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Storia del nostro nascondino
Storia del nostro nascondino
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E-book207 pagine2 ore

Storia del nostro nascondino

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Info su questo ebook

Un giorno, all’improvviso, Elisabetta scopre che suo fratello è scomparso. Sembra trattarsi di una sparizione senza tracce apparenti da seguire, e ben più misteriosa, forse definitiva: l’avrà rapito il suo amico delinquente? O si è suicidato? O si è chiuso in convento? Oppure sarà andato all’altro capo del mondo per cercare un figlio illegittimo?
Elisabetta si troverà sempre più invischiata dentro una “ricerca non cercata”, ma in cui accetterà di camminare, perché vedrà moltiplicarsi le domande e i misteri: chi sono gli strambi personaggi che la apostrofano sotto casa? E cosa significano certi enigmatici oggetti lasciati dal fratello?
Le possibilità sembreranno infinite, ma a un certo punto Elisabetta inizierà a sospettare che la scomparsa riguardi anche lei, tanto che attraverso le memorie lasciate scritte dal fratello, e certe conoscenze che intreccerà via via (un ispettore che non sembra un ispettore, un anziano prete che non sembra un prete, e poi dei barboni, e un bambino scampato al terremoto) andrà sempre più a fondo in un’indagine che potrebbe essere la strada giusta per trovare anche sé stessa, e per tentare di far pace con la propria storia.

 
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2020
ISBN9788835828709
Storia del nostro nascondino

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    Anteprima del libro

    Storia del nostro nascondino - Michele Capitani

     STORIA DEL NOSTRO NASCONDINO

    di MICHELE CAPITANI

    Prima edizione: settembre 2019

    Tutti i diritti riservati 2019 @BERTONI EDITORE

    Via Giuseppe Di Vittorio, 104 - 06073 Chiugiana

    Bertoni Editore

    www.bertonieditore.com

    info@bertonieditore.com

    È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi

    mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica se non autorizzata.

    Foto di copertina di Michele Capitani

    Michele Capitani

    STORIA  

    DEL NOSTRO 

    NASCONDINO  

    A mio fratello Davide 

    e a mia sorella Susanna

    Prima parte

    ATTESE

    I

    Le nebbie

    Il giorno in cui sono nato, c’era tanta di quella nebbia che mio padre non trovò la strada dell’ospedale.

    Un giorno ho iniziato a pensare che forse non l’ha mai trovata, nemmeno negli anni successivi, che non sia mai riuscito a incontrarmi.

    Sempre che esista, una strada verso i figli.

    E molti anni dopo, diventato adulto, in un contesto che non dico, mi fu reclamato di mettere in comune chi era mio padre. Mi spaventai perché ebbi una vertigine aprendo la bocca e non spingendone fuori nulla: eccetto alcune futilità, non sapevo mio padre cos’era. Non sapevo cosa dire di lui perché non sapevo nulla di lui. Cercavo cose sue da descrivere o narrare ma mi si parava di fronte un immane muro di nebbia impenetrabile; ero senza bussola, ero impotente a diradarla.

    Una nebbia fermissima e dallo spessore incognito.

    Era chiaro che iniziavano a bussare domande potenti, per questo cominciai a scrivere…

    Così scriveva mio fratello.

    Io non c’ero, sono nata qualche anno dopo di lui; ero in un’altra nebbia.

    E adesso che lui è scomparso, partito o trascinato verso chissà quali nebbie, anzi, qualcuno dice che sia già morto, cerco sul suo computer alcune tracce (come questa memoria in cui parla di papà) per capire qualcosa, o magari aiutare le indagini, e anche per fare qualcosa nei momenti di vuoto e restare sempre un poco discosta rispetto al dolore che mi passa e ripassa accanto di continuo col suo fiato mortale, e a volte sembra attraversarmi e riattraversarmi.

    Per non restare schiacciata.

    Già una volta in verità Lorenzo, mio fratello, se n’era andato semplicemente lasciando due parole vergate su un foglietto. Un po’ come facevamo anni e anni prima, quando eravamo ventenni e abitavamo tutti insieme. Quando si tornava dalle vacanze ognuno coi suoi orari, in certe mattine d’estate, mamma al risveglio leggeva che nella notte ero tornata io da un campeggio, e per coincidenza, anche lui da chissà quale autostop. «Elisabetta dorme, non svegliatela» trovava scritto. E sopra: «E Lorenzo cosa pensate che stia facendo?!». Va bene, debbo impegnarmi a non pensare a certe felicità.

