L'ultima risata
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Anteprima del libro
L'ultima risata - Elena Genero Santoro
1.
Se Marina non si svegliava tanto presto e non reclamava attenzioni, Futura e Patrick amavano starsene accoccolati tra le coperte per un po’ dopo il risveglio. Lei si abbandonava tra le sue braccia bianche e si lasciava circondare, mentre i loro respiri si mescolavano e si fondevano.
« Sai a cosa pensavo? » disse lui a un certo punto. « Alla prima volta che abbiamo fatto l’amore. In quel momento mi sono accorto che con te poteva essere una cosa seria. »
Futura arrossì e un piccolo sorriso le spuntò sotto il naso. « Stento a crederlo. La nostra prima volta è stata emozionante, ma io ero così agitata e… »
« Eri nel panico. » Patrick sorrise e le accarezzò un omero. « Non capivi che io non ero in cerca di giochetti. Io volevo soltanto sentirti mia. Quel giorno mi sono innamorato di te. »
La notte in cui avevano fatto l’amore per la prima volta, non avevano parlato molto. Lei aveva subito premesso, quasi sentendosi in difetto, Non ho molta esperienza
, e a lui era venuto il dubbio che non ne avesse alcuna. Non aveva osato domandarglielo, ma nell’incertezza era stato cautissimo. Si era presto reso conto che il suo timore principale era infondato, Futura non era affatto vergine, ma le sue premure l’avevano fatta sentire a suo agio. Lei aveva mostrato di apprezzare quella dolcezza, e alla fine aveva iniziato ad accarezzare il corpo nudo di Patrick che riposava accanto al suo tra le lenzuola. Le sue mani dappertutto avevano rotto la diffidenza e l’estraneità e costruito una confidenza tutta nuova.
*
Futura realizzò in quell’istante che suo marito non aveva mai preteso di sapere quanti uomini avesse avuto prima di lui. Un sommo esempio di garbo, oppure Patrick era convinto di essere stato l’unico?
« Devi proprio alzarti? » gli chiese, con voce lamentosa, cercando di trattenerlo di fianco a sé nel letto.
« Il lavoro chiama. Dai, che domani partiamo per Torino. Avremo tutto il tempo per recuperare nelle vacanze di Pasqua » sorrise lui, dandole un buffetto sulla guancia dopo essersi messo a sedere.
Futura rifletté a mezza voce, con lo sguardo perso oltre il soffitto: « Sono davvero impaziente di incontrare i miei genitori. A casa mia c’è qualcosa che non va. »
2.
Torino, giovedì
Lo studio legale di Nadia Fortuna, dove Manuela lavorava, si trovava in via San Quintino, vicino a quello di suo padre, che era in via Mazzini e che lei aveva lasciato quasi un anno prima. Alzarsi molto presto non le pesava; anzi, le piaceva uscire di casa alle sette, attendere il pullman alla fermata e camminare un po’ fino al bar sotto lo studio, facendosi svegliare prima dall’aria fresca e frizzante del mattino e poi da una bella tazzina di caffè lungo.
Il bar ormai le era familiare. Conosceva i gestori: dei napoletani, padre, madre e figlio, che quotidianamente, un po’ ridendo e un po’ sfottendola con simpatia, la incitavano a prendere qualcosa in più di quell’unico caffè.
« Ma una pasta proprio non ti va? Una sfogliatina? Un babà? È buono, sai? Tanto, prima che ingrassi, ce ne va! »
Ma Manuela, attenta al suo peso forma, declinava sempre l’invito. All’inizio quella confidenza le aveva dato fastidio; pian piano però ci aveva fatto l’abitudine, e aveva preso lei pure a rispondere a tono, sempre scherzando. In breve, quel teatrino si era trasformato in un’irrinunciabile consuetudine.
Anche la clientela le era presto diventata nota. C’erano sempre le stesse facce, gli stessi colletti bianchi che consumavano una colazione parca prima di entrare nei numerosi uffici e studi professionali che riempivano il quartiere.
