciarono a pascersi, strappando voraci boccate di fieno al grande mucchio che stava sul carro che bloccava il ponte sullo Schiavone. Intanto l’orda di cani bastardi che accompagnava il carro di Velkemberg cominciarono ad abbaiare ferocemente, aumentando la confusione che si era creata intorno al grande ammasso di fieno.
Il Signore di Velkemberg, approfittando della confusione, si lasciò scivolare dalla parte posteriore del carro, ne bloccò le ruote e, staccata la pariglia, saltò in groppa a uno dei due giganteschi manfredonici muli e si allontanò al piccolo trotto verso le linee badilane. La lunga scia di barattoli e buatte attaccate ai finimenti dei cavalli e trascinate al suolo, rimbalzando riempiono l’aria di scoppi e rimbombi più che se fossero fucilate. La pianura si andava riempiendo di ombre e nebbie, mentre il sole tramontava a occidente in una stretta fessura tra le colline e la nuvolaglia nera. I cani si disperdevano lontano ululando, mentre i cavalli degli ulani masticavano felici il fieno.
L’evento, apparentemente senza testimoni, si riseppe presso gli alti comandi badilani e ovviamente aumentò di peso e importanza: Velkemberg aveva fermato, si disse, due squadroni di ulani, quattro squadroni, un’armata codecana intera. Ciò valse al nostro eroe, oltre alla solita medaglia, una menzione d’onore e, più tardi, una fattura del Regio Comando Alimentazione Quadrupedi che richiedeva il pagamento del carro di fieno lasciato nelle mani del nemico.
Velkemberg pagò la notula senza discutere, temendo forse che, scavando nel suo passato, lo si accusasse, niente po’ po’ di meno, anche di collusione con il nemico e della disfatta di Gebrochenekopf!
Ma non erano questi i ricordi che vellicavano l’animo del nostro eroe. Egli cercava di sceverare tra le sue molte imprese quelle che potevano meritargli la imperitura memoria presso gli spirti eletti dei vari continenti da quelle che avevano solo provocato un caduco rumore o peggio ancora avean sortito una labile e discutibile fama.
Costernato, l’eroe riconosceva che la sua visione del mondo e delle cose molto era cangiata nel tempo e con l’etade. Anch’egli da giovincello, con la mente ottenebrata d’auliche letture, avea prestato ascolto alle lusinghe della fama e seguito le roboanti fanfare di fumosi ideali in bellicose imprese. Col trascorrer del tempo e il sopraggiunger, con la saggezza, de’ senili acciacchi, che sommati alle plurime ferite gli ricordavan sovente sia il mutar di stagione, che, e ancor più, il volubil pensiero dell’umana marmaglia, erasi fatto più cogitante e lento nel prender decisioni foriere di rischi e di perigli col sol ricavo di fumanti corbelli di profumato guano.
Stava quindi pensoso il prence e rimembrava.
2
Velkemberg a Montenervoso
L’audace impresa
L’impresa di Montenervoso era iniziata sotto i migliori auspici. Migliaia di giovani, militi, disoccupati, avventurieri, avevano risposto agli accorati appelli che Velkemberg aveva pubblicato sui giornali e sui manifesti affissi agli angoli delle strade. Tutti appelli regolarmente scritti in giambi ed epodi che il popolo entusiasta mandava a mente e declamava a ogni piè sospinto. Così i giovani avevano abbandonato le tetre aule, i militi le fumose caserme, i disoccupati le squallide piazze, gli avventurieri le bettole degli angiporti e tutti erano confluiti, a piedi, a cavallo, in velocipede, in treno o in BL ai confini del regno di Badilonia, dove si trovava la città di Montenervoso, che gli alleati, dopo la fine della Lunga Guerra si erano rifiutati di fare occupare dalle truppe badilane, con la scusa che lì c’erano molti sudditi gatticani, anche loro oppressi in passato dall’impero codecano. Era stato così che il Re Nano di Badilonia era stato costretto a ritirare le sue truppe, lasciandovi per prudenza un plotone di Reali Guardiani a cavallo, a rinforzo del miserello esercito gatticano (una decina di reclute), da poco ricostituito e già diviso tra le ambizioni della dozzina di generali di diversa etnia gatticana.
L’indicibile eroe, dopo aver tentennato alquanto, quando si era reso conto che aveva alle spalle uno stuolo tumultuoso e plaudente di giovani incoscienti e soprattutto quando il suo ex compagno di scuola, il giornalista Pelito Crapapelada, gli aveva promesso un considerevole rinforzo finanziario, aveva tenuto una concione (parte in romano antico, parte in romano moderno) e poi spronato il suo ronzino oltre il rigagnolo che segnava il confine tra il Regno di Badilonia e la città di Montenervoso.