    Invece quando, appunto, sparì sul serio quella prima volta qualche anno fa, scrivendo solo «Me ne vado» e senza mandare notizie per settimane, papà invecchiò più che nei dieci anni precedenti. Lì capii che sono due i modi in cui le persone invecchiano: c’è chi scende la china mano a mano che avanzano le ore e i mesi e gli anni, sempre; e chi, invece, lo fa a scalini, restando uguale a sé stesso anche per ere interminabili, ma peggiorando di botto, per una malattia o una disperazione, come è la scomparsa immotivata di un figlio. Così papà in quei giorni.

    Con la polizia parlava mamma, che riusciva a coprire meglio la propria distruzione, come quei palazzi che si rivestono con teloni raffiguranti la loro stessa facciata, per non lasciar scorgere i restauri o i crolli.

    Poi si scoprì che se n’era andato a vagabondare per conto suo, per ragioni che non volle mai spiegare. 

    Adesso che risulta sparito per davvero i nostri genitori non ci sono più, e tutto questo viene loro risparmiato. Devo imparare da sola a resistere al dolore che mi passa accanto di continuo ma è come se non volesse fermarmisi dentro. Almeno per ora.

    Insomma devo imparare da sola a fendere questa nebbia.

    ***

    Nostro padre è sempre stato più sincero nel soffrire.

    È a lui, insieme a Lorenzo, che penso, non so perché. Come non so perché la notte, che fino a pochi giorni fa passavo dormendo, penso a loro, oppure li sogno, però entrambi, mai uno da solo senza l’altro. In quel pochissimo che chiudo occhio non sogno mai né me né la mamma né altri, bensì loro due, senza alcuno sfondo dietro, che si allontanano poi si chiamano poi magari non si vedono ma se ne sentono le voci. Ci sono, anche se non si guardano. Certamente non si avvicinano mai.

    Un sogno che ricorre per tante notti di fila… nemmeno i pazienti matti della mia amica Vera l’avevano mai raccontato.

    ***

    Dalla nebbia incognita di questa seconda sparizione, da questo vuoto che non rimanda indietro nemmeno l’eco, non esce proprio nulla. Di sicuro, però, da stamani le giornate non saranno tutte uguali, e il dolore che mi gironzola accanto, ruggendo nell’attesa di azzannarmi una volta per tutte (so che accadrà), non mi troverà del tutto immobile. Nessuno ha visto Lorenzo, e lui non ha lasciato niente, eppure stamattina qualcosa è successo. Follia per follia avevo deciso, io che non amo scrivere, di scrivere la vita di mio fratello, e così, aprendo i suoi file, mi sono concessa questo trucco per illudermi di averlo qui, leggendo cose da lui lasciate scritte; ma soprattutto speravo iniziasse a uscire un qualcosa dai miei ricordi, una briciola di immagine che trapela dall’ultima piega dell’ultimo ricordo di un giorno anonimo, che magari potesse dare, a me o all’ispettore, una pista, un odore su cui sguinzagliare i cani. Uno stupido nome, una persona impensabile che si scopre che lui conosceva. Che ne so, è solo la seconda volta che mi scompare il fratello.

    Allora, succede questo: alle nove (con in testa ancora quella bizzarria di diventare sua biografa) mi chiama un vice dell’ispettore da cui ero andata la prima volta. Per una formalità, mi dice. Quindi, senza manco spegnere il computer, esco e vado in questura, tanto non è lontana. 

    L’ispettore non c’è, ma prova ad attaccarmi la chiacchiera quel suo sottoposto, che è pure carino però figurati ‘sti giorni che voglia ho di conoscere uomini. Mi colpisce solo quando mi anticipa che nel portatile di Lorenzo stanno trovando qualcosa di interessante. Non sa dirmi altro, per adesso, oppure non può. Però alcuni file può darmeli.

    E torno a casa rigirandomi fra le mani una pennetta, su cui me li ha copiati. Non capisco se è come regalo o se così si usa nelle indagini, o è semplicemente per attaccar bottone. Ad ogni modo, sono appena rincasata che la infilo nel pc. 