Di solito Manuela se ne restava in disparte, leggeva qualche pagina del quotidiano a disposizione, buttava un’occhiata all’oroscopo e si faceva un’idea del tempo atmosferico a venire: il cielo grigio di Torino sarebbe rimasto tale per tutto il giorno, oppure, prima o poi, un raggio di sole avrebbe fatto capolino tra le nuvole? Alla fine scambiava qualche whats di buongiorno con suo fidanzato, Giovanni, avvocato come lei, che in quei mesi viveva a Bruxelles per uno stage di lavoro.
Buongiorno, Ragazza dei Miei Sogni
, le aveva appena scritto.
Era cominciata proprio così. Lui le aveva confessato, racimolando tutto il suo coraggio, di essere innamorato di lei da anni. E Manuela, dopo qualche titubanza, aveva capito che non le dispiaceva affatto. Giovanni era il Ragazzo Serio che lei aveva sempre desiderato e che l’aveva messa su un gigantesco piedistallo.
Rispose: Buongiorno, tesoruccio! Hai dormito bene? Cosa ti aspetta oggi?
Mentre seguitava a chattare con il suo amato lontano, scrivendo smancerie e ridacchiando tra sé e sé, non si accorse che un tizio le si era avvicinato.
« Scusa » le disse. « Se non lo leggi, posso prenderlo io? » domandò alludendo al quotidiano che teneva sul tavolino.
Manuela alzò gli occhi. Di fronte a lei c’era un bel tipo in giacca e cravatta, sulla trentina. Occhi che erano un bosco d’estate, capelli di miele e un sorriso candido. Era la prima volta che lo vedeva: in quel bar, a quell’ora del mattino, non ci era mai entrato, altrimenti lo avrebbe di sicuro notato.
« Figurati. » Contraccambiò il sorriso e il tono confidenziale. « È tutto tuo. »
Controllò l’ora sul cellulare. Erano le otto meno dieci. Lasciò la tazzina vuota sul tavolino e si diresse verso l’uscita.
In ufficio non c’era ancora nessuno, a parte Marta, che aveva aperto. Le altre praticanti (erano tutte ragazze), sarebbero arrivate alla spicciolata entro le otto e mezza. Quella mattina Nadia aveva un’udienza e Manuela si mise subito all’opera, decisa a portare avanti il caso a cui si stava dedicando. Poi scrisse una breve email a Giovanni, con tanti cuoricini, stelline e bacetti. Per pranzo tirò fuori la sua irrinunciabile insalata, quindi si preparò un altro caffè.
Verso le due la titolare rientrò. Appese con foga l’impermeabile all’appendiabiti e convocò tutti in sala riunioni. Sembrava essere pervasa dal buonumore; anzi, da una strana euforia. Gli occhi le brillavano.
« Voglio presentarvi un nuovo collega. Lavorerà con noi a partire da domani. È un giovane avvocato che ha già maturato una certa esperienza come divorzista. Si chiama Paolo De Francisci. Monica, per cortesia, fallo entrare. »
Manuela aveva ascoltato distratta. Era solo stupita che Nadia ci mettesse tanto entusiasmo nell’introdurre un nuovo schiavo — un maschio?! — nel girone dei dannati. Per giunta attendeva con impazienza che Giovanni degnasse di una risposta alla sua email piena d’amore. Questo finché il nuovo avvocato non entrò. Lei lo squadrò da testa a piedi e prese atto, con pizzico di stupore, che si trattava proprio del bel ragazzo incontrato al bar poche ore prima.
3.
Torino/Cristini, giovedì
Viaggiare con una neonata era davvero impegnativo. Futura si stupiva ogni volta del numero di borse e valigie che era costretta a imbarcare. E pensare che dovevano rimanere in Italia solo per una settimana! Eppure non riusciva a farci l’abitudine. Erano finiti i tempi in cui per volare da una nazione all’altra era sufficiente un trolley leggero. Menomale che la carrozzina era stata ormai archiviata e che per spostarsi era sufficiente un passeggino.
Una volta atterrati, si sorprese di trovare suo fratello Iago ad attenderli al gate.
« Pensavo che venisse a prenderci papà, come sempre. » Gli stampò un bacio su una guancia. « Come stai, fratellino? »
Iago distolse lo sguardo color carbone. « Lo sai che papà non è stato bene » sembrò volersi giustificare.
Futura credette di aver compreso. « Me l’ha detto, la mamma, che ha problemi con lo stomaco… »
Iago non replicò, annuì solamente e si passò una mano tra i ricci neri. A lei si incollò addosso una sensazione appiccicosa di inquietudine che la accompagnò fino a Cristini.
