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E-book37 pagine28 minuti

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Cinque racconti distinti come le dita di una mano ma, come in questa, uniti tra loro da un unico contesto, la Sicilia, dove convivono alcune delle sue contraddizioni: violenza e voglia di riscatto. Da qui il titolo della silloge No!, che riprende quello dell’ultimo racconto, e si pone quasi come un manifesto comune.
Le parole gridate rabbiosamente dalla figlia del funzionario di polizia al padre durante una lite provocheranno in lui un turbamento profondo e delle scelte coraggiose nel racconto “L’urlo”.
In “Vent’anni”, ambientato nella Sicilia del dopoguerra, la carcerazione del padre per una condanna a vent’anni di reclusione all’Ucciardone di Palermo indurrà Tonio a studiare per potere corrispondere con suo padre e riempire quello che gli appare come uno spazio indefinito e immenso.
Il coraggioso rifiuto di Carla e Michele di soggiacere alla violenza intimidatoria in “Racket”, contribuirà a fondare il primo associazionismo antiracket nella Sicilia degli anni ’90.
Sei la mia terra adesso, non tradirmi, è la speranza di Ismaila, in “La Mia Isola”, che la convince a restare in questa nuova terra che desidera sentire come propria dopo il suo lungo viaggio da migrante.
Infine in “No!” la ribellione di Luisa ai suoi coetanei che vogliono violentarla configurano e attualizzano in un diverso contesto la violenza e il suo rifiuto. Sento ancora nella mia testa quel grido, e non mi do pace, no! No! No!
LinguaItaliano
Data di uscita1 nov 2019
ISBN9788832925838
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    Anteprima del libro

    No! - Marino Julo Cosentino

    No!

    L’urlo*

    Gli avevo urlato in faccia ancora sconvolta. Di mattina non doveva finire così, con la carica della polizia e il mio amico Marco in ospedale. Ero tornata a casa e lo avevo aspettato fino a tardi. Rincasava sempre tardi quando era in servizio e di solito era mia madre ad attenderlo. Quella sera no, lo avevo aspettato io per urlargli contro la mia rabbia. Che bisogno aveva la polizia di reagire in quel modo. In fondo a tirare quei sassi erano stati solo quattro esaltati. Era un corteo pacifico. E nessuno voleva la violenza. Quando in un corteo c’era violenza l’indomani si smarrivano le ragioni della protesta e rimaneva solo il racconto delle vetrine spaccate e delle teste rotte. Nessuno, invece, voleva che non si parlasse delle ragioni della nostra protesta. Così quella mattina avevamo fatto il possibile per isolarli creando un cordone cuscinetto tra loro e la polizia che conteneva la manifestazione studentesca. Solo davanti gli uffici della questura quelli si erano in qualche modo divincolati e avevano iniziato a tirare le pietre ai poliziotti del cordone. Era stato un attimo e stavamo per circondarli di nuovo e riprendere il controllo della manifestazione... Sarebbe bastato un altro attimo e li avremmo fermati senza bisogno che la polizia ci caricasse con gli scudi di plastica e i manganelli di gomma, colpendoci tutti senza distinzione, buoni e cattivi. Tra i buoni c’era Marco. Insomma me l’ero cavata per poco dato che anch’io ero accanto a lui. Ecco perché lo aspettavo. Si rendevano conto lui e i suoi colleghi della polizia, si rendeva conto che nel corteo c’era anche sua figlia... In realtà lui non c’era, chissà dov’era quella mattina, ma avrebbe potuto esserci, poteva essere lui quello che aveva colpito Marco e sfiorato me, se ci fosse stato. Non fu una bella discussione quando, finalmente molto tardi, arrivò a casa. Avevano fatto un appostamento, altro che corteo, mi gridò dalla cucina dove stava preparandosi un panino. Mia madre era andata già a dormire. Presagiva che tirava una brutta aria e aveva preferito battere in ritirata. Non ci parlammo per giorni, dopo la lite, quasi ci evitavamo. Le sue ragioni non mi avevano convinto e le mie non avevano convinto neanche lui. Testardi lo eravamo tutti e due. Nessuno voleva cedere. I giorni passarono, Marco in fondo non si era fatto niente, anzi a scuola passava per un eroe e

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