Lo seguiva il fior fiore della gioventù mondiale con illustri ingegni futuristi e poetici come il ben noto Spelagatti, capo delle dure testeferrate, oppure il fine poeta Antico Defollis, il volitivo dollariano Frustalupp, il furioso bolgiatico Cacciamukky, il fedelissimo Giannino Spallatonda, il coraggioso Pizzonero, l’intraprendente Musoduro e via via tanti altri.
I Reali Guardiani a cavallo, prontamente sopraggiunti, avevano acciaccato i piedi di una mezza dozzina di scalmanati, con gli zoccoli dei loro furenti destrieri, ma poi richiamati con alate parole di Ulrico di Velkemberg, si erano limitati a scortarlo al Palazzo dogale tra due file di folla plaudente (le novità fanno sempre piacere, specialmente a bottegai, osti e bettolieri!).
L’armata dell’eroe era entrata trionfalmente con le sue bandiere, le sue poche armi, la sua fame e la ancora più insaziabile sete e si era dispersa nelle piazze, nelle strade e nelle osterie e bettole della piccola cittadina, alimentando ogni sorta di commercio e di confusione.
Le reclute del neocostituito esercito gatticano si erano prudentemente ritirate sulle alture vicine, mentre i popolani di stirpe gatticana, che non erano riusciti a procurarsi a mercato nero uno straccio di bandiera badilana, si erano prudentemente rinchiusi in casa.
Il sommo Eroe aveva pensato di occupare trionfalmente la città, che poteva vantare lontane origini romane (come dimostravano alcuni antichi sassi sull’acropoli), rendere omaggio ai monumenti che ne ricordavano la gloriosa istoria e poi invitare il Re Nano a prendere il treno e raggiungerlo per unire un’altra brillante gemma al suo diadema reale. Secondo i suoi progetti tutto si sarebbe concluso in una specie di scampagnata (vino, prosciutto e fichi) e in una vacanza da scuola di quattro o cinque giorni, massimo una settimana.
Ma le cose non andarono nel modo sperato: i Governi dei principali Paesi alleati (Gallicania, Ocolandia e Dollaronia), si legarono l’affronto al dito e imposero ai badilani di rimettere tutte le cose al loro posto, lasciando la città di Montenervoso ai poveri gatticani, che intanto abbaiavano nervosamente tutti in perfetto accordo, pena feroci sanzioni economiche e blocco dei porti badilani con le flotte dei gallicani e degli ocolesi. Il Primo Ministro di Badilonia, timoroso delle reazioni degli Alleati, proibì al Re di muoversi e scrisse una letteraccia a Velkemberg, accusandolo di brigantaggio e pirateria, ingiungendogli di abbandonare l’impresa, sotto la minaccia di sloggiarlo da quei quattro sassi (già romani) mediante l’uso delle Forze Armate badilane. Ma soprattutto lo minacciò di togliergli la pensione e di eliminarne l’effige e i versi da tutti i testi delle scuole del Regno.
Queste minacce non potevano atterrire più di tanto il grande Aedo, non era ancora in età di pensione e i suoi versi giacevano a mucchi nei cassetti del suo scrittoio, ignoti al pubblico dei provveditori agli studi statali. Né d’altronde era un povero vecchierello pelato e orbo, che arringava il popolo dall’alto di un balcone, in atteggiamenti guerreschi e tracotanti, così come lo rappresentavano i vignettisti satirici dell’opposizione. Lo cominciarono a preoccupare gli inspiegabili ritardi con cui il suo fraterno camerata Crapapelada dilazionava l’invio dei milioni di lire badilane raccolte in tutto il paese a sostegno della gloriosa impresa.
D’altro canto, con il passare dei giorni, le cose a Montenervoso si stavano complicando: erano finiti i pochi sghei trovati nelle locali banche e sequestrati, al suo arrivo, dall’Eroe, proclamato per acclamazione di piazza Doge assoluto. I volontari continuavano ad aumentare, giorno dopo giorno, attirati come le mosche dal letame, tutti immancabilmente disarmati, affamati, assetati, mal vestiti e desiderosi di essere consolati e trastullati. Gli osti, gli albergatori, i bettolieri, i sarti, i bottegai e le puttane della cittadina, visto che ormai tutti i soldi disponibili erano stati prosciugati si rifiutavano di fare più credito a tutta quella marmaglia e ogni giorno manifestavano inferociti dinanzi ai Palagio Dogale, frammisti ai loro aspiranti clienti e aspiranti armati.