Nelle ultime settimane, sua madre non si era fatta più vedere a Barcellona, e anche quando si faceva sentire al telefono o via webcam aveva lo sguardo sfuggente e l’aria tirata. Futura aveva provato a chiederle quale fosse il problema, convinta che ci fosse sotto qualcosa. Problemi all’agriturismo per via della crisi? Questioni in sospeso col fisco, dato che l’anno prima c’era stato un contenzioso, poi risolto? L’ultima volta, Ornella, la testa incassata nelle spalle, aveva ammesso che sì, in effetti, un problema c’era: Costanzo, il padre di Futura, non era proprio in forma. Una brutta gastrite che non accennava a smettere. Nulla di preoccupante, comunque, solo un odioso fastidio. Lì per lì Futura aveva tirato un sospiro di sollievo, eppure qualcosa non le tornava. Non riusciva a motivare l’espressione tesa sul volto di sua madre con una semplice gastrite.
Per tutto il tragitto in auto, Iago, che in genere già parlava poco, non aprì proprio la bocca. Lasciò che una vecchia radio di musica anni Settanta saturasse con le sue note il silenzio dell’abitacolo. Futura non insisté. Suo fratello aveva un carattere spigoloso e lei non era dell’umore di rimediare una rispostaccia gratuita.
Si addentrarono fra le campagne verdi della provincia di Torino e poi della provincia di Cuneo, con i pali della luce che scorrevano uno dietro l’altro di fianco a loro. Marina, sul seggiolino, ronfava con il ciuccio in bocca.
Futura si rese conto che era da un po’ che suo padre non si affacciava alla webcam per un saluto. Anche se la tecnologia non lo aveva mai appassionato, se Ornella la chiamava con Skype, anche lui non si tirava indietro per scambiare due parole.
Quando l’auto si fermò, fece scrocchiare la ghiaia del viale circondato da meli che portava all’agriturismo.
Di fronte a loro un villino moderno rivestito col paramano rosso, persiane marroni e un piccolo portico che incorniciava l’ingresso principale. Sulla porta troneggiava un pannello di legno con sopra inciso Il Melo
. L’edificio si innestava su un vecchio cascinale ristrutturato che ospitava bovini, suini e pollame.
Ornella si affacciò sulla porta. Sembrava ancora più magra del solito, le guance scavate. Futura scese dalla macchina, posò le borse che aveva in mano, la baciò e si guardò intorno.
In casa regnava un silenzio innaturale. Le persiane erano socchiuse, l’ingresso era immerso in una cupa penombra.
« Dov’è papà? » domandò con aria circospetta.
Sua madre prese il fiato, come se le mancasse l’aria. « Papà è di sopra che riposa. C’è una cosa che dovete sapere. Sediamoci un attimo e vi racconto tutto .»
Le gambe di Futura divennero improvvisamente gelatina.
Sua madre riprese a parlare. « Ti avevo accennato che papà ha problemi a digerire, vero? »
Lei annuì, per nulla rassicurata. « Sì, mi avevi detto che vomitava spesso, che aveva dolori all’addome, ma che… »
Ornella, accasciata sul divano, teneva le braccia penzolanti tra le ginocchia e lo sguardo basso. « Abbiamo fatto degli esami, nelle scorse settimane, e la prognosi non è incoraggiante. »
Futura, pur seduta, si sentì mancare la terra sotto i piedi. « Cioè? » Non riusciva ad articolare una frase di senso compiuto. A stento si accorse che Patrick le stava stringendo una mano.
Ornella inspirò profondamente. « Tuo padre ha un tumore. » La voce le tremava. « Proprio ieri ha terminato il ciclo di chemioterapia, ma… »
« Oh, no! » Futura si portò ambo le mani sulla bocca. Dopo un attimo di smarrimento, domandò: « Dovranno operarlo? »
Ornella le mise una mano fredda sul braccio. Se il tentativo era quello di calmarla, sortì l’effetto opposto. « Tesoro, è un tumore al pancreas e non si può operare. Ci sono già troppe metastasi in circolo. Ti stavo dicendo che papà ha fatto la chemio, ma i risultati non sono quelli sperati. »
Futura guardava sua madre, ma non riusciva a metterla a fuoco. « E quindi? »
« E quindi la situazione è così compromessa che non ha senso nemmeno cercare di cronicizzare la malattia con qualche cura sperimentale. Da adesso riceverà solo cure palliative. Gli hanno dato qualche settimana di vita. Papà ne è consapevole. »
A Futura parve che la stanza fosse diventata ancora più buia. O forse era solo perché Patrick la stringeva forte, mentre lei affondava il viso contro il suo petto.