    L’angoscia della casa vuota e silenziosa, purtroppo, già mi è risalita, subito, implacabile. Mi ritorna il freddo dentro, non sono in grado neppure di decifrare come mai di giorno è peggio che di notte.

    Sullo schermo appare una sola cartella…

    ***

    Oggi è tutto nuovo, come questo mio nuovo taglio ai capelli, eppure me lo devono far notare. Vera mi aveva visto da cento metri, ma solo quando l’ho avvicinata e salutata mi ha riconosciuto: «Ma sei tu?! Saranno quindici anni che non ti facevi i capelli così corti».

    «Dici?»

    «Come, dico? Non te lo ricordi?»

    «Forse sì».

    «Eli, senti, sediamoci… Come ti senti?»

    «Boh. Mi sento vuota. Certe volte mi piglia un’angoscia… è peggio la domenica pomeriggio, è un mostro, un vuoto tale che se potessi passare diretta dal sabato al lunedì…»

    «Ma magari non gli è successo niente. Già una volta era scappato e poi è tornato, no? Tuo fratello è un po’ strano, lo sanno tutti. E i casi sono tanti, la televisione e i giornali sono pieni di gente che dopo si rifà viva. Metti anche un’amnesia temporanea, che ne so. Alla polizia cosa dicono?»

    «Niente, a parte che hanno scoperto che ultimamente si vedeva col Rossi, che suonava nel suo stesso gruppo. Dice che è sparito pure lui».

    «Oh, lo vedi? Se è andato via con un criminale, vuol dire comunque che è vivo».

    «Io non ho emozioni, l’ho sempre saputo, e ora è come se non potessi più negarlo».

    «Ma cosa dici?»

    «Sono vuota. Significa che quando l’ispettore mi ha comunicato che avevano dichiarato scomparso Lorenzo, che ti devo dire… non ho provato niente, non ricordo cosa gli ho detto, sono uscita ed era come se non ci fossi neppure io. Le gambe mi portavano, mi sono trovata dentro un parrucchiere e ne sono uscita coi capelli così».

    «Scusa, ma ti piacciono?»

    «Oggi non me li sono neanche guardati. Dimmi che ne pensi».

    Lo sguardo della mia amica adesso non ce la fa più e si intristisce, questo sì che lo noto.

    «Penso che non ti stiano male. Senti, l’hai più rivisto Alessandro?»

    «Quale?»

    «Quello del parapendio, mi pare».

    «No, era mesi fa».

    «Ma adesso, ce l’hai il desiderio? Capisci cosa intendo?»

    «Niente. Sono proprio un’altra».

    ***

    Oggi è tutto nuovo: è vero che non entravo in casa di Lorenzo da parecchio, ma adesso è come se non ci fossi mai entrata prima. È svuotata, sono spariti persino i libri e i veli di polvere, mi accoglie solo un nebbioso pulviscolo nella luce orizzontale di questo pomeriggio.

    Subito oltre la luce leggo un cartiglio, affisso su una parete bianca: «Tutto scende verso il basso». È ovvio che l’ha messo proprio perché lo si legga appena entrati.

    Ma allora perché c’è rimasta la patente, il passaporto, la carta di credito, il cellulare, le chiavi della macchina e di casa, come mi ha detto l’ispettore?

    Mi ha anche chiesto di adocchiare ogni dettaglio minimo, come nei telefilm, proprio così ha aggiunto. Ma qui non sono particolari: spariti tutti i libri e gli oggetti, e alcuni mobili, e tanto altro che aveva in casa. Forse per questo mi fisso a pensare a cosa sarebbe il tutto che scende a terra, anzi no, verso il basso: le borse sotto gli occhi, le tette e il sedere, o i capelli e il pisello per gli uomini? Questo intende? O la pioggia che cade? O il conto in banca? Ma anche quello è intatto, hanno già verificato.

    Però questo cartiglio l’altra settimana non c’era, ed è rimasto nonostante lo svuotamento della casa. O viceversa: forse l’ha svuotata per farmelo leggere meglio? Ma saremmo sempre lì: che significa?

    Lui, verso quale basso sarebbe sceso? Un posto di mare? O il mare? E se questo fosse un suo messaggio, dovrei essere felice? Che poi, magari vuol dire la cosa brutta a cui finora sono riuscita a non pensare… Sto impazzendo, dev’essere così che si diventa pazzi.