I pochi bezzi rimasti erano serviti al sommo Duca per acquistare armi di contrabbando dai paesi, che erano usciti sconfitti dalla Lunga Guerra, oppure che si erano dichiarati pacifisti, ma malgrado ciò la difesa della città era alquanto carente, qua mancavano le batterie costiere, là dove c’erano i cannoni mancavano le palle, là dove c’erano sufficienti archibugi, fallavano le pietre focaie, infine, essendo spariti gli arrotini, spade, spadoni, sciabole, baionette e pugnali abbisognavano della necessaria manutenzione e soprattutto della affilatura.
Le grandi potenze avevano inoltre istituito un blocco navale che impediva l’afflusso di ogni genere alimentare e non, indispensabile non solo per quell’accozzaglia di avventurieri, ma anche per la cosiddetta popolazione civile, che col passare del tempo diveniva sempre meno civile e manifestamente nervosa, come indicava il nome e la storia del paese.
Le gazzette riportavano la notizia che sia in Badilonia, sia in altri paesi stavano avvenendo grandiosi manifestazioni di affetto da parte di un largo stuolo di maestrine, matrone e patrizie, che si erano sollevate in massa e preso a scrivere missive amorose e profumate al nobile Eroe, laudando il suo spirto guerrier e tutte l’altre cose che a esso si accompagnano. Cotale sollevazione muliebre-popolare da un lato rese più prudente il Primo Ministro badilano (aveva ben cinque femmine in casa, compresa la cagnetta, di cui quattro zitelle) e dall’altro ringalluzzì Velkemberg (sempre sensibile alle grazie muliebri), rafforzandolo nella sua determinazione di portare in fondo quella impresa, sia pur momentaneamente incerta.
L’immaginifico Duca pensò allora di cominciare a battere moneta propria, onde pagare con quella il popolo dei fornitori inquieti e la turba di giovinastri scalmanati, strapanati e allocchiti che fino a lì lo aveva seguito con tanto entusiasmo. Ma i furbi montenervosini, dopo aver guardato e palpeggiato quelle monete di carta che recavano impresso su un lato il volto austero dell’Aedo e la dicitura Principato di Montenervoso, Lire Montenervosine Tot, e sull’altro le stesse scritte, oltre ai numeri e alla visione fotografica del porto di Montenervoso, le restituirono, rifiutandole sfrontatamente. Anzi lo stesso stampatore che, fino ad allora aveva stampato diligentemente gli editti, le liriche e le grida dell’Aedo, visto che non veniva pagato, come promesso, né con franchi, né con sterline, né con talleri, senza preavviso se ne partì su una barchetta, lasciando cliché, torchi e inchiostri soli e derelitti.
Quello fu uno dei momenti più brutti per il sommo eroe: file di questuanti sostavano perennemente dinanzi alla porta del suo uffizio, file di creditori dinanzi ai cancelli del Palagio Dogale, file interminabili correvano dietro la carrozza dogale. Non poteva fare un passo che era seguito da donne, uomini, mule, putei che vociavano chiedendo con insistenza pane, minestra, sghei...
Proprio nel momento in cui stava per perdersi d’animo, si sovvenne che il suo maestro gli aveva rivelato che, in fondo, il popolo era come un bambino, che può essere consolato e distratto dai suoi mali mediante fiabe e fantasie.
Velkemberg, come a tutti è noto, possedeva, tra i suoi molteplici e innumerevoli talenti di genio italico, anche quello di fine grafico e acuto ingegno finanziario. Nottetempo salì a bordo di uno splendido brigantino, ormeggiato nel porto, e lì nel segreto più assoluto elaborò un piano per risollevare le sorti della bella impresa.
Dopo tre giorni ricomparve a Palagio Dogale e convocò il cosiddetto Ministro delle Finanze del Principato, che poi in fondo in fondo era lo scopino municipale, incaricato di togliere polvere e ragnatele dalla stanza del Tesoro e gli chiese per prima cosa carta bianca.
La sua richiesta non poté essere accettata in quanto il fellone dello stampatore aveva utilizzato tutta la carta disponibile, stampandola solo su di un lato (quello dove era l’effigie dell’Eroe). Velkemberg ricevette quindi solo carta mezza bianca, vale a dire in cui era possibile stampare solo da una parte. In ugual modo una parte dei cliché risultarono biffati e quindi non utilizzabili.
Fra Tacchione
Mentre il nostro eroe cogitava profondamente su come volgere a suo favore quel sabotaggio, il suo sguardi cadde su Fra Tacchione, uno dei suoi più fedeli accompagnatori. Anziché obbedire agli ordini del suo Duce, erasi il tapino come incantato nel rimirare le immagini di certi santi e delle loro gagliarde imprese, riprodotte a stampa in quelli che il popolo devoto chiama santini.
Velkemberg menò dunque un sonoro pattone sulla zucca semipelata del malcapitato frate, dicendo: "Cosa havvi di tanto affascinante da distoglierti dalla tua opera,