4.
Torino, giovedì
Giovanni non aveva risposto all’email per tutto il giorno e Manuela si era scoperta stizzita. Periodicamente controllava la casella di posta, ma non trovava nulla. Che diavolo ci voleva a contraccambiare due smancerie? Non era certo più indaffarato di quanto lo fosse lei.
Invece Paolo era simpatico. Si era presentato con tutti i nuovi colleghi, si era informato sul loro ruolo all’interno dello staff e aveva elargito grandi sorrisi compiacenti. Le aveva strizzato un occhio, dimostrando di averla riconosciuta dopo l’incontro casuale del mattino al bar. I suoi occhi avevano persino brillato per un attimo quando lei gli aveva stretto la mano pronunciando per intero nome e cognome: « Manuela Altimonti, molto piacere. » Poi lui aveva seguito Nadia nel suo ufficio, docile e servizievole.
Perché la sua datrice di lavoro aveva assunto quel collaboratore, maschio per giunta? A cosa le serviva un avvocato troppo giovane per essere un suo pari, ma con già abbastanza esperienza per essere sfruttato come un praticante?
Mentre mordeva una matita, il cellulare segnalò l’arrivo di un messaggino. Era di Giovanni.
Credo che ci vedremo presto. Arrivo con il primo aereo.
Manuela non riuscì a reprimere un sorriso spontaneo. In fondo anche lui sapeva sorprenderla, quando si impegnava.
Davvero?
rispose, aggiungendo tanti emoticon sorridenti, cuoricini e roselline. È meraviglioso! Avevo capito che nelle vacanze di Pasqua non saresti riuscito a sganciarti!
Gli occhi scuri da cerbiatta, fissi sul cellulare, e la bocca a cuoricino, con gli angoli girati all’insù, rivelarono tutta la sua soddisfazione, anche se lui non poteva vederla.
Purtroppo non è un viaggio di piacere
la disilluse lui, con un messaggio senza faccine né fiorellini colorati. A casa ho un problema serio. Appena atterro, ti spiego.
La felicità si crepò come porcellana sul volto di Manuela.
5.
Cristini, giovedì
« Va un po’ meglio? » le chiese Patrick, quando aprì la porta del bagno in cui Futura aveva vomitato anche l’anima.
« Non tanto. » Lei si osservò allo specchio: aveva un colorito verdognolo.
Dopo la rivelazione di sua madre era salita in camera e aveva bussato. L’uomo sdraiato su quel letto non era suo padre, non poteva esserlo. Era un alieno che ne aveva preso il posto, che lo aveva sostituito, ma di sicuro non era Costanzo Accardi.
Suo padre, quello vero, aveva cinquantotto anni, i capelli brizzolati, il viso rotondo dall’espressione bonaria e un paio di immancabili baffetti che gli conferivano un’aura di simpatia. La larva che gli aveva rubato il posto, invece, era magra la metà, avvizzita e rugosa, e, dettaglio non di poco conto, non aveva i capelli e neppure i baffi. Non era lui e non gli somigliava neanche alla lontana. E poi quel brutto e irriverente sostituto a stento le aveva rivolto un sorriso, prima di ripiombare in un sonno travagliato. Ornella le aveva spiegato che il marito, da alcuni giorni, era afflitto da una febbriciattola fastidiosa e spossante. Non ci si poteva fare nulla, era il decorso della malattia.
Futura ora vagava per la camera da letto che condivideva con Patrick e Marina. Perché non glielo avevano detto prima che le cose stavano così? Osservò la culla. La piccola, per fortuna, dormiva beata a pancia in su. Il petto si alzava e si abbassava in modo ritmico. Futura le rimboccò il lenzuolo di cotone sotto il materassino.
Come aveva fatto