    ***

    La barbona che sta sempre a questo semaforo, oggi mi fissa. 

    Fissa me, perché? 

    Non ha da chiedere l’elemosina alle altre macchine? A dir la verità lei non la chiede mai, se ne sta solo seduta presso il semaforo, addossata alla scarpata di rampicanti, e nemmeno guarda le macchine; è incurante di tutto il traffico che le scorre davanti come un fiume, e ha sempre quel mezzo sorriso, qualsiasi cosa guardi, sempre che davvero guardi qualcosa, beata lei. Non deve starci tutta con la testa, non fosse altro che per il cappotto che hanno sempre addosso, anche ora che è primavera, lei e l’altro ragazzo al semaforo opposto.

    Questi sì che sono finiti verso il basso. Oggi però non solo sta attenta a qualcosa, ma che ciò che guarda, appunto, sono io. Mi ha puntato gli occhi, non sono io che impazzisco, in questo momento mi sento lucida: è come se mi scrutasse perché non mi riconosce, però non può sapere che prima avevo i capelli lunghi, io sarò un millesimo delle sue visioni quotidiane.

    Che cose stupide mi vengono in mente. Sarà anche una poveraccia, ma che avrà da guardare? Non vorrà mica scoprire dove abito per poi derubarmi?

    Mi sento svuotare e scomparire anch’io, eppure intanto scopro gente che mi osserva con attenzione: il poliziotto, Vera, e questa mendicante. È come se tutti lo sapessero che non sono messa bene; d’altronde, se per la prima volta nella vita mi sorprendo a non stare al gioco di un uomo a cui piaccio, e ad invidiare una barbona matta…

    ***

    Cosa ha scritto Lorenzo su papà? È poi riuscito a penetrare quella nebbia? Il file in cui ne parla l’ho trovato subito, è il più pesante.

    Mi occorre saperlo: non sarà parte delle indagini, però, incognito per incognito, se scoprissi che è riuscito a diradare quelle nebbie del passato, chissà, forse riuscirei a intravedere qualcosa anche nella nebbia che adesso ha lasciato lui. Questi ragionamenti di senso ne hanno proprio poco, ma che altro posso fare?

    Ho avuto il coraggio di aprire il primo file, oggi mi segno questa piccola vittoria. È scritto fittissimo, il titolo è Al tempo in cui eravamo insopportabili. Lui e chi, erano insopportabili? Parla di sé e di una delle sue innumerabili donne?

    No: di lui e papà.

    Come mai papà fece quella fine? Se ne dissero tante, soprattutto puntavano l’attenzione sul crollo della ditta, che però non era stato un crollo manco per niente: qualche anno prima c’era sì stata l’alluvione che si era portata via mezza succursale, ma insomma le fondamenta dell’azienda erano rimaste solide, nessun licenziamento, me lo ricordo, papà lo diceva con orgoglio. Oddio, già da lì in poi, mi disse mamma, non era stato bene, ma fu mal diagnosticata, la sua malattia del resto era una parola che nessuno in famiglia aveva mai sentito nominare, penso che i dottori stessi in genere parlassero di esaurimento. La seconda crisi della ditta, per divergenze con alcuni soci, quella sì che fece rovinare tutto.

    Ora noi lo sappiamo benissimo cos’è e cosa non è una depressione, il peso agghiacciante, i suoi confini e le cure da tentare, ma a quel tempo fu un mostro nero, silenzioso e lento, che invase casa come penetrando dalla fessura sotto la porta, per avvinghiarsi sottile dentro papà. Nel giro di poche settimane ci ritrovammo davanti un uomo smunto come una mummia, che parlava da solo, ripeteva le frasi anche dieci volte, aveva lo sguardo morto, non si rendeva conto del tempo e usciva per andare al mare a febbraio, e ogni tanto tentava maldestramente di suicidarsi. Saperla è possibile, ma dirla no, non si può davvero dire cos’è una depressione.

    Ci trovavamo davanti a due eventi nuovi: era entrata la morte dentro casa, e non ne voleva uscire. Hai voglia a spiegare a noi ragazzi, come tentava mamma, l’insicurezza che prende un uomo che ha costruito una grande azienda, e poi vede cadere tutto. Lì per lì io mi sentivo offeso perché il nulla dove lui era finito non comprendeva noi: ma come, noi non bastiamo? Non siamo una bella famiglia?

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